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Fonti

Stato e società nell'ancien régime

a cura di Angelo Torre

© 1983-2006 – Angelo Torre


Sezione III - La nascita dell'assolutismo e il ricambio delle élites (1560-1660)

12. Un aspetto dell'assolutismo europeo: ministeriato, nobiltà e rivolte

I documenti che qui si pubblicano hanno in comune la caratteristica di presentarci i privilegiati sia come oggetti che come soggetti di politica durante la «fase» del ministeriato. Schematicamente, questi momenti hanno una duplice matrice. Da un lato ciò che suscita il risentimento nobiliare è la stessa fiscalità regia, nel suo proporsi quale fonte di estrazione del surplus concorrenziale rispetto alla rendita (cfr. doc. 16), che fa accentuare le funzioni protettive vantate dall'aristocrazia sulla popolazione contadina. È da questo punto di vista che si possono comprendere le osservazioni contenute nella relazione dell'intendente Charreton al cancelliere Séguier (doc. b). L'andamento congiunturale della fiscalità regia può determinare prese di posizione violente da parte di quel complesso di gruppi sociali che è corretto intendere col termine puissants. Sono esse, talvolta, a giocare ruoli attivi nelle rivolte contadine e popolari che caratterizzano in Francia il cinquantennio a cavallo della Fronda. Ma è solo la sfera della politica fiscale a dar ragione del rapporto complesso tra nobiltà e comportamenti violenti? I restanti documenti indicano piuttosto la rilevanza, già osservata a proposito della rivolta olandese, della perdita di funzioni eventualmente subita dalla nobiltà del corso della formazione degli apparati statali del potere. Questo è ben illustrato dalla problematica relativa al duello (doc. a), della quale si presenta qui una lettura di parte «istituzionale», desunta dalle carte di Richelieu, che descrive con chiarezza come la diffusione dei focolai di violenza privata rappresenti un pericolo per lo stato. Dunque, un aspetto del problema va senz'altro individuato nel grado di monopolio della violenza esercitato in un momento dato dall'autorità statale. Ma il problema non si esaurisce qui. Come illustrano i documenti c e d, sono piuttosto le risorse politiche e sociali che lo stato può offrire a determinate casate nobiliari a spiegare una parte rilevante dei loro comportamenti politici. Le giustificazioni che il duca di Montmorency adduce alla sua rivolta e al suo schieramento con l'esercito ribelle del fratello del re indicano chiaramente come il timore di veder esaurire o declinare le possibilità di accesso alla corte e alla distribuzione degli onori possano agire da catalizzatori della disobbedienza; in questo caso, inoltre, la coscienza di poter contare, in virtù della carica di governatore e dell'orgoglio degli Stati della provincia, su una solida base di consenso rappresentata dai potenziali clienti della sua casata, rafforza l'influenza di tali fattori (doc. 10/a). Di qui anche, e in senso contrario, il comportamento della nobiltà napoletana descritta dal conte di Modena nel documento d. Le difficoltà politiche della Corona spagnola negli anni trenta e quaranta si traducono infatti nell'incremento dell'estrazione fiscale, accettata dalla nobiltà meridionale a patto di una graduale abdicazione delle funzioni dello stato e della loro assunzione da parte dell'aristocrazia locale. Solo al prezzo di un'indiscriminata vendita di uffici e di giurisdizioni, oltre a una massiccia alienazione di patrimonio regio, i viceré di Napoli e di Palermo avevano potuto ottenere l'appoggio dell'aristocrazia nell'estrazione di surplus dalle già impoverite campagne, che determinò un aumento del peso e un'intensificazione dell'attività politica della nobiltà, quella napoletana in particolare. Ciò spiega l'atteggiamento refrattario dei nobili napoletani a saldare le proprie rivendicazioni a quelle della rivolta popolare e a dar vita a un movimento di rivolta simile a quello catalano o portoghese o a quello del duca di Montmorency poco sopra illustrato.

