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Discussioni

V Workshop nazionale
“Medioevo e didattica”

Brescia, Università Cattolica del Sacro Cuore
15 aprile 2005


Cinzia Crivellari

Il medioevo nei manuali scolastici

1. Gli insegnanti e il manuale di storia

I manuali rimangono ancor oggi il principale strumento di diffusione e di divulgazione della storia nelle scuole italiane, anche se la loro configurazione è in questi ultimi anni assai mutata: da libri prevalentemente scritti sono diventati testi illustrati. Questi due assunti preliminari verranno nel corso di questo breve intervento puntualizzati e argomentati, facendo riferimento alla verifica empirica, per il primo, e analizzando alcuni recenti casi esemplari, per il secondo.

 Che il manuale di storia sia stato e sia il principale veicolo di trasmissione del sapere storico per generazioni di studenti è cosa nota e comunque facilmente verificabile dall’esperienza diretta nella scuola o indiretta attraverso gli studi dei nostri figli. Durante i sette anni di insegnamento nella SSIS del Veneto ci è stato inoltre possibile “toccare con mano” questa affermazione, non solo intervistando gli specializzandi dei tre poli universitari che frequentano le lezioni di Didattica della Storia [1] sulle loro esperienze di studenti liceali, ma soprattutto attraverso il riscontro del loro tirocinio nelle scuole. La statistica che emerge indica una situazione assai differenziata tra la scuola media inferiore e quella superiore, ma non c’è dubbio che nella stragrande maggioranza dei casi è il manuale lo strumento principe dell’insegnamento della storia, soprattutto nel quinquennio liceale. Naturalmente le modalità di utilizzo del manuale cambiano a seconda del modus operandi dell’insegnante, ossia dipende da quanto sia presente e in che forma la mediazione didattica: quanto più la trasmissione delle conoscenze storiche risulta solamente trasmissiva, tanto più la dipendenza dal manuale diventa rilevante. Nella maggior parte dei casi ciò dipende dal fatto che la scarsa formazione storica degli insegnanti [2] li spinge ad adeguarsi totalmente al manuale in adozione per organizzare le proprie lezioni, evidenziando un basso livello di emancipazione dal testo storiografico e dalle rilevanze tematiche presenti in esso.

La questione della formazione degli insegnanti di storia apre un annoso problema di più vaste dimensioni, che riguarda innanzi tutto l’organizzazione dei piani di studio universitari e le corrispondenti classi di concorso di riferimento, sul quale sarebbe necessaria una più ampia discussione e riflessione, in relazione soprattutto alle competenze in uscita dei laureati in materie umanistiche, futuri insegnanti anche di storia. Una formazione docente debole sul piano epistemologico e metodologico produce scarsa motivazione e una preparazione storica superficiale negli studenti, contribuendo ad alimentare quel “cattivo senso comune” storico diffuso tra la popolazione adulta, assai incline alla semplificazione e al pregiudizio massificante. Basti qui ricordare che l’identità dell’insegnante di storia risulta alquanto incerta e sempre condizionata dalle altre discipline d’insegnamento che spesso ricoprono una funzione prioritaria rispetto alla storia, che viene “sacrificata” anche nella disponibilità delle ore di lezione in favore di materie “più importanti”. È frequente anche il caso dell’insegnante di materie letterarie che, pur dando alla storia il giusto peso orario nella sua cattedra, estende anche a questa disciplina il metodo normativo, mnemonico, regolativo con cui insegna, ad esempio, le lingue classiche, suscitando scarso interesse per la storia antica che si riduce molto spesso ad un elenco di battaglie, imperatori e gesta di generali, residui di un passato lontanissimo che mai gli studenti potranno percepire nel suo legame con il presente. Molti insegnanti sembrano infatti rifugiarsi in una pericolosa e autoreferenziale specificità disciplinare, evidenziando quasi un senso di disaffezione e di fastidio nei confronti di una lettura storica del presente, eludendo in questo modo la responsabilità di assumersi un proprio ruolo sociale che non solo li possa mettere a contatto con il proprio tempo, e quindi con le generazioni di allievi che hanno di fronte, ma dia loro anche la possibilità di una lettura critica del passato. Ciò accade anche perché un insegnante privo di una formazione specifica percepisce la storia come una materia “difficile” da governare, poiché non è in grado di padroneggiare l’intero arco storico, e perciò preferisce relegarla ad una dimensione conclusa e ormai definitivamente passata: in questo modo i nessi temporali sfuggono al tentativo di raccordo tra passato e presente, come pure ogni valenza di utilità e attualità della conoscenza storica.

