Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
2. Rapporti sociali e contratti agricoli (A) Leicht, Testi e documenti,
p. 6 (1216). (B) Gabotto, Le carte dell'archivio
vescovile di Ivrea, 188 (1246). (C) Pascucci, Contratti agrari,
p. 145 (1264). (D) Imberciadori, Mezzadria classica
toscana, p. 86 (1224).
(E) Imberciadori,
Mezzadria classica toscana, p. 100 (1282). (F) Ranieri da Perugia, Arte Notarile
(esempio di concessione enfiteutica).
Gli effetti dell'incremento demografico, l'espansione e lo specializzarsi
delle colture insieme al migliorare del loro rendimento – tutti fenomeni
che segnarono la vita economica delle campagne nel corso dei secoli
XII-XIII – accompagnarono ad una progressiva differenziazione interna
del mondo contadino e ad un sostanziale modificarsi dei rapporti sociali;
anche se il progressivo abbandono dell'organizzazione della curtis a
favore di una conduzione via via sempre più indiretta del patrimonio
terriero, e quindi il frazionamento delle grandi proprietà terriere
delle aristocrazie e del clero, riguardò e favorì specialmente
una ristretta cerchia di coltivatori, magari per il tramite degli investimenti
mercantili nel settore agricolo.
Una testimonianza – seppure indiretta, e da leggersi sul lungo periodo
– dei modi in cui alcuni gruppi di contadini riuscirono a diventare
piccoli o medi proprietari o, comunque, a avvantaggiarsi rispetto alla
loro precedente condizione, si può leggere nel definirsi e nell'evolversi
delle forme contrattuali che regolamentavano la conduzione della proprietà
agricola, dalla frequenza, ancora nel XIII secolo, della concessione
a titolo pressoché gratuito, o in cambio del pagamento di un censo,
di terre incolte contro l'impegno di dissodarle (A,
B), o in enfiteusi, alla locazione parziaria nelle
forme (prevalenti specialmente nell'Italia centrale del secondo Duecento)
della mezzadria (C, D, E). (A) Il vescovo di Trento Federico
Wanga investe Eberarino, Eberardo, Adelpreto, Ulrico, Adelperio ed Ervigo
di tutta la terra nella selva e nelle pertinenze di Costa Cartura, in
quella montagna che il vescovo aveva acquistato da quelli di Bosentino;
perché ciascuno degli investiti faccia un buon maso in quella
selva, terra e montagna. Essi devono recarvisi ad abitare, a roncare,
a costruirvi dei masi.
Saranno esonerati alle seguenti condizioni:
per sei anni da qualsiasi censo verso il vescovo, all'infuori di un'anitra
all'anno;
diritto di successione delle famiglie;
divieto di suddivisione del suolo.
Inoltre il vescovo promette di pagare 7 lire veronesi a ogni uomo il
quale abbia costituito un maso. Leicht, Testi e documenti, p. 6 (1216). (B) Nell'anno millesimo duecentesimo
quarantesimo sesto della Natività del Signore, indizione quarta,
il giovedì, sesto giorno dopo l'inizio di dicembre. Michele da
Pinaria diede a dissodare a Ugonetto Bergognone, dissodatore, la terra
con bosco che gli era stata data a censo dal vescovo eletto di Ivrea,
al di qua di Pavone, in località detta Albereti. Ugonetto promise
a Michele di dissodare due buone giunte [1]
a misura di pertica, da consegnare dissodate entro il prossimo carnevale.
Per questo dissodamento Michele promise di dare in pagamento entro il
prossimo Natale 10 soldi di buoni denari di Susa, purché prima
di Natale Ugonetto avesse portato il lavoro a tal punto che Michele
potesse ricavare dalla terra tre buoni carri di zucche.
Michele promise inoltre che avrebbe dato in pagamento a Ugonetto 37
soldi di denari di Susa entro le Calende di febbraio, ove Ugonetto avesse
lavorato o fatto lavorare la terra in questione: promise poi di dare
a Ugonetto, a compimento del lavoro, 20 soldi di denari di Susa, obbligandosi
a pagare i danni e le spese nel caso di dilazione del pagamento oltre
i termini qui indicati. E Ugonetto promise e garantì […] che avrebbe
compiuto il dissodamento della terra in questione entro il suddetto
termine di Carnevale, ove non venisse concessa proroga dal detto Michele. Gabotto, Le carte dell'archivio vescovile di Ivrea, 188 (1246). [1] Misura di superficie. (C) Bonandrea del fu Guidotto
Lisignoli diede in locazione a Guido dei Mazzali da Gherghenzano una
terra che aveva a Gherghenzano in località Strada e una terra
che aveva a Torricella, per le due annate prossime venute o per un periodo
ulteriore da concordarsi. Il detto conduttore promise di rompere queste
terre, quindi di rovesciarle, di lavorarle una terza volta e infine
di rivoltarle e solcarle ponendovi il seme.
