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Le risorse collettive nell’Italia medievale
a cura di Riccardo Rao
[versione 2.0 - dicembre 2007]
© 2006-2007 -
Riccardo Rao
per "Reti Medievali"
ISSN 1593-2214
Nota introduttiva
1. I differenti approcci ad un tema storiografico
Un
primo ostacolo nella costruzione di un repertorio sui beni comunali
consta nella difficoltà a definire il campo d’indagine, nel
quale confluiscono studi prodotti in ambiti disciplinari differenti,
spesso poco comunicanti tra di loro. Il filo rosso che attraversa la
vasta bibliografia elaborata in tale campo sembra essere stato
rappresentato soprattutto dall’attenzione alle forme di uso
collettivo. Pesa senza dubbio in maniera determinante nello sviluppo
di un simile interesse l’influenza esercitata, sin dal XIX secolo,
dalla diffusione delle teorie marxiste, che hanno guardato ai beni
collettivi come a “un altro modo di possedere”, alternativo
quindi alla proprietà privata, ritenuta uno degli elementi
caratterizzanti della nostra società. Ad inizio Novecento,
inoltre, in Italia, in linea con le problematiche allora dibattute
nel resto d’Europa, soprattutto in Germania, la condizione delle
terre di uso pubblico durante il medioevo è stata oggetto di
ricerche – nate prevalentemente in ambito storico-giuridico, ma con
una forte apertura ai problemi della storia sociale (G. P. Bognetti,
F. Schneider) – intese a dimostrare un nesso tra presenza etnica e
forme di sfruttamento del suolo. Tali premesse storiografiche, se
hanno stimolato la proliferazione di lavori sui beni comuni, hanno
peraltro favorito la tendenza ad allontanarsi dall’aderenza alla
nozione di comunia così come veniva percepita nel
medioevo, facendo ricorso a categorie giuridiche moderne, come gli
usi civici e le modalità di uso collettivo delle terre, che
non avevano un’autonomia propria nell’epoca presa in esame:
comunia erano molto spesso, infatti, non solo i pascoli fruiti
liberamente dalla comunità, ma anche i mulini o i terreni
vicinali assegnati in locazione, talora attraverso meccanismi
piuttosto complicati come le sortes. Negli ultimi decenni gli
studi di storia socio-istituzionale, sia di modernisti, sia di
medievisti, hanno cercato di recuperare una dimensione complessiva
dei beni comunali, spostando l’attenzione dalle forme giuridiche
che ne regolavano il godimento al loro ruolo concreto nell’economia
delle comunità rurali ed urbane, indagato in genere attraverso
i conflitti che li coinvolsero. Le risorse collettive, dopo essere
state a lungo trascurate, beneficiano dunque oggi di un rinnovato
interesse, che si è potuto sviluppare sulla scia di una più
ampia riconsiderazione dei commons avvenuta soprattutto in
area anglosassone, nell’ambito degli studi economici, e che ha
spinto anche gli storici a non pensare più i beni comunali
come «un’economia marginale» – per riprendere il
titolo del lavoro di Mark Bailey (M. Bailey, A Marginal Economy?
East Anglian Breckland in the Later Middle Ages, Cambridge
University Press 1989) –, ma come una funzione vitale per le
società locali.
2. La storiografia recente in Italia: gli studi di storia comunale
Se
le ricerche di storia del diritto hanno prodotto la riflessione più
articolata sui comunia, in tempi recenti esse sono state
affiancate da numerosi lavori di storia socio-istituzionale,
incentrati soprattutto sull’età comunale, che hanno spostato
l’accento dalle condizioni giuridiche alla consistenza materiale di
tali beni e al loro ruolo nella vita delle comunità. Tali
studi hanno sottolineato il contributo delle risorse collettive da un
lato alla formazione dei comuni rurali, dall’altro alla maturazione
delle istituzioni municipali urbane.
Per
quanto riguarda il primo aspetto è stato messo in luce come
tali risorse, soprattutto nelle aree alpine, caratterizzate dalla
presenza di vasti incolti, abbiano avuto un’importante funzione nei
processi di istituzionalizzazione delle comunità, polarizzando
la conflittualità con i signori e con i villaggi contermini.