Un insegnante consapevole della funzione altamente educativa e civile della formazione storica è maggiormente disposto a riflettere sul proprio metodo di insegnamento e a rimettere in discussione le forme tradizionali della trasmissione delle conoscenze, elaborando una didattica più operativa e meno subordinata agli strumenti manualistici, evidenziando così maggiore autonomia e padronanza nelle scelte tematiche. Tale insegnante presterà perciò maggiore attenzione ai criteri di scelta del libro di testo, evitando di prendere decisioni avventate, frutto di una lettura superficiale, o di seguire incondizionatamente le scelte dei colleghi.

2. I manuali e le riforme

La figura dell’insegnante aggiornato, sensibile e attento alle innovazioni didattiche, è più presente nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado, piuttosto che nella scuola secondaria di secondo grado, a causa anche del più alto grado di coinvolgimento nelle trasformazioni normative dovute alla recente riforma Moratti. In questi primi ordini di scuole le tipologie dei manuali più recenti hanno dovuto infatti adattarsi non solo alle nuove periodizzazioni e scansioni tematiche proposte, ma anche attrezzarsi di maggiori strumenti metodologici e operativi per facilitare le pratiche laboratoriali ormai adottate da moltissimi insegnanti.

Un’altra novità sostanziale che ha investito la didattica con la nuova riforma riguarda la sostituzione della precedente progettazione per moduli con la nuova progettazione per unità di apprendimento, di cui hanno dovuto tener ovviamente conto anche le nuove edizioni dei manuali. Non è certamente questa la sede per analizzare i modelli metodologico-didattici che sottendono all’unità di apprendimento, né affrontare la questione se questa nuova modalità sia più efficace ed incisiva della progettazione per moduli [3], ma semplicemente valutare quanto e in che misura l’innovazione proposta dalla riforma sia stata recepita dai manuali e quali siano state le conseguenze nella riorganizzazione delle scansioni tematiche. Esaminando attentamente gli indici di alcuni testi, già largamente in uso nella scuola secondaria di primo grado prima della riforma, si ha l’impressione che, come era già successo una decina di anni fa quando si era diffusa la didattica modulare, le vecchie scansioni degli argomenti per capitoli siano semplicemente state sostituite dalla nuova scansione per unità di apprendimento, mantenendo in questo modo inalterata la tematizzazione precedente. Inoltre ogni manuale sembra interpretare la durata di una unità in modo diverso: in alcuni casi una unità corrisponde più o meno alla durata di un modulo, quindi risulta un segmento didattico “lungo”, all’interno del quale è necessario scandire gli argomenti in ulteriori associazioni tematiche; in altri invece prevale l’interpretazione di un’unità più breve, quasi simile alle ormai definitivamente tramontate unità didattiche. Questa situazione così fluida e confusa, soprattutto sul piano lessicale, non è solo dovuta al fatto che la riforma ha investito per il momento solo una parte del sistema scolastico, producendo ovvie discrepanze tra il primo segmento dell’istruzione e la scuola superiore, ma anche alla scarsa chiarezza e alla fretta con cui queste innovazioni sono state realizzate, inducendo insegnanti e case editrici ad applicare la nuova modalità di progettazione in modo superficiale e solo formale, senza avere il tempo di esaminare a fondo l’incidenza reale delle nuove modalità di progettazione nella pratica didattica e nella struttura delle conoscenze disciplinari. Come si vedrà successivamente, un manuale in particolare sembra aver recepito l’innovazione con sufficiente consapevolezza critica, cercando di proporre una effettiva riorganizzazione della tradizionale scansione dei programmi in una chiave più rispondente ai modelli didattico-pedogogigi sottesi all’idea di unità di apprendimento: la spiegazione sta nel fatto che questo manuale rappresenta una novità editoriale rispondente ad un progetto di effettiva innovazione, non solo sul piano degli apparati e della strumentazione didattica, ma soprattutto su quello della metodologia storiografica[4].

