Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
5. La chiesa romana: aspirazioni all'unità, tendenze ierocratiche
e totalizzanti (A) III Concilio Lateranense,
discorso di apertura (1179), p.117. (B) Innocenzo III, “Novit
ille”, (1204), PL 215, VII, 42. (C) IV Concilio Lateranense,
c. 3 (1215). (D) IV Concilio Lateranense,
c. 4 (1215). (E) IV Concilio Lateranese,
cc. 67-70 (1215). Nella seconda metà dei XII secolo, dopo il superamento degli
scismi interni del li 30 e del 1159, la chiesa – che sempre più
si qualificava come chiesa romana (ove “romana” era apposizione,
se non addirittura sinonimo, di “cattolica”, vale a dire
“universale”) – si presentava nella situazione di forza
che era venuta maturando attraverso l'organizzazione gerarchica intorno
al papato romano: un'organizzazione il cui significato dal punto di
vista dell'unità e dell'universalità, veniva messo esemplarmente
in luce nel solenne discorso (A) tenuto
il 5 marzo 1179 dal vescovo di Assisi, Rufino, per l'apertura del III
concilio Lateranense, indetto dal papa Alessandro III dopo le trattative
di pace avviate con l'impero di Federico I Barbarossa. Attraverso il
papato di Alessandro III e dei suoi successori – dei quali ricordiamo
Lucio III (1181-1186) e Celestino III (1191-1198) – la sede apostolica
assunse sempre più il ruolo di massimo organo giurisdizionale
cui ci si rivolgeva da ogni parte della christianitas. Su questa
linea, al volgere tra XII e XIII secolo, papa Innocenzo III (1198-1216)
– pur proclamando la distinzione tra potere spirituale e potere temporale
– esercitò poi una pienezza di potere (plenitudo potestatis)
estesa anche alla sfera temporale. Le premesse teologiche di questo
arbitrato dei mondo che il pontefice si attribuiva – e di cui la decretale
Novit (B) dei 1202, diretta all'episcopato
francese, costituisce un interessante esempio – poggiavano sul concetto
che la chiesa disponesse di un potere coattivo anche nei rapporti giuridici
profani, in virtù dell'obbligo che essa aveva di intervenire
là dove si profilasse il peccato (ratione peccati).
Ma nonostante le molteplici occasioni di attrito e gli episodi di conflittualità,
chiesa gerarchica e potere laico convergevano nel garantire una società
cristiana che nega legislazione laica come in quella ecclesiastica –
attraverso un intreccio di occasionali divergenze e sostanziali prestiti
– si presenta come una società totalizzante. Ne diamo un esempio
attraverso alcuni canoni dei IV concilio Lateranense del 1215 (C,
D, E)
che non tollerava divisioni interne e che, per le minoranze non cristiane
(quasi esclusivamente Ebrei) poneva la dura alternativa tra l'assimilazione
(spesso attuata in forme di subalternità sociale) e l'emarginazione. (A) Tra quelle città
così spesso celebrate, felice è questa Chiesa romana,
il cui corpo universale è rappresentato da questa congregazione
[1].
Questa madre Chiesa sembra essere davvero la città del sole,
in quanto è presieduta da questo grande pontefice, da questo
supremo patriarca che, recentemente emerso da un oceano battuto dalle
tempeste della persecuzione, simile al sole, innalzandosi allo zenith
delle proprie virtù come l'astro al mezzogiorno, ha proiettato
lo splendore della sua luce sulla chiesa di questo luogo, o per meglio
dire sull'universo intero [2].
Prima, quando regnavano le tenebre, era la notte, la notte profonda
della tribolazione, dove si aggiravano le bestie selvagge, dove i giovani
leoni ruggivano verso la loro preda. Ma ecco che, al sorgere di questo
sole, le fiere si sono riunite per ritirarsi nelle loro lane. Da allora
ogni uomo è diventato libero: libero esce per dedicarsi a l proprio
lavoro e svolgere fino a sera il proprio compito, il compito della stia
vita mortale [3].
Non vorrei tuttavia omettere, per negligenza, che questa insigne città
non ha rango: non è prima, né seconda, né terza,
ma viene detta una.
La città del sole sarà chiamata una [4]:
non prima, o seconda, o terza. Non lo dubitiamo: questa santa Chiesa
romana è la prima di tutte le chiese, vale a dire la principale.
