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Didattica > Fonti > Predicazione e vita religiosa > V, 10

Fonti

Predicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)

a cura di Roberto Rusconi

© 1981-2006 – Roberto Rusconi


Sezione V - La Controriforma e il concilio di Trento

10. Il dibattito conciliare sulla predicazione, secondo la ricostruzione politica di Paolo Sarpi

Il frate servita Paolo Sarpi, teologo al servizio della repubblica di Venezia, nel suo lungo scontro con la curia romana, stampa a Londra nel 1619 una storia del concilio di Trento, in cui rilegge tutta la vicenda conciliare secondo una precisa ottica politica: i legati pontifici manipolano l'assemblea per evitare ad ogni costo un accrescimento del potere vescovile indipendente dal potere papale. Anche nel dibattito sulla predicazione essi emarginano le istanze della linea episcopalista, a favore dei «privilegi» dei mendicanti in materia di predicazione, perché in realtà questi significano dipendenza diretta da Roma: in questa chiave, servendosi ampiamente e spesso alla lettera della documentazione originale, Paolo Sarpi ricostruisce il contrasto scatenatosi in concilio ed i modi in cui viene avviato a soluzione.

Fonte: P. SARPI, Istoria del Concilio Tridentino, a cura di C. Vivanti, Torino, Einaudi, 1974, I, pp. 284, 287-89.


Seguendo questo ordine fu trattato delle lezzioni e prediche [1], formando e riformando varie minute di decreti, né mai si trovò modo che piacesse a tutti, per esser interessati molto i prelati a volere che tutto dependesse dalla autorità episcopale e che non vi fosse nissuna essenzione; e dall'altro canto volendo i legati mantenere i privilegii dati dal pontefice, massime a' mendicanti et alle università: e dopo molte dispute, essendo la materia assai dibattuta, credettero che nella congregazione [2] de' 10 maggio dovessero essere tutti d'accordo. Ma riuscì in contrario, perché se ben durò sino a notte, non si poté prendere conclusione, in alcuni capi per la diversità de' parero tra' prelati medesimi, in altri, perché i legati non volevano condenscendere all'opinione universale di levare o almeno moderare i previlegii. Opponevano a' vescovi che si movessero più per interesse proprio che per raggione; che non tenessero conto del pregiudicio de' regolari; che troppo arditamente volessero correggere i concilii passati e mettere mano ne' privilegii concessi dal papa; né potero convenire, non tanto per la varietà delle opinioni e per l'interesse de' vescovi, ma ancora perché gli imperiali procuravano ciò per mettere tempo, a fine che non si venisse alla proposizione de' dogmi.

[…]

Nel trattare di lezzione e prediche era generale querela de' vescovi e massime spagnoli che, essendo precetto di Cristo che sia insegnata la sua dottrina, il che s'essequisce con la predica nella Chiesa e con la lezzione a' più capaci, acciò siano atti ad insegnare al popolo, di tutto ciò la cura di sopraintendere a qualunque altro essercita quei ministerii debbe essere propria del vescovo; così aver instituito gli apostoli, così essere stato esseguito da' santi padri; al presente essere levato a' vescovi assolutamente tutto questo ufficio co' privilegii, sì che non glie ne resta reliquia; e questa essere la causa che tutto è andato in desordine, per essere mutato l'ordine da Cristo instituito. Le università con essenzioni si sono sottratte che il vescovo non può sapere quello che insegnino; le prediche sono per privilegio date a' frati, quali non riconoscono in conto alcuno il vescovo, né gli concedono l'intromettersene, in modo che a' vescovi resta levato affatto l'ufficio di pastore. E per il contrario, quelli che nell'antichità non erano instituiti se non per piangere i peccati [3], a' quali l'insegnar e predicare era proibito espressamente e severamente, se l'hanno assonto overo gli è stato dato per ufficio proprio; et il grege se ne sta senza e pastore e mercenario [4], perché questi predicatori ambulatorii, che oggi sono in una città, dimani in un'altra, non sanno né il bisogno, né la capacità del popolo, né meno le occasioni de' insegnarlo et edificarlo, come il pastore proprio che sempre vive col grege e conosce i bisogni e le infermità di quello. Oltra che il fine di quei predicatori non è l'edificazione, ma il trar limosine o per se proprii, o per i conventi loro, il che, per meglio ottenere, non mirano all'utilità dell'anima, ma procurano di dilettare et adulare e secondare gli appetiti, per potere trarne maggior frutto; et il popolo, in luogo d'imparare la dottrina di Cristo, apprende o novità o almeno vanità. Lutero è stato uno di questi, qual se fosse stato nella cella [5] sua a piangere, la Chiesa di Cristo non sarebbe in questi termini. Più manifesto esser ancora l'abuso di questori che vanno predicando indulgenzie, da' quali non potersi narrare senza lacrime i scandali dati negli anni precedenti; questo essere cosa evidente che non esortano ad altro che al contribuire danaro. A' quali disordini unico rimedio è levare tutti i privilegii e restituire a' vescovi la cura loro d'insegnare e predicare, et elegersi per cooperatori quelli che conosceranno essere degni di quel ministerio e disposti ad essercitarlo per carità.

