Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
4. Le aspirazioni religiose dei laici: fenomeni di integrazione e
contrasto con la chiesa cattolica (A) Marbodo di Rennes, Lettere,
PL 171, 6. (B) Evervino di Steinfeld, Lettera
a san Bemardo, PL 182, coll. 677-678. (C) Cronaca universale dell'anonimo
di Laon, SS 26, anni 1173, 1177-1178. (D) Ranieri Sacconi, Somma sui
Catari e i Poveri di Lione, pp. 64-65, 77-78.
Il modello pauperistico e comunitario della predicazione apostolica
e della chiesa primitiva costituiva uno dei principali riferimenti per
le aspirazioni religiose dei laici, in un rapporto talvolta conflittuale
con gli organismi ecclesiali. Certo non mancavano, nella chiesa, moti
di rinnovamento evangelico che coinvolgessero anche il mondo laicale,
come si è visto per Hirsau e Prémontré [cfr. paragrafo
1] e come può scorgersi nelle vicende del canonico Roberto d'Arbrissel
(m. 1117), cui il vescovo Marbodo di Rennes, con una vivacissima lettera
di cui riportiamo alcuni stralci (A),
rimproverava lo sfrenato ed indiscriminato proselitismo tra i laici.
Tuttavia, come ci si allontana dall'età gregoriana, mentre persistevano
tra i laici istanze pauperistiche ed evangeliche che nelle intenzioni
si ponevano sempre all'interno della cattolicità – è il
caso degli esordi valdesi come ci vengono presentati nel Chronicon
universale dell'anonimo di Laon (C)
– si sviluppavano anche, in complicati tessuti dottrinali, dimensioni
di forte conflittualità che investivano, con la chiesa gerarchica,
il complesso di dottrine di cui essa era portatrice. Esemplare in questo
senso è il caso di un gruppo, che si ispirava alla vita apostolica,
i cui esponenti furono bruciati a Colonia nel 1144 come eretici, secondo
la testimonianza coeva offertaci dai canonico Evervino di Steinfeld
in una lettera a Bernardo di Clairvaux (B).
Non è possibile in questa sede nemmeno accennare ai problemi
dei movimenti ereticali del XII e XIII secolo, né alla relativa
discussione storiografica, che oscilla tra una interpretazione di questi
movimenti come prosecuzione ideale eli disattese istanze riformatrici
ed una interpretazione che attribuisce loro una nascita essenzialmente
dottrinale, sostanzialmente esterna ai problemi a lungo dibattuti nella
cristianità latina. Qui, sotto un profilo esclusivamente ecclesiologico
si vuole solo mettere in evidenza come la preoccupazione nei confronti
dei sistemi alternativi costituiti dalle eresie abbia rappresentato
uno dei problemi centrali della cattolicità dal XII al XIV secolo:
non stupisce dunque che le dottrine ereticali divenissero, da parte
cattolica, oggetto di Summae – come quella del domenicano
Ranieri Sacconi (D) – che intendevano
offrire alla chiesa cattolica, attraverso la conoscenza, la possibilità
di una immediata individuazione e quindi di una precoce repressione
nei confronti di quelle dottrine. (A) Il minimo dei vescovi a
Roberto [1], servo
di Dio.
[…] Molti ritengono, non a torto, di doverti rimproverare l'ostentazione
eccessiva di vesti cenciose, che non sembrano convenire alla professione
canonicale, che hai abbracciato, né all'ordine sacerdotale, al
quale sei stato elevato. Le singole professioni ed i singoli ordini
si distinguono per un abito appropriato e conveniente: se questa distinzione
viene alterata, ne risulta turbato il giudizio della gente. La persona
equilibrata non reca turbamento ai pubblici costumi, non va in cerca
di stranezze per attirare su di sé l'attenzione del popolo. […]
Facciamo attenzione che questi atteggiamenti, che vogliono suscitare
ammirazione, non risultino ridicoli e scandalosi. Anche in un abito
modesto ed umile, perciò, dobbiamo sempre tenere a guida il buon
senso e le consuetudini vigenti, e non discostarci dalla moderazione.
