Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
7. Notai e giudici (A) Breve del collegio dei notai
della città di Pisa, pp. 765-766 (1305). (B) Statuti senesi dell'arte dei
giudici e notai di Siena, pp. 68-69 (1303). (C) Statuti della società
del Popolo di Bologna, FSI 4, pp. 439-441 (1219) [2]. (D) Volgarizzamento dell'Oculus
pastoralis, II, 5-7. (E) Rigesto del comune di Alba,
188-191 (ca. 1215-1217).
Nell'ambito del processo di ordinamento della vita politica e sociale
del comune, un ruolo sempre maggiore viene assunto dalla produzione
documentaria, e quindi dalla figura del notaio. Ciò avviene di
pari passo con la ripresa dello studio del diritto e con la sua codificazione,
che si traduce anche in un tecnicizzarsi della preparazione dei notai,
fino ad allora fondata sull'acquisizione di pochi rudimenti tecnici
e sulla pratica. Detentore di una fides riconosciutagli pubblicamente,
il notaio fissa il regolarsi dei rapporti giuridici tra i privati e
tra questi e il potere pubblico. In un processo che vede precisarsi
la natura delle sue competenze (A), il notaio lavora
per conto del comune, dapprima saltuariamente, poi alle sue dirette
dipendenze; come un funzionario pubblico o comunque investito della
sua funzione da un potere pubblico (B).
Alcuni esempi dei termini in cui venivano istruiti nei manuali di buon
governo i podestà, o i loro giudici, responsabili dell'amministrazione
della giustizia nel comune podestarile come prima lo erano stati i consoli,
possono esser tratti da un volgarizzamento dell'Oculus pastoralis (D).
Del tenore della realtà concreta si può invece avere il senso scorrendo
alcuni verbali, sempre redatti dal podestà o dal suo giudice, che a
fianco dei nominativi dei colpevoli riportano il tipo di reato e la
condanna in cui sono incorsi (E). (A) Nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo amen. A onore di Dio onnipotente e della gloriosa
Vergine Maria e di tutti i santi e le sante di Dio e di tutte le magistrature
di governo della città di Pisa e dei capitanei e anziani che secondo
i tempi furono del comune e della città di Pisa e del distretto e dell'onesto
stato dell'esercizio dell'arte notaria. Riguardo l'ammonire i notai Io capitano dei notai della città di Pisa, e del distretto,
giuro sui santi Vangeli di Dio che con attenzione, sollecitamente, ammonirò
e correggerò a proposito di tutte le cose utili che riguardano
l'officio notarile tutti i notai e ciascuno di essi riuniti o raccolti
tra loro in modo che siano fatte e perseguite le cose utili e lecite
e non siano praticate quelle illecite. E se verrò a sapere o
scoprirò che qualche notaio abbia commesso qualcosa contro l'onestà
dell'officio notarile o contro qualche capitolo dello statuto del collegio
dei notai, se è del collegio lo correggerò affinché
desista, e se non desisterà lo chiamerò di fronte al mio
consiglio e in base a ciò che piacerà al detto consiglio
farò.
E sarò anche sollecito e accorto nel ricercare e investigare riguardo
tutti e ciascuno dei notai vagabondi e di dubbia fama sia quelli del
collegio che gli altri che non lo siano, e se ne troverò qualcuno o
mi sarà fatta una qualche denuncia pubblicamente o in segreto mi impegno
sotto giuramento e contro la pena di cento soldi di denari di portare
quella stessa denuncia dinanzi al mio consiglio minore; e mi impegno
a eseguire ciò che mi sarà ordinato dal detto consiglio e se si tratta
di qualcuno del collegio lo ammonirò affinché desista e se non desisterà
provvederò che non sia inscritto nella matricola dei notai né sia ammesso
in qualsiasi ufficio pubblico né in futuro faccia poi di nuovo parte
nel consorzio delle arti notarie. Breve del collegio dei notai della città di Pisa, pp. 765-766
(1305). (B) Poiché l'arte dei notai è tanto
degna di onore e di fiducia che nessuno deve essere ammesso a tale onore
senza essere sufficientemente preparato in grammatica, in scrittura
e nella stesura dei contratti, è stato stabilito e ordinato che nessuno
che abbia fino a quel momento praticato o esercitato un'attività manuale
o un mestiere possa o debba essere accolto nel collegio dei notai, se
non sarà stato in precedenza accuratamente interrogato dai signori consoli
di detta arte o da due di essi o da consiglieri di detta arte o da due
notai per terziere [1],
designati dai detti consoli per l'esame di grammatica e scrittura, e
se non sarà stato approvato e accettato in detta arte con i due terzi
dei voti riportati in uno scrutinio con i bossoli o le pallottole. Se
non sarà giudicato sufficientemente preparato in grammatica e in scrittura
o in una delle due discipline, non venga ammesso alla detta arte. Se
viene accolto nonostante la sua impreparazione, la sua ammissione non
abbia alcun valore legale e sia considerato come non accettato; e se
i suddetti consoli, i consiglieri e i due per terziere, come si è detto,
accoglieranno nel collegio uno che fino a quel momento sia stato artigiano
e non sia sufficientemente preparato in grammatica e in scrittura, ognuno
di essi sia punito e condannato a versare alla detta arte 10 libbre
in denari senesi. E i consoli loro successori siano tenuti per il loro
stesso ufficio e debbano entro il primo mese del loro incarico svolgere
un'indagine accurata e scoprire se i suddetti abbiano accolto nella
detta arte un artigiano non sufficientemente preparato e sulla preparazione
di colui che è stato accolto: se si giudicherà colui che è stato accolto
o coloro che sono stati accolti sufficientemente preparati, bene; in
caso contrario, si annulli l'ammissione e si espella l'interessato o
gli interessati dal collegio. E nondimeno i consoli, i 20 signori e
i due per terziere e chiunque di essi abbia accolto uno impreparato
in grammatica o in scrittura venga punito con la pena suddetta. Questa
disposizione venga scrupolosamente osservata e non possa essere né mutata
né cassata in alcuna parte dal console o dal priore di detta arte o
dagli stessi 20 o da alcun altro dei consiglieri della detta arte.