In contrario di questo, i generali de' regolari e gli altri dicevano che, avendo i vescovi et altri curati abbandonato a fatto l'ufficio di pastore, sì che per più centenara d'anni era stato il popolo senza prediche nella chiesa e senza dottrina di teologia nelle scole, Dio aveva eccitato gli ordini mendicanti per supplire a questi ministerii necessarii, ne' quali però non si erano intrusi da sé, ma per concessione del supremo pastore, al qual toccando principalmente il pascere tutto 'l grege di Cristo, non si poteva dire che i deputati da lui per supplire a' mancamenti di chi era tenuto alla cura del grege e l'aveva abbandonata, abbiano occupato l'ufficio d'altri; anzi convien dire che, se non avessero usato quella carità, non vi sarebbe al presente vestigio di cristianità: ora, avendo per 300 e più anni vacato a questa santa opera col frutto che ne appariva, con titolo legittimo dato dal pontefice romano, sommo pastore, avere prescritto questi ministerii et essere fatti proprii loro, né averci dentro i vescovi alcuna legitima raggione, né poter allegare l'uso dell'antichità per ripetere quel ufficio dal quale per tanti centenara d'anni si sono dipartiti. L'affetto d'acquistare per sé o per i monasterii essere mera calonnia, poiché dalle limosine non cavano per sé se non il necessario vitto e vestito; che il rimanente, speso nel culto di Dio in messe, edificii et ornamenti di chiese, cede in beneficio et edificazione del popolo e non in propria loro utilità; che i servizii prestati dagli ordini loro alla santa Chiesa et alla dottrina della teologia, che non si ritrova fuori de' claustri [6], meritano che gli sia continuato a quel carico che altri non sono così sufficienti ad essercitare.

I legati, importunati da due parti, col conseglio de' più restretti con loro risolverono dare conto a Roma et aspettar risposta. Il pontefice rimesse alla congregazione, dove immediate fu veduto a che tendesse la pretensione de' vescovi, cioè a farsi ciascuno d'essi tanti papi nelle diocesi loro; perché, quando fosse levato il privilegio e l'essenzione pontificia et ogni uno dependesse da loro o nissuno dal papa, immediate cesserebbe ogni raggione d'andare a Roma.

[…] onde, tor via i privilegii di quelli, essere direttamente appugnar il ponteficato e non quegl'ordini; il levare l'essenzioni esser una manifesta depressione della corte romana, perché non avrebbe mezi di tenere tra' termini un vescovo che s'inalzasse troppo; però esser il papa e la corte da mera necessità constretti a sostentare le cause de' frati. Ma per fare le cose con suavità, considerarono anco esser necessario tener questa raggione in secreto, e fu deliberato di rispondere a' legati che onninamente [7] conservassero lo stato de' regolari e procurassero di fermare i vescovi col metter inanzi il numero eccessivo de' frati et il credito che appresso la plebe hanno, e consegliargli a prendere temperamento e non causare un scisma col troppo volere. Essere ben giusto che ricevino qualche sodisfazzione, ma si contentassero anco di darla, e quando si verrà al ristretto concedessero ogni cosa quanto a questori, ma quanto a' frati nissuna cosa si facesse senza participarla a' generali.

[1] Cfr. doc. 8 in questa sezione.

[2] Adunanza generale dei padri conciliati, cui competono le deliberazioni.

[3] Cioè i monaci.

[4] Colui che è pagato per accudire al gregge al posto del pastore: il chierico stipendiato.

[5] Stanza del convento.

[6] Chiostri.

[7] Latinismo per «interamente».

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UpUltimo aggiornamento: 01/03/2006