Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
10. Teocrazia papale e monarchie nazionali (A) Lucio III, “Ad abolendam”
(1184), PL 201, n. 171. (B) Innocenzo III, “Licet
ecclesiarum praelatis” (1199), PL 214, II, 142. (C) Cesario di Heisterbach, Dialoghi
dei miracoli, V, 21. (D) Gregorio IX, “Excommunicamus”
(1231), RP 9/1 n. 539. (E) Innocenzo IV, “Lacrimabilem
Iudeorum” (1247), ES 2, n. 409.
Circa un anno dopo la stia elezione al papato (24 dicembre 1294) Bonifacio
VIII, della famiglia Caetani, si trovò a muovere ripetutamente
le proprie rimostranze contro il re di Francia, Filippo IV il Bello
(1285-1314) che aveva tassato il clero senza previo consenso pontificio
e elle, a seguito della protesta del papa, aveva vietato l'esportazione
di metalli preziosi e valuta, bloccando tutte le rendite che il papato
traeva dalla Francia. Le rimostranze papali, affidate principalmente
alla bolla Clericis laicos e alla lettera Ineffabilis
amor – entrambe dei 1296, delle quali riportiamo qui alcuni stralci
(A, B)
– diedero l'avvio ad una pubblicistica che rimetteva in discussione
i rapporti tra potere laico e potere ecclesiastico nell'ambito della
società cristiana. Per qualche tempo però il contenzioso
mantenne le proporzioni di un incidente senza esiti particolari e già
nel 1297 il papato ristabiliva buone relazioni con la Francia. Nel periodo
immediatamente successivo li potere di Bonifacio VIII parve consolidarsi
sia per l'annientamento della opposizione personale e politica condotta
dalla potente famiglia romano-laziale dei Colonna – in proposito riportiamo
qui la pagina della distruzione di Palestrina come ci è narrata
nella Nuova Cronaca di Giovanni Villani (C)
– sia soprattutto per l'inattesa verifica del prestigio della sede apostolica,
la cui autorità religiosa trovò uno spontaneo riconoscimento
nel movimento di pellegrinaggio verso Roma che fu poi coordinato nel
giubileo del 1300, come ci narra il cardinale Stefaneschi nel suo
De centesimo seu jubileo liber (D).
Proprio mentre mostrava di avere tanta presa sulle folle, l'autorità
dei papato entrava però in conflitto con gli interessi di un
potere politico più consapevole e spregiudicato, quale si andava
manifestando allora nei regni. Così la riapertura dei conflitto
dei papato con la Francia metteva duramente a confronto l'universalismo
teocratico papale – elaborato nel secoli e ora riproposto con la bolla
Ausculta fili dei 5 dicembre 1301 – ed il dualismo giurisdizionale laico,
ora supportato da espressioni di solidarietà nazionale come quelle
emerse nella assemblea generale degli stati che, convocata da Filippo
nell'aprile 1302, faceva propria la causa dei re contro il papa. In
questa luce la bolla Unam sanctam dei 18 novembre 1302 (E),
pur non innovando nulla nelle teorie ierocratiche, traeva una sua eccezionale
importanza proprio dal contesto in cui nasceva e dalla violentissima
opposizione che fu in grado di suscitare: una assemblea del regno di
Francia, infatti, si schierò nuovamente dalla parte del re manifestando
questa volta la volontà che venisse convocato un concilio per
deporre il papa. E sempre in questa luce gli eventi che tennero dietro
a tale decisione – il tentativo di catturare il papa, lo “schiaffo”
di Anagni, la morte del papa stesso, qui riportati attraverso la già
citata Nuova cronica (F) – pur nella loro
straordinaria risonanza emozionale si pongono più che altro come
la visualizzazione drammatica dell'instaurarsi di nuovi rapporti di
forza. (A) L'antichità ci insegna
che i laici furono ostili ai chierici [1].
Fatto che l'esperienza dei tempo presente ci attesta con evidenza, quando
li si vede non contenti dell'ambito che è loro proprio, sconfinare
illecitamente su terreni che sono loro vietati, senza avere la prudenza
di state attenti che, sui chierici e sulle persone ed i beni della chiesa,
è loro interdetta ogni forma di potere. Essi impongono pesanti
tasse ai prelati ed agli ecclesiastici secolari e regolari. […]
Si adoperano in ogni maniera a ridurli in stato di servitù e
ad assoggettarli al loro dominio. Bonifacio VIII, “Clericis laicos” (1296), RP
9/1, n. 1567 [1] La bolla aveva carattere di norma
generale, ma indubbiamente rispondeva alle proteste mosse (la una parte
del clero francese, guidate dai monaci cisterciensi, contro l'imposizione
di nuove tasse, decise all'inizio del 1296. (B) Al re di Francia […].