In diversi casi esse ebbero un ruolo decisivo nel processo di
definizione della stessa identità delle comunità, che
attorno al loro uso delimitavano i loro confini, stabilendo chi
potesse accedervi e chi no (una sintesi su tali orientamenti
storiografici è stata proposta da Chris Wickham nel suo lavoro
sul comune rurale nella Piana di Lucca).
Per
quanto concerne invece gli studi sui comuni urbani, i beni comunali
sono oggi considerati, a partire dalle ricerche di Jean-Claude Maire
Vigueur, come uno dei parametri attraverso cui ricostruire i
contenuti della politica municipale: essi, infatti, costituendo
un’importante voce del budget municipale, furono
frequentemente al centro degli scontri tra Popolo e milites,
che ambivano ad assicurarsene i proventi. In particolare, è
stato osservato che i regimi podestarili e popolari si impegnarono a
fondo nella centralizzazione della gestione di tali risorse,
amministrate in precedenza su base vicinale.
I contributi più recenti, pur riconoscendo ai beni comunali
un’importante funzione nello sviluppo municipale, tendono però
a trattarli come un capitolo all’interno delle finanze civiche o
della formazione dei comuni rurali. Tale approccio prevalente, se
evita di considerare le risorse collettive come una realtà
separata dalla società, per altro verso fa sì che
raramente ne vengano analizzate nel dettaglio le trasformazioni nelle
forme di gestione.
Se
dunque il tema delle risorse collettive è tornato ad assumere
un ruolo centrale negli studi relativi all’Italia comunale, nel
Mezzogiorno, dopo il fondamentale lavoro di Giovanni Italo Cassandro,
esso sembra avere goduto di un’attenzione minore: la storiografia
meridionale ha accolto solo in parte gli orientamenti
socio-istituzionali sviluppati nel Centro-Nord della Penisola, forse
anche a causa di un’interesse maturato solo in tempi recenti per la
società e le strutture delle comunità urbane e rurali
(a questo proposito si vedano le riflessioni di P. Corrao, Le
città dell’Italia meridionale: un problema storiografico da
riaprire, in La libertà di decidere. Realtà e
parvenze di autonomia nella normativa locale del Medioevo, a cura
di R. Dondarini, Cento 1995, pp. 35-60).
3. La nomenclatura
Una
variegata teoria di sinonimi e di perifrasi si è ormai
sedimentata in storiografia per designare le risorse collettive e
patrimoniali a disposizione delle comunità urbane e rurali nel
medioevo. Gli studiosi, a seconda della loro formazione e della loro
sensibilità, hanno di volta in volta affiancato alle dizioni
più diffuse, «comunanze», «beni comuni»
o «beni collettivi», utilizzate correntemente sia dagli
storici del diritto sia da quelli delle istituzioni e della società,
espressioni più circostanziate come, per esempio, «usi
civici» (termine impiegato a partire dall’età moderna)
per mettere in luce il diritto d’uso da parte della popolazione,
«beni pubblici» o «beni demaniali» per
rimarcare la loro origine fiscale, «domini collettivi»
per sottolineare i diversi livelli di titolarità, «beni
comunali» per indicare tutte le pertinenze degli enti
municipali, «risorse collettive» nel tentativo di trovare
una definizione che potesse includere l’insieme delle risorse
utilizzate dalle comunità. Altre forme, come «partecipanza»,
designano infine situazioni particolari, caratterizzate da statuti
giuridici propri. Sono dunque impiegati per descrivere le comunanze
svariati nomi – ugualmente validi, ma da usare con consapevolezza
–, che rispecchiano modi differenti di concepirle ed un certo
imbarazzo a recuperare l’eterogenea dimensione originaria dei
comunia.
