Logo di Reti Medievali

Didattica

Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


IX
Gli strumenti della crescita / 2
Economia e società (I-XIII secolo)

1. Diritti signorili e servitù della gleba
(A) Statuti del comune di Treviso, 376, 378, 380, 382-384 (1231).
(B) Inchiesta sul castello di Cervaro, 1-4, 6, 10, 13, 15-17, 19-20, 25-26, 40 (1273).
(C) Ordinamento del comune di Vercelli, 27 (1343).
(D) Libro detto “Paradiso”, pp. 5-6 (1257).

Dalla metà del XII secolo al regime signorile venne via via a mancare la capacità di mantenere il controllo di quei poteri “pubblici” – fiscali, amministrativi, militari – che avevano costituito il fulcro della sovranità del signore sul territorio, una sovranità che andava ben oltre l'ambito del suo possesso fondiario.
È un lungo processo – peraltro già iniziato da tempo [cfr. cap.7] – attraverso cui molti dei poteri giurisdizionali o fiscali passano dalle mani del signore a quelle delle forze che animano le comunità di villaggio o i comuni cittadini (A). La limitazione dei diritti dei signori è tesa a negare il carattere territoriale della signoria, di cui risulta dunque preminente l'aspetto patrimoniale. E proprio in questo ambito si assisterà ad una ridefinizione su base contrattuale, e non più consuetudinaria, dei rapporti tra signori e lavoratori [cfr. il paragrafo successivo], e, specialmente da parte delle signorie ecclesiastiche, al tentativo di riordinare il possesso, rivendicando diritti dimenticati o compromessi dalla consuetudine (B). Anche gli atti di affrancazione collettiva degli schiavi e dei servi della gleba, promossi dal comune proprio con l'intento di affermare la propria giurisdizione sul contado, vanno letti in questo quadro, in una strategia di bilanciamento dei poteri signorili (C, D).


(A) 376. Le collette e i dazi, che vengano imposte da una persona ai rustici altrui o ad altre persone, non devono essere pagati: e se qualcuno avrà arrecato molestie o turbative di questo genere, dovrà pagare un banno di 50 lire […].

378. Se qualcuno […] costringerà una persona, che non sia un proprio rustico o un proprio schiavo, a prestare servizio di guardia o servizio militare in un luogo diverso dal castello dove, per consuetudine, la persona presta gli obblighi di castellanza, dovrà pagare al comune un banno di 100 lire, nel caso che abbia esercitato tale coercizione sopra le comunità di uno o più villaggi; nel caso che l'abbia esercitata sopra singole persone, dovrà pagare un banno di 25 lire a persona. […] E se uno avrà subito un pignoramento o una qualunque sottrazione a motivo delle imposizioni di cui sopra, ciò che gli è stato preso dovrà essergli restituito […].

380. Se qualcuno sottrarrà beni, senza una giusta causa, ai rustici di altre persone, [dovrà pagare] un banno di 100 soldi al comune e 100 soldi al rustico e dovrà inoltre risarcire il danno nella misura del doppio.

382. Nessuno impedisca con divieti o minacce a persone di Treviso o del distretto di Treviso di presentarsi a rendere o ad ottenere ragione di fronte al podestà, ai suoi ufficiali o ai consoli ordinari. I contravventori dovranno pagare al comune 25 lire ove siano conti o cattanei o altri che esercitino direttamente poteri giudiziari, 25 lire ove siano loro villici, o comunque loro agenti, 10 lire ove siano altre persone; salvo penalità maggiori a discrezione del podestà.
383. Sarà soggetto alla stessa pena chi avrà scacciato il rustico di un'altra persona dalla sua terra o gliene avrà interdetto l'accesso o avrà impedito a chiunque, con minacce, di lavorare il manso e la terra altrui; egli sarà tenuto inoltre al risarcimento del danno e al versamento del fitto […].
384. Stabiliamo che se alcuno del distretto di Treviso, il quale eserciti in un determinato territorio diritti comitali o di avvocazia o un qualunque altro tipo di giurisdizione, prenderà o esigerà qualcosa […] da un rustico o da altra persona che dimori in quel territorio e che non sia un proprio rustico o schiavo, oppure le recherà danno, il podestà o i consoli siano tenuti, a querela di chi abbia subito la sottrazione o l'esazione o il danno, a far restituire ciò che è stato preso e a far risarcire il danno, senza bisogno di inchiesta o notifica scritta né di qualsiasi altra formalità; e se fosse stato effettuato un pignoramento, siano tenuti a far restituire il pegno.