Fonti: a/ Les papiers de Richelieu, par Pierre Grillon, tomo I (1624-26), Paris, Pedone, 1975 (Monumenta Europae Historica), pp. 575-76; b/ R. MOUSNIER (a cura di), Lettres et mémoires adressés au chancelier Séguier, 1633-1649, Paris, Puf, 1365, 2 voll., vol. II, pp. 112-18 (Relazione dell'intendente Charreton a Séguier, 1643); c/ DEVIC- VAISSETE, Histoire générale de Languedoc, cit., tomo XII, coll. 1803-10, doc. n. 539 (Lettera di Hémery a Richelieu); d/ E. R. MORMOIRON conte di Modena, Histoire des révolutions de la ville et du royaume de Naples (Paris, 1665-67), tomo I, a cura di J. F. Melle, Paris, 1826, pp. 51-55.


a/ Ragioni per le quali il re non può tollerare i duelli e ragioni per le quali il Parlamento deve registrare l'editto sui duelli (1626)

Tutti i teologi sono d'accordo nel sostenere che il duello in quanto causa singolare non può essere permesso dalla legge di Dio, ma io non ne ho visto uno esprimere chiaramente il vero motivo.

Alcuni ritengono che esso derivi dalla massima: «mihi vindictam et ego retribuam», d'altro canto si può dimostrare che i singoli non hanno l'autorità necessaria per vendicarsi delle ingiurie ricevute, mentre ciò non è vero per i principi, che anzi possono addirittura ordinare a un esecutore di giustizia di mettere a morte colui che ne abbia violato la figlia, perché in tal caso il ministro della giustizia vendica non se stesso, ma per l'autorità del principe il delitto che la cosa pubblica ha subito nella persona della famiglia del ministro medesimo, e questo senza peccato, a condizione che questi abbia chiara la propria intenzione. In base a ciò i duelli non verrebbero proibiti che in virtù di questo principio, e quindi li si potrebbe praticare alle stesse condizioni che l'esecutore di giustizia deve osservare in coscienza.

La vera e primitiva ragione risiede nel fatto che i sovrani non sono affatto padroni assoluti della vita degli uomini, e di conseguenza non possono condannare a morte senza che sia stato commesso un delitto, e perciò la maggior parte dei protagonisti dei duelli non meritano la morte, non possono esporre la propria vita a tal genere di pena.

Inoltre, quando anche uno dei protagonisti si sia macchiato di delitti che comportano la pena di morte, il principe non può neppure in questo caso permettere il duello, poiché l'esito dei duelli è incerto, ed espone in tal modo l'innocente alla pena che solo il colpevole merita, e questa è un'ingiustizia tra le più gravi.

I sovrani hanno un dovere determinato di rendere giustizia, e di conseguenza sono in obbligo di punire i colpevoli senza pericolo o rischio per gli innocenti […]. Il parlamento rifiuta di registrare l'editto con la scusa che le pene sono troppo deboli, e ciononostante è disposto a registrare l'articolo più tollerante, quello che rende nulli tutti i delitti passati. Non intende registrare l'editto se non viene specificato chiaramente che i colpevoli verranno puniti con la morte […]. Minacciare di morte quanti si batteranno in duello e assolvere quanti l'hanno fatto in passato consente di credere, mi pare, che le minacce non avranno altro effetto di quelle che le hanno precedute […]. Si considera questo editto tenero verso coloro che si battono: le ragioni sopra esposte dimostrano come ciò sia falso; ma, quand'anche lo fosse, una maggior severità nell'esecuzione di una pena minima rende una legge più rigorosa e più propria ai fini per i quali è istituita. Fare una legge e non farla applicare significa autorizzare ciò che si vuol impedire; pertanto, è preferibile ridurre il reato a un punto che sia possibile osservare infallibilmente, che renderlo più terribile in apparenza e non farne poi seguire effetto alcuno.

b/ Un esempio di disordine nobiliare

E sebbene la giustizia sommaria eseguita nella regione di Pardiac nel mese di aprile [1643] avesse ridotto i ribelli all'obbedienza, tuttavia, nello scorso settembre, un omicidio senza precedenti fu perpetrato da tutti gli abitanti di Estampes dietro l'incitamento e l'ordine del signore del luogo, in seguito al fatto che il detto sire d'Estampes, essendosi immaginato che una compagnia di cavalleggieri alloggiati nel luogo per il pagamento della taglia vi fosse stata inviata dietro l'istigazione di un altro gentiluomo suo nemico, fece convocare gli abitanti per dire ciò che si meritava la soldatesca. La comunità si raduna, prende ordini e consigli dal sire d'Estampes. I cavalleggieri, i loro servi, il sergente esecutore di giustizia, il commesso all'esazione vengono attaccati l'indomani. Il brigadiere è ucciso, il commesso ferito, gli altri vengono fatti prigionieri […] e sempre dietro consiglio del sire d'Estampes […] vengono fatti fuori a colpi di maglio […].

Da quanto sopra e dai diversi sopralluoghi dell'intendente […] emerge […] come i disordini e le sollevazioni siano tutti causati dai gentiluomini, dagli ufficiali e dai personaggi potenti, che possiedono beni e credito nelle comunità, i quali, poiché non godono dell'esenzione dalla taglia, suscitano nascostamente le sedizioni, al fine di ottenere in tal modo la remissione delle loro taglie o almeno l'immunità dal pagamento d'esse […] e se il popolo non venisse incoraggiato da persone di qualità come nobili, ufficiali e altri, le sollevazioni diminuirebbero notevolmente […].

È anche degno di nota il numero di abusi commessi quotidianamente nei processi intentati dal fisco regio per i possedimenti pretesi nobiliari ed esenti dalle taglie, e specialmente quelli che toccano i signori delle comunità, i prelati, gli ufficiali del parlamento e altri potenti, per il fatto che tutti costoro, quando vogliono far dichiarare nobile una loro terra, non fanno altro che trasferirla fittiziamente al nome dei consoli attuali delle parrocchie in cui tali terre sono situate, o sotto altri titoli tanto falsi quanto ambigui, nonostante tali terre abbiano pagato la taglia negli ultimi dieci, quindici o vent'anni, e tuttavia la corte degli aiuti continua ad accordare tali esenzioni artificiose dietro pagamento di somme cospicue di denaro.

c/ La ribellione del duca di Montmorency (1632)

Monsignore […] stando io a Montpellier, il signor di Montmorency mi scrisse per supplicarmi di tornare a Pèzenas perché la mia presenza era necessaria, poiché voleva giungere a una soluzione del problema degli Stati […]. Il signor di Montmorency ci chiese di liquidare subito la faccenda degli Stati. Ci chiese se volevano far leggere il proclama sugli eletti. Gli risposi che il re non aveva cambiato parere in merito all'istituzione dei commissari invece della riforma degli eletti […] e che noi stessi non avevamo mutato il nostro, conseguentemente […] [Montmorency] ci obbligò a proporre agli Stati l'istituzione degli eletti piuttosto di quella dei commissari, e ci disse che l'indomani ci saremmo riuniti con gli Stati per discuterne […]. Ora, monsignore, occorre che sappiate le ragioni che monsignor di Montmorency adduce per giustificare la decisione intrapresa […]. Che quando egli aveva deciso di unirsi a Condé, aveva spinto gli eletti a infierire sul popolo al fine di aumentarne l'irritazione […] fin dall'inizio del mese di giugno. Io gli chiesi il motivo del suo scontento; ed egli non seppe dirmi che argomenti d'una debolezza tale che non oso riferirveli; che non gli erano state pagate le rendite dai contadini, che non si era dato l'ufficio di tesoriere a un amico suo, per il quale egli si era impegnato. Prima di lasciarmi andare egli mi volle parlare, e mi fece chiamare; mi disse che voleva rivelarmi i veri motivi del suo scontento. In primo luogo che quando aveva partecipato alla campagna d'Italia gli era stata promessa la carica di maresciallo generale dell'esercito, ma che poi egli vi si era recato come un volontario qualsiasi. Che si nutriva una perpetua diffidenza nei suoi confronti, e che le sue raccomandazioni erano sempre state motivo di opporre un rifiuto a quelli che egli desiderava avere con sé nel governo della provincia. Che il giorno dopo la battaglia di Veillane egli chiese che venisse concessa la terra di Sommières al barone de Castres, e che quella era stata rifiutata; che la promessa fattagli di concedergli la carica di gran ciambellano gli era stata rivolta per giocarsi di lui. Ma che al contrario aveva ricevuto informazioni da corte che lo si voleva far prigioniero; che il sire de Fossez era stato mandato a Montpellier per quel preciso scopo […]. Si lagnava anche delle informazioni che io vi avevo inviato sul suo conto […]. Ecco, monsignore, come si è imbarcato in questo imbroglio, ed ecco le sue ragioni, che sono soltanto visioni.