Così come nella Genesi il primo giorno non è
chiamato “primo” ma uno – poi venne sera, poi venne
mattina: un giorno [5]
– per quello stesso motivo lo Spirito Santo in questo passo non ha voluto
chiamare “prima” la città del sole, bensì
una. Si dice “primo” solo in relazione a “secondo”.
L'unità invece è di per sé stessa un principio
assoluto. L'uno è tale in rapporto a qualunque cosa. Questa santissima
Chiesa, che non è dunque solo la prima ma è la più
sublime, è chiamata una in virtù dell'autorità
di un principio quasi assoluto, perché è la cittadella
dell'onore sovrano e del potere. Tutte le altre sedi patriarcali sono
state costituite ad opera dell'autorità umana. Anche l'impero
dell'Augusto è basato stalla autorità della legge umana.
«La nostra autorità – egli dice – emana soprattutto dall'autorità
del diritto». La Chiesa romana, per quanto la riguarda, detiene
legittimamente gli onori del suo privilegio, che non ha usurpato né
con decreto di diritto, né con statuto sinodale, né con
favori umani. Soltanto la parola uscita dalla bocca stessa di Dio ha
fatto di lei il fondamento di tutte le chiese, allorché alle
orecchie del beato Pietro risuonò quest'oracolo celeste: Tu
sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa [6],
e ancora: Pasci le mie pecore [7].
Questa città dei sole, questa Chiesa, capo dell'universo è
in assoluta verità colei che è chiamata una, poiché
ella è una, lei che non fu giammai soggetta ad alcuna altra sede,
che dispensa a tutte le sedi il potere delle chiavi e dei giudicare,
che da sola è arbitro in ultima istanza, che sola possiede il
potere di convocare il concilio universale, di promulgare nuovi canoni
e di far decadere gli antichi. III Concilio Lateranense, discorso di apertura (1179), p.117. [1] Il concilio.
[2] C'è l'allusione alle
vicende seguite all'elezione del 1159 che aveva portalo aliti duplice
nomina di Alessandro III (che proseguiva le direttive di Adriano IV
nell'opposizione all'imperatore Federico I) e di Vittore IV (più
incline alla politica imperiale italiana del Barbarossa). Lo scisma
si concluse soltanto con la pace di Venezia, dei luglio 1171, tra Alessandro
III e l'imperatore.
[3] Cfr. Sal. 104, 20-23.
[4] Is. 19, 18.
[5] Gen. 1, 5.
[6] Mt. 16, 18.
[7] Giov. 21, 17. (B) Agli arcivescovi ed ai
vescovi di Francia.
Colui che nulla ignora, che scruta i cuori e conosce i segreti, sa bene
che è con sentimento puro, buona coscienza e non simulata lealtà
che noi amiamo il nostro carissimo figlio in Gesù Cristo, l'illustre
re di Francia Filippo [1],
e che noi ci adoperiamo per il suo onore, il suo successo ed il suo
vantaggio. Che non si pensi dunque che noi vogliamo sminuire o intralciare
il suo potere giurisdizionale – così come lui, da parte sua,
non deve impedirci di esercitare il nostro – né si pensi che
noi desideriamo coartare quel potere, in quanto, dal momento che non
arriviamo neppure ad espletare completamente la nostra giurisdizione,
perché mai dovremmo usurpare quella di un altro? Tuttavia il
Signore dice nel Vangelo: Se il tuo fratello pecca contro di te,
và e riprendilo fra te e lui solo: se ti ascolta, avrai guadagnato
un fratello, se invece non ti ascolta, prendi ancora con te una o due
persone, affinché la cosa sia regolata sulla parola di due o
tre testimoni. Se rifiuta di ascoltarti, dillo alla chiesa; se poi non
vuole ascoltare nemmeno la chiesa, sia per te come il pagano ed il pubblicano
[2]. Ora
il re d'Inghilterra, secondo quanto lui afferma, è pronto a dimostrare
che il re di Francia pecca contro di lui; egli gli ha inoltrato, secondo
la regola evangelica, le sue rimostranze, infine, poiché ciò
non portava a nulla, si è rivolto alla chiesa [3].
