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La predicazione nell'età comunale

di Carlo Delcorno

© 1974-2005 – Carlo Delcorno


9. La prima generazione domenicana

San Pietro Martire è il personaggio di maggior rilievo della prima generazione domenicana. Nato a Verona da una famiglia catara, viene allo Studio bolognese e qui, dalle mani stesse di san Domenico, riceve l'abito (1221). Perfettamente conscio degli scopi del Fondatore dell'Ordine, che del resto collimano con quelli del Papato, egli si getta nella lotta contro gli eretici, e nello stesso tempo dà impulso all'organizzazione della borghesia cittadina ortodossa nei quadri delle confraternite laiche: la Società della Fede e la Società della Vergine Maria; che, dopo la sua morte, si chiamerà di san Pietro Martire. La sua azione di abile organizzatore e di temibile controversista si svolse a Firenze, dove fu chiamato dallo stesso Inquisitore, il domenicano Ruggiero Calcagni; e soprattutto in Lombardia. Secondo il cronista milanese Galvano Fiamma, Pietro era a Milano già nel 1233, l'anno dell' Alleluja, ma non tutti gli studiosi sono d'accordo sulla validità della testimonianza. Certo Pietro vi fu nel 1251: Inquisitore a Cremona, poi a Milano e a Como, egli cadde infine sotto i colpi degli eretici, mentre viaggiava in compagnia di un socius da Como a Milano (v. TESTO N. 7). La leggenda e l'iconografia hanno cristallizzato la scena del martirio in tratti di un sublime macabro, fissando indelebilmente nell'immaginazione popolare la figura del santo che, in ginocchio, con il capo spaccato da una pesante mannaia, recita i versetti del Credo. Pietro da Verona segna la via a tutta la predicazione domenicana del secolo: per l'ordine dei Predicatori non si tratta solo di domare l'eresia, ma di educare con una predicazione specifica la borghesia cittadina e di controllare i pericolosi e incomposti moti della devotio popolare, incanalandola nelle salde e pacate strutture delle confraternite. Sarà questa la preoccupazione dei domenicani e dei francescani durante l'anno dell' Alleluja (1233) e di nuovo, nel 1260, quando il movimento dei Disciplinati o Flagellanti, suscitato a Perugia da Ranieri Fasani, guadagnerà tutta l'Italia in un turbine di esaltazione mistica e penitenziale. Purtroppo non ci è giunto nulla della predicazione tenuta in queste circostanze dai Mendicanti; ma, per quanto riguarda l' Alleluia, possiamo contare su di un testimone eccezionale, il francescano fra Salimbene de Adam, che ci ha lasciato nella sua Chronica, scritta in un pittoresco latino che ricalca il volgare padano, alcuni ritratti indimenticabili di predicatori.

L' Alleluja nasce spontaneamente a Parma, la patria di Salimbene, nel 1233, in una pausa delle lotte tra i comuni lombardi e Federico II, come effusione di gioia popolare, la quale si manifesta in processioni e acclamazioni di lode trinitaria. A capo di questo moto di pietà è da principio una bizzarra figura di predicatore popolare: fra Benedetto. « Homo simplex et illitteratus» – così lo definisce fra Salimbene – , sciolto da ogni ordine religioso, veniva soprannominato «fra Cornetta», perché al suono terribile o dolce della sua tromba la folla si raccoglieva nelle chiese e nelle piazze (v. TESTO N. 6). Da Parma il movimento si allarga ben presto ai comuni vicini; ed è a questo punto che i Mendicanti, soprattutto i domenicani, intervengono a conferire all' Alleluia un aspetto politico e penitenziale. La figura più eminente tra i predicatori dell' Alleluia è il domenicano Giovanni da Vicenza, che ebbe un grande successo a Bologna, dove esercitò per alcuni anni un potere quasi tirannico. Accanto a lui Salimbene ricorda Iacobino da Reggio, uomo colto (era lettore in teologia), ma capace di parlare semplicemente alle folle trascinandole in un entusiasmo che, nel racconto del cronista parmigiano, sfiora il grottesco. A Parma predicò in quegli anni anche fra Bartolomeo di Breganze, primo Reggente della Facoltà di Teologia dello Studium Romanae Curiae fondato da Innocenzo IV (1244-1245), poi vescovo di Vicenza, dove istituì il convento di Santa Corona. In questa città si conserva, inedita, la sua Cronica sermocinalis: una serie di prediche tenute al clero e al popolo da fra Bartolomeo, quando non era ancora vescovo, più tardi rimaneggiate in forma di sermonario e dedicate a Clemente IV (1265-1268). L'opera di Bartolomeo da Vicenza non ebbe molto successo: contrastando l'indirizzo aristotelico che stava conquistando la scuola domenicana, egli si ispira alla tradizione mistica dei Vittorini. La sua predicazione è basata su una conoscenza e un amore vivissimo per le Scritture, ma si apre anche alle suggestioni neoplatoniche dello pseudo-Dionigi e alla poesia di Adamo da San Vittore. Scopo fondamentale della sua opera è chiarire i principi dell'ortodossia, colpendo implacabilmente gli eretici, ma anche i cattolici più tiepidi (come i Frati Godenti bolognesi), oggetto di battute sarcastiche e di impietose denunce. Il suo linguaggio, che convoglia un ricco lessico vernacolo appena mascherato da forme latine, è quello di uno scrittore robusto, un poco arcigno, ma degno di essere studiato.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/2005