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Didattica > Fonti > La società urbana nell’Italia comunale > II, 12

Fonti

La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

a cura di Renato Bordone

© 1984-2005 – Renato Bordone


Sezione II – Le funzioni

12. La funzione militare: la difesa del territorio

Nei confronti di quanto in precedenza definito «sistema urbano», la città in tempo di guerra svolge principalmente funzione protettiva: tanto nell'età precomunale quanto in quella comunale gli abitanti del territorio davanti al pericolo di devastazione si rifugiano all'interno delle mura cittadine con le poche masserizie trasportabili. Il fenomeno dei confugientes, osservato in occasione delle invasioni ungare (Prima sez., doc. 2), si ripete infatti anche all'età del Barbarossa, come illustra questa pagina di Ottone Morena, cronista lodigiano contemporaneo. Le mura, come in precedenza, sono al tempo stesso strumento e simbolo della difesa urbana, tant'è che lo stesso Barbarossa, secondo la testimonianza del medesimo, cronista, in segno di assoggettamento ordinerà agli sconfitti fanti milanesi di abbattere un tratto di mura per ciascuna delle porte di Milano.

Fonti: a/ OTTONIS MORNAE Historia Frederici, a cura di F. Güterbock, in MGH, Scriptores in usum scholarum, Berlin, 1930, pp. 191-92; b/ Ibidem, pp. 152-55.


a/

Frattanto i Cremonesi e gli altri nemici dei Lodigiani rubano vino, grano, fini, casse e tutto ciò che poteva essere trasportato e incendiano le case dei contadini e quanto non potevano trasportare, razziando paglia e fieno rimasti fuori delle mura della città e facendo scorrerie su tutto il territorio lodigiano; gran parte dei contadini e dei poveri che nella stessa città [di Lodi] si erano rifugiati con gran numero di bestiame e anche di maiali non aveva più fonte di sostentamento e moriva di fame, mentre assisteva al grave danno e al saccheggio che quotidianamente era fatto sui loro beni e intanto continuamente subiva la minaccia dei nemici che proclamavano di volerli uccidere tutti senza alcuna remissione sostenendo che i Lodigiani avevano intenzione di distruggere con l'imperatore l'intera Lombardia.

b/

Il giovedì primo marzo vennero i consoli di Milano […] e otto altri cavalieri milanesi davanti al serenissimo imperatore Federico nel suo palazzo di Lodi con le spade sguainate per arrendersi all'imperatore a nome di tutta la loro città e giurarono tutti di obbedire agli ordini dell'imperatore e di far giurare in questo senso tutti gli altri cittadini milanesi.

La domenica successiva giunsero presso l'imperatore altri 300 cavalieri milanesi, nello stesso palazzo: fra loro c'erano 36 alfieri che consegnarono i vessilli nelle mani dell'imperatore e gli baciarono il piede. C'era anche Guintelmo, mastro ingegnosissimo dei Milanesi, nel quale i concittadini avevano riposto grandi speranze, e consegnò le chiavi della città, simbolo dell'intera cittadinanza, all'imperatore. Tutti, gli alfieri e gli altri, giurarono di osservare in buona fede e senza frode tutti gli ordini che avrebbe loro impartito l'imperatore o un suo delegato, tanto relativi alle loro persone quanto alla città. L'imperatore ordinò allora ai consoli di Milano di far venire tutti quelli che erano stati consoli a Milano negli ultimi tre anni e una parte dei fanti della città.

Il martedì successivo, pertanto, vennero quasi 1.000 fanti con il carroccio e il gran pavese e con altri 94 vessilli e consegnarono tutto all'imperatore, comprese due trombe che rappresentavano l'intero comune, e tutti al modo suddetto prestarono giuramento.

Il mercoledì dopo il benigno imperatore tolse dal bando i Milanesi e ordinò ai consoli che facessero venire presso di lui i 114 cavalieri e altri che aveva prescelto fra quelli che si erano recati la domenica, ed erano in tutto 286, per poter contare su 400 ostaggi. A tutti i fanti concedette di tornarsene a casa, ma ordinò loro di demolire una parte del fossato e delle mura di Milano per ciascuna porta della città per poter entrare con il suo esercito più comodamente.

© 2000
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UpUltimo aggiornamento: 01/03/2005