Statuti del comune di Treviso, 376, 378, 380, 382-384 (1231).


(B) Inchiesta [1] fatta nel castello di Cervaro [2] relativamente ai diritti, ai redditi, ai servizi dovuti da tale comunità, e dagli uomini della comunità al monastero cassinese, agli offici e ai membri di questo.
1. Inanzi tutto si trovò che tutti gli abitatori del castello di Cervaro dai loro possessi, e tutti coloro che hanno terra nel predetto territorio, di quattro prodotti, cioè grano, miglio, orzo, fave, sono tenuti a corrispondere al monastero e all'infermeria cassinese la settima parte a nome di terratico [3], degli altri prodotti solo la decima, a meno che alcuni non siano liberi e immuni da queste prestazioni per speciale privilegio.
2. Parimenti tutti gli abitanti del predetto castello e tutti coloro che hanno possessi nel suo territorio, del vino delle vigne e del vino delle viti, […] sono tenuti a corrispondere per intero all'infermeria cassinese soltanto la settima parte, a meno che alcuni non siano liberi e immuni dalla prestazione per speciale privilegio.
3. Parimenti tutti gli abitanti del predetto castello e tutti coloro che hanno possessi nel suo territorio sono tenuti a corrispondere all'infermeria cassinese, per intero, la decima delle olive, a meno che alcuni non siano liberi e immuni da tale prestazione per speciale privilegio.
4. Parimenti tutti gli abitanti del predetto castello e tutti coloro che hanno terre nel suo territorio, che per speciale privilegio vengano trovati liberi e immuni, come figli spirituali e sottoposti, sono tenuti a versare al monastero cassinese, quale chiesa matrice, l'intera decima parte di tutti i prodotti raccolti, del vino e dell'olio.

6. Parimenti tutti gli abitanti del predetto castello e tutti coloro che hanno possessi nel suo territorio non devono rimuovere dalle aie i prodotti dopo la trebbiatura, né pestare le uve, né estrarle dai palmenti [4] senza la presenza dei terratichieri o degli addetti alle decime dell'infermeria cassinese, né portare in casa le olive, o porle nei frantoi, senza la presenza dei nunzi della detta infermeria.

10. Parimenti tutti gli abitanti del predetto castello sono tenuti a versare all'infermeria cassinese la trigesima, cioè la trentesima parte; della canapa e del lino, come diritto di acquatico, ovunque e in qualsivoglia acqua o fiume la stessa canapa o lino siano trattati. A meno che alcuni non risultino per caso esenti da tale prestazione per speciale privilegio.

13. Parimenti tutti gli abitanti del predetto castello che hanno porci sono tenuti a corrispondere annualmente all'infermeria cassinese, di ghiandatico, per ogni scrofa grani quattro, a meno che alcuni non risultino liberi e immuni da tale prestazione per speciale privilegio.

15. Parimenti i monti, i piani, le selve, i pascoli, i fiumi, le acque e i corsi d'acqua del territorio del predetto castello sono dell'infermeria cassinese, eccetto il caso in cui qualcuno abbia o possieda dalla detta infermeria cassinese […] qualcosa dei predetti monti, piani, selve, pascoli, fiumi e corsi d'acqua.
16. Parimenti la selva di cipressi del predetto castello e tutti gli alberi di cipresso ovunque nascano, e in qualsivoglia terra del detto territorio, appartengono al demanio del monastero cassinese e non al possessore della terra in cui nascono, e nessuno può tagliarne senza mandato e licenza della curia cassinese, e chi trasgredisce sarà punito.
17. Parimenti nessuno del predetto castello osi andare a caccia nel territorio senza licenza dell'infermeria cassinese, e chi trasgredisce paga la pena stabilita e imposta nel medesimo castello per ordine della predetta infermeria a meno che non ci sia qualcuno che da prima pretenda di avere un qualche diritto o “libertà” dalla detta infermeria.