L'anima di un così gran re non dovrebbe, figlio mio [1],
lasciarsi andare a tali decisioni; non si addice alla prudenza della
tua sublimità lasciarsi andare ai consigli degli empi, che ti
incalzano per farti deviare e si impadroniscono della tua confidenza
per perderti. Non è stato né giusto né opportuno
prendere in considerazione questo divieto che, con novità inaudita
ed illegale, impedisce agli stranieri l'accesso al regno per farvi commercio
e per compiervi tutti quegli atti leciti che un normale regime autorizza.
Chiudendo le tue frontiere tu procurerai a molti, ed anche al tuoi stessi
sudditi, una perdita ed un danno non irrilevanti. […] E se, che
Dio non voglia!, era nelle tue intenzioni di comprendere nel tuo divieto
anche noi, i vescovi tuoi fratelli, le persone della chiesa, le chiese
stesse, le nostre rendite e le loro – non solo del tuo regno ma di ogni
parte – questa non sarebbe stata solo imprudenza, ma sarebbe la follia
di estendere mani sacrileghe su cose che non appartengono a te né
ad alcun altro principe secolare. E, forse ancora peggiore, attentare
temerariamente in tal modo alla nostra libertà, ti farebbe cadere
sotto i colpi della sentenza di scomunica previsti dai canoni. Bonifacio VIII, “Ineffabilis amor” (1296), RP
9/1 n. 1653. [1] In questo caso il destinatario è
il re di Francia, Filippo IV il Bello, che il 18 agosto 1296 aveva disposto
il blocco delle frontiere. (C) Nel detto anno [1]
del mese di settembre, essendo trattato d'accordo da papa Bonifazio
a 'Colonnesi, i detti Colonnesi, cherici e laici, vennero a Rieti ov'era
la corte, e gittarsi a piè del detto papa a la misericordia,
il quale perdonò loro, e assolvetteli della scomunicazione, e
volle gli rendessero la città di Penestrino; e così feciono,
promettendo loro di ristituirgli in loro stato e dignità, la
qual cosa non attenne loro, ma fece disfare la detta città di
Penestrino dei poggio e fortezze ov'era, e fecene rifare una terra al
piano, a la quale puose nome Civita Papale; e tutto questo trattato
falso e frodolente fece il papa per consiglio dei conte da Montefeltro
[2] allora frate minore,
ove gli disse la mala parola: «Lunga promessa coll'attendere corto
etc.» I detti Colonnesi trovandosi ingannati di ciò ch'era
loro promesso. e disfatta sotto il detto inganno la nobile fortezza
di Penestrino, innanzi che compiesse l'anno si ribellarono dal papa
e da la Chiesa, e 'l papa gli scomunicò da capo con aspri processi;
e per tema di non esser presi o morti, per la persecuzione dei detto
papa, si partirono di terra di Roma, e isparsonsi chi di loro in Cicilia,
e chi in Francia, e in altre parti, nascondendosi di luogo in luogo
per non esser conosciuti, e di non dare di loro posta ferma, spezialmente
messer Iacopo e messer Piero ch'erano stati cardinali; e così
stettono in esilio io mentre re vivette il detto papa [3]. Giovanni Villani, Nuova Cronica, IX, 23. [1] Il 1297. Iniziata per
un conflitto di politica patrimoniale tra Caetani e Colonna l'ostilità
tra Bonifacio VIII e la famiglia romana si era complicata per l'avvicinamento
dei Colonna agli spirituali francescani ed agli Aragonesi. ed il 23
maggio 1297 i cardinali Giacomo e Pietro, nipote di Giacomo, erano stati
proclamati eretici e scismatici per aver dichiarata illegittima l'abdicazione
e di Celestino V.
[2] Guido da Montefeltro, il
cui intervento sulla vicenda di Palestrina è narrato nel canto
XXVII dell'Inferno dantesco.
[3] Nel 1298 Giacomo, Pietro e altri colonnesi
si rifugiarono in località imprecisate. Mancano testimonianze
sicure sulla loro attività negli anni di Bonifacio VIII. Rientrati
a Roma, Giacomo e Pietro furono liberati dalle censure ecclesiastiche
nel 1303 e reintegrati nel cardinalato nel 1305/6. (D) Nutrivamo una fede dubbiosa
e quasi priva di ogni credibilità intorno al prossimo centesimo
anno che come 1300 era alle porte. Era giunta al pontefice romano la
voce che così grande era la forza di quell'anno da promettere,
a chi si fosse diretto alla basilica di Pietro principe degli apostoli,
di avere in sorte la piena cancellazione di tutte le colpe.
Quindi il pio padre ordinò che fossero consultati gli avvertimenti
degli antichi libri. Non venne per essi in luce appieno ciò che
si cercava: forse perché non si trovava alcuna traccia per i
libri andati perduti per la negligenza dei padri (se è lecito
toccare la loro fama) o per il turbine degli scismi e delle guerre che
aveva squassato troppo spesso Roma (il che più che meraviglia
deve muovere il pianto), la cosa era più opinione che verità,
frattanto, mentre nel patriarcato Lateranense [1]
sedeva lo stesso Pontefice, nasce il centesimo […].
È cosa mirabile: quasi per tutta la giornata del primo gennaio
rimase come occulto il segreto di quella perdonanza. Ma calando la sera
il sole, e fino quasi al silenzio della notte fonda, svelatosi in breve
quel mistero ai Romani, questi si affrettano a frotte alla santa basilica
di Pietro, calcandosi si affollano all'altare, l'un l'altro si ostacolano,
sicché era difficile avvicinarsi, come se col finire di quel
giorno stimassero che il termine della grazia finisse, o almeno della
maggiore. Che vi si fossero recati o perché li muovesse una qualche
predica fatta nella basilica al mattino sul centesimo o Giubileo o di
loro volontà o attirati da un segno celeste, il che è
più credibile, che ricordasse il passato e avvenisse dei futuro,
non possiamo dire […].
Dopo questi inizi, sempre più la fede e il pellegrinaggio dei
cittadini e dei forestieri aumentò. Certuni affermavano che nel
primo giorno dei centesimo si cancella la macchia di tutte le colpe,
nei rimanenti che vi fosse una indulgenza di cento anni; e così,
per quasi due mesi conservavano ambe le speranze insieme col dubbio,
per quanto accorressero numerosi e, nel giorno che a tutto il mondo
viene mostrata la venerabile immagine che si suol chiamare Sudario o
Veronica [2], assai più
del solito, in turbe fitte. Così quelli. Ma il promotore nostro
Bonifacio VIII, sommo pontefice della sacrosanta chiesa, siccome era
vigile d'indole e pieno di solerzia, conservava e raccoglieva tutto
nel suo cuore, e, col fatto della sua presenza mentre non proibiva quell'affollarsi,
mostrava che era accetto e confermava il voto dei venienti. Né
mancò tiri testimonio vivente dei passato, che alla presenza
dello stesso pontefice, dichiarando essere trascorsi 107 anni dal suo
pellegrinaggio precedente, aggiungeva di ricordare che il padre nell'altro
centesimo era rimasto a Roma per l'indulgenza finché bastò
quel rustico cibo che aveva portato con sé: il padre gli aveva
detto che, se gli fosse capitato in sorte, cosa che non credeva, non
si rifiutasse per pigrizia di essere presente a Roma nel centesimo venturo.
Disse a noi che lo interrogavamo le stesse cose; che anzi dichiarò
che in ciascun giorno di quell'anno stesso si poteva lucrare l'indulgenza
di cento anni, per la quale era venuto appunto pellegrino. Ma che a
Roma vi fosse piena cancellazione delle colpe si era divulgato nella
Gallia: ci fu detto che vi erano ancora due della diocesi di Beauvais
di età sufficiente per ricordare e vi erano pure parecchi italiani
che ricordavano. Si pensava opportuno il pellegrinaggio alla Basilica
del Principe degli apostoli per tre giorni a chi voleva godere dell'antico
perdono del centesimo. Ma come abbiamo già accennato la fama,
perché molteplice, su queste indulgenze era incerta. Iacopo Caetani Stefaneschi, Libro dei cento anni ovvero del giubileo,
pp. 14, 23-24. [1] Il palazzo del Laterano,
detto episcopio o patriarchio in quanto sede originaria dei vescovo
(patriarca) di Roma.
[2] Da vera icona. Secondo la leggenda
la tela con la quale una donna avrebbe deterso il volto di Cristo che
si avviava al Calvario, ottenendo così che l'impronta del volto
restasse fissata sulla tela. (E) Che ci sia una ed una sola
Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica noi siamo costretti a credere ed
a professare, spingendoci a ciò la nostra fede, e noi questo
crediamo fermamente e con semplicità professiamo, ed anche che
non ci sia salvezza e remissione dei nostri peccati fuori di lei – come
lo sposo proclama nel Cantico: Unica è la mia colomba, la
mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice
[1], lei che
rappresenta un corpo mistico, il cui capo è Cristo, e il capo
di Cristo è Dio, e in essa c'è un solo Signore, una
vola fede, un solo battesimo. Al tempo dei diluvio invero una sola
fu l'arca di Noè, raffigurante l'unica Chiesa; era stata costruita
da un solo braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia
Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era
distrutta. Questa Chiesa noi veneriamo, e questa sola, come dice il
Signore per mezzo del Profeta: Libera o Signore, la mia anima dalla
lancia e dal furore del cane, l'unica mia [2].
Egli pregava per l'anima, cioè per la testa – Se stesso – e per
il corpo nello stesso tempo il quale corpo precisamente Egli chiamava
la sua sola e unica Chiesa, a causa della unità di promessa di
fede, sacramenti e carità della Chiesa, ossia la veste senza
cuciture del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte [3].
Perciò in questa unica e sola Chiesa ci sono un solo corpo ed
una sola testa: non due, come se fosse un mostro, cioè Cristo
e Pietro, vicario di Cristo, e il successore di Pietro; perché
il Signore disse a Pietro: Pasci il mio gregge [4].
Il mio gregge, Egli disse, parlando in generale e non in particolare
di questo o quel gregge; così è ben chiaro, che Egli gli
affidò tutto il suo gregge. Se perciò i Greci [5]
od altri affermano di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori,
essi confessano di conseguenza di non essere del gregge di Cristo, perché
il Signore dice in Giovanni e che c'è un solo ovile, un solo
e unico pastore.
Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo
potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale,
perché, quando gli apostoli dissero: Ecco qui due spade
[6] – che significa
nella Chiesa, dato che erano gli apostoli a parlare – il Signore non
rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la
spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole
del Signore, quando dice: Rimetti la tua spada nel fodero
[7]. Quindi ambedue
sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale;
una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l'altra dalla Chiesa,
la seconda dal clero, la prima dalla mano di re o cavalieri, ma secondo
il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario
che una spada dipenda dall'altra e che l'autorità temporale sia
soggetta a quella spirituale. Perché quando l'Apostolo dice:
Non c'è potere che non venga da Dio e quelli che sono, sono
disposti da Dio [8]
essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all'altra,
e, come inferiore, non fosse dall'altra ricondotta a nobilissime imprese.
Poiché secondo san Dionigi è legge divina che l'inferiore
sia ricondotto per l'intermedio al superiore [9].
Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari immediatamente,
secondo la legge dell'universo, ma le infime attraverso le intermedie
e le inferiori attraverso le superiori. Ma è necessario che chiaramente
affermiamo che il potere spirituale è superiore ad ogni potere
terreno in dignità e nobiltà, come le cose spirituali
sono superiori a quelle temporali. Il che, invero, noi possiamo chiaramente
constatare con i nostri occhi dal versamento delle decime dalla benedizione
e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall'esercitare
il governo sopra le esime poiché, e la verità ne è
testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere
terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si
avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa:
Ecco, oggi lo ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni
ecc. [10].
Perciò se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello
spirituale; se N potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato
dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà
essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini; del che fa testimonianza
l'Apostolo: L'uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso
non è giudicato da alcun uomo [11],
perché questa autorità, benché data agli uomini
ed esercitata dagli uomini non è umana, ma senz'altro divina,
essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e resa inconcussa come
roccia per lui ed i suoi successori, in colui che egli confessò,
poiché il Signore disse allo stesso Pietro: Qualunque cosa
tu legherai ecc. [12].
Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si
oppone ai comandi di Dio, a meno che non pretenda, come i Manichei [13]
che ci sono due principii; il che noi affermiamo falso ed eretico, poiché
– come dice Mosè – non nei principii ma nel principio Dio creò
il cielo e la terra! [14]
Quindi noi dichiariamo, stabiliamo definiamo ed affermiamo che è
assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che
essa sia sottomessa al Pontefice di Roma. Bonifacio VIII, “Unam Sanctam” (1302), RP 9/3,
n. 5382. [1] Cant. 6, 9. Efg
4, S.
[2] Sal. 22, 21.
[3] Cfr. Giov. 19,
23.
[4] Giov. 21, 15.
[5] Allusione allo scisma bizantino.
[6] Lc. 22, 36.
[7] Mt. 26, 52.
[8] Rom. 13, 1.
[9] Dionigi l'Aeropagita: pseudonimo
sotto il quale sono stati tramandati una serie di scritti mistico-dogmatici
(tra i quali De coelesti hierarchia e De ecclesiastica
hierarchia) ove si parla dell'ordinamento celeste e di quello ecclesiale.
L'esistenza di questi scritti è attestata già nel VI secolo
d.C.
[10] Ger. 1, 10.
[11] Cor. 2, 15.
[12] Mt. 16, 19.
[13] Seguaci della religione
di Mani (217-277) basata sull'opposizione di due principi.
[14] Gen. 1, 1. (F) Dopo la detta discordia nata tra
papa Bonifazio e il re Filippo di Francia ciascuno di loro procacciò
d'abattere l'uno l'altro per ogni via e modo che potesse: il papa d'agravare
il re di Francia di scomuniche e altri processi per privarlo dei reame;
e con questo favorava A Fiamminghi suoi ribelli, e tenea trattato col
re Alberto della Magna, e studiandolo che passasse a Roma per la benedizione
imperiale [1] e per fare
levare il regno al re Carlo suo consorto [2]
e al re di Francia fare muovere a' confini di suo reame da la parte
d'Alamagna, Lo re di Francia da l'altra parte non dormia ma con grande
sollecitudine, e consiglio di Stefano della Colonna [3]
e daltri savi Italiani e di suo reame, mandò uno messer Guiglielmo
di Lungreto di Proenza [4]
savio cherico e sottile, con messer Musciatto de'Franzesi [5]
in Toscana, forniti di molti danari contanti, e a ricevere da la compagnia
de' Peruzzi, allora suoi mercatanti, quanti danari bisognasse, non sappiendo
eglino perché. E arrivati al castello di Staggia, ch'era del
detto messere Musciatto ivi stettono più tempo, mandando ambasciadori,
e messi, e lettere, e faccendo venire le genti a loro di sagreto, faccendo
intendente al palese che v'erano per trattare accordo dal papa al re
di Francia, e perciò aveano la detta moneta recata: e sotto questo
colore menarono il trattato segreto di fare pigliare in Anagna papa
Bonifazio, ispendendone molta moneta, corrompendo i baroni del paese
e 'cittadini d'Anagna; e come fu trattato venne fatto: che essendo papa
Bonifazio co' suoi cardinali e con tutta la corte ne la città
d'Anagna in Campagna, ond'era nato e in casa sua, non pensando né
sentendo questo trattato, né prendendosi guardia, e s'alcuna
cosa ne sentì, per suo grande cuore il mise a non calere, o forse,
come piacque a Dio, per gli suoi grandi peccati, del mese di settembre
MCCCIII, Sciarra della Colonna [6]
con genti a cavallo in numero di CCC, e a pié di sua amistà
assai, soldata de' danari dei re di Francia, colla forza de' signori
da Ceccano, e da Supino, e d'altri baroni di Campagna, e de' figliuoli
di messer Maffio d'Anagna, e dissesi co l'assento dalcuno de' cardinali
che teneano al trattato, e una mattina per tempo entrò in Anagna
colle insegne e bandiere dei re di Francia, gridando: «Muoia papa
Bonifazio, e viva il re di Francia!»; e corsono la terra sanza
contasto niuno, anzi quasi tutto lo 'ngrato popolo d'Anagna seguì
le bandiere e la rubellazione e giunti al palazzo papale, sanza riparo
vi saliro e preso lo palazzo, però che 'l presente assalto fu
improvviso al papa e a' suoi, e non prendeano guardia. Papa Bonifazio
sentendo il romore, e veggendosi abandonato da tutti i cardinali, fuggiti
e nascosti per paura o chi da mala parte, e quasi da' più de'
suoi famigliari, e veggendo che' suoi nimici aveano presa la terra e
il palazzo ove egli era, si scusò morto, ma come magnanimo e
valente disse: «Da che per tradimento come Gesù Cristo,
voglio esser preso e mi conviene morire, almeno voglio morire come papa»;
e di presente si fece parare dall'amanto di san Piero, e colla corona
di Costantino in capo, e colle chiavi e croce in mano, in su la sedia
papale si puose a sedere. E giunto a lui Sciarra e gli altri suoi nimici,
con villane parole lo scherniro, e arrestarono [7]
lui e la stia famiglia elle co' lui erano rimasi: intra gli altri lo
schernì messer Guigliemo di Lunghereto, che per lo re di Francia
avea menato il trattato, dond'era preso, e minacciollo di menarlo legato
a Leone sopra Rodano, e quivi in generale concilio il farebbe disporre
e condannare. Il magnanimo papa gli rispuose ch'era contento d'essere
condannato e disposto per gli paterini [8]
com'era egli, e 'l padre e la madre arsi per paterini; onde messer Guiglielmo
rimase confuso e vergognato. Ma poi, come piacque a Dio, per conservare
la santa dignità papale, niuno ebbe ardire o non piacque loro
di porgli mano adosso, ma lasciarlo parato sotto cortese guardia, e
intesono a rubare il tesoro del papa e della Chiesa. In questo dolore,
vergogna e tormento istette il valente papa Bonifazio preso per gli
suoi nimici per III dí; ma come Cristo al terzo dí risuscitò,
così piacque a lui che papa Bonifazio fosse dilibero, che sanza
priego o altro procaccio, se non per opera divina, il popolo d'Anagna
raveduti dei loro errore, e usciti de la loro cieca ingratitudine, subitamente
si levarono a l'arme gridando: «Viva il papa, e muoiano i traditori!»;
e correndo la terra ne cacciarono Sciarra della Colonna e' suoi seguaci,
con danno di loro di presi e de' morti, e liberato il papa e sua famiglia.
Papa Bonifazio vedendosi libero e cacciati i suoi nimici, per ciò
non si rallegrò niente, però chavea conceputo e addurato
nell'animo il dolore della sua aversità: incontanente si partì
d'Anagna con tutta la corte, e venne a Roma a Santo Pietro per fare
concilio, con intendimento di sua offesa e di santa Chiesa fare grandissima
vendetta contra il re di Francia, e chi offeso l'avea; ma come piacque
a Dio, il dolore impetrato nel cuore di papa Bonifazio per la 'ngiuria
ricevuta gli surse, giunto in Roma, diversa malatia, che tutto si rodea
come rabbioso, e in questo stato passò di questa vita e dì
XII d'ottobre, gli anni di Cristo MCCCIII e nella chiesa di San Piero
a l'entrare delle porte, in una ricca cappella fattasi fare a sua vita,
onorevolmente fue soppellito. Giovanni Villani, Nuova Cronica, IX, 63. [1] Dopo che il conflitto
con la Francia si era fatto più acuto Bonifacio con bolla dei
3 aprile 1203, riconobbe come re dei Romani e futuro imperatore il re
di Germania, Alberto d'Austria da lui fino ad allora osteggiato.
[2] Il re di Napoli Carlo II
d'Angiò (1285-1309), i cui rapporti con il papa si erano deteriorati
[cfr. E)].
[3] Stefano il Vecchio (m. 1348/50),
con i fratelli Pietro e Sciarra e con lo zio Giacomo, fu il massimo
esponente della ribellione colonnese a Bonifacio VIII.
[4] Guglielmo Nogaret, giureconsulto,
cancelliere di Filippo il Bello.
[5] Mercante fiorentino divenuto
poi consigliere di Carlo di Valois e quindi del re di Francia, proprietario
del castello di Staggia in Val d'Elsa.
[6] Fratello del cardinale Pietro
e di Stefano il Vecchio.
[7] L'episodio è ricordato
da Dante, Purgatorio XX, 86-90.
[8] Eretici.
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