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Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


IV
I regni romano-germanici / 1
Verso l’egemonia franca

8. Il nuovo popolo eletto
(A) Clausola per l’unzione di Pipino, SS 15/1, p. 1.
(B) Legge Salica, prologo lungo, LNG 4/1.
(C) Eginardo, Vita di Carlo, SRG, 1-3.

(A) Il potentissimo signore Pipino fu innalzato al trono per autorità e comando del papa Zaccaria di santa memoria, per unzione del santo crisma ad opera dei beati vescovi della Gallia e per elezione di tutti i Franchi. Dopo tre anni, per mano del pontefice Stefano, nella chiesa dei beati martiri Dionigi, Rustico ed Eleuterio – dove è arcivescovo e abate il venerabile Fulrado – in un solo giorno fu unto e benedetto re e patrizio, nel nome della santa Trinità, insieme con i figli Carlo e Carlomanno. Nello stesso giorno, in quella stessa chiesa dei beati martiri, il pontefice benedisse con la grazia dello Spirito Santo la sposa del re potentissimo, la nobilissima Bertrada – devotissima e zelante del culto dei martiri – vestita dei paramenti regali.

Contemporaneamente fortificò con la grazia dello Spirito Santo i principi dei Franchi e fece a tutti loro divieto, pena la scomunica, di scegliere mai, per il futuro, un re di discendenza diversa da quella di coloro che la misericordia divina si era degnata di innalzare e che su intercessione dei santi apostoli – aveva voluto confermare e consacrare per mano del beatissimo pontefice, loro vicario.

Clausola per l’unzione di Pipino, SS 15/1, p. 1.

Testo originale


(B) L’illustre popolo dei Franchi, creato da Dio stesso, forte in guerra, costante nei patti di pace, profondo nel giudizio, nel corpo nobile, intatto nel candore, illustre nelle forme, audace, impetuoso e fiero, [da poco] convertito alla fede cattolica, immune dall’eresia; quando ancora era invischiato nel rito barbarico, per ispirazione di Dio ricercava la chiave della sapienza, per la qualità dei suoi costumi desiderava la giustizia, custodiva la pietà. […] Viva chi ama i Franchi, Cristo custodisca il loro regno, riempia del lume della grazia i loro corpi, protegga il loro esercito, dia [ad esso] le difese della fede; il signore Gesù Cristo, che propizia la pietà, conceda le gioie della pace e il tempo della felicità ai loro dominatori. È questo il popolo che, essendo forte e valoroso, ha scosso combattendo dalle sue spalle il durissimo giogo dei Romani, e dopo il riconoscimento del battesimo ha ornato d’oro e di pietre preziose i corpi dei santi martiri, che i Romani avevano bruciato con il fuoco, mozzato con il ferro o gettato alle fiere perché li lacerassero.

Legge Salica, prologo lungo, LNG 4/1.

Testo originale


(C) La stirpe dei Merovingi, dalla quale i Franchi erano soliti eleggere i loro re, si reputa sia durata fino al re Childerico che, per ordine del romano pontefice Stefano, fu deposto e successivamente sottoposto a tonsura e rinchiuso in un monastero. E sebbene tale stirpe appaia finire con lui, già da tempo non aveva alcuna vitalità, e niente offriva in sé di illustre se non il vano titolo di re. Infatti le ricchezze e il potere del regno erano saldamente in mano dei maestri di palazzo, che erano detti maggiordomi ed esercitavano il supremo potere dello Stato.

Né al re veniva lasciato altro che sedersi sul trono contentandosi del semplice titolo regale, con la chioma abbondante e la barba fluente, a dare la rappresentazione del sovrano, concedendo udienza ai legati che venivano d’ogni dove e rendendo loro, quando ripartivano, le risposte per le quali veniva istruito o anche comandato, in modo tale che sembrassero venire dalla sua volontà. Quindi, eccetto l’inutile titolo di re e un precario appannaggio per vivere che il palazzo gli elargiva come meglio credeva, non aveva nulla di sua proprietà se non una sola tenuta e anch’essa di scarsissimo reddito, dov’era la sua dimora e da cui traeva i poco numerosi domestici che accudivano alle sue necessità e gli prestavano omaggio. Dovunque dovesse recarsi, viaggiava col carro condotto da coppie di buoi guidati da un bifolco, all’uso rustico. Così era solito recarsi a palazzo, così andava all’assemblea generale del suo popolo, che ogni anno si celebrava per trattare le questioni del regno, così tornava alla sua dimora. Ma all’amministrazione del regno e a tutto ciò che in patria o all’estero doveva essere svolto o disposto badava il maestro di palazzo.

Tale carica, al tempo in cui Childerico venne deposto, era già tenuta quasi per diritto ereditario da Pipino padre di re Carlo. A sua volta infatti già era stata esercitata da Carlo padre di Pipino, colui che schiacciò i tiranni che pretendevano il dominio su tutta la Francia e che sconfisse i Saraceni che tentavano di occupare la Gallia […].

Pipino dunque aveva ricevuto questa carica lasciata dall’avo e dal padre a lui e al fratello Carlomanno all’epoca del re già ricordato. E l’aveva tenuta nella più grande concordia insieme al fratello per qualche anno, quando Carlomanno, non si sa per quali cause, tuttavia sembra perché acceso di amore per la vita contemplativa, lasciò le fatiche del governo di un regno temporale […].

Invece Pipino, creato re per l’autorità del pontefice romano, da prefetto del palazzo che era, regnò sui Franchi da solo per quindici anni o anche di più; poi, terminata la guerra aquitanica che aveva intrapresa contro il duca d’Aquitania Guaiferio, conducendola ininterrottamente per nove anni, morì a Parigi del male dell’idropisia, lasciando i figli Carlo e Carlomanno, ai quali toccò per divino volere la successione del regno.

Eginardo, Vita di Carlo, SRG, 1-3.

Testo originale

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 01/09/05