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Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


X
L’Italia
L’età dell’anarchia politica

1. La contesa per il regno
(A) Liutprando, Antapodosis, I, 18, 22-25, 28-31, 37-42.

(A) Riunite le truppe, presso il fiume Trebbia che dista cinque miglia da Piacenza, preparano la guerra civile. In essa caddero molti dall’una e dall’altra parte; Berengario si gettò in fuga, Guido ottenne il trionfo [1].

Berengario pertanto, vedendo che la fortuna gli si stava dimostrando avversa, […] si reca dal potente re Arnolfo, pregando e promettendo che, se lo avesse aiutato, avrebbe sottoposto al suo dominio se stesso e tutta l’Italia, come aveva promesso prima. Spinto da così grande promessa, come abbiamo già detto, raduna un grande esercito e viene in Italia. Berengario, per dare attendibilità alle sue parole, porta uno scudo in pegno della sua fede.

Accolto pertanto dai Veronesi, parte per la città di Bergamo. Là, poiché gli uomini non volevano scontrarsi con lui in campo, fidando, anzi ingannandosi, nella saldissima fortificazione del luogo, pone l’accampamento e con la forza delle armi prende la città, sgozza e trucida gli abitanti. Fece impiccare davanti alle porte anche il conte della città Ambrogio. con la spada, il balteo, i gioielli e ali altri preziosissimi paludamenti. Questo fatto incusse gran terrore a tutte le altre città e principi. […] Pertanto i Milanesi ed i Pavesi, atterriti da questa notizia, non rimasero ad attendere il suo arrivo, ma, mandata innanzi un’ambasceria, promettono di obbedire ai suoi ordini. Così egli manda a Milano per difenderla Ottone, potentissimo duca di Sassonia (avo del gloriosissimo ed invitto re Ottone, che ancor oggi vive e felicemente regna) [2]; egli stesso si dirige direttamente a Pavia.

Guido, non essendo in grado di reggere all’assalto di costui, cominciò a fuggire verso Camerino e Spoleto. Senza por tempo in mezzo il re [3] lo insegue accanitamente, debellando con la forza tutte le città ed i castelli che gli opponevano resistenza. Non ci fu alcun castello pur fortificato per la stessa posizione naturale, che tentasse almeno di resistere al suo valore. Che vi è di strano, se anche la regina di tutte le città, cioè la grande Roma, non poté resistere all’assalto di lui [4]?

In quel tempo il papa Formoso, di santissimi costumi, era assai perseguitato dai Romani, ed anche per sua esortazione Arnolfo era venuto a Roma. Nel suo ingresso, per vendicare l’offesa al papa, fece decollare molti maggiorenti romani che gli si affrettavano incontro. Questa era la causa dell’inimicizia tra papa Formoso e i Romani. Morto il predecessore di Formoso, vi era un diacono della Chiesa di Roma, Sergio, che una certa fazione dei Romani si era eletto come papa. Però un’altra parte, e non la più bassa, aspirava che fosse papa il detto Formoso, vescovo della città di Porto, per la sincera religiosità e la conoscenza delle divine dottrine. Infatti mentre si era al punto in cui Sergio sarebbe dovuto essere ordinato vicario degli apostoli, quel partito favorevole a Formoso scacciò dall’altare Sergio con grande tumulto ed ingiuria, e fece papa Formoso.

Sergio si recò in Toscana per giovarsi dell’aiuto del potentissimo marchese Adalberto: il che appunto avvenne. Infatti dopo la morte di Formoso e di Arnolfo, avvenuta in patria, il papa che era stato intronizzato dopo la morte di Formoso viene scacciato e Sergio è stabilito papa grazie ad Adalberto. Una volta insediato, da empio che era ed ignaro delle sante dottrine, fa estrarre Formoso dal sepolcro e collocare sul trono del romano pontefice, rivestito dei paludamenti sacerdotali. Ed a lui disse: “Tu, che eri vescovo di Porto, perché usurpasti, animato da ambizione, la universale sede romana?”. Compiute queste cose, lo fece spogliare delle vesti sacerdotali e, tagliate le tre dita, gettare nel Tevere, e diede di nuovo i sacri ordini a tutti quelli che Formoso aveva ordinato, dopo averli deposti dal proprio grado. […] [5]

Possiamo comprendere quanto grande fosse l’autorità e la santità di papa Formoso dal fatto che, dopo che fu ripescato da pescatori e ricondotto alla chiesa del beato Pietro principe degli apostoli, alcune immagini di santi lo salutarono con reverenza quando fu deposto nel loculo. Ho udito spesso questo racconto dagli uomini più religiosi della città di Roma.