Si potrebbe affermare che le scansioni della storia generale dei manuali tendono a ripetersi, a riprodursi in modo cristallizzato e fisso, anche a fronte di una innovazione radicale quale, appunto, una riforma generale del sistema scolastico: la revisione investe per lo più i corredi didattici, gli accessori grafici, l’apparato iconografico, le modalità degli esercizi, ma non il nucleo del testo storiografico che al massimo viene “tagliato” secondo le nuove periodizzazioni e le nuove rilevanze tematiche introdotte, senza variazioni significative nella forma, nello stile e nella struttura testuale. Questa tendenza “conservatrice” risponde sicuramente più alle richieste degli insegnanti che alle aspettative degli allievi, poiché tende a riproporre i modelli storiografici sui quali l’insegnante a suo tempo si è formato, che ha ormai acquisito e che perciò risultano consolidati e rassicuranti nella loro apparente semplicità e “razionalità”.

Il “senso comune storiografico” [5] degli insegnanti induce a semplificare entro costruzioni schematiche apparentemente dotate di senso la complessità di certe epoche e di certi fenomeni che, proprio per la loro difficoltà ad essere generalizzati ed omologati, sono normalmente poco presenti nella trattazione manualistica [6]. La “quadratura del cerchio” diventa così esercizio diffuso e assai praticato nell’insegnamento scolastico, perché facilita l’apprendimento e la memorizzazione, trasmettendo a docenti e discenti un senso di appagamento e di soddisfazione per essere riusciti a costruire un quadro generale compiuto mettendo tutti i tasselli al loro posto. Una delle epoche forse più semplificate a scuola è senz’altro il medioevo, soprattutto nei suoi aspetti politici ed istituzionali, particolarmente complessi e articolati e perciò difficilmente riconducibili a modelli generalizzanti e validi nei diversificati contesti europei.

Un’altra questione che ha sicuramente penalizzato la trattazione del medioevo a scuola riguarda la periodizzazione introdotta dalla riforma Berlinguer del 1996, che spacca questo lungo arco temporale in due parti: l’alto medioevo e i secoli centrali vengono affrontati nel secondo anno superiore, mentre al terzo anno si riprende dalla cosiddetta “crisi del XIV secolo”. Se a ciò si aggiunge che gli insegnanti, e quindi i manuali, sono diversi tra biennio e triennio e che normalmente in seconda non si riesce quasi mai a completare il programma, difficilmente lo studente riuscirà a seguire le persistenze strutturali e i processi di cambiamento nella loro completezza e perciò l’immagine che si formerà della lunga epoca medievale raramente risulterà esaustiva e unitaria [7]. Aldilà del valore e della funzione di ogni periodizzazione, di cui sempre più emerge la convenzionalità, rimane il fatto che l’insegnamento della storia medievale venga affidato a insegnanti anche con classi di abilitazione diverse, quindi con formazioni, metodologie didattiche e prospettive epistemologiche molto differenziate.

3. I manuali di storia medievale: persistenze e novità

Il gap trentennale che ha caratterizzato il rapporto tra ricerca storica e insegnamento della storia [8] ha contribuito alla produzione di una specifica letteratura “manualistica” per la scuola, che si potrebbe definire di “serie B”, poiché ha volutamente recepito in modo parziale e limitato le revisioni storiografiche che la ricerca esperta andava via via elaborando, evidenziando una tendenza sostanzialmente conservatrice. Infatti, fino agli anni Novanta, molti dei luoghi comuni storiografici che si erano stratificati nella storiografia tardo ottocentesca non solo non sono stati eliminati, ma anzi si cristallizzavano nella trattazione manualistica fino a divenire stereotipi irrinunciabili per il docente e il discente.