Una cosa è procedere ornati di una splendida veste, altra è
coprire le parti sconvenienti del corpo: questo attiene alla decenza,
quello alla vanità. Allo stesso modo c'è una bella differenza
tra un abito modesto ed uno sudicio; o peggio sudicio e lacero. Il primo
ben si confà alla vita santa ed alla modestia, il secondo è
piuttosto indizio di stoltezza e di mancanza di equilibrio. Perché,
se desiderare la raffinatezza è amore del lusso, rifiutare ciò
che si trova ovunque con poca spesa è demenza. La veste non sia
splendida, ma neppure squallida. È molto più lodevole
essere umile in panni di seta che superbo in cenci. […] Perché dunque questo abito cadente, fino a scoprire la carne
macerata dal cilicio, questo berretto tutto a buchi, e le braccia seminude,
e la barba incolta, i capelli rasati fino alla fronte? Perché
a piedi nudi tra la gente? Perché offrire un tale spettacolo
di stravaganza, che chi ti veda dica di te: «Gli manca la clava
e sarebbe vestito come un abitante della luna»? Tutto questo
ti ottiene non tanto autorità verso i semplici, come vai dicendo,
quanto sospetto di pazzia tra le persone colte. E infatti, se comparissi
improvvisamente davanti a qualcuno, che cosa c'è in te di umano
per cui non sia costretto a chiedere: «Dov'è l'uomo»?
Torna dunque al buon senso, te ne prego, e non pretendere di diventare
un caso unico di santità, al di fuori di ogni modello […].
E non è tutto. Nei tuoi sermoni, con i quali sei solito ammaestrare
le folle popolari e gli indotti, tu non ti limiti a biasimare, come
è giusto, i vizi dei presenti, ma, e questo non è bene,
elenchi, riprendi, metti sotto accusa anche i crimini degli assenti,
e non solo degli ordini ecclesiastici ma anche delle autorità
[2]. È, mi
sembra, come mescolare l'antidoto al veleno, o come se da una stessa
polla, contro l'ordine naturale delle cose, come dice l'apostolo
Giacomo sgorgasse insieme acqua dolce ed amara [3].
Questo non è predicare ma denigrare. Quale utilità possa
avere la critica in assenza delle persone, quale frutto spirituale ne
possa venire, io proprio non lo vedo. Anzi, ad ascoltatori ignoranti
sembra quasi che tu dia in un certo modo licenza di peccare, quando
proponi loro esempi di superiori, della cui autorità possano
farsi scudo. Questa è infatti la condizione dei superiori, che
tutto quanto sia interpretato come una norma obbligatoria di vita. Gli
assenti d'altra parte, da queste tue critiche, sono provocati più
allo sdegno e alla lamentela che all'emendarsi. Ma forse proprio questo
a te fa gioco: che mentre nell'opinione del volgo l'ordine ecclesiastico
viene disprezzato, tu solo, con i tuoi, siate tenuti in conto. Coloro
che interpretano in tal senso il tuo comportamento non mancano. Ma questa
astuzia riecheggia l'uomo vecchio, è terrena, è animale
è diabolica. Non è degna della tua scelta di vita, non
è degna di questa tua missione, non è degna di queste
umili vesti. E se anche negherai di avere questo scopo, non potrai negare
di avere ottenuto questo risultato. Vediamo dei poveri preti abbandonati
dai loro greggi i quali, giudicandoli indegni, non si affidano più
loro, non si raccomandano più alle loro orazioni, non accettano
le penitenze, non pagano le decime e le primizie: tutti costoro lamentano
di essere stati condannati dal tuo pregiudizio. Vediamo le folle accorrere
da ogni parte verso di te, tributare a te e al tuoi onori, che dovrebbero
ai propri pastori. Li spinge, è chiaro, non l'amore della religione,
ma quel sentimento che è connaturato al popolo: la curiosità,
il desiderio di novità. Infatti la loro vita non ne risulta migliorata.