La giustizia di Dio dunque prepara il dolore della vedovanza alla moglie di Guido, che aveva apprestato la morte ad Arnolfo. Come infatti abbiamo già detto, il re Guido, mentre seguiva passo a passo il ritorno di Arnolfo, morì presso il fiume Taro [6]. Berengario, appena udì la sua morte, giunse in fretta a Pavia e con la forza s’impadronì del regno. I fedeli ed i fautori di Guido, temendo che Berengario vendicasse l’ingiuria da loro arrecatagli (e perché gli Italici vogliono sempre avere due padroni per tenere a freno l’uno col timore dell’altro), eleggono re il figlio del defunto Guido, di nome Lamberto, giovane leggiadro ed ancora efebo e molto bellicoso. Cominciò dunque il popolo a rivolgersi a costui e ad abbandonare Berengario. Non potendo Berengario, data la scarsità delle sue truppe, opporsi a Lamberto che si dirigeva a Pavia con un grande esercito, andò a Verona e colà si stabilì al sicuro.

Dopo non molto tempo il re Lamberto però, che era un uomo severo, apparve pesante ai principi, per cui mandano ambasciatori a Verona a chiedere al re Berengario di venire da loro per scacciare Lamberto.

Inoltre Manfredo, ricchissimo conte della città di Milano, da cinque anni era in rivolta contro Lamberto. Egli non solo difendeva la città di Milano, in cui era ribelle, ma anche saccheggiava i luoghi circonvicini che erano fedeli a Lamberto. Il re non lasciò passare invendicato questo fatto [7], meditando spesso il verso del salmista: quando coglierò il momento, io giudicherò con giustizia [8]. Infatti poco dopo lo fece condannare a morte. Questo fatto arrecò non poco timore a tutti gli Italici. In questo stesso tempo Adalberto, illustre marchese di Toscana, ed il potente conte Ildebrando macchinavano di ribellarsi al re. Infatti Adalberto aveva così grande potenza che lui solo, fra tutti i principi d’Italia, era soprannominato il Ricco. Aveva moglie di nome Berta, madre di Ugo che fu re al nostro tempo, per istigazione della quale egli intraprese così nefandi delitti. Riunito quindi in un esercito, col conte Ildebrando si affretta a dirigersi con decisione verso Pavia.

Frattanto il re Lamberto, all’oscuro di queste cose, era occupato a cacciare a Marengo, che dista da Pavia circa quaranta miglia. Quando il marchese ed il conte predetti valicavano il monte Bardane con un numeroso ma debole esercito di Toscani, vien annunziato a re Lamberto, mentre cacciava in mezzo alla selva, come stava la faccenda. Egli, siccome era costante e potente di forze, non pazientò di attendere i suoi soldati, ma, raccoltine circa cento, che aveva presso di sé, si affretta ad andar loro incontro a tutta velocità.

E già era giunto a Piacenza, quando gli viene annunciato che quelli avevano posto il campo lungo il fiume Stirone. […] Il re dunque, feroce d’animo ed astuto d’ingegno, li sorprende proprio sul far della notte [9], ferisce i dormienti, sgozza gli assonnati. Si giunse infine a quelli che erano i condottieri di questo esercito. E poiché a loro fu messaggero di questa illustre impresa [10] non uno della moltitudine, ma il re in persona, il terrore stesso tolse la possibilità, non dico di combattere, ma anche di fuggire. Ildebrando dileguatosi in fuga abbandonò Adalberto nascosto nella stalla degli animali. Fu scoperto e condotto alla presenza del re, che così subito gli disse: “Crediamo che tua moglie Berta abbia profetato per lo spirito della Sibilla, lei che con la sua scienza ha promesso di farti o re o asino. Però, perché non ha voluto o, come è più credibile, non ha potuto farti re, ti ha fatto asino per non smentirsi, dal momento che ti ha costretto a ripiegare nella stalla con il bestiame dell’Arcadia” [11]. In seguito a ciò, con lui ne vengono catturati molti, incatenati, condotti a Pavia e messi in carcere.

Compiute queste imprese, di nuovo il re Lamberto torna ad occuparsi di caccia nella predetta località di Marengo, finché non si fosse deliberato, con decisione di tutti i principi, che fare dei prigionieri. Oh, se questa caccia avesse fatto vittime delle belve e non dei re! Dicono appunto che costui, mentre, come è d’uso, inseguiva dei cinghiali sul cavallo a briglia sciolta, cadde e si ruppe l’osso del collo.

Liutprando, Antapodosis, I, 18, 22-25, 28-31, 37-42

Testo originale

[1] Febbraio 889.

[2] Ottone I.

[3] Arnolfo.

[4] Febbraio dell’896.

[5] Tutto il racconto della successione papale fatto da Liutprando è confuso ed impreciso, in particolare su questo fantomatico Sergio. A Formoso, morto nell’aprile 896, successe infatti Bonifacio VI e poi, morto questi dopo soli quindici giorni, Stefano vescovo di Anagni (Stefano VI). La macabra sinodo è del gennaio 897.

[6] Secondo Liutprando, la moglie di Guido, Ageltrude, avrebbe fatto avvelenare Arnolfo; notizia questa poco attendibile. Del tutto errato invece è il riferimento temporale a Guido, che era morto nel febbraio 894 (evidentemente il cronista confonde due diverse discese di Arnolfo).

[7] Gb. 24, 12.

[8] Sal. 74, 3.

[9] Plauto, Asinaria, 685.

[10] Sallustio, Congiura di Catilina, 2, 9.

[11] Persio, 3, 9.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05