Statuti senesi dell'arte dei giudici e notai di Siena, pp. 68-69
(1303). [1] Quartiere che comprende grosso modo
un terzo della città. (C) Nel nome del Padre del
Figlio e dello Spirito Santo amen. Essendo sorti dei problemi assai
pericolosi a proposito dei documenti e degli atti dei notai, dato che
esercitavano l'officio notarile molti di cui non era fama né
altrimenti risultava che fossero notai, i sapienti di Bologna, volendo
eliminare i pericoli e risolvere i problemi stabilirono con una disposizione
comune che tutti i notai che volessero esercitare l'officio notarile
venissero registrati in un libro, affinché, seguendo la forma
di questa costituzione, fosse lecito esercitare l'ufficio notarile.
Pertanto io Rolandino de Faxana, costituito a questo officio dal comune
di Bologna, ordinai venissero trascritti i nomi dei sottoscritti notai
per mano di Gerardino di Gisso notaio, costituito a questo stesso officio,
in ossequio alla forma di questa stessa disposizione, nell'anno del
Signore 1219, indizione settima, al tempo del signore Enrico Conte podestà
di Bologna.
Gerardino di Gisso, Pasquale di Saragozza [1]
Pietro Piçolus, Blanco, Iacopo Pistoris, Giovanni Cremonese,
Ventura de Druxiana de Portastere, Bonaguida de Argelle, Alberico di
Pietro di Alberico di San Pietro, Bartolotto de Ponteclo, Gerardo figlio
di Pietro il miniatore, Domenico de Ferraria, Enrico di Argenta, Bernardo
di Scannabicci che fu di Monte Acuto del comitato di Perugia […].
Costoro, che esibirono privilegi e prove, furono trascritti in questo
libro su incarico del signore Rolandino de Faxana per conto del signor
Enrico Conte podestà di Bologna, destinato a questo compito, dopo aver
constatato secondo le regole che essi fossero stati fatti notai, e ordinò
a me, Gerardino notaio di Gisso che li riportassi per scritto. Statuti della società del Popolo di Bologna, FSI 4, pp. 439-441
(1219) [2]. [1] Contrada di Bologna?
[2] Gli esempi proposti sono tratti da
un Frammento della più antica matricola dei notai dall'anno 1219 al
1230, pubblicati in appendice ai già citati statuti. (D) 5. Sulla correttezza della
procedura giudiziaria e dell'ordine dei giudizi.
Lo podestà, ch'è giudicatore, si conviene a tutti dare
benivola udienza e tutte le cose cercare con piena inquisizione, acciò
che della faccenda delle parti sia pienamente illuminato, però
che le quistioni per le pruove delle genti si manifestano. E non deba
il giudice in prima contastare agli liticatori per sentenzia che si
dé dare,se non quando sieno conpiute tutte le cose e che nella
quistione non sia rimaso nulla da proporre d'alcuna delle parti, nulla
d'albitrio o di dimestica volontade seguitando. Anzi tutto giudichi
secondo leggi e come vuole ragione e pronu[n]zi sua sentenzia. E se
ti mostri agevole nell'andare non sofferire esser dispregiato e non
ne avere troppa dimestichezza con veruno né in troppa estoltezza
né in altezza non monti, ma sicuramente vada per lo mezzo della
via.