È il caso, solo per fare alcuni esempi, della “caduta” dell’Impero Romano, dei “barbari” indistintamente sanguinosi e violenti, del risorto Sacro Romano Impero articolato nella famosa piramide “feudale”, della decadenza delle città e del loro rifiorire durante l’età comunale, della res publica cristiana vera depositaria dei valori della classicità: per generazioni di studenti, e anche di insegnanti, questi sono stati i topoi irrinunciabili della storia medievale. Non si può nascondere che la responsabilità di questo canone cristallizzato vada anche addebitata ai molti storici di professione che, in quanto spesso autori di manuali, hanno contribuito a mantenere inalterati rigide schematizzazioni semplificatorie e anacronismi manifesti, forse con l’intento di evitare che ricostruzioni storiche “complesse”potessero essere percepite dallo studente come inutilmente “complicate”.

A partire dalla fine degli anni Novanta questo trend lentamente è cambiato, anche se non si può dire completato: in alcuni settori dell’editoria scolastica si è verificata una inversione di tendenza, in parte sollecitata dalla ricerca in campo didattico, in parte imposta dai reali bisogni formativi e dalle nuove modalità comunicative degli studenti, avvalendosi del contributo esperto di alcuni storici sensibili alla necessità di una divulgazione più corretta e scientifica. La peculiarità di questi manuali, che si possono definire di “nuova generazione”, sta sostanzialmente nella loro novità, sono cioè volumi progettati appositamente per la scuola con un testo storiografico scritto ex novo e concepito organicamente con le altre parti del manuale.

• I manuali per il biennio della scuola secondaria di II grado

La maggior parte di queste novità editoriali riguarda il biennio della secondaria superiore, e in qualche caso anche quella inferiore, mentre diversa è la situazione nel triennio dei licei e degli istituti tecnici in cui prevale la tendenza ad innovare più le parti dei corredi e degli ausili didattici che il testo storiografico vero e proprio, che in molti casi viene “riciclato” da vent’anni.

Ciò determina indubbiamente un’ulteriore contraddizione per ciò che concerne la storia medievale “spezzata” tra biennio e triennio non solo temporalmente, ma anche metodologicamente.

I due volumi che hanno inaugurato questo nuovo corso manualistico sono quelli di C. Frugoni e A. Magnetto, Le origini del nostro futuro. Corso di storia antica e medievale, pubblicati nel 2003 [9] da Zanichelli, poiché hanno trasformato completamente la struttura, l’impostazione e l’idea stessa del libro di storia che da testo prevalentemente scritto è diventato testo “illustrato”. Naturalmente i manuali sono suscettibili di letture diverse, ma quello che qui preme chiarire e analizzare è la sua funzione di costruttore di sapere storico: in questo senso il secondo volume del corso sopraccitato risponde alle esigenze di una divulgazione scientifica, affronta i nodi tematici e concettuali più rilevanti e, insieme, si propone come un vero e proprio “laboratorio didattico” sulle fonti.

 La struttura, articolata per moduli, segue più un percorso ipertestuale che la tradizionale formula a narrazione unica, poiché il testo complessivo si compone della risultanza di più linguaggi: da quello verbale a quello iconografico, sicuramente privilegiato, a quello geografico e fotografico. In questo senso la parte illustrata occupa uno spazio almeno pari alla parte scritta, ma le immagini non sono lasciate a se stesse, cioè alle inclinazioni naturali degli studenti, al contrario vengono presentate e contestualizzate in modo da imporre una lettura onnicomprensiva della pagina. In sostanza le fonti materiali presentate sotto forma iconografica rimandano al testo scritto e quest’ultimo si completa con le immagini. Certo l’architettura d’insieme del volume è complessa e implica perciò un maggior grado di mediazione didattica da parte dell’insegnante, ma abitua lo studente ad esercitare in modo associato abilità di studio e competenze operative seguendo la costruzione del sapere dalla selezione delle informazioni alla sintesi concettuale. Inoltre la presentazione di molte fonti di tipo iconografico e il ricco corredo fotografico sul patrimonio archeologico e artistico contribuiscono a valorizzare i giacimenti culturali quali testimonianze materiali del passato.

Tra i manuali del biennio più recenti almeno altri due seguono questa struttura laboratoriale, privilegiando l’utilizzo delle immagini e quindi puntando sulle competenze operative dello studente: La nuova storia antica e medievale, in quattro tomi, a cura di S. Guarracino (2002), e l’ultima edizione di Per la Storia, di G. De Vecchi e G. Giovanetti (2004), entrambi editi da Bruno Mondadori.