Risorse
1. Archivi
Archivi specificamente rivolti alla conservazione della
documentazione sulle risorse collettive dell’Italia medievale sono
quelli delle partecipanze agrarie tuttora esistenti (particolarmente
ricchi quelli emiliani). Piuttosto rari, essi conservano, come a
Cento, a Pieve di Cento, a Nonantola e a Trino, per lo più
materiale tardo (che però, in alcuni casi, può partire
già dal XV secolo), mentre la conservazione degli atti più
antichi è rimasta a carico degli enti municipali. Maggiormente
fortunate le situazioni in cui, come a Villa Fontana, nell’archivio
della partecipanza, divenuta ente autonomo nel 1814, è
confluito quello della comunità locale (le vicende degli
archivi delle partecipanze emiliane sono ripercorse dettagliatamente
nell’articolo di Euride Fregni in Terre e comunità
nell’Italia Padana. Il caso delle Partecipanze Agrarie Emiliane: da
beni comuni a beni collettivi, a cura di E. Fregni, «Cheiron.
Materiali e strumenti di aggiornamento storiografico», 14-15
[1990-1991]).
Una vasta mole documentaria relativa alle risorse collettive, talora anche di età medievale, è reperibile negli archivi dei Commissariati per la liquidazione degli usi civici, istituiti su base regionale in occasione della legge 1766 sul riordinamento degli usi civici del 16 giugno 1927 (un elenco in http://www.jus.unitn.it/usi_civici/istituzioni/commissariati.html).
Per i centri minori, molto spesso si è quindi costretti ad
affidarsi ai ricchi archivi degli enti ecclesiastici che esercitavano
diritti signorili in loco: l’uso di tale documentazione deve
essere particolarmente prudente, poiché è
rappresentativo soltanto delle comunità inquadrate in realtà
signorili, mentre tende a sottodimensionare le realtà con
maggiori ambiti di autonomia.
2. Biblioteche
Per
le ricerche di matrice storico-giuridica risultano particolarmente
idonee le biblioteche universitarie in cui sono confluiti fondi di
studiosi protagonisti del dibattito sui beni comuni ad inizio
Novecento, come il fondo Besta conservato presso la biblioteca del
Dipartimento di Storia del Diritto italiano dell’Università
degli Studi di Milano, oppure quelle che in tempi più recenti
hanno beneficiato del magistero di docenti di riferimento per tali
temi, come Ennio Cortese e Ugo Petronio per la Biblioteca dell’ex
istituto di Storia del diritto italiano della Sapienza di Roma e
Paolo Grossi per la Biblioteca di Scienze sociali dell’Università
degli Studi di Firenze. Deve inoltre essere ricordata la biblioteca
dell’Università degli Studi di Trento, per l’attività
del “Centro studi e documentazione sui demani civici e le proprietà
collettive”.
Per
gli studi di storia sociale e istituzionali conviene invece fare
riferimento alle biblioteche dei dipartimenti di storia delle
principali università dell’Italia centro-settentrionale.
3. Centri di ricerca
In
Italia uno dei segni più evidenti della nuova sensibilità
che si è sviluppata per le tematiche legate allo sfruttamento
delle risorse collettive può essere rintracciato nella
creazione di un appostito centro di ricerca legato all’Università
di Trento, il “Centro studi e documentazione sui demani civici e le
proprietà collettive”. La sua attività non è
circoscritta entro i confini dell’indagine storica, ma si estende
agli aspetti economici e giuridici contemporanei.