Promise inoltre di seminare esclusivamente a proprio carico e di consegnare
al locatore, sull'aia di questi, la metà di tutti i grani prodotti e
di portare quindi a Bologna, nella casa del locatore, la metà delle
cariossidi. Promise inoltre di portare sulla terra di Gherghenzano,
al tempo delle stoppie, dieci carri di letame, buoni e grandi. Pascucci, Contratti agrari, p. 145 (1264). (D) Io, Consolo Vinaiolo, affido,
concedo ed affitto a te, Bencivenga Rigucci, a titolo di locazione,
il podere che possiedo in prossimità di Terzole, per la durata
di 4 anni e mi impegno a non toglierti il detto podere, a non molestarti
e a non intentare alcuna lite contro di te, ma, anzi, a difenderti a
norma di legge, sotto pena di 100 soldi di denari, e ti prometto di
tenere in comune con te un'asina, 100 salme [1]
di letame e la metà della semente.
Io, Bencivenga, ti prometto di coltivare bene il detto podere e di lavorarlo,
e di darti ogni anno la metà del raccolto, portandola a Siena,
a casa tua, e ti prometto inoltre di tenere sul detto podere un bue
e un'asina in comune e d'impiegare sullo stesso podere tutto il letame
che sarà prodotto e di mandarvi e portarvi, a mie spese, 100
salme del tuo letame e, alla fine del termine, ti restituirò
tutto il letame che sarà stato prodotto, e, se questo non sarà
sufficiente, supplirò col mio. Alla scadenza del termine ti darò
tutta la paglia e tutta la pula che saranno prodotte, e mi impegno a
restituirti tanta terra coltivata quanto ce n'è ora. Ti prometto
inoltre che, se alleverò galline, ti darò 80 uova e, al
tempo della mietitura, darò il vitto al tuo rappresentante per
tutto il tempo in cui egli starà nel podere.
Prometto di mantenere tutte queste promesse, sotto pena di 100 soldi
di denari, obbligando a pegno me e i miei eredi e i miei beni nei confronti
tuoi e dei tuoi eredi, e durante quest'anno impiegherò nel podere
20 salme di letame ed altrettante l'anno prossimo.
Fatto a Siena. Furono testimoni Lucchese di Giordano, Rustichino di
Giovannozzo e Bencivenga di Tebalduccio.
Io, Benincasa, notaio […] ho steso quest'atto a richiesta delle
parti. Imberciadori, Mezzadria classica toscana, p. 86 (1224). [1] Misura di capacità corrispondente a
circa venti kg. (E) Nell'anno del Signore 1282,
indizione decima, il quarto giorno del mese di aprile. Io, Vanni del
fu Ildibrandino da Renaccio, dichiaro di avere ricevuto in conduzione
mezzadrile da te, Cionino del fu Giovanni Uberti da Siena, tutto il
tuo podere posto a Renaccio e cioè le terre, le vigne, la casa,
le lame [1],
i prati e i pascoli […], per lavorarlo, tenerlo, possederlo e
usufruirne per cinque anni interi a partire dalla prossima festività
di S. Maria di agosto.
E ti prometto di stare e risiedere stabilmente nella casa del podere
per tutto questo periodo, insieme alla mia famiglia; e ti prometto che
terremo con noi un garzone, perché partecipi alla lavorazione
del podere, al quale darò il necessario per vivere e un salario
annuo di 8 lire di denari.
Prometto inoltre di comprare con i miei soldi, al prezzo di 24 lire
di denari minuti, un paio di buoi con i quali lavorerò le terre
del podere e che non presterò ad alcuno senza un tuo speciale
permesso e nemmeno userò per trasporti.
Prometto di compiere tutti i lavori sul podere e sulle sue terre bene
e proficuamente, nei tempi opportuni, nel modo usato da un buon lavoratore
osservante della legge, e di mettere nel podere, nei luoghi dove ciò
sarà necessario, tutto il letame che si trovi nella stalla della
casa suddetta. E ti prometto di seminare nel detto podere e sulla terra
del detto podere ogni anno per tutto il tempo stabilito 8 staia d'orzo,
12 di spelta, 4 di fave; 4 di lino, 4 di vecce e tanto frumento quanto
sarà necessario, e di dare a te ogni anno, senza diminuzione
o sottrazione alcuna, la metà di tutti i prodotti che Dio ci
manderà su questo podere, recandotela a casa al tempo del raccolto.