Così il danno altrui si risolve in vantaggio per te.
E come si può giustificare quest'altro fatto: che tutti quelli
che alle tue prediche, tutt'a un tratto, si mostrano pentiti di qualsiasi
condizione, di qualsiasi età, maschi e femmine, senza distinzione
tu li accogli e subito, senza averli provati, li spingi ad abbracciare
lo stato religioso? […] Accade così che i più ricadano
nella vita passata, e incorrano in una duplice dannazione, perché
tu, in seguito, noti ti prendi cura di loro, non li vincoli con una
regola [4], ma li lasci
ognuno al proprio arbitrio: o che ti accontenti che essi invochino il
tuo nome o che, bramoso di nuovi acquisti, li dispiaccia di perdere
tempo ad occuparti eli chi hai già acquisito. Affermi infatti
– così dicono – che a te basta se riesci ad impedire loro di
peccare anche per una sola notte. […] E il numero dei tuoi proseliti
è così grande che li vediamo sbandarsi per le province
come greggi: coperti di ruvide vesti; inconfondibili per i capelli lunghi,
come i barbari; a piedi nudi nelle città e nei villaggi, mentre,
a quanto si dice, nelle campagne portano le scarpe. Se si chiede loro
un perché, rispondono che sono uomini dei Maestro, e non dicono
di quale, così che l'indeterminatezza della risposta dica tutta
la tua eccellenza. E davvero non c'è dubbio che essi sono uomini
e che secondo l'uomo procedono; fila voglia il cielo che tu non sia
stato loro maestro in questo, nell'agire e nel parlare come sa il mondo.
Meglio infatti che le loro colpe siano imputate alla tua negligenza,
che confortate dalla tua autorità. Marbodo di Rennes, Lettere, PL 171, 6. [1] La lettera risale agli anni
1098-1100. Prima di divenire vescovo, il mittente, Marbodo, era stato
rettore della scuola capitolare di Angers che Roberto – già prete
ad Arbrissel e a Rennes – aveva frequentato dal 1093 al 1095. Lasciati
gli studi Roberto si era recato nella foresta di Craon (tra Angiò
e Bretagna) dove aveva fondato una congregazione di canonici regolari,
poi abbandonata per una vita di predicazione itinerante che è
qui oggetto dei rimproveri di Marbodo.
[2] Uno dei capi d'accusa mossi
da Marbodo a Roberto riguarda le critiche che questi muoveva – ancora
nel clima della riforma gregoriana – alle autorità ecclesiastiche
e secolari. Prima dei suo soggiorno ad Angers Roberto si era impegnato
nella diocesi di Rennes contro il clero simoniaco e concubinario.
[3] Giac. 3, 14.
[4] In seguito, nel 1101 Roberto avrebbe
fondato il monastero doppio (maschile e femminile) di Fontevraud in
Angiò. (B) Recentemente presso di
noi, vicino a Colonia, sono stati scoperti degli eretici, alcuni dei
quali con soddisfazione ritornarono in seno alla chiesa. Due di loro,
quello cioè che veniva definito il loro vescovo con il suo compagno,
disputarono con noi in una riunione di chierici e di laici, alla presenza
dello stesso signor arcivescovo e di molti uomini nobili, nel tentativo
di difendere la loro eresia con le parole di Cristo e degli apostoli.
Ma, quando si resero conto di non poter procedere oltre, chiesero che
si stabilisse un giorno in cui potessero presentare uomini dei loro,
esperti nella loro fede: promettevano che si sarebbero riuniti alla
chiesa, se avessero trovato i loro maestri manchevoli nelle risposte;
in caso contrario, avrebbero preferito morire piuttosto che smuoversi
da tale opinione. Udito ciò, dopo che per tre giorni essi furono
ammoniti e non vollero ravvedersi, furono rapiti dalla folla, spinta
da un eccesso di zelo, e posti sul fuoco e bruciati, benché noi
fossimo contrari; e ciò che più desta meraviglia, essi
affrontarono e sostennero il tormento dei fuoco non solo con sopportazione,
ma addirittura con gioia. Pertanto, santo padre, vorrei, se fossi lì
con te, avere il tuo parere, per sapere da dove a queste membra dei
diavolo derivi tanta forza nella loro eresia, quale a stento si trova
persino in persone veramente religiose nella fede di Cristo.
