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La predicazione nell'età comunale

di Carlo Delcorno

© 1974-2005 – Carlo Delcorno


4. Gli ordini Mendicanti

Per Domenico di Guzman il contatto con l'eresia albigese, avvenuto a Tolosa nel 1203, fu decisivo. Nato a Caleruega, nella Vecchia Castiglia (Burgos), nel 1170, egli aveva ricevuto una formazione agostiniana, basata sullo studio prolungato della Scrittura. Il giovane canonico, cresciuto finora in un ambiente raccolto di tipo monacale, muta radicalmente, sotto l'urto della realtà, il suo orientamento spirituale, che da contemplativo diventa ferventemente missionario. I primi passi della nuova esperienza egli li compie sotto la protezione del vescovo Diego d'Asma, che organizza nel 1306 una serie di dispute pubbliche con gli albigesi, nelle quali brilla l'erudizione scritturale del santo. Secondo le fonti biografiche Domenico continua la sua opera missionaria anche durante la terribile Crociata bandita contro gli Albigesi da Innocenzo III (1208-1214). In questi anni difficilissimi si definisce sempre più chiaro nella mente del santo un tipo nuovo di religioso, che ponga al centro della sua attività la predicazione ai laici. L'idea è presentata a Innocenzo III durante il Concilio Laterano II (1215), ma il papa, che fiuta in ogni novità il pericolo dell'eresia, esorta Domenico a scegliere per suoi predicatori una delle grandi regole monastiche esistenti. È comprensibile che questi, tornato a Tolosa, decidesse di aderire alla regola agostiniana, nella quale era cresciuto, e che meglio di ogni altra sottolineava il taglio intellettuale e l'esigenza contemplativa strettamente funzionale, nella concezione domenicana, al momento missionario (v. TESTO N. 2). Le linee principali e originali del nuovo ordine sono già chiare: quando il vescovo di Tolosa, Folco, dona a Domenico la chiesa di Saint-Roman (1216), il santo si preoccupa di costruire un chiostro con celle abbastanza comode per studiare e dormire; il problema della povertà non si pone neppure. Onorio II conferma nello stesso anno la Regola dei Predicatori, detti «figli speciali» della Santa Sede. Negli anni successivi la conoscenza diretta del grande movimento francescano indurrà san Domenico a trasformare l'ordine dei Canonici Predicatori in un ordine Mendicante. Ciò verrà sancito nel Capitolo Generale di Bologna del 1220, dopo l'incontro con san Francesco a Roma e l'esperienza esaltante del Capitolo Generale della Porziuncola del 1218, al quale Domenico assistette con il cardinale Ugolino d'Ostia, l'uomo che, divenuto papa Gregorio IX, sarà destinato a canonizzare i due santi fondatori degli ordini mendicanti.

Domenico di Guzman, nato da famiglia di antica nobiltà, a servizio della gerarchia ecclesiastica, pronto a impossessarsi della migliore cultura e a rinnovarla all'interno dell'Università, fa certo un singolare contrasto con Francesco d'Assisi, un uomo di estrazione e di cultura borghese, riluttante a codificare la sua esperienza religiosa in una qualsiasi Regola, che solo dopo molte perplessità e travagli gli sarà per così dire strappata dall'abile cardinale Ugolino. L'opposizione tra questi diversi ambienti e temperamenti è innegabile, ma non va troppo schematizzata, sulla traccia di alcuni celebri biografi di san Francesco, a partire dal Sabatier. Non bisogna dimenticare che anche l'ordine domenicano, soprattutto nel ramo femminile, conosce fin dalle origini modelli religiosi di un'estrema povertà e semplicità (come Diana d'Andalò); e che san Francesco, pur nella sua originalità, cerca puntigliosamente l'autorizzazione della gerarchia, e persegue con grande intelligenza e chiarezza il recupero delle aspirazioni, delle esperienze manifestatesi drammaticamente nei movimenti penitenziali e nelle eresie del secolo precedente. La genialità di san Francesco sembra proprio consistere nella capacità di liberare ed esprimere nell'àmbito dell'ortodossia le urgenze di una sensibilità popolare, troppo spesso esclusa da un'autentica partecipazione alla vita religiosa, o peggio repressa quando si manifesta nelle forme ereticali.

Il momento cruciale della conversione di Francesco, figlio del ricco mercante assisiate Pietro Bernardone, si colloca nel febbraio del 1209: ascoltando il Vangelo della missione degli apostoli secondo Matteo (10, 7-14) egli individua il nucleo di quella Regula evangelii che l'anno dopo verrà verbalmente approvata da Innocenzo III, e nel contempo trova i temi essenziali della sua predicazione: «regnum Dei, contemptus mundi, abnegatio», come dirà il suo biografo Tommaso da Celano. Per san Francesco predicare è soprattutto dare l'esempio di un modello di vita diverso da quello mondano: prima che colla parola si predica con tutta la persona atteggiata secondo l'esempio di Cristo. Vi è addirittura un momento, nel 1215, in cui il santo dubita della sua missione di predicatore: solo l'incoraggiamento di fra Silvestro e di Chiara d'Assisi lo inducono a iniziare quella predicazione itinerante per l'Umbria, luminosamente inaugurata dalla famosa predica agli uccelli presso Bevagna. Non ci è giunta nessuna predica di san Francesco, ma sappiamo da testimonianze coeve che essa fu geniale e irripetibile, e che esorbitava dalle tecniche consuete del sermone latino, insegnate nella Facoltà di teologia lungo tutto il XII secolo. Nel 1213, giunto al castello di Montefeltro, egli improvvisa un'allocuzione sul thema, di gusto lirico cortese:

Tanto è il bene ch'aspetto
i ch'ogni pena m'è diletto.


Il gesto acquista tutto il suo significato rivoluzionario, se si pensa che le Artes praedicandi, apparse già nel XII secolo, condannavano l'uso di qualsiasi thema che non derivasse dalle Scritture. È certo che Francesco doveva contare su qualità mimetiche, su una sublime inventività giullaresca, che soggiogava gli uditori. Tommaso di Spalato, che lo udì a Bologna nel giorno dell'Assunta del 1222, riferisce che il suo modo di predicare non seguiva l'ordine tenuto dagli altri predicatori, ma somigliava piuttosto a un'arringa di un concionator, cioè di un oratore politico (v. TESTO N. 4b). Tommaso da Celano racconta la dichiarazione di un medico, che pur essendo abituato a raccogliere sermoni, non era in grado di registrare quelli di Francesco d'Assisi (v. TESTO N. 4c). Giacomo di Vitry, vescovo di Acri, uno dei più popolari predicatori della Quinta Crociata, dà la più antica e preziosa testimonianza sulla missione di san Francesco presso il Saldano assediato in Damietta (1219). La sua è la predicazione di un uomo ispirato, che soggioga perfino una «bestia crudele» qual è Malek-el-Kamel: il quale, temendo che i suoi uomini si convertano, lo fa riaccompagnare «con ogni riguardo e senza noie» al campo cristiano, non senza chiedergli di pregare il suo Dio a suo favore (v. TESTO N. 4a).

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/2005