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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XVI
Le Signorie cittadine e gli Stati territoriali

10. Il Regno meridionale dagli Angioini agli Aragonesi
(A) Giovanni Villani, Nuova Cronica, XIII, 10, 99.
(B) Matteo Palmieri, Vita di Nicolò Acciaioli, RIS 13/2, pp. 12-13.
(C) Minieri Riccio, Saggio di codice diplomatico, 24 (1346).
(D) Mineri Riccio, Saggio di codice diplomatico, 52 (1419).
(E) Anonimo, Cronaca, pp. 27-29.

Dopo che gli Angioini ebbero perduta la Sicilia con la pace di Caltabellotta, Roberto d'Angiò (1309-1343) proseguì l'azione politica dai suoi domini nel meridione d'Italia, fornendo il suo sostegno allo schieramento guelfo. La situazione interna del regno restava però più difficile, pregiudicata dalla presenza di una forte nobiltà che il sovrano cercava di contenere con concessioni di terre e privilegi.
Nell'assenza di una borghesia locale su cui appoggiarsi, un peso sempre maggiore aggiunse il condizionamento sulla politica finanziaria di affaristi stranieri, specialmente dei banchieri guelfi toscani. Con la morte di Carlo la situazione si aggravò, per la crisi dinastica che portò al potere la nipote Giovanna I (A). A provare le condizioni di debolezza e instabilità del regno bastò la discesa a Napoli di Luigi d'Ungheria (1347-48), mosso dall'intenzione di vendicare l'assassinio del fratello Andrea, primo marito di Giovanna, che si era rifugiata nei possessi angioini in Provenza con il suo secondo marito Luigi di Taranto.
Un tentativo di riordinamento interno e addirittura di recuperare militarmente la Sicilia fu messo in atto più tardi sotto la guida di Nicolò Acciaiuoli, abile banchiere fiorentino e consigliere di Luigi di Taranto e della regina. Dell'opera dell'Acciaiuoli testimonia la biografia che ne scrisse Matteo Palmieri (B).
Si riaffacciava comunque il problema della successione; dai suoi quattro mariti Giovanna aveva avuto un solo figlio, nato postumo da Andrea d'Ungheria, quel Carlo Martello (C), che però non era sopravvissuto. Il contrasto per la successione, che oppose Angioini e Durazzeschi, e risultò condizionato da interessi personali e dinastici estranei a quelli del Regno, si esaurì solo alla fine del secolo. Ad esso subentrò quello tra Angioini e Aragonesi, quando si ripropose il problema della successione a Giovanna II (1414-1435), sorella di Ladislao, il cui regno aveva visto l'acuirsi della debolezza politica del potere centrale e della gravità delle sue condizioni finanziarie (D).
Lo scontro si risolse infine con la conquista di Napoli da parte di Alfonso di Aragona (1422) che presentiamo narrata nella testimonianza di una cronaca napoletana di fine Quattrocento (E).


(A) Nell'anno MCCCXLII, a dì XVIIII di gennaio, passò di questa vita il re Ruberto re di Gerusalem e di Cilicia e di Puglia di sua malattia nella città di Napoli. Einanzi che morisse, come savio signore dispuose i suoi fatti [1] per l'anima cattolicamente, siccome a tanto signore e divoto di santa chiesa si convenia. Vivette da LXXX anni, e regnò in Puglia anni XXXIII e mesi.
E perch'egli non avea figliuoli altro che due nipote, figliuole che furono del duca di Calavra suo figliuolo, inanzi che morisse, la maggiore fece sposare ad Andreas duca di Calavra e figliuolo che fu del re d'Ungheria suo nipote come gli avea promesso, e fecelo cavaliere, e farli omaggio a lui e alla moglie e a tutti i baroni del Regno, siccome succedente re e reina. Lasciolli grande tesoro, e perch'egli era di piccola età, ordinò i suoi principali baroni governatori e guardiani di lui e del regno a beneplacito della chiesa. Sopellissi al monastero di Santa Chiara a Napoli, il quale elli avea fatto fare e riccamente dotato a grande onore. E in Firenze se ne fece cordoglio ed esequio molto solenne e di grande luminaria, e di molta buona gente e signori chierici e laici al luogo de'frati minori a dì XXXI di gennaio. L'aprile seguente il duca di Durazzo nipote del re Ruberto, figliuolo di messer Gianni suo fratello, con dispensagione del papa del procaccio del cardinale Peragorgo zio del detto Luca, sposò l'altra figliuola fu del duca di Calavra, per retare il reame, se l'altra sirocchia morisse senza reda, onde nacque grande isdegno fra loro e'lla reina sua zia figliuola fu del re di Maiolica, e moglie del re Ruberto; non avendo figliuolo compiuto l'anno si commise nel monistero a Santo Piero a Castello, ch'ella fatto fare. Questo re Ruberto fu il più savio re che fosse tra'Cristiani già fa [2] cinquecento anni, sì di senno naturale sì di scienzia, con grandissimo maestro in teologia e sommo filosofo. Dolce signore e amorevole fu, e amicissimo del nostro comune, di tutte le virtù dotato, se non che poi cominciò a'nvecchiare l'avarizia il guastava in più guise; iscusavasene per la guerra ch'avea per raquistare la Cilicia, ma non bastava a tanto signore e così savio com'era in altre cose.
Nel detto anno, a dì XX d'agosto, messer Luigi, figliuolo che'ffu dl prenze di Taranto secondo genito, sposò la reina, figliuola che'ffu del duca di Calavra sua cugina carnale, e ch'era stata moglie d'andreas re figliuolo del re d'Ungheria, ed erano parti di madre nati di due sirocchie carnali. E fu dispensato il detto iscellerato matrimonio per Clemente VI papa, e fatto duca di Calavra e balio del Regno. E ciò fu per procaccio e opera del cardinale di Peragorga suo zio, onde fu ripreso da tutti i cristiani che'l sentiro, e ciascuno che'l seppe ne scificò [3] e disse che sarebbe con mala uscita sì abominevole peccato, con tutto che palese si dicea che'l detto meser Luigi avea affare di lei vivendo il re Andreas suo marito, ed egli ed ella furono trattatori della villana e abominevole morte del detto re Andreas, come contammo addietro, con più altri che'l misono ad esecuzione; onde seguì molto male, come innanzi si farà per noi menzione.

Giovanni Villani, Nuova Cronica, XIII, 10, 99.

[1] Dettò disposizioni testamentarie.
[2] Da almeno.
[3] Inorridì.


(B) Radunata quindi una gran quantità di denaro, Nicolò Acciaoli prescelse coloro chiamati a approntare la flotta. Egli in verità quanto più potè affrettò il percorso verso Napoli, e ardeva di un tale affetto verso i suoi principi che per la lor salvezza non si preoccupava di nulla: non la terribile peste, non l'ingresso in città, che i barbari custodivano a nome del nemico, non l'affrontare le insidie mosse dai nemici, non gli ostili principi del re d'Ungheria nella città di Napoli o nel resto della provincia, a legare a sè gli uomini di ogni condizione specialmente i potenti signori delle città o respingere il nemico. Ciò che non fu certo difficile fu che il re riacquistasse le città in mano dei barbari, dove già da tempo fremevano gli animi. A Napoli dapprima e a Capua ridusse in amicizia i più nobili e, stretto un patto con la maggior parte di loro, preparò il rientro della regina e di Ludovico. E affinché la cosa fosse meglio fissata, assoldò Guarnieri [1] […] con milleduecento cavalieri. E, come prima non aveva risparmiato sé né il suo patrimonio a favore di Ludovico, così ora non risparmiò i figli, infatti non disponendo dell'intero saldo per gli stipendi [dei mercenari] lasciò a Guarnieri i due figli come pegno del pagamento.
Inviato quindi rapidamente un messo, richiamò la regina e Ludovico.
Essi salpando dal porto di Marsiglia con dieci lunghe navi si diresssero a Napoli per le coste dei Salii, dei Liguri e degli Etruschi. In vero, dato che la città era in mano dei nemici, evitando il porto di Napoli, le navi, fatta tappa preso la basilica dei carmelitani,
approdarono sul litorale dei dintorni cittadini. In luogo, i napoletani già prima convocati da Nicolò, vennero a prestar loro saluto, rallegrandosi che ciò cui massimamente aspiravano, e cioè di essere liberati dalle schiere dei barbari, sembrasse loro ormai ottenuto.