d/ Riflessioni di un nobile francese sulla rivolta di Napoli (1647)

Gli incendi, tanto in questo giorno, quanto nel resto della settimana, si accompagnarono a circostanze rilevanti, che a malapena saranno credute dalla posterità. La prima è che la plebaglia, nel saccheggiare i palazzi dei ricevitori e degli altri interessati all'esazione delle gabelle, non dava alle fiamme i mobili più preziosi […] ma anche l'argenteria, le pietre preziose e i sacchi pieni di monete […] non risparmiando che le immagini di devozione […]. La seconda […] che non vi fu uno dei sediziosi che si appropriasse del benché minimo oggetto […] i sediziosi gridavano che occorreva sacrificare alle fiamme le ricchezze estorte al sangue dei poveri. La terza, che sebbene i sediziosi sembrassero non disporre di dettami diversi dall'insolvenza e dal furore, tuttavia non diressero i propri eccessi che alle sanguisughe pubbliche […]. Ma se tali circostanze sono degne di nota, la poca cura dimostrata dalla nobiltà in un momento tanto favorevole per valersi dell'occasione lo è altrettanto: è certo che essa non avrebbe potuto desiderare un momento più propizio per vendicarsi degli oltraggi che i ministri del re le avevano fatto, e per restituire al regno la sua antica felicità. Il popolo le tendeva le braccia, e si vide benissimo che, trovandosi nei dintorni dei palazzi dei principi di Bisignano, Montesarchio, Montemileto e Satriano, i sediziosi gridavano continuamente: «Ecco i nostri principi, i padroni, i protettori nostri». Se la valorosa nobiltà si fosse allora messa alla testa del popolo in rivolta che, nudo e disarmato, spianava con qualche bastone la strada ch'essa doveva seguire, vi sono pochi dubbi che si sarebbero potuti evitare i disastri che sono poi seguiti, ma ch'essa si sarebbe conquistata il diritto di restituire la libertà e il benessere al proprio paese. Sarebbe tuttavia difficile stabilire perché la nobiltà non abbia approfittato di un momento così favorevole. […]. Tutto ciò che si può sostenere è la cattiva intesa, che dura ormai da secoli, tra le maggiori casate di Napoli e del suo regno, e le divide così profondamente, che se una di loro intraprende una strada, l'altra la fugge […] l'ambizione e la fierezza che le dominano rende impossibile la scelta di un capo comune all'interno del proprio corpo, poiché a tale carica mirano soprattutto le casate di minor lustro; e non potendo mai raggiungere un accordo sul problema del governo, né cedere le une alle altre, tutte preferiscono appoggiare un gioco straniero e greve che un regime di governo nazionale e lieve, e seguendo questo ragionamento la nobiltà non volle separare i propri interessi da quelli degli spagnoli per seguire i movimenti del popolo.

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UpUltimo aggiornamento: 01/04/2006