4. Riviste
Dal
2003 il “Centro studi e documentazione sui demani civici e le
proprietà collettive” di Trento pubblica una rivista
dedicata alla proprietà collettiva:
«Archivio
Scialoia-Bolla. Annali di studio sulla proprietà collettiva»,
1 (2003)-
5. Bibliografie
Pietro
Nervi aggiorna con continuità una bibliografia sui domini
collettivi, consultabile anche in rete. I suoi “Contributi per una
bibliografia sui domini collettivi” sono pubblicati con i «Quaderni
di ricerca» del “Centro studi e documentazione sui demani
civici e le proprietà collettive”:
P. Nervi, Primo
contributo per una bibliografia sui dominii collettivi, Trento
1999
P. Nervi, Secondo
contributo per una bibliografia sui dominii collettivi, Trento
1999
P. Nervi, Terzo
contributo per una bibliografia sui dominii collettivi, Trento
1999
P. Nervi, Quarto
contributo per una bibliografia sui dominii collettivi, Trento
2000
P. Nervi, Quinto
contributo per una bibliografia sui dominii collettivi, Trento
2001
P. Nervi, Sesto
contributo per una bibliografia sui dominii collettivi, Trento
2002
P. Nervi, Settimo
contributo per una bibliografia sui dominii collettivi, Trento
2002
P. Nervi, Ottavo
contributo per una bibliografia sui dominii collettivi, Trento
2004
6. Collezioni di fonti
La
documentazione inerente alle risorse collettive è piuttosto
varia, ma si inquadra in forme abbastanza omogenee. In diverse
occasioni le fonti si presentano come una rivendicazione di autorità
sulle proprietà civiche: è questo il caso del recupero
delle terre di uso pubblico da parte delle comunità, delle
liti con i vescovi, i signori e l’aristocrazia, ma anche delle
inchieste periodiche volte a stabilire le eventuali usurpazioni da
parte di privati. Come rilevato da Jean-Claude Maire Vigueur, ciò
fa sì che frequentemente le scritture relative ai beni comuni
siano rivelatrici di stati di conflittualità all’interno
delle società locali. Per altro verso, al di là della
casualità della tradizione documentaria, un’assenza di
scontri nella gestione di tali risorse può comportare un
silenzio irrimediabile delle fonti o solo accenni isolati.
Le
principali tipologie documentarie attraverso le quali emergono
notizie sulle risorse collettive, che tendono a moltiplicarsi con la
piena età comunale, possono essere schematizzate nel seguente
modo:
Concessioni di
beni collettivi da parte dei signori a favore delle comunità
(investiture, privilegi etc.).
Per l’età
comunale, atti che sanciscono il recupero delle proprietà
pubbliche: è questa la categoria più ampia che varia a
seconda della storia di ogni centro.
Materiale
giudiziario inerente alle avocazioni effettuate dai comuni: si
tratta delle cause nate con il vescovo, con i signori, con privati
oppure con altre comunità.
Acquisti: questa
tipologia è molto frequente presso i comuni urbani. In genere
le compere divengono consistenti in epoca podestarile; in alcuni
casi, però, estese campagne di acquisti sono segnalate già
dalla prima età consolare. All’interno di questa categoria
occorre naturalmente distinguere quella che è la semplice
acquisizione di diritti allodiali, che non necessariamente implicava
un cambiamento di possesso, dalla gestione effettiva di beni
patrimoniali. In molti casi, però, la distinzione è
spesso labile, poiché i diritti di proprietà spesso
subirono tentativi di valorizzazione economica da parte dei comuni.
Locazioni dei beni
comuni da parte delle comunità.
Inchieste sulle
proprietà comunali, che potevano essere fatte periodicamente
per richiamare il possesso civico, oppure occasionalmente, in casi
di usurpazioni. Tali operazioni potevano dare luogo a censimenti
completi dei beni comunali, in cui talora si segnalano anche i
fitti, oppure a semplici condanne per le terre accaparrate dai
privati.
Alienazioni, in
genere in seguito a processi di indebitamento.
Norme legislative,
in particolare statutarie, riguardanti l’uso dei beni collettivi.
7. Edizioni di fonti
Non esistono, a mia
conoscenza, edizioni sistematiche di fonti relative alle risorse
collettive, ma soltanto repertori a carattere locale e regionale.
Gian Piero Bognetti in appendice del suo studio sui comuni rurali ha
pubblicato un repertorio di documenti sui beni collettivi per l’area
comasca e milanese (G. P. Bognetti, Studi sulle origini del comune
rurale, a cura di F. Sinatti d’Amico e C. Violante, Milano
1978, pp. 213-262). Per la Toscana si può invece fare
riferimento Beni comuni e usi civici nella Toscana tardomedievale:
materiali per una ricerca, a cura di M. Bicchierai, Venezia 1995.
Il
“Centro studi e documentazione sui demani civici e le proprietà
collettive” di Trento ha inoltre in corso la realizzazione di un
“archivio di fonti per la storia delle proprietà collettive
e degli usi civici”, curato da Diego Quaglioni, Giovanni Rossi e
Christian Zendri.