Quanto alla vigna del podere, prometto di compiervi ogni anno, per tutto
il periodo indicato, tutti i lavori in maniera buona e proficua: prometto
cioè di potare, di piantare i pali, di legare le viti e di propagginarle,
di fare le operazioni di scavo e di rincalzatura e tutte le altre cose
utili, nel modo consueto; e di dare a te ogni anno la metà di
ogni prodotto della vigna, consegnandolo nella tua casa di Renaccio
e riponendo e governando il vino nei tuoi tini.
Al tempo della raccolta delle messi e al tempo della vendemmia terrò
a mie spese un garzone che conservi e custodisca la parte che ti spetta.
Prometto inoltre di tenere in sòccida [2],
per tutto il periodo indicato, ventiquattro pecore con i loro nati,
delle quali io metterò e conferirò un terzo, tu gli altri
due terzi; a te darò la metà di ogni prodotto e provento
che Dio mi farà ricavare da queste pecore, cioè della
lana e del formaggio, senza diminuzione alcuna e per tutto il periodo
indicato. E prometto di tenere in sòccida nel detto podere, per
tutto il periodo indicato, sei arnie con le api, un terzo delle quali
sarà conferito, da me, due terzi da te; a te darò la metà
di ogni prodotto, che Dio ci avrà concesso, di queste api, cioè
la metà della cera e del miele[…], e al termine del periodo
indicato dividerò arnie e api in due parti: una per te, l'altra
per me.
Prometto inoltre di governare e riporre ogni anno tutta la paglia, il
fieno e le altre cose e di consegnarti annualmente […], recandole
nella tua casa di Siena, 5 salme tra fieno e paglia, per le quali pagherò
io la gabella. Io potrò disporre dello strame che dovesse avanzare
in seguito a morte delle bestie mantenute da me nel podere. E prometto
che per tutto il periodo indicato ti darò ogni anno, recandole
nella tua casa di Siena, quattrocento uova e quattro paia di capponi
per la festa di Ognissanti: a questo fine mi sarà consentito
di tenere nel podere tutto il pollame che vorrò. E ti prometto
di tenere e fare ingrassare a mie spese due porci all'anno, che tu dovrai
procurare ogni anno, per tutto il tempo, comprandoli con i tuoi soldi
al prezzo di 50 soldi di denari senesi; dopo averli ingrassati ne farò
divisione a metà, ogni anno a Pasqua di Resurrezione: una metà
per te, l'altra per me a compenso dell'ingrasso.
Prometto che al termine del periodo indicato ti lascerò 24 staia
di terra messa bene a coltura, con due solcature: se avrò messo
a coltura più di 24 staia del podere, faremo apprezzare tale
lavoro da due amici del paese.
Prometto, sotto pena di 25 lire di denari senesi, di non tagliare né
divellere con dolo viti e alberi del podere, di non svellere i pali
della vigna, di riconsegnare il podere libero e disponibile al termine
del periodo suddetto, di non cederlo in locazione a terzi, né in tutto
né in parte, senza un tuo speciale permesso e di rispettare e osservare
tutte le clausole di cui sopra […].
Imberciadori, Mezzadria classica toscana, p. 100 (1282). [1] Strisce di terra formatesi
per alluvione fluviale o per interramento di stagni o pantani.
[2] Contratto riguardante l'allevamento
del bestiame. (F) Vediamo dunque cosa sia
l'enfiteusi, da che cosa derivi il suo nome e perché si chiami
così, quali siano le sue varie specie e da chi e come si faccia
la concessione enfiteutica. L'enfiteusi è la concessione perpetua
o per un determinato periodo di tempo e rinnovabile, di un bene immobile,
dietro il pagamento di un canone in denaro o in natura, da versarsi
da parte degli enfiteuti al concedente.
Si dice enfiteusi in greco, in latino miglioria perché in origine
con questa specie di contratto si concedevano solo terreni incolti perché
colui che li riceveva li migliorasse e li rendesse produttivi. Oggi
però, anche se si conserva l'antica denominazione, si è
arrivati a concedere in enfiteusi anche terreni assai fertili.
L'enfiteusi varia secondo le condizioni e secondo le denominazioni che
assume. Infatti, come ho detto, a volte questo tipo di contratto resta
designato col suo nome generico e comunemente si chiama enfiteusi o
enponema, altre volte precaria, altre volte canone, altre volte censo,
altre volte fìtto, altre volte breve, altre volte scritto, altre volte
commutazione e in altri diversi modi secondo le lingue dei differenti
paesi. Io credo che perciò non si debba porre tra queste denominazioni
nessuna differenza se non di carattere linguistico e che esse si possano
indifferentemente impiegare secondo l'uso e la consuetudine dei luoghi
e secondo la volontà delle parti […]. Tuttavia alcuni, per parere
filosofi, si sforzano di stabilire tra questi contratti non poche differenze
che qui non è il caso di trattare, dal momento che, come finora è accaduto,
seguiterebbe ad accadere che i semplici notai per il fatto di conoscere
queste differenze scriverebbero con paura ed errerebbero. [Esempio di concessione enfiteutica. Ranieri, priore di S. Maria di Reno, concede in
enfiteusi, a Giovanni di Affina, un appezzamento di terreno presso Farneta].