Il primo, corredato da un quaderno per lo studente e articolato per moduli (a loro volta suddivisi in capitoli), intende risolvere il problema dell’esiguo tempo a disposizione dell’insegnante di storia per affrontare un programma lungo, proponendo un percorso a due velocità: capitoli monografici, che affrontano analiticamente la trattazione di temi di storia settoriale, con l’ausilio di repertori di fonti, glossari, mappe, cronologie e carte geografiche, e capitoli sintetici, di didattica breve, concentrati sulle rilevanze concettuali essenziali. Alla fine di ogni capitolo monografico vengono introdotte delle Schede di Civiltà che affrontano temi di Cultura e mentalità, Vita quotidiana, Relazioni sociali. L’impianto del volume di storia medievale non è esclusivamente di tipo narrativo, in quanto sono presenti momenti esplicativi e di analisi descrittiva che alleggeriscono la lettura e lo rendono complessivamente agile e di facile utilizzo per lo studente. L’uso delle immagini è limitato alla presentazione e all’analisi guidata delle fonti, che fanno da supporto al testo scritto senza però costituire un blocco unitario. Alcuni pregi del manuale sono quelli di aver ridotto al minimo la pratica generalizzante, di aver notevolmente ridimensionato i tradizionali stereotipi scolastici sul medioevo e di aver fatto propria una prospettiva spaziale dilatata e aperta verso oriente (vedi ad esempio il cap. 22 dedicato alla Cina e all’Impero Mongolo attraverso i viaggi).

Il secondo, Per la Storia, suddiviso in quattro macrosequenze modulari (a loro volta organizzate per lezioni e alternate a tre percorsi di approfondimento tematico) ed articolato sostanzialmente in modo narrativo, pone come questione fondamentale quella di suscitare negli studenti una riflessione sulla storia attraverso il rapporto tra passato e presente, potenziando l’interesse e la curiosità ad indagare nel passato le tracce delle radici remote del loro presente. Proprio per questo gli autori intendono puntare sulla motivazione allo studio, facilitando l’apprendimento del testo con l’inserimento ad ogni lezione di una Guida allo studio, nella convinzione della necessità di suscitare nei lettori la consapevolezza dell’autonomia e della specificità del pensiero storico. Alla parte laboratoriale viene quindi dedicato ampio spazio poiché attraverso le attività proposte si intende potenziare le competenze operative in vista delle verifiche; in queste stesse sezioni vengono inserite, all’interno di appositi box, sia le fonti documentarie, scritte e, soprattutto, iconografiche, che brevi brani storiografici (di cui manca però la data di pubblicazione, rendendo in questo modo difficile la loro distinzione e datazione). Dalla lettura del testo si nota che lo sforzo esplicativo degli autori si infrange alla fine con il perdurare dei soliti stereotipi che vengono al massimo problematizzati, attraverso tentativi di distinzione e di contestualizzazione più precisa, ma non scompaiono del tutto. È il caso, ad esempio, dell’economia curtense, definita addirittura “autarchica”, del vassallaggio e del “sistema feudale”, spesso confusi, e delle città dell’XI secolo, definite “isole non feudali”. In sostanza alcuni argomenti del tradizionale “canone” medievistico risentono di una commistione tra vecchie tesi storiografiche e acquisizioni della ricerca più recente, producendo un risultato “ibrido”, privo di logica e di difficile comprensione.

Altri due manuali, che in fondo risentono della stessa impostazione e si rivolgono entrambi prevalentemente ai licei, meritano per motivi diversi un accenno: l’uno per la sua longevità, l’altro per la sua dichiarata novità.

