Logo di Reti Medievali 

Didattica

spaceleftMappaCalendarioDidatticaE-BookMemoriaOpen ArchiveRepertorioRivistaspaceright

Didattica > Fonti > Antologia delle fonti altomedievali > X > 2> Traduzione

Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


X
L’Italia
L’età dell’anarchia politica

2. Gli Ungari in Italia
(A) Liutprando, Antapodosis, II, 9-13, 15.

(A) Il sole non aveva ancora lasciato la costellazione dei Pesci per entrare in quella dell’Ariete [1], quando, radunato un esercito immenso ed innumerevole, [gli Ungari] si dirigono in Italia, passano oltre Aquileia e Verona, città fortificatissime, e giungono senza alcuna resistenza a Ticino, che ora è denominata con l’altro nome più bello di Pavia. Il re Berengario non poté stupirsi a sufficienza di un fatto tanto straordinario e mai visto (prima d’allora infatti non aveva neppure sentito parlare di questa gente). Mandò lettere ad alcuni, messaggeri ad altri, per ordinare a Italici, Toscani, Beneventani, Camerinesi e Spoletini di venire ad un centro di raccolta e formò un esercito tre volte più forte di quello degli Ungari.

Quando re Berengario vide attorno a sé tante truppe, rigonfio di superbia e attribuendo il trionfo sui nemici più al gran numero dei suoi che a Dio, da solo con pochi trascorreva il tempo in città dandosi ai piaceri. Che poi? Appena gli Ungari contemplarono sì grande moltitudine, costernati nell’animo, non riuscivano a deliberare che fare. Avevano grande timore di combattere, non potevano assolutamente fuggire. Però ondeggiando fra l’una e l’altra cosa, preferiscono fuggire anziché combattere. Sotto l’incalzare dei cristiani, attraversano a nuoto il fiume Adda, ma in modo che moltissimi per la troppa fretta morirono affogati.

Gli Ungari presero il salutare consiglio di mandar messaggeri a chieder pace ai cristiani per poter ritornare incolumi, restituendo tutta la preda ed il bottino. I cristiani rigettarono del tutto questa richiesta e (ahi dolore!) li insultarono; intanto preparavano le catene con cui legare gli Ungari, piuttosto che le armi con cui ucciderli. Non potendo i pagani addolcire l’animo dei cristiani con questa proposta, pensando che fosse migliore la vecchia idea, cercano di liberarsi iniziando la fuga, e così fuggendo arrivano nelle vaste campagne di Verona.

Le avanguardie dei cristiani inseguono ormai le retroguardie di quelli; là avviene una scaramuccia in cui i pagani ebbero la vittoria. All’avvicinarsi del grosso dell’esercito, non immemori della fuga, riprendono il cammino intrapreso.

I cristiani giunsero contemporaneamente agli idolatri al fiume Brenta: infatti i cavalli troppo stanchi non davano agli Ungari la possibilità di fuggire. I due eserciti giunsero dunque nello stesso tempo, separati soltanto dall’alveo del fiume. Gli Ungari costretti dalla paura promettono di consegnare tutto il bottino, i prigionieri, tutte le armi e i cavalli, tenendone però uno solo a testa con cui poter ritornare; aggiungono questo al peso della loro richiesta che, se li lasciassero ritornare dopo aver dato tutto, salva soltanto la vita, avrebbero promesso di non invadere più l’Italia, dando i loro figli per ostaggi. Però i cristiani, accecati dalla superbia, continuano a minacciare i pagani come se li avessero già vinti.

Rafforzati gli animi con questa esortazione, dispongono delle insidie su tre parti, essi stessi traversano direttamente il fiume e si precipitano in mezzo ai nemici. Moltissimi cristiani, stanchi della lunga attesa dei messaggeri, erano smontati da cavallo per l’accampamento a ristorarsi di cibo. Gli Ungari li trafissero con tanta velocità che ad alcuni infilzarono il cibo in gola, ad altri sottrassero coi cavalli il mezzo di fuggire, e tanto più agevolmente li uccidevano in quanto avevano visto che erano senza cavalli. Infine, ad accrescere la rovina dei cristiani, vi era una non piccola discordia fra di loro. Alcuni non solo non combattevano contro gli Ungari, ma desideravano che i loro vicini cadessero; e quei perversi facevano ciò perversamente per questo scopo: se cadevano i vicini, essi soli avrebbero regnato più liberamente. Mentre trascurano di venire in aiuto ai bisogni dei vicini e bramano vedere la loro morte, incorrono essi stessi nella propria. Fuggono così i cristiani e i pagani infieriscono, e quelli che prima non erano riusciti a supplicare con i doni, non sapevano poi risparmiare chi li supplicava. Uccisi dunque e messi in fuga i cristiani, gli Ungari percorrono tutti i luoghi del regno infierendo. Né vi era alcuno che attendesse la loro venuta, se non in luoghi fortificatissimi. Il valore di quelli aveva così stravinto, che una parte saccheggiò la Baviera, la Svevia, la Franconia e la Sassonia, una parte saccheggiò l’Italia.

Liutprando, Antapodosis, II, 9-13, 15.

Testo originale

[1] Marzo o agosto 899.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 01/09/05