Così, noi che per disposizione soprannaturale siamo stati chiamati
al governo della chiesa universale, se Filippo non fornisce, a noi o
al nostro delegato, una qualche valida ragione contraria, come potremmo
far applicare il precetto divino senza attenerci alla lettera del precetto
stesso? Perché noi non abbiamo l'intenzione di giudicare su una
questione feudale, che riguarda il sito solo giudizio […] ma abbiamo
intenzione di giudicare per ciò che concerne il peccato di cui
ci spetta senza alcun dubbio la censura, che possiamo e dobbiamo esercitare
nei confronti di chiunque. La reale altezza non deve dunque considerare
come lesivo dei suoi diritti sottomettersi in questo campo al giudizio
apostolico […]. Ed in effetti non vi è persona di retto
intendimento la quale ignori che è inerente alla nostra carica
riprendere ogni cristiano per un peccato mortale e, se non tiene conto
del rimprovero, obbligarlo con una severa sanzione ecclesiastica. D'altro
canto, l'uno e l'altro Testamento mostrano che noi abbiamo il potere
ed il dovere di riprendere. […] E che noi abbiamo il potere coercitivo
appare palese di ciò che dice il Signore al profeta, della stirpe
sacerdotale in Anathot: Ecco che io ti pongo sopra i popoli ed i
regni, per abbattere e distruggere, per annientare, per edificare e
per piantare [4].
Ne risulta che bisogna abbattere, distruggere ed annientare il peccato
mortale.
Inoltre, allorché il Signore ha donato al beato Pietro le chiavi
dei regno dei cieli gli ha detto: Tutto ciò che legherai
sulla terra sarà legato in cielo e tutto ciò che scioglierai
sulla terra sarà sciolto in cielo [5].
Nessuno no ignora che chi commette peccato mortale è legato al
cospetto di Dio.
Se Pietro vuole seguire il giudizio di Dio deve legare stilla terra
quelli che saranno legati nel cielo. […] Così, dal momento
che tra i re è stato concluso un trattato di pace [6],
confermato con giuramenti, e dal momento che le tregue non sono state
rispettate fino ai termini fissati, noi non possiamo rifiutarci di riconoscere
il carattere religioso di un giuramento, per il quale la chiesa è
senza dubbio competente. Innocenzo III, “Novit ille”, (1204), PL 215,
VII, 42. [1] Filippo II Augusto, re
dal 1180 al 1223.
[2] Mt. 18, 15-17.
[3] Nel 1202 Filippo Augusto
aveva invaso la Normandia, feudo francese dei re d'Inghilterra Giovanni
Senza Terra (1199-1216) condannato come vassallo contumace. Nel 1203
Giovanni aveva chiesto la mediazione dei papa a favore della pace, ma
Filippo non aveva riconosciuto al papa il diritto di intervenire in
una questione feudale. Questa lettera papale offre la più articolata
affermazione, da parte pontificia, dei diritto di intervento ratione
peccati.
[4] Ger. 1, 10.
[5] Mt. 16, 19.
[6] Una tregua del gennaio 1200 tra Giovanni
e Filippo era stata trasformata in pace nel maggio dello stesso anno
con rincontro di Le Goulet. (C) 3. Scomunichiamo e anatematizziamo
ogni eresia che si erge contro la santa, ortodossa e cattolica fede,
come l'abbiamo esposta sopra.
Condanniamo tutti gli eretici, sotto qualunque nome; essi hanno facce
diverse, ma le loro code sono strettamente unite l'una all'altra [1]
, perché convergono tutti in un punto: sulla vanità. Gli
eretici condannati siano abbandonati alle potestà secolari e
ai loro balivi per essere puniti con pene adeguate. I chierici siano
prima degradati della loro dignità; i beni di questi condannati,
se si tratta di laici, siano confiscati; se fossero chierici, siano
attribuiti alla chiesa, dalla quale ricevono lo stipendio.
Quelli che fossero solo sospetti, a meno che non abbiano dimostrato
la propria innocenza con prove che valgono a giustificarli, siano colpiti
con la scomunica, e siano evitati da tutti fino a che fiori abbiano
degnamente soddisfatto. Se perseverano per un arino nella scomunica
dopo quel tempo siano condannati come eretici [2].
