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La predicazione nell'età comunale

di Carlo Delcorno

© 1974-2005 – Carlo Delcorno


8. L'«exemplum»

L'argumentatio più adatta alla predicazione popolare è l'exemplum, definito da Aristotile (Rhetorica 1, 2) forma retorica dell'induzione (epagoghé rhetoriché). Si tratta in realtà di un genere narrativo, che conosce una fortuna secolare: esso occupa infatti un posto di rilievo già nell'insegnamento retorico greco-romano e nella letteratura cristiana; a partire dal XII secolo, col fiorire della letteratura cistercense, e quindi col diffondersi della predicazione dei Mendicanti e l'affluire in Occidente del materiale narrativo orientale, esso diventa l'ornamento più specifico della predica popolare, «la forma più pronta e idonea, di cui disponga il Medioevo, di rappresentazione del reale» (Battaglia). In senso stretto si deve intendere per exemplum un breve racconto che illustra e prova un principio morale, un concetto: una illustrative story, se vogliamo usare la formula del Crane, al quale si deve la prima edizione moderna degli esempi di Jacopo di Vitry, massimo responsabile della fortuna di questa narrativa in Occidente. In senso più ampio il termine sta invece a designare «tutto il materiale narrativo e descrittivo del passato e del presente» (Welter): non solo racconti dunque, ma anche similitudini, proverbi, episodi tratti dalla Scrittura e dalla letteratura profana, dall'agiografia e dalla favolistica. Questo materiale narrativo, ricchissimo soprattutto nei sermoni rivolti al popolo, ma presente, sia pure in dose più ridotta, nel sermone universitario e perfino nella lectio universitaria, è di enorme interesse per lo studioso di letteratura, e in particolare delle origini della narrativa europea. L' exemplum è morfologicamente la prima manifestazione della narrativa medievale; storicamente l'àmbito della predicazione interferisce continuamente in quello della letteratura (novellistica e teatro) e viceversa, in un gioco di azione e reazione che è stato solo in parte svelato. Pulpito e letteratura sono strettamente connessi nella cultura europea medievale, talvolta anche a scapito della serietà della predica. È significativo che il Passavanti paragoni i più disinvolti predicatori del suo tempo a «giullari e romanzieri e buffoni»; e che Dante attacchi i mestieranti del pulpito pronti a intrattenere i fedeli «con motti e con iscede» (Paradiso XXIX, 103-117) anziché con la dottrina di Cristo. Federico Tubach ha recentemente descritto l' exemplum come una struttura narrativa caratterizzata. dal rapporto tra il nucleo dottrinale, o la tesi morale da dimostrare, e il motivo propriamente narrativo.

In base al variare di questo rapporto si possono determinare vari tipi di exemplum. Storicamente a un proto-exemplum, documentato dalle Vitae Patrum (una raccolta agiografica tradotta in latino a partire dal VI secolo) e dalle sillogi cistercensi (ad esempio il Dialogus Miraculorum di Cesario di Heisterbach [v. TESTO N. 11a]), dove prevale l'intento morale, succede quello che il Tubach denomina «esempio in declino», dove l'interesse per la pura narrazione ha la meglio sull'impegno didascalico. È questo l'esempio che viene diffuso per tutta l'Europa dalla predicazione in volgare dei Mendicanti, i quali raccolgono ad uso dei predicatori una serie imponente di prontuari. I francescani sono particolarmente sensibili a questo tipo di letteratura, che si presta mirabilmente a captare l'attenzione di un pubblico illetterato: basti ricordare il Breviloquium de virtutibus di Giovanni di Galles, volgarizzato in toscano in ben quattro redazioni diverse (v. TESTO N. 11b); il Liber exemplorum composto in Inghilterra da un Minore alla fine del XIII secolo; la Summa de exemplis contra curiosos di Servasanto di Faenza. Anche i domenicani non trascurano di compilare ampie raccolte di esempi. Il De habundancia exemplorum (noto anche col titolo De dono timoris) di Umberto di Romans e gli aneddoti di Stefano di Borbone († c. 1262) hanno un successo enorme. Spetterà a due domenicani inglesi compilare in età chauceriana le summae più massicce, in un certo senso i capolavori di questo genere, destinate ad agire sulla letteratura profana ben al di là dei limiti solitamente fissati alla cultura medievale. Queste enciclopedie dell'exemplum sono la Scala coeli di Giovanni Gobi (1350) e la Summa Praedicantium di Giovanni Bromyard († 1390). Queste raccolte, a torto ignorate nelle storie generali della letteratura italiana, sono il punto d'avvio dei più fortunati motivi della narrativa europea. Si pensi che gran parte delle novelle del Decameron nascono dall'abilissima rielaborazione e dalla contaminazione geniale di elementi narrativi da secoli tramandati nella tradizione omiletica. Così è motivo carissimo ai predicatori quello della «caccia infernale» (nov. 48a), che getta un brivido di terrore nel cuore della bella e crudele Traversari: probabilmente il Boccaccio lo trovò nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais, se pure, come supposero alcuni studiosi (tra cui il Monteverdi), non ripensò a una predica del Passavanti rifusa nella celebre pagina del «carbonaio di Niversa». Una variante dell' exemplum, particolarmente adatta alle prediche in onore dei santi, è la leggenda agiografica. Nei sermonari de sanctis spesso càpita di leggere alla fine della predica, proprio nella posizione dove di solito si trova l'esempio, questo avvertimento: «Dic legendam». Il predicatore sapeva bene dove mettere le mani: sul suo scrittoio non poteva mancare la Legenda Aurea, composta dal domenicano Jacopo da Varazze tra il 1260 e il 1267 (v. TESTO N. 12c) o il più antico Liber epilogorum in gesta sanctorum di un altro domenicano, Bartolomeo da Trento († 1251), il primo manuale agiografico ad uso dei predicatori. Molti aneddoti relativi ai santi si trovavano anche nelle già citate Vitae Patrum, e nel Dialogo di san Gregorio Magno (v. TESTO N. 12a e b), libri fondamentali della spiritualità medievale.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/2005