19. Parimenti i muri di pertinenza signorile e le vie pubbliche del predetto castello sono dell'infermeria cassinese, e sopra queste vie pubbliche e muri di pertinenza signorile a nessuno è lecito edificare, o occupare porzioni di luoghi pubblici, senza mandato e licenza dell'infermeria.
20. Parimenti a nessuno del predetto castello è lecito costruire un frantoio ad acqua o a secco per macinare olive, nel castello o nel suo territorio, o un molino, o una gualchiera o qualunque altro edificio delle acque pubbliche o vicino ad esse, o derivare parte delle dette acque pubbliche per utilità e uso dei detti edifici, senza licenza della curia cassinese, poiché il diritto di edificare i predetti edifici spetta alla dignità del monastero cassinese. Costruiti i quali la qualsivoglia perso na dietro licenza della detta curia, il diritto, o reddito dovuto o dovuti dai medesimi molini viene corrisposto al cellerario [5] cassinese, mentre il diritto dovuto dai medesimi frantoi viene corrisposto alla curia cassinese.

25. Parimenti se accade che l'abate di Cassino sia chiamato presso il sommo pontefice o il re, gli uomini del detto castello sono tenuti a concorrere alle spese da lui fatte nel detto viaggio secondo ciò che potranno concordare con l'abate.
26. Parimenti se accada che l'abate o il monastero cassinese [6] muova l'esercito, gli uomini del medesimo castello sono tenuti a servire per lui nel medesimo esercito a proprie spese per tre giorni trascorsi i quali sono tenuti a servire a spese dell'abate.

40. Parimenti se qualcuno del medesimo castello muore facendo testamento, può disporre, per ultima volontà, dei suoi beni immobili, e lasciare i suoi beni a chiunque vorrà all'interno della “terra di San Benedetto” [7], che paghi per tali beni ereditati il dovuto diritto del monastero cassinese. Relativamente ai beni mobili, invece, egli può disporre e lasciare i suoi beni a chiunque vorrà, all'interno e fuori della terra di San Benedetto, a suo piacere.

45. Parimenti tutte le terre tenute e possedute dalle chiese del predetto castello sono libere ed esenti dalla prestazione del terratico e delle decime, e in nessun modo sono tenute a tale prestazione. Se però qualche terra delle dette chiese passa a persone private attraverso un qualsivoglia titolo di alienazione, allora esse non sono affatto esenti dalla prestazione del predetto terratico e delle decime, ma da esse viene corrisposto nello stesso modo che dalle altre terre appartenenti ai privati del castello.

Inchiesta sul castello di Cervaro, 1-4, 6, 10, 13, 15-17, 19-20, 25-26, 40 (1273).

[1] Inquisitio.
[2] Il castello di Cervaro era sottoposto al monastero di Montecassino.
[3] Genericamente, imposta relativa a diritti sull'uso della terra. Molti altri termini presenti nel testo, si riferiscono ad altrettanti diritti d'uso (erbatico, legnatico, ghiandatico).
[4] Recipienti destinati perlopiù alla pigiatura dell'uva o alla fermentazione del mosto.
[5] L'incaricato di sopraintendere all'approvvigionamento e all'amministrazione del monastero.
[6] In questo momento l'abate era Berbardo Ayglerio (1263-1282).
[7] Il territorio sottoposto al monastero.


