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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XIV
Svevi e Angioini

1. Gli inizi di Federico II
(A) Riccardo di San Germano, Cronaca, pp. 15-16, 23.
(B) Riccardo di San Germano, Cronaca, pp. 28-29.
(C) Riccardo di San Germano, Cronaca, p. 32.

La difficile situazione del regno siciliano dopo l'improvvisa morte di Enrico VI (1197) emerge dalle pagine di Riccardo di San Germano. La lotta di Costanza contro Marcovaldo di Anweiler, il siniscalco imperiale che affermava di essere lui il custode dei vero testamento di Enrico, fu difficile, e l'imperatrice vedova non riuscì a scalzare il suo rivale dai suoi feudi dei Molise. Morendo, Costanza lasciò suo figlio Federico sotto la tutela dei papa Innocenzo III, mentre il regno era in balia dei Tedeschi.
La successiva vittoria nella “crociata” scatenata contro questi ultimi da Innocenzo III salvò il fanciullo Federico, che poté recarsi in Germania per combattere il guelfo Ottone IV (A). L'insperata vittoria regalò a Federico dapprima (1215) l'elezione, ad Aquisgrana, a re dei Romani e poi, cinque anni dopo, l'incoronazione imperiale, per mano di Onorio III (B).
Ad Aquisgrana Federico, nel momento dei suo primo vero trionfo, aveva preso la croce: si apriva così un problema destinato a travagliare la sua intera carriera politica [cfr. paragrafo 3].


(A) L'imperatrice, stando a Palermo in lutto per la morte dell'imperatore e volendo provvedere alla pace del regno, espulse dal regno Marcovaldo siniscalco imperiale con tutti i Tedeschi, e gli vietò sotto giuramento di entrare nel regno e di rimanervi senza suo comando. 
Marcovaldo, passando con le lettere e il salvacondotto dell'imperatrice nel comitato dei Molise, allora detto Marca, e che parteggiava per lui lasciati nel detto comitato di Molise i suoi castellani e baili passò nella Marca di Ancona soggetta al suo dominio, e lì con i suoi seguaci compì innumerevoli mali.
Morto papa Celestino, al suo posto è eletto il Cardinale Lotario [con il nome di] Innocenzo.
L'imperatrice comanda che sia condotto da lei nel regno, passando dalla Puglia, suo figlio, lasciato nella Marca nella città di Jesi sotto la custodia del conte di Celano e di Berardo conte di Loreto e Conversano. In quel periodo in Calabria un tedesco, di nome Federico, non volendo stare dalla parte dell'imperatrice, si rifugiò nel castello di Malvito che aveva tolto illegalmente ad un certo Mauro di Mira – lì stabilito come castellano dal monastero di Cassino –, e per ordine dell'imperatrice fu assediato dal conte di Roti e da altri nobili calabresi.
Questi, poiché capiva che non poteva in altro modo uscire [dalla situazione], pensò di prendere a tradimento gli assedianti, per cui chiamatili un giorno in disparte dagli altri e avendo dato loro assicurazione di voler tornare al comando dei l'imperatrice, prese prigionieri i capitani e lì punì come volle.
1198. L'imperatrice in quel frattempo morì, e lasciò con il suo testamento [crede] il suo predetto unico figlio Federico e balio del regno papa Innocenzo. Allora Marcovaldo, conosciuta la morte dell'imperatrice e radunato un esercito di malvagi, che aveva assodato con allettamenti e con denaro, non senza l'aiuto degli abitanti del regno entrò nel ducato e, giungendo nel comitato del Molise, dove rimanevano pochi suoi fedeli, mandò degli ambasciatori al detto abbate di Cassino per [trattare] la pace, chiedendogli anche, a mezzo loro, di giurare di essere fedele a lui come balio del regno, che, come diceva, l'imperatore aveva lasciato a lui. Ma non poté ottenere ciò dal detto abate. Infatti precedentemente quello aveva giurato al detto papa Innocenzo come balio del medesimo regno, [e Innocenzo] aveva mandato al detto abbate contro Marcovaldo due cardinali, con un rinforzo di guerrieri campani per aiutarlo a difendere la sua terra, ed aveva scomunicato il medesimo Marcovaldo ed i suoi seguaci. Questi allora, non riuscendo a controllare il proprio furore, cominciò, come fanno i Tedeschi, ad incrudelire contro la terra del monastero.

Nello stesso mese di marzo [1] Federico, re di Sicilia, chiamato da papa Innocenzo, lasciati a Palermo la moglie e il figlio, andò a Gaeta con una nave guidata da Gaetani. Si recarono da lui Riccardo dell'Aquiola conte di Fondi e i signori di Aquino. […] Lasciando per mare Gaeta, [Federico] si recò nell'Urbe, dove fu ricevuto con grande onore dal papa Innocenzo, dai cardinali, dal Senato e dal popolo romano […]. E dopo alcuni giorni, allontanandosi dall'Urbe con licenza dei papa e dei cardinali, salì sulle navi e giunse felicemente a Genova; da lì, passando per Cremona e Verona, scavalcò le Alpi con pochi seguaci, nonostante l'opposizione dei Milanesi che ebbero la presunzione di impedirgli il passaggio.