In nome di Dio, io Ranieri, priore di S. Maria di Reno, di consenso
e di volontà dei miei fratelli i canonici Giovanni e Ugo, con
questo contratto di enfiteusi concedo e dò in questo momento
in virtù del presente istrumento a titolo di livello [1],
a te, Giovanni di Alfina e ai tuoi eredi fino alla tua terza generazione,
espressamente, un appezzamento di terra situato nelle pertinenze di
Farneta, in località detta Roncaglia, i cui confini sono i seguenti:
a levante è proprietario Alberto Tereta, a mezzogiorno Bongiovanni
Pelderici, a ponente Goffredo Goffredi; dalla parte inferiore c'è
la via pubblica ed altri; dò e concedo a te prenominato Giovanni
ed ai tuoi eredi fino alla terza generazione, quanto sopra descritto
per possederlo, tenerlo, migliorarlo e per operarvi quanto a te ed ai
tuoi eredi sarà piaciuto, nei limiti dei confini inferiori e
superiori con diritti di entrata e di uscita fino alla via pubblica
e con ogni cosa in superficie e nel sottosuolo contenuta, con ogni diritto
azione ed uso o diritto di percepire tributi a me spettante in virtù
del possesso del fondo e concedo tutto quanto dentro i predetti confini
si contiene in cambio di 4 lire bolognesi che tu, di fronte agli infrascritti
testi mi hai contate e pagate perché pagassi [a mia volta] Petricolo
de Doliolo al quale ero tenuto a versarle per un appezzamento di vigna
che da lui comprai in nome della stessa chiesa.
Il possesso del fondo stabilisco che a tuo nome sia da me fruito fin
quando non vi sia entrato tu materialmente e ti concedo di entrarci
con piena autorità a condizione che paghi annualmente nel mese
di agosto, nel giorno di S. Maria, a me ed ai miei successori, due denari
bolognesi a titolo di canone sino alla fine de tua terza generazione.
Al sopraggiungere della quarta, l'istrumento livellare sia però
così innovato: siano versati venti soldi bolognesi per il rinnovo,
né abbiate in alcun modo facoltà di vendere se non secondo
legge, ovvero non abbiate facoltà di stipulare contratto livellare
tra persone di inferiore o di eguale condizione, in modo che il diritto
del padrone non venga intaccato. Prometto a te ed ai tuoi eredi di difendere
in forma legittima ed in ogni momento il sopradescritto fondo dalle
pretese e dalle rivendiche di terzi, e di intervenire a dirimere le
controversie che eventualmente insorgessero; prometto inoltre, assicuratomi
che il fondo ha acquistato maggior valore, che a causa del fondo stesso
non muoverò in alcuna occasione lite o contestazione. Se da parte
mia e dei miei fratelli e successori non saranno state osservate le
predette condizioni, o se in qualche circostanza avrò tentato
di contravvenirvi e se in ogni momento e nelle forme di legge, da parte
mia e dei miei fratelli e successori, a te ed ai tuoi eredi non sarà
stata prestata difesa, prometto con patto solenne di dare, a titolo
di penale, il doppio del valore e della stima del predetto fondo dopo
che ti sia stato riconosciuto il valore di miglioria, e prometto inoltre
di risarcire il danno della lite e le spese che da quel momento competeranno
a te ed ai tuoi eredi, ferma restando peraltro la validità di
questo istrumento livellare. Per parte mia e dei miei eredi, io sunnominato
Giovanni prometto di rispettare e di osservare i patti tra noi intercorsi
e di pagare annualmente il canone convenuto a te ed ai tuoi fratelli
e successori, sotto pena di dieci lire bolognesi, pagata la quale, nondimeno,
tutte le predette condizioni permarranno in vigore. Di ciò furono
scritte due copie dello stesso e medesimo tenore.
Fatto in Bologna, in Porta Nuova, nel chiostro della sunnominata Chiesa. Furono presenti alla redazione di questo atto di concessione Pietro, Martino e Giovanni,
rogati come testi di quanto sopra. Io Ranieri, per autorità imperiale notaio, fui presente a tutte queste stipulazioni e, come sopra si legge, scrissi il presente istrumento
per mandato del signor Priore e dei detti suoi fratelli e dello stesso livellario. Ranieri da Perugia, Arte Notarile (esempio di concessione enfiteutica). [1] Altra definizione per enfiteusi.
|