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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


VII
Impero e comuni in Italia

7. Le città marinare: un modello privilegiato?
(A) Marin Sanudo, Le vite dei dogi, anno 1152.
(B) A. Dandolo, Cronoca… anno 1172.
(C) Promessa del duca Enrico Dandolo(1192).
(D) R. Cessi, Deliberazioni del Maggior Consiglio, I, p. 263.
(E) Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, FSI 777, 1, 285 (1157).
(F) Ottobono Scriba, Annali Genovesi, FSI 12, pp. 36-37.
(G) Statuti di Pisa, 1, pp. 3-15 (1162).

La sopravvalutazione del ruolo svolto dalle città marinare nello sviluppo cittadino italiano, operato a suo tempo dalla storiografia è ormai generalmente riconosciuta. Tuttavia Venezia, Pisa e Genova - queste ultime due rafforzate proprio dal Barbarossa [cfr. paragrafo 5 (C, D)] – offrono esempi precoci di uno sviluppo istituzionale complesso e articolato. A Venezia, tra il 1152 e il 1207 (A, B, C, D) compare dapprima una formale promissio, la «promessa», fatta dal doge ai cittadini, limitativa dei suoi poteri ed esprimente il suo ossequio al regime esistente; in seguito si forma un vero collegio elettorale, prima di undici membri e poi di tre, che elegge non più solo il doge, ma i titolari di tutte le cariche fondamentali; infine appaiono (o si definiscono meglio) il Maggior e il Minor Consiglio. A Genova, nel 1157, il Breve della Compagna, primo nucleo dello statuto cittadino, si ripete e si arricchisce di nuovi contenuti (E); nel 1190, inoltre, ai consoli si sostituisce il podestà (F); mentre a Pisa è testimoniato il Breve dei Consoli (G), il giuramento da quelli prestato al momento di entrare in carica, che confluirà con il giuramento generale dei cittadini nel testo dei più tardi statuti.


(A) Io Domenico Morosini, per grazia di Dio duca di tutta la Venezia, Dalmazia e Croazia faccio giuramento e giuro a tutto il popolo anconetano [1], allo stesso modo in cui all'inizio della mia entrata [in carica] ho giurato a tutto il popolo veneziano; e a questo popolo anche tutti i nostri successori giureranno allo stesso modo [con cui giureranno] al popolo veneziano al loro ingresso [in carica]. Inoltre diamo anche licenza al medesimo popolo anconetano di essere considerato a Venezia e ovunque in tutte le parti come i Veneziani. Noi in verità, singoli uomini delle singole trentacie [2] di Venezia, giuriamo di aiutare tutti gli uomini anconetani così come aiutiamo gli uomini [ … ] delle migliori contrade di Venezia. Tutte queste buone cose predette saranno conservate in buona fede in perpetuo.

Marin Sanudo, Le vite dei dogi, anno 1152.

[1] Il giuramento è pronunciato in occasione di un'alleanza tra Venezia e Ancona; indirettamente, ci rivela che il duca prestava un giuramento ai Veneziani.
[2] Divisione territoriale della città.


(B) Sebastiano Ziani fu eletto duca nell'anno del Signore 1172. E difatti, sepolto il suo predecessore, tutto il popolo, ugualmente riunito nella chiesa di San Marco, per evitare la discordia emanò, per la prima volta un editto apportatore di salvezza, secondo il quale dovevano essere nominati undici uomini virtuosi, che, stretti da giuramento, eleggessero come duca quello che avessero riconosciuto come più saggio ed esperto delle leggi e, dopo averlo eletto, ne rendessero pubblico [il nome]; e fu stabilito che una volta reso pubblico sarebbe stato duca, senza altra indagine.