Riccardo di San Germano, Cronaca, pp. 15-16, 23.

[1] Anno 1212.


(B) In quell'anno il re Federico, in ricompensa dei beneficio ricevuto dal cielo con la vittoria contro il detto imperatore Ottone, prese spontaneamente la croce ad Aquisgrana [1].
Il papa in Laterano, nella chiesa dei Salvatore detta Costantiniana, celebrò il santo sinodo, nel quale, essendo radunati circa quattrocento padri, parlò nel sito sermone della riforma della chiesa e soprattutto della liberazione della Terrasanta. Vi intervennero gli ambasciatori dei re e dei principi di tutto il mondo, ed anche il legato dei re Federico, l'arcivescovo di Palermo, di nome Berardo, ed un milanese da parte di Ottone, che voleva tornare all'obbedienza della chiesa. Ma il marchese del Monferrato, che parlava per parte dei medesimo re [Federico], sostenendo che non si dovessero ascoltare le ragioni di Ottone, pose di fronte [all'assemblea] sei capitoli. Il primo, che [Ottone] non aveva osservato, come doveva, il giuramento che aveva prestato alla chiesa romana. Il secondo, che teneva ancora ciò per cui era stato scomunicato, né lo aveva restituito come aveva giurato […].
Aggiunse anche che, essendo gli stessi Milanesi incorsi nella stessa scomunica come complici e sostenitori dello stesso Ottone, e poiché la loro città favoriva i patarini, non dovevano essere ascoltati per nessuna ragione. Mal sopportando i Milanesi queste accuse, e volendo essi controbattere il marchese, poiché entrambe le parti prorompevano in insulti, il signor papa, levandosi dal suo soglio, fece cenno con la mano che tutti andassero via, e una volta usciti gli altri egli stesso abbandonò la chiesa. Poi il papa proseguì le sedute per tre giorni, dalla festa del beato Martino a quella di s. Andrea, finché, poiché era stata fatta l'elezione da parte dei principi ad imperatore romano del re Federico, la approvò e la confermò.

Riccardo di San Germano, Cronaca, pp. 28-29.

[1] Estate del 1215.


(C) 1220. Papa Onorio nel mese di giugno da Viterbo passò ad Orvieto e, tornato verso la fine di settembre a Viterbo, di lì si recò di nuovo a Roma.
Il re Federico, chiamato dal papa, venne con la sua consorte Costanza per prendere la corona, lasciando in Germania suo figlio Enrico; ed entrambi nella basilica del Principe degli apostoli, nel mese di novembre. nella festa della beata Cecilia, furono insigniti con grande magnificenza del diadema dell'impero, con grazia ed onore di tutti i Romani. A questa incoronazione intervennero l'abate cassiense Stefano nonché il conte Ruggero dell'Aquila, il conte Iacopo di San Severino, il conte Riccardo di Celano ed altri baroni del regno, che andarono incontro all'imperatore per guadagnarsene la grazia e gli fecero con liberalità dono d i loro destrieri, che l'imperatore donò ai Tedeschi che tornavano in patria. […]
Allora l'imperatore per mano dei vescovo di Ostia, che fu poi creato papa con il nome di Gregorio[1], assunse di nuovo la croce, rinnovò pubblicamente il voto e spinse a fare lo stesso molti nobili che erano presenti. […]
Lo stesso imperatore in occasione della sua incoronazione emanò alcune sanzioni a favore della libertà della chiesa e dei chierici, per la confusione dei patarini, [la protezione] dei testamenti dei pellegrini e la sicurezza degli agricoltori. Uscito poi dal confini di Roma e diretto si verso la Campania, entrò nel regno, e a S. Germano fu ricevuto splendidamente dal predetto abate [cassinese] e ricevette da lui la “mensa del campsi” e il diritto del sangue [2], che sino ad allora aveva avuto nella chiesa cassinese per concessione dell'imperatore Enrico.
Revocò in possesso dei demanio Sessa, Teano e Mondragone, che allora possedeva il detto Ruggero dell'Aquila, e, dirigendosi per la via più breve a Capua, tenne il una curia generale per il buon governo del regno e promulgò le sue assise, che constarono di venti capitoli.

Riccardo di San Germano, Cronaca, p. 32.

[1] Gregorio IX (1227-1241).
[2] Mentre è chiaro cosa si intende con il diritto dei sangue (si tratta dell'alta giustizia), la prima espressione lascia in dubbio: forse si trattava di introiti ricavati dall'attività dei campsores cioè dei cambiavalute.

 

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