Questa è la loro eresia. Essi affermano che la chiesa è
solo presso di loro, al punto che solo loro sono aderenti alle vestigia
di Cristo e restano i veri ricercatori della vita apostolica, perché
non cercano le cose che sono di questo mondo, non possedendo né
casa né campi né patrimonio alcuno, allo stesso modo in
cui Cristo non possedette né concesse ai suoi discepoli beni
dal possedere. «Voi, invece – ci dicono – unite casa a casa, campo
a campo [1],
e cercate ciò che è di questo mondo: così persino
coloro che tra di voi sono ritenuti i più perfetti, come i monaci
o i canonici regolari, se anche non possiedono tali cose in proprio,
le possiedono in comune, ed in ogni caso le possiedono tutte».
E di sé dicono: «Noi, poveri di Cristo, senza una sede,
fuggendo di città in città, come agnelli in mezzo ai lupi,
soffriamo la persecuzione con gli apostoli ed i martiri: ma, tuttavia,
conduciamo una vita santa e durissima nel digiuno e nella astinenza,
rimanendo il giorno e la notte tra preghiere e fatiche; e delle cose
della vita cerchiamo solo lo stretto necessario. Noi sopportiamo questo
perché non siamo di questo mondo: voi invece, che armate il mondo,
avete pace con il mondo, perché siete del mondo. Falsi apostoli,
che adulterano la parola di Cristo, ricercarono le cose del mondo e
fecero uscire dalla retta via voi ed i vostri padri Noi ed i nostri
padri, generati apostoli, restammo in grazia di Dio e ci rimarremo sino
alla fine dei secoli. E per distinguere tra noi e voi Cristo disse:
Li riconoscerete dai loro frutti [2].
I nostri frutti sono le vestigia di Cristo» .
Nei loro cibi essi vietano l'uso di qualunque genere di latte, e di
tutto ciò che con il latte è fatto, e di tutto ciò
che viene generato da un coito.
Questo ci rinfacciano sulla base del loro comportamento. Nei loro sacramenti
si coprono con un velo: tuttavia hanno ammesso apertamente, in nostra
presenza, che, quando mangiano ogni giorno nella loro mensa, ad imitazione
di Cristo e degli apostoli consacrano il loro cibo e le loro bevande
nel corpo e nel sangue di Cristo per mezzo della preghiera dei Signore,
per essere così nutriti, membra e corpo di Cristo. Di noi invece
dicono che non manteniamo la verità nei sacramenti, ma solo un'ombra
ed una tradizione umana. Ed hanno confessato apertamente di battezzare
e di essere battezzati oltre che con l'acqua, nel fuoco e nello spirito,
adducendo la testimonianza di Giovanni Battista che battezzava con l'acqua
e che diceva di Cristo: Egli vi battezzerà nello Spirito
Santo e nel fuoco ed in altro passo: lo vi battezzo copi l'acqua ma
c'è uno maggiore di voi uno che sia in mezzo a voi, e che non
conoscete che vi battezzerà con un battesimo diverso, oltre
che con l'acqua [3].
Ed hanno tentato di dimostrare che tale battesimo deve essere attuato
mediante l'imposizione delle mani, in base ad una testimonianza di Luca
che negli Atti degli apostoli descrivendo il battesimo di Paolo
(che egli ricevette da Anania secondo il precetto di Cristo), non fa
alcuna menzione dell'acqua, ma parla solamente dell'imposizione delle
mani [4] e tutti
i passi che si trovano, tanto negli Atti degli apostoli che
nelle lettere di Paolo, relativi all'imposizione delle mani, essi sostengono
che si riferiscono a questo battesimo. E chiunque tra loro sia stato
battezzato in tale modo, essi dicono che è “eletto”
e che ha il potere di impartire il battesimo agli altri, che ne sono
degni, e di consacrare nella propria mensa il corpo e il sangue di Cristo.
E per prima cosa, infatti, mediante l'imposizione delle mani lo accolgono
tra i credenti" dal numero di coloro che chiamano “uditori”:
e così gli sarà permesso di partecipare alle loro preghiere,
sino a che, essendo stato messo sufficientemente alla prova, non lo
facciano “eletto”. Non si curano dei nostro battesimo. Condannano
le nozze, ma non ho potuto sapere da loro il motivo: o perché
non osano confessarlo o piuttosto perché non lo sapevano.
[…] Coloro che furono mandati al rogo ci dissero, nella loro difesa,
che questa eresia si era mantenuta di nascosto sino a questi tempi dal
tempo dei martiri e che era rimasta viva in Grecia e in alcuni altri
paesi. E costoro sono quegli eretici che si definiscono apostoli ed
hanno un proprio, papa. […] Questi apostoli di Satana hanno tra
loro donne – come dicono – continenti, vedove, vergini, e le loro mogli,
alcune tra le elette, altre tra le credenti [5].
Quasi ad imitazione degli apostoli, cui fu concessa la facoltà
di portare donne con sé. Evervino di Steinfeld, Lettera a san Bemardo, PL 182, coll.
677-678. [1] Cfr.Is. 5, 8:
Guai a voi che avete unito casa a casa, e campo a campo.
[2] Mt. 7, 16 e 20.
[3] Cfr. Mt. 3; Mc.
1; Lc. 3.
[4] Cfr. Atti 9, 17.
[5] La partecipazione femminile alla predicazione
itinerante che abbiamo visto censurata nella lettera di Marbodo e Roberto
di Arbrissel [cfr. (A)] costituisce un elemento quasi costante nelle
comunità ereticali. (C) Nel corso dell'anno 1173 viveva
a Lione in Gallia un cittadino di nome Valdesio, che coi mezzo iniquo
dell'usura aveva accumulato molte ricchezze. Una domenica, essendosi
frammisto alla folla che aveva vista radunata attorno ad un giullare,
fu compunto dalle sue parole e lo condusse a casa per ascoltarlo più
attentamente. Era giunto a quel luogo della narrazione dove qualmente
il beato Alessio [1]
finì felicemente i suoi giorni nella casa paterna. L'indomani
mattina, il nostro cittadino si recò in tutta fretta alla scuola
di teologia a chiedere consiglio per la salvezza dell'anima stia e,
istruito circa i molti modi di andare a Dio, chiese al teologo quale
fosse la via migliore e la più perfetta. Allora il teologo gli
citò la frase dei Signore: Se vuoi essere perfetto, va'
e vendi ciò che hai e dallo ai poveri, ed avrai un tesoro nei
cieli, poi vieni e seguimi [2].
Ed egli, tornato a casa, diede a stia moglie la facoltà di scegliere
tra i beni mobili o immobili, cioè quel che volesse conservare
tra terre e acque, boschi e prati, case, rendite, vigne, nonché
molini e forni. Benché assai afflitta di dover fare tale scelta,
optò per i beni immobili. Lui, dai propri beni mobili, restituì
a coloro dai quali aveva ricevuto ingiustamente; ma una gran parte del
denaro la lasciò alle sue due bambine che, all'insaputa della
madre, affidò all'ordine di Fontevraud [3],
mentre la parte più cospicua la spese a favore dei poveri. Infieriva
allora una gravissima carestia in tutta la Gallia e Germania. Così
il nostro Valdesio, per tre giorni alla settimana, dalla Pentecoste
sino alla festa di s. Pietro in Vincoli, distribuì a chiunque
si presentasse pane e carne e companatico. Il giorno dell'Assunzione
della beata Vergine, mentre per le vie andava spargendo denaro al poveri,
usci esclamando: Nessuno può servire a due padroni, a Dio
e a Mammona [4].
La gente accorsa credette allora che fosse uscito di senno. Ma lui,
postosi in un luogo più elevato, disse loro: «Cittadini
ed amici miei, non sono pazzo come voi pensate, ma mi sono vendicato
di questi miei nemici che mi tiranneggiavano perché persistessi
ad essere più sollecito del denaro che di Dio, tanto che servivo
più alla creatura che al Creatore. So che i più fra voi
mi biasimeranno per aver fatto queste cose in pubblico, ma le ho fatte
e per me stesso e per voi: per me, affinché chiunque mi veda
d'ora in poi possedere denaro dica pure che sono fuori di senno; ma
anche per voi, onde impariate a porre la vostra speranza in Dio e non
nelle ricchezze» . E di seguente, all'uscita di chiesa, chiese
ad un concittadino, suo ex-socio, di dargli da mangiare in nome di Dio.
Questi, condottolo a casa, gli disse: «Finché vivrò,
ti farò avere il necessario» . La cosa essendo giunta alle
orecchie della moglie, costei ne fu molto seccata. Diventata quasi pazza,
corse dall'arcivescovo e, lamentandosi che il marito suo mendicasse
il suo pane ad altri che a lei, commosse fino alle lacrime quanti stavano
attorno al presule. Su invito di quest'ultimo, il borghese in questione
condusse il suo ospite alla presenza del presule. La moglie allora,
afferrando il marito per i panni, gli disse: «Non è forse
meglio, o uomo, che io redima i miei peccati con elemosine a tuo favore
piuttosto che degli estranei?» . Da allora non gli fu permesso,
per ordine dell'arcivescovo, di prendere i suoi pasti in città
da altri che dalla propria moglie. Anno 1177. Il cittadino di Lione, Valdesio, di cui si è parlato
più sopra, avendo fatto voto a Dio di non possedere per tutto
il resto della stia vita né oro né argento e di non preoccuparsi
più del domani, cominciò ad avere dei seguaci i quali,
seguendo il suo esempio, diedero tutti i loro beni ai poveri, facendo
spontanea professione di povertà Quindi si misero a poco a poco,
tanto in privato quanto in pubblico, ad ammonirsi e a confessarsi l'un
l'altro i propri peccati. Anno 1178. Concilio Lateranense celebrato dal papa Alessandro III.
[…] Condannò le eresie e tutti i fautori, nonché
difensori, degli eretici. In quanto a Valdesio, il papa lo abbracciò,
approvando il voto che aveva fatto di povertà volontaria, ma
inibendogli, a lui ed ai suoi soci, la presunzione di predicare, a meno
che ne fossero richiesti dai sacerdoti. Questo precetto, essi lo osservarono
per un po' ma, dal giorno in cui vi disubbidirono, fu per molti causa
di scandalo e per essi di rovina. Cronaca universale dell'anonimo di Laon, SS 26, anni 1173,
1177-1178. [1] La Leggenda di S.
Alessio, (il nobile romano votatosi ad una vita di assoluta povertà
e morto come sconosciuto pellegrino nella casa paterna) si diffuse intorno
al 1060 in una versione volgare di grande successo che costituisce uno
dei più antichi testi letterari francesi.
[2] Mt. 19, 21.
[3] L'ordine fondato da Roberto
d'Arbrissel [cfr. (A)]
[4] Mt. 6, 24. (D) Benché le sette
ereticali, un tempo numerose [1],
siano state quasi del tutto distrutte per grazia di Gesù Cristo,
tuttavia ne sopravvivono ancora due tra le principali, di cui una si
chiama dei Catari o Patarini, l'altra dei Leonisti o Poveri di Lione.
Innanzi tutto si deve sapere che la prima setta, dei Catari, è
divisa in tre parli o sette, di cui la prima si chiama degli Albanesi
la seconda dei Concorrezesi e la terza dei Bagnolesi, e tutte tre si
trovano in Lombardia. Tutti gli altri Catari, siano essi in Toscana
o nella Marca (veronese) o in Provenza, non differiscono nelle opinioni dei predetti
Catari o da alcuni di essi. Hanno dunque tutti i Catari delle opinioni
comuni su cui convengono, e delle proprie su cui discordano […].
