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Agricoltura e società nel Medioevo

di Giovanni Cherubini

© 1972-2006 – Giovanni Cherubini


2. Gli uomini e lo spazio coltivato

5. Il momento dei progressi tecnici

Ai «secoli dell’espansione» o al periodo immediatamente precedente sono ascrivibili anche quei miglioramenti nell’attacco del bestiame e quella diffusione del pesante aratro dissimmetrico a ruote che rappresentarono due delle scoperte del Medioevo rurale. Dal 1300 circa è sicuramente documentato nelle grande pianura francese a «campi aperti» anche il sistema d’assolement (il che non vuol dire che non possa essere iniziato anche prima). Il sistema, che presuppone una forte coesione della comunità rurale, consiste nella divisione in grandi settori, quartiers o «suoli», di tutta la terra coltivabile del villaggio. Tutti i possessori di parcelle di un suolo devono praticare in un anno stabilito lo stesso tipo di coltura o tutti lasciare la terra a riposo. Progressi segnò anche la metallurgia. Il moltiplicarsi delle botteghe di fabbro nei villaggi o comunque le notizie sempre più frequenti sull’uso di attrezzi di ferro stanno a indicare un miglioramento nell’attrezzatura contadina, che tuttavia rimase ancora poverissima, dato il costo quasi proibitivo di questi strumenti di lavoro. Sulla montagna bolognese alla fine del Trecento un contadino per comprare una zappa avrebbe dovuto lavorare quattro giorni abbondanti alla pulitura di un castagneto. Ai piedi dell’Appennino forlivese una famiglia di piccoli proprietari contadini possedeva, negli stessi anni, un numero ridottissimo di attrezzi: l’occorrente per l’aratura, una sola vanga, per di più spezzata, due zappe, delle quali una ormai consunta dall’uso.

A questi secoli pare altresì attribuibile, almeno per le ricche e profonde terre tra Loira e Reno, quella moltiplicazione di lavori agricoli sul maggese della quale abbiamo già parlato. Tuttavia anche qui l’insufficienza delle concimazioni incideva sul rapporto tra agricoltura e allevamento. Un palliativo costituì in certe zone dell’Inghilterra, nell’Ile de France, nell’Artois, in Normandia, nell’Anjou e nel Poitou, l’uso della marna, concime minerale incompleto. Ruolo più importante aveva in tutte le regioni a «campi aperti» del centro-nord il passaggio del bestiame grosso dopo la mietitura. «Ma le bestie ritornavano molto presto nelle lande e nei boschi » (G. Fourquin). Con il XIII e il XIV secolo vengono anche scritti e diffusi un po’ ovunque trattati di agronomia, italiani e inglesi, ma in verità è difficile discernere tra descrizioni di pratiche reali e semplici trascrizioni dai classici latini [DOCC. 15-18].

Miglioramenti si notano ovunque anche negli ingredienti fondamentali dell’alimentazione. Sono i signori del nord o i borghesi delle città italiane a imporre in primo luogo la diffusione del frumento da cui si trae il più apprezzato «pane bianco», a scapito dei cereali inferiori come il miglio, da cui si trae il «pane nero».

La rivoluzione mercantile e le connesse trasformazioni sociali dei secoli XI-XIII incrementarono anche l’estensione della coltura viticola. Bisogna dire che la vite aveva sempre goduto di un altissimo prestigio: era stata fonte di entrate private e pubbliche; causa di emulazione fra i signori laici e fra le comunità e i signori ecclesiastici anche per motivi liturgici; ed era amorosamente curata dalle folle rurali tutte le volte che il clima e la natura del suolo non ne rendessero proibitiva la coltura. Essa fu anzi «estesa anche e fin dove appariva impossibile, per la permanente ostilità del clima contro una produzione regolare e sopportabilmente conveniente. La vite partiva dal Mediterraneo e arrivò al Mare del Nord» (I. Imberciadori). Nulla è più significativo, per valutare il prestigio che aveva acquisito la coltura viticola nell’alto Medioevo, delle testimonianze relative a figure di religiosi. San Didier, vescovo di Cahors nel VII secolo, fu definito «padre di vigne», al pari di Teodulfo, vescovo di Orleans, verso l’800. Un diploma di Carlomagno sintetizza l’elogio di un abate scrivendo: «costruì chiese e piantò vigne». «Umile, affettuosa e campagnola» appare una confessione di San Remi: «la vigna mia, che piantai e costituii con il mio lavoro».

Alla «viticoltura ecclesiastica» e alla «viticoltura dei signori laici», che dopo aver dominato per lunghi secoli, mantengono ancora nella più gran parte d’Europa una notevole importanza, si affiancava ora una «viticoltura borghese», continuamente in ascesa. L’espansione delle città e il continuo moltiplicarsi al loro interno di una classe di benestanti ne sono la premessa, sia nelle terre mediterranee, in Italia soprattutto, dove il cittadino può coltivare viti sulle sue terre, sia nel nord, dove i benestanti delle città delle Fiandre chiedono gli ottimi vini francesi. «Mai fino allora — scrive Roger Dion, lo storico della vigna francese — la difficile produzione dei vini di qualità sulle frange settentrionali del mondo viticolo era stata giustificata e incoraggiata quanto lo fu dal favore di queste borghesie del nord, largamente provviste di denaro e amiche delle tavole fastose».

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06