A. Dandolo, Cronoca… anno 1172.


(C) Queste sono le cose che dobbiamo osservare noi, Enrico Dandolo, per grazia di Dio duca, finchè vivremo, durante il nostro ducato. Governeremo la patria e [ne] osserveremo lo stato in buona fede [1]. E cercheremo di rendere ragione e giustizia a tutti coloro che la chiederanno e la faranno chiedere, senza alcuna dilazione, in buona fede, senza frode […]. Se in verità talvolta i nostri giudici appariranno alquanto discordi nel pronunciare la legge [2], per cui dovremo dire noi la legge, aderiremo secondo l'uso alla parte che a noi sembrerà migliore. […] Costruiremo, del tutto a nostre spese, dieci navi da guerra [completamente] armate […]. Non manderemo ambascierie o lettere al pontefice romano e all'imperatore e ai re senza [l'accordo] della maggior parte del consiglio e del popolo. […] Per ciò che riguarda gli affari di interesse comune rispetteremo quelle decisioni che saranno state prese dalla maggior parte del consiglio e che a noi saranno state dette sotto il vincolo del giuramento. Per ciò che attiene specificamente al ducato, rispetteremo quelle decisioni nelle quali tutti i consiglieri del minor consiglio saranno concordi con la maggior parte del consiglio maggiore […]. Tutte queste cose che sono state singolarmente dette sopra [le] conserveremo senza frode finché vivremo, nel nostro ducato […].

Promessa del duca Enrico Dandolo (1192).

[1] Affermazione fondamentale: qui Dandolo promette di rispettare l'ordinamento dello stato in generale.
[2] “Legge” in questo caso sta probabilmente per “sentenza”.


(D) Noi Pietro Ziani, per grazia di Dio duca di Venezia, Dalmazia e Croazia, insieme ai nostri giudici e ai savi [1] del consiglio, con l'approvazione del popolo di Venezia, stabiliamo – [impegnando anche] i nostri successori – con questa nostra carta di promessa che d'ora in avanti ogni anno da tre trentacie debbano essere eletti tre elettori, ciascuno dei quali sarà [eletto] dalla sua trentacia. L'ordine di questi elettori dovrà sempre iniziare da Castello e passare per tutte le trentacie di Rialto, fino a che non siano finite. Gli elettori dovranno eleggere sei procuratori del comune, un procuratore per sestiere […]. Dovranno anche eleggere i sei sapienti del minor consiglio, uno per ciascun sestiere, e i sapienti del maggior consiglio, ciascuno dalla sua trentacia. […] Stabiliamo inoltre che i soprascritti elettori dovranno eleggere i tre camerari del comune e gli scrittori dei medesimi camerari dei quali tre saranno di una parte del canale [2] e tre dall'altra. Vogliamo anche che i già detti elettori facciano tutte le altre elezioni che noi o i nostri successori con accordo della maggior parte del consiglio diremo loro di fare. Stabiliamo che tutte queste cose sopra indicate siano osservate sempre fermamente [3].

R. Cessi, Deliberazioni del Maggior Consiglio, I, p. 263

[1] I sapientes erano i membri del Consiglio; il termine è presente in parecchie città.
[2] È il Canal Grande.
[3] Aprile 1207.