Esistono,
infine, edizioni di singoli fondi documentari dedicati ai beni
comunali, come il recente Il “Regestum possessionum comunis
Vicencie” del 1262, a cura di N. Carlotto, G. M. Varanini, con
la collaborazione di D. Bruni, G. Dal Lago, M. Dalle Carbonare, M.
Knapton, G. Pellizzari, Roma 2006.
8. Siti web tematici
Il “Centro studi e documentazione sui demani civici e le proprietà
collettive” ha prodotto un sito ricco ed articolato all’indirizzo:
http://www.jus.unitn.it/usi_civici
Per
la bibliografia prodotta dagli studi di storia del diritto può
inoltre essere consultato il sito di diritto comune “Iura communia”
all’indirizzo:
http://www.idr.unipi.it/iura-communia/
9. Studi
Non
è agevole costruire un repertorio di studi per una materia
che, come si è visto, attinge da settori disciplinari molto
differenti. Si è scelto di costruire un percorso che possa
offrire uno sguardo abbastanza ampio sull’argomento, centrando però
l’attenzione sulle opere a carattere socio-istituzionale, prodotte
soprattutto in Italia, a cui sono dedicate le sezioni a-f.
In particolare, con le sezioni c e d si è voluto
distinguere le ricerche di storia sociale e istituzionale che
dedicano solo pagine o sezioni ai beni comunali da quelle che sono
specificamente incentrate su tale tema. Non si tratta naturalmente di
una distinzione di valore: anzi, proprio contributi di taglio
generale sono stati talora i più incisivi dal punto di vista
storiografico, come il libro di Bognetti sui comuni rurali o quello
più recente di Maire Vigueur sui milites cittadini. Con
la sezione e, inoltre, si è inoltre cercato dare conto
– in maniera cursoria – degli studi che fanno riferimento al
problema delle risorse collettive nell’Italia meridionale.
A fianco delle sezioni principali, dedicate alla storia sociale e
istituzionale, si è comunque voluto fornire, pur in maniera
sommaria, un corredo di lavori prodotti in altri settori
disciplinari, che possono però essere utili per avere un
quadro più complesso e completo del problema. Lo spazio
maggiore è stato concesso ai lavori di storia del diritto, che
mantengono un dialogo privilegiato con la storiografia sociale e
istituzionale (sezione g).
a) Da dove partire
-
I beni comuni
nell’Italia comunale: fonti e studi, in «Mélanges
de l’École française de Rome. Moyen
Age - Temps modernes», 99 (1987), pp. 553-728.
-
Risorse collettive,
a cura di D. Moreno e O. Raggio, in «Quaderni storici»,
81 (1992), 3.
b) La questione dei beni comuni nella medievistica di inizio Novecento
M.
Bloch, Les groupes sociaux dans l’Italie médiévale,
in «Annales d’histoire économique et sociale», 1
(1929), pp. 587-589.
G. P. Bognetti,
Arimannie e guariganghe, in Wirtschaft und Kultur.
Festschrift zum 70. Geburtstag von Alfons Dopsch, Lipsia 1938,
pp. 109-134.
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(1938-1939), pp. 173-220.
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sulle origini del comune rurale, a cura di F. Sinatti d’Amico e
C. Violante, Milano 1978.
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tedesca, apparsa nel 1931.
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origini dei comuni rurali in Italia, Firenze 1980 (prima edizione
in lingua tedesca Berlino 1924).
c) Opere di storia sociale e istituzionale che contengono riferimenti ai beni comunali
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Segnalazioni
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curatore, Riccardo Rao all’indirizzo mail: riccardo.rao@unimi.it
Curatore
Riccardo
Rao si è laureato nel 2001 in storia all’Università
degli Studi di Milano, dove, nel 2005, ha conseguito il titolo di
dottore di ricerca. Ha pubblicato studi sulle risorse collettive e
sul mondo comunale in Piemonte e in Lombardia, tra cui il volume
monografico I beni del comune di Vercelli. Dalla rivendicazione
all’alienazione (1183-1254), Vercelli 2005. |