Ecco le opinioni comuni a tutti i Catari:
1) il diavolo fece questo mondo e tutto che è in esso;
2) tutti i sacramenti della chiesa, cioè il battesimo d'acqua
e gli altri, non giovano alla salvezza, non sono i veri sacramenti di
Cristo e della sua chiesa, ma sono ingannevoli e diabolici, propri della
chiesa dei malignanti […].
3) il matrimonio è stato sempre considerato da tutti i Catari
come un peccato mortale: chi è colpevole di adulterio o d'incesto
non viene punito più gravemente di chi convola a legittime nozze,
a prescindere dal fatto che nessuno tra loro è punito più
gravemente a causa di ciò;
4) tutti i Catari negano la risurrezione futura della carne;
5) credono pure che il mangiare carne uova e formaggio sia peccato mortale,
anche nel casi di urgente necessità, e ciò perché
sono prodotti dall'unione carnale;
6) non è lecito giurare in alcun caso, è peccato mortale;
7) le autorità secolari peccano mortalmente punendo i malfattori
e gli eretici;
8) nessuno si può salvare se non per mezzo loro;
9) tutti i bambini, anche se battezzati, non sono puniti in eterno più
lievemente dei ladroni e degli omicidi, ma su questo punto sembrano
dissentire alquanto gli Albanesi, come si dirà più avanti;
10) tutti negano il purgatorio […]. [L'A. esamina quindi le differenze che intercorrono tra i tre
gruppi, e all'intento dei gruppi stessi. Enumera poi altre chiese catare] L'eresia dei Leonisti o Poveri di Lione [2]
si divide in due parti, di cui la prima si chiama dei Poveri Oltremontani,
la seconda dei Poveri Lombardi, e questi discesero da quelli. I primi,
ossia i Poveri Oltremontani, dicono che ogni giuramento è proibito
nel Nuovo Testamento come peccato mortale. Dicono lo stesso della giustizia
secolare, cioè che non è lecito ai re, ai principi e alle
autorità punire i malfattori Dicono inoltre che un semplice laico
può consacrare il corpo del Signore. Credo anche che lo stesso
dicono delle donne, perché non me lo negarono. Affermano infine
che la chiesa Romana non è la chiesa di Gesù Cristo.
I Poveri Lombardi concordano coi primi nel giuramento e nella giustizia
secolare. Ma del corpo del Signore pensano peggio dei primi, dicendo
che è lecito consacrarlo a chiunque sia senza peccato mortale.
Dicono anche che la chiesa Romana è la chiesa dei malignanti,
nonché la bestia e la meretrice di cui si legge nell'Apocalisse,
e perciò affermano che non è peccato mangiare durante
la quaresima e le seste ferie contrariamente al precetto della chiesa,
purché si faccia senza scandalizzare gli altri. La chiesa di
Cristo, aggiungono, si mantenne nei suoi vescovi e prelati fino al beato
Silvestro, coi quale invece decadde, finché essi stessi la restaurarono.
Tuttavia dicono che vi è sempre stato qualcuno che temeva Dio
e si salvava. Asseriscono infine che i bambini sono salvati senza battesimo. Ranieri Sacconi, Somma sui Catari e i Poveri di Lione, pp.
64-65, 77-78. [1] Ranieri Sacconi (m. 1261),
già eretico, quindi capo dell'inquisizione in Lombardia dal 1254,
compose la sua Summa probabilmente intorno ai 1250, quando
però le eresie ciano ancora assai forti. Lo stesso Ranieri enumera
– in una parte del testo qui omessa – sedici diverse chiese, catare
diffuse dai Balcani alla Spagna.
[2] Valdesi. Durante il pontificato di
Innocenzo III un gruppo di Poveri di Lione si era conciliato con la
chiesa romana e aveva preso il nome di Poveri Cattolici. Ranieri ovviamente
si occupa qui delle comunità non conciliate.
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