(C) In nome del Signore, Amen. Dato che gli uomini e i rustici abitanti nei castelli, nelle località e nelle ville del distretto e della giurisdizione di Vercelli, tranne in alcuni luoghi franchi, erano soggetti ai loro signori – sui fondi e sulle aie dei quali sorgevano le loro abitazioni – così da essere oppressi e tormentati, ad arbitrio di costoro, con fodri, banni, mantollètte, angarìe, parangarìe ed altre innumerevoli estorsioni, per cui venivano sempre di più a trovarsi nell'impossibilità di accollarsi e di contenere gli oneri pubblici imposti dalla città e dal Comune di Vercelli – e questo motivo tratteneva inoltre molti uomini di altre giurisdizioni e di altri distretti dal venire ad abitare nel distretto di Vercelli, cosicché la città non riceveva incremento; dato che, cosa ancor più grave, i detti signori esercitavano una potestà sulle persone dei loro uomini, dato che lo Statuto del Comune di Vercelli conteneva una norma per cui i podestà non avrebbero dovuto rendere giustizia ai rustici per colpe commesse nei loro confronti dai signori […] e che gli uomini erano soggetti all'autorità dei propri signori anche sul piano giudiziario, per cui veniva ad essere ridotta la giurisdizione cittadina, [il podestà e le altre autorità comunali cittadine] stabilirono e ordinarono quanto segue circa la libertà e l'affrancazione degli uomini nei confronti dei signori. D'ora in avanti nessuna persona, la quale abbia […] uomini nella giurisdizione e nel distretto di Vercelli o abbia fondi e terreni sui quali risiedano determinate persone, possa o debba esercitare alcuna sovranità, giurisdizione, prerogativa su tali uomini o persone né avere la loro successione né esigere da loro il fodro, il banno o altre maltollètte né costringerli a prestare angarie e parangarìe né estorcere o esigere alcunché da loro: questi uomini siano al contrario liberi e immuni sotto ogni riguardo nei confronti dei rispettivi signori. Fermo restando tuttavia che per fondi, terreni e beni fondiari di ogni sorta i signori abbiano, percepiscano dagli uomini e dalle terre e possano esigere quanto deve essere versato loro come corrispettivo dei fondi e delle terre, per reciproca convenzione e per consuetudine. […] Questo beneficio venga concesso ed esteso solo a quegli uomini che prestino obbedienza ai reggitori e al Comune della città di Vercelli, non a coloro che in alcun tempo si rendano avversari e ribelli ai reggitori e al Comune di Vercelli […].
È stabilito e ordinato [1] che se il Comune e gli uomini del borgo di Crescentino, il Comune e gli uomini del borgo di Livorno [2], il Comune e gli uomini di Masserano, il Comune e gli uomini di Rovasio Nuovo, il Comune e gli uomini di Santhià e il Comune e gli uomini di S. Germano non si presenteranno entro le Calende di maggio agli ordini del podestà o del reggitore del Comune di Vercelli, verranno esclusi in perpetuo da ogni libertà, affrancazione e immunità nei confronti dei loro signori e nei confronti del Comune di Vercelli e verranno ricondotti alla condizione in cui si trovavano quando non avevano ricevuto ancora nessun atto di libertà dal Comune di Vercelli.

Ordinamento del comune di Vercelli, 27 (1343).

[1] Aggiunta dell'11 febbraio 1252.
[2] Oggi Livorno Ferraris, 30 Km a ovest di Vercelli.


(D) Questo è il memoriale dei servi e delle ancelle che sono stati francati dal comune di Bologna; a buon diritto questo memoriale si deve chiamare “Paradiso”. II Signore Dio Onnipotente fondò all'inizio il Paradiso della gioia, in cui mise l'uomo che aveva creato, e ornò il suo corpo di una candida veste, donandogli un'assoluta ed eterna libertà. Ma quell'infelice, dimentico della sua dignità e del dono divino, assaggiò la mela proibita, contro il precetto del Signore. Per cui trascinò sé stesso e tutti i suoi discendenti infelici in questa valle e contaminò mostruosamente il genere umano, legandolo con le catene della schiavitù diabolica e così da incorruttibile divenne corruttibile, da immortale mortale, soggetto a trasformarsi e a subire la dolorosissima schiavitù. Ma Dio, vedendo che tutto il mondo era caduto in rovina, ebbe pietà del genere umano e mandò il Figlio suo Unigenito, nato dalla Madre Vergine, con l'aiuto della grazia dello Spirito Santo, perché la gloria della sua dignità ci restituisse all'antica libertà rompendo le catene della schiavitù in cui giacevano. E perciò è molto utile restituire, con il beneficio dell'affrancazione, alla libertà, in cui erano nati, quegli uomini che all'inizio la natura creò liberi e che il diritto delle genti assoggettò al giogo della schiavitù. Considerando questo fatto, la nobile città di Bologna, che sempre ha combattuto per la libertà, memore degli antenati e previdente verso il futuro, in onore del nostro Redentore Signore Gesù Cristo, a prezzo di denaro, liberò tutti coloro che nella città e nella diocesi di Bologna trovò costretti ad una condizione servile e li liberò dopo aver condotto una scrupolosa indagine, stabilendo che nessuno, legato ad una condizione servile, da questo momento in poi debba vivere nella città o nella diocesi di Bologna, affinché la massa degli uomini, sia quelli nati naturalmente liberi sia quelli affrancati con denaro, non abbia a corrompersi per una qualsiasi reviviscenza di schiavitù, giacché è sufficiente un minimo fermento per corrompere tutta la massa ed è sufficiente la presenza di un solo malvagio per contaminare moltissimi onesti.

Libro detto “Paradiso”, pp. 5-6 (1257).

 

© 2000-2005 Reti Medievali Ultimo aggiornamento: