Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
5. La cittadinanza (A) Manaresi, Gli atti del comune di
Milano, 145 (1184). (B) Costituto del comune di Siena,
IV, 48-52 (1262).
Essere cittadini a pieno diritto comportava particolari privilegi e obblighi.
Si è visto come in alcune occasioni i comuni affrancassero i
servi della gleba sottraendoli al potere signorile per rivendicare a
sé i poteri pubblici sul contado. La necessità di manodopera
per la produzione artigiana esigeva in effetti il trasferimento in città
di un certo numero di lavoratori, ma l'accesso alla cittadinanza dovette
ben presto essere regolamentato. Fino a quando una precisa normativa
non ne fissò i termini, si ricorse a dibattimenti giudiziari
che affrontavano caso per caso.
I criteri che comunque presiedettero alle scelte delle autorità cittadine privilegiavano, secondo le evenienze, la necessità di manodopera, come pure quella di
controllare l'eccessiva crescita del numero di abitanti o quella di non spopolare i possedimenti rurali, tenendo in debito conto la ricchezza e l'età dei candidati o la loro
nobiltà. La condizione di cittadino poteva essere difatti, volta a volta, ambita come pure imposta: era il caso, quest'ultimo, di signori del contado o di centri vicini che,
come segno di sottomissione, venivano vincolati ad acquisire la cittadinanza, assumendosi al tempo stesso l'obbligo di possedere case in città e spesso di risiedervi
almeno una parte dell'anno, di contribuire alla difesa armata del comune, di rispettarne le leggi [cfr. cap. 7]. (A) Giovedì 13 dicembre, nella
sede consolare di Milano. Il giudice Milano detto di villa, console
di Milano, pronunciò sentenza col consiglio dei suoi assessori
sulla lite che verteva fra l'abate del monastero di Chiaravalle a nome
dello stesso monastero tramite il suo messo Nazario Visconti della città
di Milano da una parte e Negro, figlio del fu Barosio di Viglione, dall'altra.
La lite era infatti di tale tenore: Nazario, a nome del detto monastero,
chiedeva che il predetto Negro pagasse 60 soldi per la guardia e fosse
sottoposto alla sua giurisdizione, affermando che il di lui padre Barosio,
ora defunto, era originario e villano del luogo di Consonno, di pertinenza
giurisdizionale del detto monastero, e che lo stesso Negro abitava in
un mulino che è presso l'abitato di detto luogo; a questo proposito
produsse numerosi testimoni e presentò un documento, a richiesta
dello stesso Negro, in cui si dichiarava che il detto Barosio era stato
affrancato soltanto dal dover consegnare al monastero un certo numero
di covoni e manipoli e da altre esazioni. Di contro lo stesso Negro
asseriva che suo padre e lui medesimo erano stati cittadini di Milano
e sosteneva che da molto tempo avevano posseduto casa in Milano e che
molte volte aveva prestato servizio nell'esercito e nelle guardie proprio
come un cittadino milanese; aggiungeva che il mulino in cui abita non
era nel territorio del luogo suddetto, benché sia nelle vicinanze
dell'abitato e a conferma produsse dei testimoni in suo favore che però
non furono giudicati sufficienti. Udite tali ragioni e altre, il suddetto
Milano assolse il detto Negro dal pagamento dei sopra ricordati 60 soldi
ma lo condannò, finché avrebbe continuato ad abitare nel
suddetto mulino del luogo di Consonno, a sottoporsi alla giurisdizione
del monastero. E così finì il dibattimento.
L'anno dell'incarnazione del Signore 1184, il giorno suddetto, la terza
indizione. Intervennero Ardengo Visconti, Onrigone Pagliaro, Giovanni
di Trivulzio, Quintavalle di Mama, Malgirono Pita, Manfredo di Varedo;
fra i servitori Romanino, Guidotto Galdini, Giovannone Storno.
Io Milano console e giudice come sopra pronunciai la sentenza e sottoscrissi.
Io Guglielmo giudice e console sottoscrissi.
Io Giovanni causidico e console sottoscrissi.
Io Ottone Zendadario console del comune di Milano sottoscrissi.
Io Rogerio Bonafede giudice sottoscrissi.
E io Ugo detto di Castagnanega, notaio del sacro palazzo, scrissi. Manaresi, Gli atti del comune di Milano, 145 (1184). (B) 48. Per utilità e aumento della città chiunque del comitato e del distretto di Siena che non sia dipendente da un cittadino stabile di Siena sarà venuto nella città di
Siena per diventare cittadino e avrà giurato il cittadinatico e si sarà sottoposto ad allibramento dei suoi beni e avrà abitato con la famiglia e le masserizie per quattro
mesi all'anno, secondo la forma del Costituto, sarà accolto e difeso come cittadino, nonostante altre disposizioni. Ma nei confronti dei dipendenti contadini dei cittadini
di Siena rimane valido il capitolo che parla di tre per azienda agricola. 50. Io podestà sarò tenuto a obbligare cento degli uomini migliori,
più nobili e più ricchi del contado e della giurisdizione
di Siena a venire ad abitare nella città di Siena in modo stabile.
E per realizzare e ottenere ciò eleggerò per tutto il
mese di gennaio sei uomini onesti e legittimi, due per ciascun terziere
[1] ai quali
farò giurare di ricercare, scegliere e giudicare i detti cento
[uomini] più adatti che potranno ritrovare, con particolare riguardo
alla nobiltà delle persone, alla ricchezza e alla gioventù.
Per loro, per i loro padri e fratelli si provveda con franchigie, privilegi
e altri modi, come parrà meglio al consiglio della campana o
alla sua maggioranza.
51. Pertanto, per il buono stato della città e per il suo incremento,
stabiliamo e ordiniamo che per tutto il mese di dicembre si convochi
il consiglio della campana e del popolo per eleggere tre uomini onesti
e legittimi, tre per ciascun terziere, che giurino di ricercare cento
uomini del contado di Siena dei migliori e dei più ricchi, che
siano riconosciuti come tali e che debbano venire a Siena e qui risiedere
come cittadini stabili. E dopo averli trovati devono consegnare l'elenco
dei loro nomi al podestà e al capitano del popolo in modo che
questi possano obbligarli a venire ad abitare a Siena in maniera assidua
e continuativa per tutto il mese di maggio. E ciascuno di loro sarà
obbligato a costruirsi casa in città, in modo che tutti costruiscano
le loro case entro l'anno in cui si sono trasferiti. Per realizzare
ciò il capitano e il podestà riceveranno da ciascuno di
loro un onesto e idoneo mallevadore. Tali ordini vanno rispettati ed
eseguiti nonostante eventuali altre disposizioni del comune o del popolo,
senza alcuna scusante che possa venir richiesta dal consiglio del comune
o da quello del popolo o da quello dei Ventiquattro, per causa di necessità
o per qualsiasi altra causa. Detti ufficiali non possono poi né
devono ricoprire nessun altro ufficio mentre sono occupati in questa
incombenza, ma devono eseguire continuativamente e con diligenza quanto
è loro imposto fino a quando non è del tutto mandato in
esecuzione. Insieme con il podestà e il capitano, infine, devono
impegnarsi a obbligare i detti uomini a venire ad abitare in città
e a costruirvi le case come è sopra stabilito.
52. Se uno dei contadini dipendenti da cittadini abituali di Siena, tanto laici che ecclesiastici, vorrà venire ad abitare in città, purché appartenga a un gruppo di quattro
maschi insediati in un'azienda o in un podere, sarà da me accolto e difeso con la clausola però che lasci tutti i beni che teneva in proprietà e in concessione a quelli che
restano nella casa e sul podere, in maniera che colui che viene ad abitare in città non possegga più nulla nel contado. Da questo capitolo sono esclusi gli uomini di
Vescona, fatta eccezione per i militi. Tale capitolo sarà conservato integro senza correzioni e aggiunte, di podestaria in podestaria, e non si potrà derogare da esso in
favore di altri capitoli vecchi o nuovi. Costituto del comune di Siena, IV, 48-52 (1262). [1] Articolazione topografica della città.
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