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Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


X
L’Italia
L’età dell’anarchia politica

6. L’avvento di Berengario II
(A) Liutprando, Antapodosis, V, 26, 27, 29, 31.

(A) Frattanto l’atteso Berengario, avendo seco pochi compagni dal partito svevo [1], dalla Svevia si diresse in Italia per la val Venosta, e pose il campo presso la fortezza di nome Formicaria, che Manasse arcivescovo di Arles, come già dicemmo, e allora usurpatore delle sedi di Trento, Verona e Mantova, aveva affidato alla custodia del suo chierico Adelardo. Vedendo Berengario che poteva conquistarla pur senza apparecchiature di macchine belliche e senza assalto, conoscendo l’ambizione e la kenodoxĂ­a cioè vanagloria, di Manasse, pregiò Adelardo di venire da lui e gli disse: “Se consegnerai in mio potere questa fortezza e trarrai Manasse tuo signore ad aiutarmi, dopo che avrò ricevuto il potere regale, a lui donerò la dignità arcivescovile di Milano, a te quella vescovile di Como. E acciocché tu presti fede alle mie promesse, ciò che ti prometto a parole te lo confermo coi giuramenti”. Quando queste cose furono narrate da Adelardo a Manasse, non solo ordinò di consegnare la fortezza a Berengario, ma anche incitò tutti gli Italici ad aiutarlo.

Subito parecchi, abbandonato Ugo, cominciarono ad aderire a lui. Fra questi Milone, potente conte di Verona, fu il primo che, mentre era sorvegliato da custodi appostati di nascosto perché sospetto a Ugo, simulando di non capire di essere sorvegliato, protrasse la cena fin quasi a mezzanotte; e quando tutti gravati dal sonno come da Lieo [2] affidavano il corpo al riposo, con la sola scorta di chi gli portava lo scudo, giunse velocemente a Verona e, diretti i messaggeri, fece venire Berengario e lo accolse nella città perché più saldamente potesse resistere al re. Certo nessuna mancanza di fede divise costui da Ugo, ma parecchi danni arrecatigli dal medesimo, che non poté più tollerare a lungo. Lo segue Guido vescovo di Modena, non perché provocato da un’ingiuria, ma animato dal desiderio di quella grande abbazia di Nonantola, che acquisì appunto allora. Questi non solo abbandonò Ugo, ma trasse seco anche molti altri.

In questo tempo un certo Giuseppe, vecchio di costumi, giovane d’età, era illustre vescovo della città di Brescia. Berengario (da timorato di Dio qual’era) lo privò dell’episcopato per la sua probità di costumi e stabilì al suo posto Antonio, che vive ancor oggi, senza tenere alcun concilio, senza alcuna deliberazione dei vescovi. Ma anche a Como allora non ordinò Adelardo, come aveva giurato, ma, per amore dell’arcivescovo di Milano, un certo Waldone. E quanto abbia ben fatto questo, lo dichiarano sia con i segni che con i gemiti la spogliazione dei sudditi, il taglio delle viti, lo scortecciamento degli alberi, lo strappo di molti occhi, il frequentissimo ripetersi di contese. Mise invece Adelardo a capo della chiesa di Reggio.

Re Ugo, non potendo declinare la decisione divina e comandare a Berengario, abbandonato Lotario e affidatolo alla fede di quello con pace simulata, si affrettò ad andare in Provenza con tutto il denaro.

Liutprando, Antapodosis, V, 26, 27, 29, 31.

Testo originale

[1] Berengario, fuggendo da Ugo temporaneamente vittorioso, si era rifugiato in Germania dal duca di Svevia, che lo aveva poi condotto da Ottone: tornava quindi in Italia (945) portato dalle armi tedesche.

[2] Dal vino.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 01/09/05