Fonti
Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI –
metà sec. XIV)
a cura di Paolo Cammarosano
© 1974-2005 – Paolo Cammarosano
13. L’abate di S. Zeno di Verona concede in locazione un pezzo
di terra a scopo di bonifica Il documento è stato pubblicato e illustrato da M. LECCE,
Un contratto di bonifica agraria agli inizi del Trecento, in
Economia e storia, IX (1962), pp. 73-79. I concessionari del livello
non sono, come si vede, dei contadini, bensì una famiglia di notai e
un commerciante (gli “scavezzatori”, organizzati a Verona
in una loro corporazione, erano i venditori al dettaglio dei panni di
lana). Essi avrebbero certo affidato a un contadino la lavorazione della
terra, fornendo il capitale necessario all’opera di bonifica e
cercando di ottenere dal lavoratore una quota di prodotto superiore
a quella che dovevano versare agli abati di S. Zeno. In nome di Cristo. Nell’anno millesimo trecentesimo decimo della
Sua Natività, indizione ottava, nel giorno di mercoledì, quinto del
mese di agosto. Presso il monastero indicato qui oltre, sotto il portico
del loggiato (seguono i nomi dei testimoni). Poiché il pezzo di terra
paludosa qui appresso indicato era sterile e improduttivo e il monastero
di S. Zeno di Verona […] non ne ritraeva alcun utile, né avrebbe potuto
ritrarlo se non a prezzo di enormi fastidi e di grandi sforzi e spese;
poiché inoltre questo pezzo di terra paludosa è stato sempre, a memoria
d’uomo, così sterile e tale rimarrà in eterno per sua natura,
a meno che non sia reso fertile con grandi e duri sforzi e con grandi
spese - e questo perché è acquitrinoso, dato che molte acque vi si formano
e altre vi affluiscono e lì ristagnano, non potendo defluire per mancanza
di un canale o condotto di scolo, la cui escavazione e manutenzione
sarebbe indispensabile per poter ritrarre un qualche utile dalla terra
suddetta; poiché, infine, è nell’interesse dei monasteri e delle
autorità ad essi preposte adoprarsi in tutti i modi possibili per rendere
fruttiferi e utili i possedimenti sterili e inutili, pertanto il venerabile
Signor Giuseppe Della Scala, abate per grazia di Dio del suddetto monastero
di S. Zeno, […] agendo in nome del monastero e in qualità di rappresentante
del capitolo e dei confratelli, cioè di fratello Antonio prete, di fratello
Ognibene, di fratello Leonardo, di fratello Filippo e di fratello Manfredi,
monaci di S. Zeno, […] investì a titolo di locazione e conduzione,
per venti anni, con patto di rinnovare il livello al termine e poi di
rinnovarlo in perpetuo ogni venti anni – ad ogni rinnovo dovrà esser
dato all’abate suddetto o ai suoi successori un paio di guanti
[1] – il Signor Domenico, notaio,
figlio del notaio Zambonino da S. Salvaro, che agiva in nome proprio
e come procuratore dei Signori Bonmassaro e Michele notaio, suoi fratelli,
e in nome dei suoi eredi e successori, di una metà pro indiviso del
pezzo di terra in questione, e investi dell’altra metà il Signor
Bonmichele scavezzatore, del fu Signor Rocio scavezzatore da S. Martino
Acquaro, che agiva in nome proprio e dei suoi eredi e successori, concedendo
loro tutti i diritti di decima. L’abate […] concesse questa
locazione ed investitura con il patto che i conduttori suddetti e i
loro eredi debbano avere e detenere in perpetuo il pezzo di terra in
questione e la decima, senza deteriorare la terra ma anzi migliorandola
e strappandola alla sterilità e rendendola fertile. Essi dovranno versare
all’abate e ai suoi successori oppure ai messi e ai rappresentanti
del monastero la quinta parte di tutti i prodotti della terra suddetta.
Ogni operazione di raccolta dovrà essere annunziata con due giorni di
anticipo agli abati […], perché possano presenziare alla raccolta
o mandarvi qualcuno […] Si aggiunge e si dichiara espressamente […]
che i conduttori non saranno tenuti a versare alcun prodotto al Signor
abate e al monastero per i cinque anni prossimi venturi, bensì terranno
per sé tutti i prodotti a titolo di contributo e di sussidio per le
spese che dovranno sostenere per bonificare il pezzo di terra paludosa;
passati i cinque anni, l’abate e il monastero avranno diritto
al versamento anuale di un quinto dei prodotti, come si è detto sopra.
I conduttori suddetti e i loro eredi avranno la facoltà di vendere,
donare, concedere in locazione o legare per la salvezza dell’anima
i propri diritti sulla terra in questione, tranne che a milites, a enti
ecclesiastici, a schiavi o domestici. In caso di vendita, tuttavia,
[…] dovranno prima darne notizia al detto abate o ai suoi successori
[…] e se questi vorranno la vendita dovrà esser fatta a loro, per
un prezzo che sia inferiore di 20 soldi di denari piccoli a quello che
i suddetti conduttori potrebbero effettivamente ottenere da terze persone;
se poi, trascorsi trenta giorni dalla notifica, gli abati non avranno
voluto portarsi compratori, allora i conduttori suddetti potranno vendere
a chi vorranno, escluse le persone e gli enti indicati sopra e purché
il compratore sia in grado di adempiere a tutti gli obblighi qui definiti.
[1] Il censo di rinnovo
è dunque simbolico, soprattutto se si tiene presente la lunghezza dell’intervallo
tra un rinnovo e l’altro: per una diversa entità del censo di
rinnovo si veda qui sopra il doc. n. 2.
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