6. Sulle condanne per i reati e simili.
Anno recato in loro usanza le genti, ciascuno nelle sue contrade e terre
ordinare [gli statuti] per gli loro rettori e per altre spezialmente,
nelle più lievi colpe e nè gravi malifici, e spesse volte
fargli bandire, aciò che l'audacia degli reprobi uomeni si ristringa
e per tormento si spaventi. E deono guardare, chi fa gli statuti, che
niuna cosa più dura o più lieve si metta nello statuto
che richiega la natura della cosa, e le più lievi cose non sieno
troppo lievi e le più gravi non sieno più feroci che ragione
dimandi e senpre sieno gli giudici benigni alle genti. E quelli ordinamenti
delle pene pienamente dei osservare però che contengono giustizia
molto discreta. Però la natura è oggi molto fragile e
però umilmente si deve avere misericordia, ma fa che la sua pena
sia asenpio a tua gente.
7. Riguardo all'ammonizione degli ufficiali.
Prima che il podestà segga a banco per rendere ragione, raguni tutti
li suoi uficiali in sagreto luogo e amuniscagli tutti che nè loro ufici
sieno continovi studiosi e solliciti, avendo senpre a mente il detto
del salmo, che dice: «Giustamente giudicate voi che giudicate
la terra» [1],
e con benignitade odi ogni persona. E guardinsi da tutte rivenderie
e baratterie; per veruno pregio né per veruno merito si corronpano;
né per grazia né per veruna altra cosa non rimanga che non giudichino
e sentenzino secondo vuole ragione. E non si volgano né da diritto né
da sinistro e così giudichino il grande, come il piccolo, acciò vivano
sanza riplensione e virilmente facendo loro uficio. Volgarizzamento dell'Oculus pastoralis, II, 5-7. [1] salmi, II, 10. (E) Questi sono i nomi di coloro
che sono stati messi al bando e non devono essre cancellati da questo
libro se non per volontà del consiglio radunato al suono della
campana:
guglielmo per l'omicidio di Cataneo. […]
guglielmo Beccaro per l'omicidio di Baldezzone e perchè rubò
a lui la borsa; non può essere tolto dal bando se non dopo aver
pagato 50 lire per l'omicidio e 10 lire per il furto. […]
Ogerio Carrera per furto di lenzuola ad Adele; non sarà tolto
dal bando se non dopo aver pagato 20 soldi e dopo che si sarà
accordato con Adele.
Guilacio fratello di Ammazzagrano perché picchiò Marenco
con una pietra facendolo sanguinare; non sarà tolto dal bando
se non avrà pagato 20 soldi. E stato cancellato dal consiglio
perché ha pagato 20 soldi. […]
I nomi di coloro che hanno commesso furti sono i seguenti: Aifredo di
Asti commise furto nella chiesa di Pollenzo; Baldezzone di Mombazono
e Foaceto commisero furto nella bottega di Mezzopiede. […] Questi
sono posti al bando e resteranno fino a quando dimostreranno di essere
stati assolti dei furti e intanto non coprano uffici pubblici né vengano
accolti come testimoni. Questi sono i nomi di coloro che sono stati posti al bando durante
la podestaria di Guglielmo Burro:
[…] Poiché Guglielmo, figlio di conte di Roddi, era accusato
di aver giocato a dadi nella chiesa di S. Nicola e non aveva voluto
prestare un pegno né comparire davanti al podestà è
posto al bando da cui non potrà uscire se non avrà pagato
100 soldi;
poiché Bastardo Ottone di Piobesi commise un furto per 30 e più
soldi e se ne ebbero le prove, sia chiamato infame e sia rimosso da
ogni incarico né si creda a ciò che dice né sia
accolto come testimone; poiché Ottone di Clavesana ricettò
due maiali che erano stati rubati a Ottone Boverio, sia posto in bando
da cui non può uscire se non avrà pagato 100 soldi;
poiché Giordano di Monsordo confessò di aver commesso
il furto dei due maiali di cui sopra sia posto al bando da cui non può
uscire se non avrà pagato 25 lire;
poiché Alberto Bocca di Asti non volle custodire la porta di S. Biagio
come gli era stato comandato dal podestà, sia posto al bando da cui
non può uscire se non avrà pagato 10 soldi. Nomi dei banniti al tempo del podestà Galvagno Grasselli:
[…] Bastardo di Nova perché ferì con un coltello
un ragazzo e lo fece sanguinare e citato più volte non venne
davanti al podestà; non ne esca se non avrà pagato 25
lire;
Il podestà mise al bando Alberto Rolando perché aveva rubato una zappa
a Guiliero Brailardo, non ne esca se non avrà pagato 12 lire e mezza.
Nomi dei banniti al tempo del podestà Ugo del Carretto:
[…] Armellina, perché ospitò la prostituta Galiana;
non ne sia prosciolta se non avrà pagato 20 soldi;
[…] Malono, al bando per 3 soldi perché bestemmiò;
[…] Ottone Presbitero che abita nel borgo, perché fu sorpreso
a tagliare legna altrui; non ne esca se non avrà pagato 2 soldi;
[…] Guglielma di S. Giovanni, al bando per 2 soldi perché gettò acqua sporca sulla strada. Cancellata perché pagò la multa. Rigesto del comune di Alba, 188-191 (ca. 1215-1217).
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