(E) Nel nome della santa e individua Trinità e della concordia eterna. Dalla prossima festa della Purificazione di Maria [1] io giuro a onore di Dio la Compagna per quattro anni. Nel presente anno avrò quattro consoli per il comune e otto per i placiti che saranno pubblicamente eletti nel parlamento e giureranno il consolato. Trascorso questo anno avrò altri consoli, come la maggioranza dei consoli del comune e dei placiti e la maggioranza dei consiglieri che partecipano al consiglio avrà stabilito di comune accordo per quanto riguarda il numero, la durata e le modalità della loro elezione. Qualsiasi cosa avranno stabilito e decretato i consoli eletti, secondo quanto è stabilito nei loro Brevi, sull'onore di Dio e della chiesa di Genova e delle altre chiese della città e della diocesi, e sulle lamentele davanti a loro presentate, osserverò ed eseguirò da Porto Venere a Porto Monaco, da Voltabbio a Montalto e a Savignano fino al mare e anche oltre, [mettendo a disposizione] case, torri, persone, figli e servi senza inganno e senza cattive intenzioni. E se avrò saputo che qualcuno dei consoli di Genova, per onore di Dio e dell'arcivescovato di Genova, o della chiesa o della città, o per giustizia o per punizione, reputi secondo il suo arbitrio di fare guerra, lo aiuterò in buona fede e senza cattive intenzioni fino alla conclusione della guerra. Come sentirò la campana che suona per il parlamento o il banditore che raduna il popolo per la città, se sarò in borgo, o nel castello o al porto e fino al ponte di S. Tommaso e da quel ponte fino a Terricio e di lì fino al Castelletto e dal Castelletto fino al fossato del rio Torbido e da quel fossato fino al mare di Sarzana, andrò a quel parlamento a sentire le decisioni del consoli, a meno, che non venga autorizzato a rimanere dai consoli che hanno fatto radunare il parlamento, eccetto che per impedimento di Dio, o per pericolo di morte o di cattura, o per malattia o per ferite. […] Se qualcuno sarà stato chiamato dai consoli per due o tre volte a prestare il giuramento della Compagnia in forma pubblica e in modo speciale e diretto e non avrà obbedito a tale ingiunzione entro quaranta giorni, non porterò consapevolmente il suo denaro per commerciare per mare in nessun modo, né navigherò insieme con lui oltre Porto Venere o Porto Monaco, se non per ordine del comune di Genova. […] Non farò società commerciale con nessuno che abiti fuori dai confini e in nessun modo acquisterò fraudolentemente né cambierò merci da qualche estraneo.[…] Non condurrò mercanti estranei per mare né le loro merci in concorrenza alle nostre dall'Arno a Genova, a meno che non siano Pisani. […] Sugli affari che sono di pertinenza dei consoli del comune mi atterrò alle loro decisioni; su ciò che riguarda i consoli dei placiti starò alle loro sentenze come è stabilito nel Breve del loro consolato; quando parteciperò all'esercito sarò tenuto al giuramento della Compagnia nei confronti dei consoli che guidano l'esercito allo stesso modo in cui sono tenuto nella città di Genova. […] Tutto ciò che è scritto sopra osserverò e farò in modo di eseguire in buona fede e senza cattive intenzioni secondo le decisioni dei consoli, salvo il nostro uso, se non quanto non potrò fare per giusto impedimento.

Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, FSI 777, 1, 285 (1157).

[1] Il 2 febbraio.


(F) A causa dell'invidia di molti che desideravano smodatamente ottenere l'ufficio comunale di console, molte discordie civili e odiose cospirazioni sono sorte nella città [di Genova]. Sicché accadde che i sapienti e i consiglieri della città si riunirono insieme e convennero di comune accordo che dall'anno successivo [1] terminasse il regime consolare e stabilirono quasi all'unanimità di avere in futuro un solo podestà. A ricoprire tale ufficio fu eletto Manigoldo di Tetocio, bresciano, e felicemente fu costituito. Ma mentre egli era in città col compito a lui affidato e concesso dai consoli del comune di esercitare la giustizia criminale e durante una riunione, in casa dello scriba comunale Ogerio Pane, dei consoli [uscenti] che esaminavano la contabilità del consolato ormai al termine, ecco che Fulchino e Guglielmo Balbo, figli di Anselmo di Castello, commettono un gravissimo delitto. Con l'inganno e senza ragione alcuna uccidono infatti Lanfranco Pepe, persona nobile ed egregio console. Riprendono in seguito a ciò le discordie civili e le divisioni, ma il giorno seguente al delitto, quell'uomo egregio del podestà Manigoldo, toccato da grave dolore e da vergogna per ciò che era successo, riunisce un parlamento generale e, indossata la corazza e prese le armi, monta a cavallo, si reca allo splendido palazzo che Fulco aveva in Castello e lo distrugge per punizione del delitto compiuto, anche se non riesce a catturare gli assassini che intanto avevano lasciato la città e si erano nascostamente rifugiati a Piacenza. I consoli di giustizia continuarono intanto a trattare con onestà le cause del cittadini, rendendo a ciascuno senza contrasti.

Ottobono Scriba, Annali Genovesi, FSI 12, pp. 36-37.