Il primo è il corso di E. Cantarella – G. Guidorizzi, edito da Einaudi, Le tracce della storia, Torino 2005 (nuova edizione in quattro tomi; la prima è del 1998), articolato per moduli, suddivisi a loro volta in unità didattiche (sic!). Manuale molto apprezzato dalle insegnanti per i suoi approfondimenti sulle figure femminili, si può definire ormai un “classico” dell’editoria scolastica; ha aperto la strada alla pratica dell’utilizzo delle fonti a scuola e ha timidamente introdotto le storie speciali, in particolare la storia di genere e delle idee. L’impianto dei volumi è narrativo, i contenuti seguono un ordine cronologico e le rilevanze selezionate sono prevalentemente politico-culturali. Un limite riconosciuto delle prime edizioni del corso era la sostanziale incongruenza tra il primo volume di storia antica e il secondo di storia medievale: ricco, articolato e scientificamente aggiornato il primo, limitato nelle scelte tematiche e molto tradizionale nell’impostazione storiografica il secondo. La nuova edizione ha in parte colmato questo divario, ma resta, tuttavia, l’impressione che la formazione antichistica degli autori abbia contribuito alla rappresentazione di un medioevo proposto in tono minore rispetto all’età antica.

L’ultima, accattivante, novità editoriale per il biennio, quasi esclusivamente rivolto al liceo classico, è Sulle spalle dei giganti, di M. Bettini - M. Lentano - D. Puliga, edito nel 2005 da Bruno Mondadori. L’uscita dei volumi è stata accompagnata lo scorso anno da un pieghevole che presentava i punti rilevanti del corso: la storia vissuta da uomini e donne, la memoria, la comunicazione, identità/alterità, vita/morte, la donna, il potere. Temi attuali e motivanti che potevano indurre a pensare ad una revisione metodologica profonda e ad un aggiornamento storiografico in linea con i risultati della ricerca. La lettura dell’indice del primo volume, e successivamente del testo, si è rivelata corrispondente alle aspettative: largo spazio ai documenti, alle fonti letterarie, all’analisi filologica e alla storia delle mentalità. Diverso invece il giudizio per il secondo volume: impostazione rigidamente cronologica, prevalenza di storia politica e culturale, scarsa presenza di fonti diverse da quelle scritte, persistenza degli stereotipi tradizionali della storia medievale. Anche sotto il profilo metodologico il manuale non presenta sostanziali novità: l’approccio didattico non valorizza quelle tematiche che venivano enfatizzate come nuclei rilevanti nella presentazione editoriale.

• I manuali per la scuola secondaria di I grado

Per la scuola secondaria di primo grado, ormai investita dalla riforma Moratti, i principali manuali in adozione sono stati aggiornati alle nuove scansioni temporali previste, mantenendo sostanzialmente inalterato il testo storiografico di storia generale e potenziando invece la parte operativa degli esercizi e dei laboratori (Portfolio). Tutti hanno dovuto invece adeguare la strutturazione didattica alla nuova unità di apprendimento, prevista dalla riforma, facendo propri gli elenchi degli Obiettivi Specifici di Apprendimento, in termini di conoscenze e abilità, individuati dalle Indicazioni Nazionali del Ministero [10]. Nella maggior parte dei casi si è trattato di un’operazione di rimessa a punto superficiale in cui la precedente scansione modulare lascia il posto a quella nuova per unità di apprendimento, mantenendo però inalterata la tematizzazione degli argomenti selezionati e la loro trattazione metodologica [11].

Un caso a parte è invece il progetto editoriale curato da G. De Luna, edito da Paravia nel 2004, La valigia della storia, che oltre ai tre volumi del manuale comprende anche un Atlante dei confronti, un cd-rom, una Guida per l’insegnante e due fascicoli di Quadri di Civiltà.

Il I volume di storia medievale, dal testo storiografico agile e complessivamente aggiornato e corretto, è diviso in cinque parti tematizzate, più una parte introduttiva di raccordo, l’Introduzione, che, affrontando la civiltà romana, viene utilizzata come approccio metodologico agli strumenti del sapere storico. Le cinque parti in cui il manuale è suddiviso contengono ognuna da tre a quattro Unità di Apprendimento, più una o due sezioni di approfondimento, denominate Indagine.

