Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
4. Orientamenti ierocratici (A) Giona d’Orléans,
L’istituzione regia, c. 1. (B) Breve relazione
dei vescovi sulla penitenza dell’imperatore Ludovico, KK
2/1, (833). (A) Tutti i fedeli devono sapere
che la Chiesa universale é il corpo di Cristo, che lo stesso
Cristo ne é il capo e che in essa, in base all’importanza
del loro potere, ci sono due persone eccellenti, cioè la persona
del sacerdote e la persona del re. Quella del sacerdote supera quella
del re in quanto dovrà rendere conto a Dio degli stessi re.
Per questo Gelasio, venerabile pontefice della Chiesa romana, scrivendo
all’imperatore Anastasio, disse: “Due sono, o imperatore
augusto, i poteri sui quali principalmente si regge questo mondo: la
sacra autorità dei pontefici e la potestà del re. Tra
questi due poteri quello dei sacerdoti ha una responsabilità
più grave in quanto essi dovranno rendere conto a Dio anche degli
stessi re”. Anche Fulgenzio nel libro La verità della predestinazione
e della grazia così scrive: “Per quel che riguarda questa
vita terrena, nella Chiesa nessuno è più potente del pontefice,
nel secolare non c’è nessuno che sia superiore a un imperatore
cristiano”. Dunque, poiché il ministero sacerdotale ha
una così grande autorità, anzi si trova nella condizione
di svolgere un compito molto pericoloso in quanto i sacerdoti dovranno
rendere conto a Dio degli stessi re, è opportuno, anzi è
necessario che noi siamo sempre preoccupati della vostra salvezza e
che voi non cadiate nell’errore (il cielo non voglia) di allontanarvi
dalla volontà di Dio nell’esercizio del ministero che vi
è stato affidato; per questo noi sacerdoti con attenta sollecitudine
dobbiamo ammonirvi e, qualora vi capiti (Dio non voglia) di non esercitare
in modo corretto il vostro ministero, dobbiamo darvi consigli utili
alla vostra salvezza, rimproverandovi umilmente con lo stesso zelo di
un pontefice e avendo cura della nostra stessa salvezza per non essere
condannati a causa del nostro ostinato silenzio e per essere quindi
meritevoli della ricompensa che Cristo ci darà per la nostra
estrema sollecitudine verso di voi e per i nostri salutari rimproveri
che vi faremo pervenire.
Giona d’Orléans, L’istituzione regia, c.
1.
Testo originale (B) Dopo questa ammonizione
ha affermato di avere effettivamente mancato in tutti quei punti sui
quali amichevolmente i sopracitati sacerdoti, sia a parole sia per lettera,
lo avevano ammonito e giustamente rimproverato. Gli hanno dato allora,
e lui lo ha tenuto in mano, un elenco scritto dei reati che principalmente
gli venivano contestati.
2. Che ingenerando scandali, perturbando la pace e violando i giuramenti
sacri, aveva illecitamente annullato il patto che con il comune consiglio
e consenso di tutti i suoi fedeli era stato stabilito e giurato tra
i suoi figli per la pace e la concordia dell’impero e la tranquillità
della Chiesa; e che per la violazione dei giuramenti prestati era incorso
nel reato di spergiuro in quanto aveva costretto i suoi fedeli ad un
altro giuramento contrario al primo patto giurato. E quanto ciò
fosse dispiaciuto a Dio appariva evidente dal fatto che, in seguito,
né lui, né il popolo a lui soggetto avevano più
meritato la pace, ma per giusto giudizio di Dio avevano dovuto vivere
nel caos, come pena per il peccato commesso.
7. Ugualmente aveva peccato nelle spartizioni dell’impero, che
contro la pace comune e il benessere dell’impero stesso aveva
temerariamente attuato; e nel giuramento a cui aveva costretto il popolo
perché agisse contro i suoi figli come contro i nemici, mentre
egli avrebbe potuto pacificarli con l’autorità paterna
e con il consiglio dei suoi fedeli.
In lacrime si è proclamato allora colpevole, davanti a Dio,
ai sacerdoti ed al popolo, per tutti ed in tutti questi reati che sopra
sono stati ricordati; ha affermato di avere mancato in tutto ed ha invocato
una pubblica penitenza per dare così soddisfazione alla Chiesa
alla quale aveva dato scandalo con i suoi peccati; e come era stato
di scandalo con la sua negligenza, così ha proclamato di voler
essere di esempio nell’andare incontro ad una degna penitenza.
Dopo questa confessione ha consegnato ai sacerdoti, per futura memoria,
la nota scritta dei suoi peccati e della sua confessione, ed essi l’hanno
messa sull’altare. Quindi ha deposto il cingolo della milizia
e lo ha collocato sull’altare e spogliandosi dell’abito
secolare ha preso dalle mani dei sacerdoti la veste del penitente: un
gesto che non consente a nessuno di tornare più alla milizia
del mondo. Dopo di ciò è parso opportuno che ogni vescovo
stendesse una relazione di come si erano svolte le cose, la controfirmasse
e la consegnasse a Lotario per memoria di questo evento. Alla fine noi
tutti che eravamo presenti abbiamo deciso di unificare in forma breve
la sintesi delle relazioni di ognuno, o per meglio dire la sintesi di
un avvenimento così rilevante, e poi, per avvalorarla, di sottoscrivere
di nostro pugno la sintesi finale, come può vedersi da ciò
che segue.
Breve relazione dei vescovi sulla penitenza dell’imperatore
Ludovico, KK 2/1, (833). Testo originale
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