[1] Il 1190.


(G) Breve dei consoli della città di Pisa.
Nel nome del Padre del Figlio e della Spirito Santo e nell'invocazione della madre di Dio, la sempre Vergine Maria, l'anno dell'incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo 1162.
Dal prossimo primo gennaio per un anno completo mi occuperò per la prosperità della città di Pisa con consigli e atti, in terra, in mare e in ogni luogo, in pace e in guerra, dell'onore della chiesa maggiore di Pisa dedicata alla santissima Vergine, dell'arcivescovato, della canonica, dell'opera della chiesa di S. Maria e delle altre chiese, degli ospedali, dei ponti, degli ecclesiastici, della città di Pisa su entrambe le parti del fiume, secondo quanto racchiudono le nuove mura, e della prosperità del popolo pisano e di coloro che abitano la Cintoria a Pontedera, da entrambe le sponde del fiume fino al mare, da Ripafratta e Filetto dalle due sponde del fiume fino al mare, e fino alla rocca di Capoalbo. […]
Entro i primi otto giorni di gennaio eleggerò fra i [cittadini] migliori che avrò senza frode ritrovato tre giudici, cinque provvisori, uno del quali esperto in legge, tre ufficiali della tregua, cinque giudici d'appello, due dei quali esperti in legge, a otto lire di stipendio; due tesorieri e altrettanti vigilatori a dieci lire di stipendio, tre misuratori, due controllori della moneta, quaranta senatori: tutti questi, tranne i senatori, entro quindici giorni dalla loro elezione saranno da me fatti giurare sui Brevi elaborati dai savi [1]; frattanto si aggiunga al giuramento dei giudici e dei provvisori che, nelle denunce dei laici contro la chiesa o contro gli ecclesiastici, giudichino secondo quanto sono tenuti a giudicare nelle cause del laici, tranne nel caso in cui si tratti di decime o di questioni spirituali; [giurino poi] che durante lo svolgimento del loro ufficio non abbiano cause essi stessi contro nessuno, se non in relazione a contrasti sorti in seguito alla loro elezione. Al giuramento del vigilatori occorre aggiungere che facciano fare la guardia nella città di Pisa ogni notte del loro periodo di vigilanza per quanto riguarda furti, incendi e osservanza dei divieti. […] Prima del prossimo febbraio farò eleggere cinque consoli di commercianti. E per sistemare le strade della città di Pisa e i canali che sono situati lungo le vie eleggerò tre uomini allo stipendio pattuito e li farò giurare senza frode. […] Prima di maggio farò giurare senza frode fino a trecento cavalieri che entro un mese dal giuramento prestato si procurino cavalli e li tengano a disposizione nel periodo del mio consolato. […] Farò in modo che si approntino galere fornite di tutto il necessario e si completino quelle che sono incominciate e non ancora finite: prima della festa di S. Pietro di giugno, farò approntare venti galere, salvo disposizione diversa della maggioranza del consiglio. Farò fare la guardia del mare con due galere dal primo aprile al primo di ottobre, salvo disposizione diversa. […] Se mi accadesse di avvedermi che fra i cittadini sta per scoppiare qualche contrasto militare a causa della costruzione di torri o di case farò in modo di evitarlo, pur salvaguardando i diritti dei contendenti. […] Affinché non si venga meno al compromesso stabilito al tempo del vescovo Gerardo e dell'arcivescovo Daiberto, ne farò leggere due volte il testo pubblicamente nella chiesa di S. Maria. Prima di aprile farò giurare due degli ufficiali dei muratori che facciano giurare gli altri di non costruire né di far costruire nessuna torre in Pisa che superi la misura anticamente stabilita. Se qualcuno avrà preso la torre di un altro e avrà lanciato di là sassi o altri proiettili, qualora sia denunciato pagherà una multa di duecento soldi, metà alle casse del comune, l'altra metà a chi ha subito il danno.

Statuti di Pisa, 1, pp. 3-15 (1162)

[1] Cfr. (D, nota 1).

 

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