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Istruzione e educazione nel Medioevo

a cura di Carla Frova

© 1973-2005 – Carla Frova


Nota conclusiva

Indichiamo in questa nota conclusiva alcuni problemi che non abbiamo potuto affrontare nell'introduzione alle varie sezioni, e facciamo cenno alle principali interpretazioni storiografiche su qualche punto di maggior interesse.

1. Le fonti per la storia della scuola

Anche se qui accenneremo soltanto alle fonti scritte (quelle che si possono trovar rappresentate in questa raccolta) non possiamo dimenticare che la storia della scuola si fa anche su fonti non scritte, che possono essere utilissime, sia per colmare in parte vuoti di documentazione, sia per avere un confronto o una conferma alle notizie fornite da altri tipi di documenti.

Pensiamo alle testimonianze che vengono raccolte dall'iconografia: essa ci conserva i modi di rappresentazioni della realtà che l'uomo medievale esprimeva attraverso le immagini figurate, uno strumento fondamentale di trasmissione di cultura, un mezzo di insegnamento (anche se di questo, che si sviluppa in gran parte fuori della scuola, non abbiamo potuto occuparci). Per venire ad un aspetto molto particolare ma più vicino al nostro tema, le fonti studiate dall'iconografia possono illuminarci sulle idee dei contemporanei intorno ad alcuni aspetti dell'insegnamento scolastico: abbiamo accennato alle rappresentazioni allegoriche delle arti e dei loro rapporti nel curriculum degli studi.

Altre notizie si possono raccogliere attraverso l'archeologia e la storia dell'arte: trattando della scuola monastica abbiamo detto come una pianta del monastero di San Gallo evidenzi il processo in atto per cui le scuole destinate agli oblati si vanno differenziando da quelle «esterne».

Ma veniamo dunque alle fonti scritte, che possiamo come d'abitudine suddividere in fonti letterarie e fonti documentarie. È una suddivisione comoda, perché suggerisce subito le diverse avvertenze critiche che si debbono tener presenti per le une e per le altre.

Occorre appena dire che per certi periodi e per certe questioni le fonti letterarie, quando sono scarse di notizie di fatto sulla storia della scuola, diventano interessanti per il modo in cui presentano il problema nel suo insieme. Così gli scritti degli storici e dei cronisti, se anche non ci dicono molto sulle vicende delle scuole e sulla loro organizzazione, o ci danno notizie inesatte, possono sempre informarci su che cosa pensino dell'istruzione gli ambienti politici, ecclesiastici, sociali cui essi sono legati, oltre che riferirci esperienze personali dell'autore sull'argomento che ci interessa.

Le agiografie, l'abbiamo visto, danno in genere della carriera scolastica del protagonista, come d'altronde di tutta la sua vita, un'immagine un po' convenzionale, ma può essere utile anche analizzare i caratteri tipici di questa immagine, senza contare che da questo genere di fonti si ricavano notizie sulla presenza, la dislocazione e l'attività delle scuole.

Per l'immediatezza con cui riferiscono fatti e idee (benché anch'esse siano un genere letterario, e come tale più o meno sottoposte a determinate regole retoriche) sono di grande interesse le lettere. La lettera è forse il tipo di attività letteraria più amato e praticato dalle persone istruite nel medioevo, ed è perciò inevitabile che negli epistolari si rifletta gran parte della vita scolastica di questo periodo. Numerosissime sono le lettere che riferiscono esperienze personali di studio, che recano richieste di testi scolastici, proposte di scambi fra codici o di codici con altri oggetti. Molte volte attraverso le lettere si mantengono i contatti fra antichi compagni di studio, o tra maestro e allievo: la lettera può essere semplice espressione di sentimenti, fare riferimento alle esperienze comuni, o costituire un vero e proprio strumento di insegnamento, recando l'opinione dell'autore su un qualche problema scientifico. È evidente come questa fonte, oltre a documentare direttamente il livello di cultura letteraria degli scriventi, sia una delle più preziose per chi voglia ricostruire sia le condizioni effettive dell'insegnamento nelle diverse epoche e nelle varie regioni, sia le idee dei protagonisti su questo argomento.

Un altro gruppo di fonti letterarie è costituito da quella che potremmo dire un po' genericamente la letteratura scientifica: trattati sulle diverse discipline che sono comprese nei programmi scolastici, scritti che illustrano le teorie pedagogiche, testi scolastici. La loro presenza in determinati ambienti è senza dubbio un dato indicativo per la conoscenza dei metodi e dei contenuti della scuola: tra esperienza didattica e produzione scientifica c'è sempre uno scambio, e tanto più per gran parte del medioevo, quando la specializzazione professionale è molto scarsa, e uomo di cultura, scrittore e maestro sono per lo più la stessa persona.

Ancor più indicativo è lo studio di opere che si possano chiaramente individuare come testi scolastici. Dobbiamo ancora ricordare quello che più volte abbiamo ricordato, e cioè come il testo risulti sempre al centro dell'insegnamento nella scuola medievale. Tuttavia la conoscenza dei testi scolastici non equivale di per sé alla conoscenza dei contenuti dell'insegnamento: se non è accompagnata da altre notizie, in particolare sui metodi con cui i libri venivano utilizzati. Sarebbe un po' come se uno pretendesse di ricostruire l'insegnamento in una nostra scuola elementare fondandosi unicamente su un'analisi del «sussidiario».

Accanto alle fonti letterarie abbiamo il gruppo delle fonti documentarie. In altra parte di questa nota conclusiva facciamo osservare come una parte di esse (ad esempio le epigrafi, o atti privati di varia natura) possano fornire, se oggetto di un'indagine sistematica per un dato periodo e luogo, notizie non sulla scuola in particolare, ma in generale sulla diffusione della conoscenza della scrittura e della lettura.

Tra i documenti utili in modo specifico alla storia della scuola occupano un posto di primo piano i testi legislativi. Ne abbiamo visti di vario genere: regole monastiche, disposizioni conciliari, bolle papali; decreti imperiali, statuti dei comuni e dell'università. Già il numero di questi provvedimenti, distribuiti in modo molto ineguale lungo l'arco di tempo che abbiamo considerato, è per noi indicativo. La relativa scarsità di documenti legislativi sulla scuola nell'alto medioevo, se si eccettua il periodo carolingio, ci dà, si può dire in negativo, l'immagine di una società in cui i processi di istruzione sono molto più di oggi lasciati al loro corso spontaneo, in cui non esiste – salvo appunto eccezioni – una struttura scolastica concepita come parte integrante del sistema sociale e politico. Per contro l'addensarsi dei documenti legislativi nei secoli più tardi, e in determinati ambienti, indica il formarsi di istituzioni scolastiche sempre più perfezionate e di cui sempre meglio si avverte l'importanza.

Nell'utilizzare le fonti legislative è opportuno tener presente che esse, più che illuminarci sulle reali condizioni della scuola, ci indicano come essa sia concepita e voluta dall'autore della legislazione. Talvolta, proprio con l'insistenza su determinati punti, ci dicono più quello che la scuola non è (e il legislatore vorrebbe che fosse) di quello che essa è di fatto. Bisogna sempre fare il conto con le intenzioni che rimangono tali. Anche in questo caso (per quanto può valere il paragone) si può dire che nessuno penserebbe di leggere nei programmi o nelle circolari ministeriali l'immagine fedele della nostra vita scolastica quotidiana, della realtà della nostra scuola, anche se vi può trovare materia per riflessioni altrettanto importanti.

Per alcuni periodi disponiamo di un buon numero di documenti amministrativi che riguardano direttamente la scuola: documenti conservati dagli uffici delle università, conti relativi alle spese dei comuni per l'istruzione, ecc. Queste testimonianze acquistano naturalmente un significato se raccolte attraverso un'indagine sufficientemente ampia e completa.

Non ci soffermiamo su tipi di fonti che possono occasionalmente dirci qualche cosa sulla scuola: abbiamo riportato esempi tratti da atti privati, contratti e testamenti. Più importanti notizie si ricavano percorrendo la storia della trasmissione degli strumenti cui si affida tutto l'insegnamento scolastico: i libri. Alcuni codici, commentati e annotati, rivelano da sé la loro storia, e la storia della loro utilizzazione nella scuola. I cataloghi delle biblioteche infine, quando è possibile distinguervi i testi di studio da quelli destinati più in generale alla lettura, ci attestano le variazioni del canone delle letture scolastiche.