 Le unità di apprendimento vengono intese come segmenti tematici, articolabili in due o tre interventi didattici, che affrontano argomenti affini; si tratta pertanto di un’interpretazione “corta” di unità di apprendimento rispetto ad altri manuali in cui invece le unità vengono intese come percorsi di una certa ampiezza, contenenti vari argomenti scanditi dal semplice ordine cronologico (v. ad esempio Il mestiere dello storico, di R. Neri, sopra citato, edito dalla Nuova Italia). Le sezioni denominate Indagine possono essere considerate momenti di approfondimento laboratoriale, in quanto sono presentate alcune fonti particolarmente significative relative al tema o al periodo affrontato nell’Unità. La scelta degli approfondimenti risulta dettata soprattutto da criteri didattici, poiché si privilegiano esempi particolarmente motivanti, stimolanti e rispondenti a domande e curiosità dell’immaginario collettivo. L’Introduzione merita una menzione a parte poiché nella prima Unità presenta, esemplificandone l’uso attraverso una lettura guidata sulla città di Pompei, gli strumenti del sapere storico (monumento e documento, archivio, biblioteca, scienze ausiliarie), proponendo poi semplici riflessioni di carattere epistemologico: che cos’è la storia, come usare testimonianze e documenti, quali i problemi di interpretazione delle fonti. La seconda Unità contiene una breve panoramica sulla storiografia antica, in cui lo storiografo è presentato come il Testimone, svolgendo così una sintesi vera e propria della storia di Roma, costruita sia in modo diacronico (breve excursus sull’espansionismo romano attraverso anche una sequenza di carte tematiche) sia sincronico (i luoghi del potere e della vita quotidiana, le magistrature, l’organizzazione del territorio).

 Uno degli elementi caratterizzanti del manuale è il ricco apparato di fonti iconografiche, quasi sempre appartenenti all’epoca indagata e pertinenti l’argomento affrontato, e di immagini di ambienti d’epoca ricostruiti nella loro evoluzione (ad esempio: la curtis, il castello, il monastero, la città), luoghi virtuali che possono suggerire rappresentazioni mentali del passato meno stereotipate e anacronistiche.
 Molte sono ancora le considerazioni che si potrebbero svolgere sui manuali di storia, veicoli principali della cultura storica diffusa di ogni paese scolarizzato, analizzandone soprattutto la prospettiva spaziale con cui la storia generale viene indagata, da cui ne consegue la gerarchia delle rilevanze storiografiche e l’importanza che viene attribuita ai singoli argomenti. Il manuale è comunque uno strumento di studio e di lavoro rigido, un semplice contenitore di informazioni, che, proprio per questo, dovrebbe essere aggiornato costantemente rispetto ai risultati della ricerca esperta e sempre adattato alle esigenze dei suoi fruitori.

[1] Vedi i risultati dei questionari a cura di S. A. Bianchi – A. Chieregato – C. Crivellari, La formazione degli insegnanti di storia: i risultati di un’indagine regionale, in «Formazione & Insegnamento. Rivista della SSIS del Veneto», 1 (2003), pp. 171-174.

[2] Op. cit.

[3] Per una informazione generale su questo tema cfr. Le Unità di Apprendimento, a cura di D. Cristanini, Milano 2005.

[4] Del manuale in questione, La Valigia della Storia, a cura di G. De Luna, Torino 2005, si fornirà successivamente una breve scheda.

[5] Cfr. E. Grendi, Del senso comune storiografico, in «Quaderni storici», fasc. 41 (1979), pp. 688-707.

[6] Una di queste epoche “accorciate” nella trattazione manualistica è ad esempio quella relativa al Regno Italico, a cui si accenna solo parzialmente come momento di passaggio tra l’impero carolingio e quello ottoniano.

[7] S. A. Bianchi, Il medioevo (e la storia) a scuola: cronaca di una morte annunciata?, in «Reti Medievali» (Didattica, Discussioni), 2002, ‹../didattica/discussioni/bianchi.htm›.

[8] C. Crivellari, La storia medievale nei manuali scolastici italiani dal dopoguerra agli anni ‘80, Quaderno n° 6 della SSIS del Veneto, ‹http://www.univirtual.it/ssis/editoriale.htm›.

[9] Per una analisi più approfondita del libro di C. Frugoni cfr. la recensione a cura di S. A. Bianchi – C. Crivellari in ‹http://www.univirtual.it/laboratoriodistoria.html›.

[10] D.L. 19 febbraio 2004, n. 59, Allegato C.

[11] È il caso ad esempio del manuale, molto in uso, di R. Neri, Il mestiere dello storico, Firenze 2004.

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UpUltimo aggiornamento: 10/07/06