Siano poi ammoniti e, se necessario, costretti con censura dalle autorità
civili, di qualsiasi grado, perché, se desiderano essere stimati
e creduti fedeli prestino giuramento di difendere pubblicamente la fede:
che essi, cioè cercheranno coscienziosa niente, nei limiti delle
loro possibilità, di sterminare dalle loro terre tutti quegli
eretici che siano stati dichiarati tali dalla chiesa.
D'ora innanzi, chi sia assunto ad un ufficio spirituale o temporale
Sia tenuto a confermare con giuramento, il contenuto di questo capitolo.
Se poi un principe temporale richiesto e ammonito dalla chiesa, trascurasse
di liberare la stia terra da questa eretica infezione, sia colpito dal
metropolita e dagli altri vescovi della stessa provincia con la scomunica;
se poi entro un anno trascurasse di fare il suo dovere, sia informato
di ciò il sommo pontefice, perché sciolga i suoi vassalli
dall'obbligo di fedeltà e lasci che la sua tetri sia occupata
dai cattolici, i quali, sterminati gli eretici, possano averne il possesso
senza alcuna opposizione e conservarla nella purezza della fede, salvo,
naturalmente il diritto dei signore principale, purché questi
non ponga ostacoli in ciò, né impedimenti.
Lo stesso procedimento si dovrà osservare con quelli che non
abbiano dei signori sopra di sé.
I cattolici che, presa la croce, si armeranno per sterminare gli eretici,
godano delle indulgenze e dei santi privilegi, che sono concessi a quelli
che vanno in aiuto della Terra Santa [3]. IV Concilio Lateranense, c. 3 (1215). [1] Cfr. Giud. 15,
4.
[2] Tutte le disposizioni fin
qui citate sono in seguito riprese da Gregorio IX [cfr. paragrafo 6
D)].
[3] La lotta all'eresia era stata formalmente
assimilata alla crociata già nel 1208 quando era stata bandita
la crociata contro gli Albigesi [cfr. paragrafo 6 (C)]. Nel canone seguono
altre disposizioni. (D) 4. Quantunque sia nostra
intenzione favorire e onorare i Greci che in questi nostri tempi sono
ritornati all'obbedienza della sede apostolica [1],
rispettando i loro costumi e i loro riti per quanto possiamo farlo nel
Signore, non vogliamo tuttavia e non possiamo essere remissivi di fronte
a usi che importano un pericolo per le anime e detraggono all'onore
della chiesa. Da quando la chiesa Greca con alcuni suoi complici e fautori
si è sottratta all'obbedienza della sede apostolica, i Greci
hanno cominciato a disprezzare talmente i Latini che, tra le altre cose
che compivano empiamente per offenderli, quando i sacerdoti Latini celebravano
sui loro altari essi si rifiutavano di celebrare su di essi il santo
sacrificio, se prima non erano stati lavati, quasi fossero stati contaminati.
Inoltre osavano ribattezzare temerariamente quelli che erano già
stati battezzati dai Latini, cosa che alcuni, a quanto abbiamo sentito
dire, fanno ancora oggi senza alcun riguardo.
Volendo, quindi, toglier dalla chiesa di Dio così grave scandalo,
secondo il parere dei sacro concilio comandiamo loro severamente elle
cessino di agire in tal modo, confermandosi come figli obbedienti della
sacrosanta Romana chiesa, loro madre, perché vi sia un solo
ovile ed un solo pastore [2].
Se qualcuno osasse fare ancora qualche cosa di simile, colpito dalla
scomunica, sia deposto da ogni ufficio e beneficio ecclesiastico. IV Concilio Lateranense, c. 4 (1215). [1] A seguito della IV crociata
e del costituirsi dei cosiddetto Impero latino d'Oriente.
[2] Giov. 10, 16. (E) 7. È più
la religione cristiana frena l'esercizio dell'usura, tanto più
gravemente prende piede in ciò la malvagità dei Giudei,
così che in breve le ricchezze dei cristiani saranno esaurite.
Volendo pertanto aiutare i cristiani a sfuggire ai Giudei, stabiliamo
con questo decreto sinodale che se in seguito i Giudei, sotto qualsiasi
pretesto, estorcessero ai cristiani interessi gravi e smodati, sia proibito
ogni loro commercio con i cristiani, fino a che non abbiano convenientemente
riparato.
Così pure i cristiani, se fosse necessario, siano obbligati,
senza possibilità di appello, con minaccia di censura ecclesiastica,
ad astenersi dal commercio con essi.
Ingiungiamo poi ai principi di risparmiare a questo riguardo i cristiani,
cercando piuttosto di impedire ai Giudei di commettere ingiustizie tanto
gravi.
Sotto minaccia della stessa pena, stabiliamo che i Giudei siano costretti
a fare il loro dovere verso le chiese per quanto riguarda le decime
e le offerte dovute, che erano solite ricevere dai cristiani per le
case ed altri possessi, prima che a qualsiasi titolo passassero ai Giudei,
in modo che le chiese non ne abbiano alcun danno.
68. In alcune province i Giudei o Saraceni si distinguono dai cristiani
per il diverso modo di vestire; ma in alcune altre ha preso piede una
tale confusione per cui nulla li distingue. Perciò succede talvolta
che per errore dei cristiani si uniscano a donne giudee o saracene,
o questi a donne cristiane.
Perché unioni tanto riprovevoli non possano invocare la scusa
dell'errore stabiliamo a causa del vestito che questa gente dell'uno
e dell'altro sesso in tutte e province cristiane distinguersi in pubblico
per il loro modo di vestire dal resto della popolazione, come fu disposto
d'altronde anche da Mosè [1].
Nei giorni delle lamentazioni e nella domenica di Passione essi non
osino comparire in pubblico, dato che alcuni di loro in questi giorni
non si vergognano di girare più ornati dei solito e si prendono
gioco dei cristiani, che a ricordo della passione santissima dei Signore
mostrano i segni del loro lutto. Questo, poi, proibiamo severissimamente
che essi osino danzare di gioia per oltraggio al Redentore.
E poiché non dobbiamo tacere di fronte all'insulto verso chi
ha cancellato i nostri peccati, comandiamo che questi presuntuosi siano
repressi dai principi secolari con una giusta punizione, perché
non credano di poter bestemmiare colui che è stato crocifisso
per noi.
69. Poiché è cosa assurda che chi bestemmia Cristo debba
esercitare un potere sui cristiani, quello che su questo argomento il
concilio Toletano [2]
ha provvidamente stabilito, noi, per rintuzzare l'audacia dei trasgressori,
lo rinnoviamo ora e proibiamo, quindi, che i Giudei rivestano pubblici
uffici, poiché proprio per questo riescono assai molesti ai cristiani.
Se qualcuno perciò affida ad essi un tale ufficio sia punito
come merita – premessa naturalmente l'ammonizione – dal concilio provinciale
che comandiamo debba celebrarsi ogni anno. L'officiale ebreo sia separato
dai cristiani nei commerci e nelle altre relazioni sociali; e ciò,
fino a che tutto quello che egli ha percepito dai cristiani, in occasione
di tale ufficio, non sia devoluto a beneficio dei poveri cristiani,
a giudizio del vescovo diocesano. Rinunzi, inoltre, con sua vergogna,
alla carica che ha assunto così insolentemente. Estendiamo questa
disposizione ai pagani.
70. Abbiamo saputo che alcuni, ricevuta spontaneamente l'acqua del santo
battesimo, non depongono del tutto l'uomo vecchio, per rivestire perfettamente
l'uomo nuovo [3]
ma, conservando vestigia dei giudaismo offuscano, con tale confusione,
la bellezza della religione cristiana.
Ma poiché sta scritto: maledetto l'uomo che s'incontra nel
cammino per due vie [4],
e non deve indossarsi una veste fatta di lino e di lana [5]
stabiliamo che i superiori delle chiese li allontanino in ogni modo
dall'osservanza delle loro vecchie pratiche, affinché quelli
che la scelta della loro libera volontà ha portato alla religione
cristiana siano poi indotti ad osservarla. È infatti minor male
non conoscere la via del Signore, che abbandonarla dopo averla conosciuta
[6]. IV Concilio Lateranese, cc. 67-70 (1215). [1] Cfr. Lev. 19,
19 e Deut. 22, 5 e 11.
[2] Concilio di Toledo (ca.
589), canone 10.
[3] Cfr. Col. 3, 9.
[4] Eccli. 2, 14.
[5] Deut. 22, 11.
[6] Cfr. 2 Piet. 2, 21.
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