2. Geografia delle scuole

Alcuni fra gli studiosi che si sono occupati della storia della scuola nel medioevo hanno suddiviso la materia da un punto di vista geografico, talora scegliendo questo come uno dei possibili criteri di sistemazione dei dati, talaltra con l'intento di individuare le caratteristiche delle zone di maggior diffusione delle istituzioni scolastiche per poter avanzare ipotesi sulle cause di questa ineguale distribuzione.

È chiaro che la dimensione geografica è una componente essenziale di uno studio sulla scuola medievale; così come è chiaro che i risultati di un lavoro d'insieme da questo punto di vista sono condizionati dalla sistematicità del rilevamento dei dati e dalla disponibilità di studi parziali sui diversi ambienti. Nella scelta delle testimonianze riportate in questa raccolta, se non ci siamo preoccupati di una assoluta completezza cronologica, ancor meno abbiamo potuto far sì che i testi fossero proporzionalmente rappresentativi dei diversi ambienti geografici, sia pure per la sola Europa occidentale.

Qui ci limitiamo pertanto a indicare le caratteristiche di alcuni testi più importanti, che, del tutto o in parte, impostano il discorso della distribuzione geografica delle scuole.

Per la Francia tra i secoli VIII e XI abbiamo il testo già citato di E. Lesne, Histoire de la propriété ecclésiastique en France, tomo V: Les écoles, du commencement du VIIIe à la fin du XIe siècle, pubblicato a Lilla nel 1940, che, per la maggior parte, è dedicato ad un esame analitico delle principali scuole episcopali e monastiche. Per ognuna di esse, vista soprattutto come centro di cultura, si esaminano le vicende salienti, la personalità dei maestri e degli allievi più insigni, i programmi e gli interessi di studio, i rapporti culturali con le altre scuole. I dati si possono completare con la lettura del tomo IV della stessa opera: Les livres – «Scriptoria» et bibliothèques, du commencement du VIIIe à la fin du XIe siècle , Lilla 1938.

Un tentativo di sistemazione secondo un criterio geografico delle notizie sulle scuole italiane lungo tutto l'arco di tempo del Medioevo è fatto dal Manacorda, nel «Dizionario delle scuole italiane nel Medioevo» che conclude la sua opera, già più volte citata, sulla scuola in Italia. Si tratta soprattutto di una schedatura di dati, reperiti attraverso uno spoglio della letteratura generale e locale precedente, e che pertanto sono distribuiti in modo piuttosto diseguale e non sempre rappresentativo dell'effettiva importanza delle diverse scuole. Soprattutto, per la natura stessa di questa parte del lavoro, le notizie sono semplicemente accostate le une alle altre e non si sviluppano in un discorso che segna specificatamente la dimensione geografica.

Il maggior lavoro d'insieme sull'università, quello del Rashdall, analizza il fenomeno seguendone le fasi successive nei diversi centri di studio. Una esposizione analitica delle vicende delle varie università europee, di cui sono messi in evidenza gli aspetti peculiari a ciascuna e quelli comuni, consente di collocare ognuna di esse nel suo ambiente politico e sociale, mentre la parte conclusiva intende ricomporre il quadro generale.

Ci sembra che uno dei migliori esempi dei risultati cui può condurre uno studio sulla scuola e la cultura particolarmente attento alla localizzazione generica dei diversi fenomeni sia offerto dal lavoro di P. Riché su educazione e cultura nell'occidente barbarico, un vero e proprio manuale che abbraccia in modo sistematico il periodo dalla fine dell'impero romano alla riforma carolingia. All'interno di grandi partizioni cronologiche si esaminano uno accanto agli altri gli aspetti più significativi delle istituzioni educative e della cultura letteraria nei diversi organismi politico-culturali in cui si era spezzettata l'unità dell'impero romano.

Qui il problema non è di trovare un sistema di esposizione ordinata di notizie, ma di fissare criteri di analisi che, applicati in modo uniforme a tempi e luoghi diversi, consentano di dare non una semplice descrizione, ma una interpretazione dei fatti. Così, per fare qualche esempio, i punti che l'autore prende in considerazione sono la persistenza dell'uso della lingua scritta, il tipo di educazione delle aristocrazie laiche, l'istruzione del clero, la natura delle produzioni letterarie. Le domande cui cerca di dare una risposta sono di questo tipo: per quali condizioni ambientali si prolunga in alcune zone la vita della scuola antica? Quale rapporto c'è tra la Chiesa e l'organizzarsi delle scuole medievali? Come influisce sull'educazione e la cultura dei vari territori la mentalità delle popolazioni barbariche?

Ecco dunque come uno studio sulla geografia dei fenomeni relativi alla cultura e alla scuola può diventare chiave di soluzione di alcuni fondamentali problemi.

3. Problemi di un'indagine quantitativa

È noto che l'uso di alcune scienze ausiliarie, di cui si avvalgono largamente la storia moderna e contemporanea, risulta per la storia medievale molto problematico. Così la statistica, per la natura stessa della documentazione relativa a questo periodo, si applica con notevoli difficoltà ai fenomeni della storia medievale che pure, come nel nostro caso, vorremmo definiti in dimensioni quantitative.

Certo sarebbe bello poter dire quanti e chi degli abitanti l'impero di Carlomagno frequentassero le scuole che i capitolari carolingi avevano voluto organizzate nei monasteri e nelle pievi; o chi accedesse alle scuole superiori organizzate da Lotario in Italia; o quale fosse la rilevanza numerica della scuola nelle città comunali; o quanti studenti affluissero nelle Università. Ma per tutto questo, pur riconoscendo che alcuni strumenti di indagine possono ancora essere sfruttati, non bisogna farsi troppe illusioni.

Basta riflettere alle difficoltà che incontrano per il medioevo gli studi di demografia, che pure vanno fornendo alla conoscenza storica tanti elementi interessanti, alla frammentarietà dei loro risultati: anche nei pochissimi casi in cui possediamo qualche dato numerico sulla scuola, o potremmo ricavarlo indirettamente, è raro che questi si possano confrontare con dati attendibili di carattere generale sulla popolazione, in relazione ai quali soltanto assumerebbero qualche significato.

Questo non significa che, con tutte le riserve del caso, il problema non possa essere impostato: e, in qualche fortunata circostanza, una ricerca sistematica sui documenti potrebbe dare qualche risultato.

Per l'alto medioevo, con una scuola così scarsa di strutture organizzative e con una documentazione per lo più povera e dispersa, il problema è difficilissimo. E tuttavia studi come quelli di P. Riché e ultimamente di A. Petrucci dimostrano che c'è qualche possibilità di ricerca, se non riguardo alla scuola in particolare, riguardo alla diffusione dell'istruzione letteraria elementare, che è pur sempre uno degli aspetti più interessanti del problema. Indagini sul materiale epigrafico, sugli atti pubblici e privati, possono intanto consentire considerazioni molto utili sulla maggiore o minor diffusione della «civiltà dello scritto»; e un'analisi delle sottoscrizioni in gruppi ben definiti di documenti può permettere addirittura di valutare il grado di alfabetizzazione di determinati gruppi sociali in alcuni periodi, di vedere, nei casi migliori, in qual misura sapessero scrivere gli appartenenti alle varie professioni, i laici, gli ecclesiastici.

Notizie più precise, sempre in senso relativo, si possono avere sui periodi più recenti, per i quali si possono utilizzare unitamente le fonti letterarie e quelle documentarie. I cronisti che ci parlano della storia e della vita delle città non sembrano, a dire il vero, particolarmente preoccupati di soddisfare la nostra curiosità su questo punto; i dati che alcuni forniscono non sono poi sempre attendibili. Hanno tuttavia il vantaggio di essere inseriti (come il brano che abbiamo riportato da Bonvesin de la Riva) in un quadro piuttosto omogeneo, in cui il numero delle scuole, degli scolari, dei maestri, può essere confrontato con quello della popolazione complessiva, degli artigiani, dei funzionari, dei professionisti.

Nella Firenze del '300 descritta da Giovanni Villani, ad esempio, ove il cronista stima che la popolazione ammonti a novantamila «bocche» in città e ottantamila nel contado, i ragazzi che imparano a leggere e a scrivere sarebbero da otto a diecimila, quelli che imparano l'aritmetica, suddivisi in sei scuole, da mille a cinquecento; mentre le quattro scuole superiori di grammatica e di logica sarebbero frequentate da centocinquanta-seicento alunni. È chiaro tuttavia che si tratta di dati difficili da confermare.

Altre notizie, certo più attendibili anche se più frammentarie di quelle dateci dalle fonti letterarie, sono fornite, per la scuola cittadina, dai documenti amministrativi del comune. Anche qui si trovano per lo più indizi indiretti (in base ai quali si possono fare valutazioni molto approssimative) sul numero dei maestri, sull'influenza delle spese per l'istruzione nel bilancio comunale, ecc. La situazione varia naturalmente da luogo a luogo, ma balza subito agli occhi il dato comune dell'enorme diffusione delle scuole di grammatica, che si trovano presenti anche in centri piccolissimi.

Per quanto riguarda l'Università i registri di immatricolazione e altri documenti amministrativi forniscono per alcuni periodi dati abbastanza particolareggiati. Bisogna però dire che essi si conservano soltanto per epoche piuttosto tarde o per università minori. D'altra parte in questo momento della storia della scuola possiamo almeno avere un quadro completo del numero e della distribuzione geografica dei centri di istruzione superiore.

Sulle grandi università poi, fin dall'inizio della loro storia, si ritrovano accenni nelle fonti letterarie: le loro affermazioni tuttavia non possono andare esenti dal sospetto di esagerazione, specialmente quando sono posteriori agli anni di cui trattano e animate dall'intento di magnificare le glorie passate dello studio. Così non ci possiamo fidare completamente dell'affermazione di Odofredo che, scrivendo verso la metà del secolo tredicesimo, ci dice che alla fine del secolo XII gli studenti bolognesi ammontavano a 10.000.

Il Rashdall, concludendo una sua indagine su questo problema, fissa alcuni punti che possiamo così riassumere. Il numero massimo degli studenti a Parigi e a Bologna non sembra esser mai stato superiore a 6.000 o 7.000; diminuendo moltissimo, specialmente a Bologna, a partire dal secolo XIV, con il moltiplicarsi delle università negli altri centri. Ad Oxford, nei periodi di maggior splendore, potevano esserci da 1.500 a 3.000 studenti. Nelle Università dell'Europa centrale da 1.000 a 2.000.

Se si esclude il periodo universitario, la storia della scuola medievale si lascia dunque difficilmente fissare in dimensioni quantitative. Questa constatazione, mentre spinge gli studiosi a predisporre tutti i possibili strumenti di indagine, per quanto faticosa essa possa risultare, indica a chi si avvicina per la prima volta a questi problemi i limiti della ricerca e il pericolo di frettolose generalizzazioni.

4. La scuola medievale in Italia nella storiografia del primo '900

Pensiamo non sia inutile considerare brevemente come sia stato trattato il tema della scuola medievale in Italia dalla storiografia della fine dell'800 e degli inizi del '900. In questo periodo infatti si nota un interesse particolare per questo problema da parte degli studiosi italiani e stranieri, alle cui opere dobbiamo oggi rifarci, sia perché costituiscono tuttora il gruppo più nutrito di contributi sull'argomento, sia perché esse hanno fissato alcuni indirizzi di ricerca che, debitamente discussi, devono anche oggi essere tenuti presenti.

In quegli anni furono pubblicate numerose opere di studiosi di storia locale sulla scuola, e in particolare sulle istituzioni scolastiche: preziose anche per il materiale documentario che raccolgono e conservano. Noi accenneremo agli autori che, tenendo anche presenti i contributi di questa storiografia locale, trattano l'argomento da un punto di vista generale.

Per tutti il punto di partenza rimangono le due dissertazioni del Muratori nel tomo III delle Antiquitates Italicae Medii Aevi, non solo perché forniscono la maggior parte della documentazione, ma per l'impostazione stessa del discorso: la quarantatreesima, che tratta De litterarum statu, neglectu et cultura in Italia post barbaros in eam invectos usque ad annum Christi millesimum centesimum e la quarantaquattresima, De litterarum fortuna in Italia post annum Christi MC et de Academiarum sive Gymnasiorum erectione.

Il Muratori, raccogliendo dalla sua vastissima conoscenza codicologica le testimonianze che gli sembrano più significative della cultura medievale, cerca di guardare senza pregiudizi, pur con tutta l'orgogliosa consapevolezza della superiorità scientifica del suo tempo, a questa età difficile ma non del tutto oscura dello studio delle lettere.

Poiché proprio sulla cultura letteraria ai livelli superiori egli imposta principalmente la sua analisi: un interesse che avrà anche in seguito molto più successo che non quello relativo alla storia della scuola vera e propria. I problemi che attirano l'attenzione del Muratori, tutti ovviamente ripresi dopo di lui, sono dunque quelli della continuità della cultura classica nel Medioevo, dei contenuti della cultura delle personalità che si distinsero nelle lettere, dei rapporti di influenza fra le tradizioni letterarie dei diversi paesi dell'Europa medievale.

Per noi è importante soprattutto vedere, al di là di inevitabili errori critici, come egli inserisca le sue osservazioni nel quadro della storia politica e sociale, come sia attento alle condizioni di fatto che determinano lo svolgersi della storia letteraria, come utilizzi documenti di varia origine e natura. Da questo punto di vista la storiografia del Muratori può fornire ancora molti utili suggerimenti.

Alcuni temi del Muratori sono ripresi nel breve testo di A. F. Ozanam, La scuola e l'istruzione in Italia nel Medio Evo, pubblicato in edizione italiana nel 1895, che allo studioso settecentesco si rifà quasi esclusivamente per quanto riguarda la documentazione. È caratteristica in questo autore, come in diversi suoi contemporanei, la volontà di contrapporsi al luogo comune storiografico di medioevo come periodo oscuro per le lettere.

«È necessario – afferma l'Ozanam nella premessa al suo lavoro – penetrare in mezzo a questo buio, esaminando da prima ciò che sopravvisse delle scuole romane; in secondo luogo quali istituzioni vi si vennero aggiungendo per cura della Chiesa; infine in qual misura l'istruzione si trovava diffusa, non solo nel clero, ma anche negli infimi gradi del popolo, quando il genio italiano proruppe nei canti di Dante, e negli affreschi di Giotto.» (pp. 2-3).

Ma l'opera non manterrà fede che in parte ai suoi propositi. Mentre quasi nulla, a causa della scarsità della documentazione, riuscirà a dirci sull'istruzione «negli infimi gradi del popolo», nel tentativo di valorizzare la civiltà medievale l'autore, pur preoccupato di evidenziare l'importanza dell'opera della Chiesa in questo campo, non riuscirà a indicarne gli aspetti più originali, ma si sforzerà di scoprirvi, ingrandendone oltre misura la presenza, la continuità pura e semplice della tradizione classica.

Lo stesso sostanziale intento anima l'opera del contemporaneo G. Giesebrecht, L'istruzione in Italia nei primi secoli del Medioevo, tradotta anch'essa in italiano nel 1895, che pure si contrappone polemicamente alla tesi dell'Ozanam per quanto riguarda il contributo della Chiesa alla cultura medievale. È ancora il problema della continuità della cultura classica, ma il Giesebrecht lo sviluppa con risultati più interessanti di quelli dello studioso francese, quantunque da considerarsi con spirito critico perché in parte forzati dalla forte carica polemica.

L'insistenza sul carattere laico, sull'interesse per la medicina e per il diritto (che secondo l'autore dà alla cultura italiana un posto preminente nell'opera di conservazione del patrimonio dell'antichità classica) è comunque un aspetto valido del lavoro del Giesebrecht. Del quale vale la pena inoltre di ricordare le premesse:

«… in ciò specialmente io mi diparto dal Muratori e dal Tiraboschi; che essi si fermano in particolar maniera a considerare singoli uomini e singole cose, e si compiacciono di notar soprattutto, ciò che si distacca dalle consuetudini comuni di quei tempi: io invece stabilii di ricercare non qual sia stata la grande dottrina di uno o di pochi uomini in quel tempo, ma quali scienze e quali arti fossero allora coltivate in generale dagli uomini di condizione sociale piuttosto elevata, sia per nobiltà di stirpe, sia per altezza d'animo.» (p. 6).

Su una cultura cittadina, laica e giuridica come tipica dell'ambiente italiano insisterà ancora il Salvioli, nella prima parte del suo scritto L'istruzione pubblica in Italia nei secoli VIII, IX e X, pubblicato a Firenze nel 1898. Un lavoro che per il suo interesse agli aspetti istituzionali del problema della scuola, e per la sua sensibilità al rapporto tra storia sociale e storia della scuola (anche se le osservazioni particolari sono spesso discutibili) può essere avvicinato a quello successivo e più importante del Manacorda. Ecco un brano rivelatore di questa impostazione:

«Non è da pronunciarsi giudizio severo contro la cultura letteraria in Italia nel secolo IX se le parrocchie rurali, a cui alludono i papi, mancavano di maestri di grammatica e se i rettori di esse non erano sempre in grado di tenere la scuola pei fanciulli. Il clero rurale si reclutava spesso fra i servi, fra i dipendenti delle ville signorili che vedevano nel sacerdozio una via per uscire di servitù, e sebbene le leggi volessero che prima fossero manomessi dal padrone, tuttavia trovansi spesso sacerdoti coloni, ossia legati alla gleba e altri che lavoravano la terra. Né mancavano i casi in cui consacravansi sacerdoti persone ignare perfino del leggere e scrivere; cosicché nelle campagne abitate da popolazioni servili incolte, avveniva anche qualche volta che il parroco si trovasse per cultura allo stesso livello de' suoi fedeli, egli pure dipendente da un signore, quindi incapace anche di insegnare il dogma e di opporsi alle superstizioni che dilagavano. Si pensi al numero infinito di chiese, cappelle, oratori che in quel tempo la pietà dei privati fondava, al numero grande di sacerdoti che il culto rurale richiedeva, al rilassamento della disciplina ecclesiastica, alla poca osservanza da parte dei vescovi, delle regole canoniche nella scelta dei chierici, e cotal deficienza di cultura nel clero rurale apparirà chiara, e spiegato sarà perché spesso mancassero i maestri rurali di lettere…» (pp. 23-24).

Ritorna ancora nel Salvioli, come ritornerà nel Manacorda, del quale stiamo per occuparci, il problema del rapporto tra cultura classica e cultura medievale. Ma mentre il Manacorda si interesserà di più alla dialettica di azione e reazione fra i due mondi, e di come questa modelli strutture e istituzioni, il Salvioli fa un discorso più generico di cultura, preoccupato di stabilire una continuità con Roma, che gli sembra necessaria e legittimare una preminenza intellettuale degli Italiani.

Certo anche sul Manacorda non mancherà di influire un po' di orgoglio nazionalistico, ma in modo più personale e fruttuoso, più come desiderio di affermare un'originalità della cultura italiana che ha appunto le sue radici nel travaglio del Medioevo, che come volontà di rifarsi al prestigio puro e semplice della tradizione classica.

Con l'opera di G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, apparsa in due volumi nel 1913, concludiamo questa breve rassegna. Ci sembra infatti che essa, nonostante le moltissime lacune e i gravi difetti, possa costituire ancora un punto di riferimento, o quanto meno uno stimolo per la ricerca. Anzitutto per la sua attenzione alla scuola come struttura e alle condizioni che la determinano come tale, un punto di vista che, come abbiamo cercato di indicare fin qui, non è certo l'unico ma sicuramente uno dei più interessanti.

«Via via che un fenomeno di vita scolastica – come il sorgere della scuola laica od il suo graduale passaggio al Comune – osservato in una città io riscontravo in altre, e poi in altre ancora, il fenomeno locale diveniva un fatto d'importanza sociale. Io ne ho ricercato allora gli effetti nella legislazione dei vari tempi e dei vari stati italiani, ed ho studiato di ricollegare il fenomeno con tutto lo svolgimento sociale, economico e politico, la cui efficacia giungeva fino alla scuola…» (p. XI).

In secondo luogo il lavoro del Manacorda è importante per la natura, l'ampiezza e la varietà delle testimonianze che l'autore adduce a sostegno del suo discorso. In questo punto tuttavia si manifestano anche i più gravi difetti dell'opera: poiché la documentazione è molto spesso di seconda mano, utilizzata con eccessiva disinvoltura e con un notevole numero di veri e propri errori materiali. Alcune opinioni del Manacorda poi, su punti di notevole importanza, sono superate, come, per citarne una, quella sull'origine delle università.

Ma sarebbe certamente molto utile riprendere il disegno generale del libro del Manacorda e sviluppare alcuni suoi suggerimenti, per un lavoro d'insieme sulla storia della scuola medievale in Italia che, con queste caratteristiche, ancora manca. S'intende che ciò è impossibile senza una prelimi nare e ben più accurata analisi sulle fonti; mentre d'altra parte potrà valersi dei contributi parziali sul problema, che, per la verità in numero inferiore a quanto è avvenuto per altri paesi, si sono venuti aggiungendo al patrimonio storiografico durante questo secolo.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05