Matteo Palmieri, Vita di Nicolò Acciaioli, RIS 13/2, pp. 12-13.

[1] Guarnieri d'Urslingen, capitano di ventura, aveva costituito intorno al 1340 una delle prime compagnie mercenarie in Italia.


(C) Giovanna, per grazia di Dio regina di Gerusalemme e del ducato di Sicilia Puglia e del principato della provincia di Capua e contessa di Focalechieri e Pedmonte, al giustiziario della Terra di Lavoro e del comitato del Molise diletto nostro fedele, etc.
Con l'affetto della carità materna e ispirazione della pia considerazione, per cui speriamo, consideriamo e aspiriamo che lo spettabile Carlo duca di Calabria primo e unico nostro figlio carissimo debba succedere a noi nel predetto regno di Gerusalemme e Sicilia e in tutte le nostre terre e i nostri beni, volemmo e vogliamo che a quello stesso nostro primogenito sia dovuto prestare un ligio omaggio e un giuramento di fedeltà da parte dello spettabile principe di Taranto, dal signore di Durazzo e dai fratelli e dai conti e baroni e gli altri feudatari e uomini del regno in quanto nostro figlio primogenito e giustamente successore dopo la nostra morte nelle terre del regno e negli stessi beni in maniera tale che la prestazione dell'omaggio e del giuramento fatto abbia valore dopo la nostra dipartita da questa vita e non prima e nessuno quindi finché vivremo solleverà pregiudizio riguardo la proprietà, l'usufrutto, il governo, l'amministrazione e gli altri diritti del regno delle terre e dei beni predetti. Fatti salvi i diritti e l'onore della sacrosanta romana madre chiesa e del signore nostro sommo pontefice suo sposo, così come si stabilì per consiglio e ordinazione del reverendo padre signor Berterando presbitero del titolo di San Marco cardinal legato della sede apostolica.
Di conseguenza, conoscendo la tua stretta fedeltà, chiediamo che subito quando riceverai le presenti [disposizioni] ti preoccupi di ingiungere e intimare alle singole comunità di tutte le terre e di castelli di qualsiasi luogo della provincia che ti é affidata, anche quelle che abbiano capitani diretti, che immediatamente ognuna di loro disponga i propri sindaci secondo le regole per le cose predette e che investiti di un potere e di autorità pieni e completi si rechino alla nostra presenza per prestare in tal modo debitamente giuramento di omaggio ligio e fedeltà nel modo, forma, condizione e riserva predetti per conto delle loro dette comunità al nostro predetto primogenito. Di modo che nell'intero quindicesimo giorno di gennaio prossimo siano presenti a Napoli di fronte a noi quegli stessi sindaci sostenuti dalla piena potestà e autorità per adempiere efficacemente le predette incombenze. Fatta eccezione per le sottoscritte città a cui a questo proposito abbiamo fatto scrivere altre nostre lettere speciali, e cioè Napoli, Aversa, Capua, Sessa, Gaeta […]. Redatto in Napoli dal venerabile padre Ruggero arcivescovo di Bari […] nell'anno del Signore 1346 il giorno 11 dicembre, indizione quindicesima, anno quarto dei nostri regni.

Minieri Riccio, Saggio di codice diplomatico, 24 (1346).


(D) Giovanna Seconda regina […] rendiamo noto con le presenti lettere a tutti coloro che le vedranno che di recente essendo intervenute delle necessità che ci aggravano per ogni dove nella nostra curia e soprattutto per il necessario bisogno di denaro per gli oneri e le spese della nostra curia da sostenere per la difesa del nostro stato e della cosa pubblica e dei nostri fedeli di questo regno richiedemmo a Gaspare Bonciano, mercante fiorentino e cittadino napoletano, nostro familiare e fedele che ci prestasse del suo proprio denaro una certa quantità per convertirlo in alcune particolari spese a noi necessarie per impiegarle nella nostra predetta curia, il quale predetto Gaspare sollecito alla nostra predetta richiesta e desiderando sostenere le nostre necessità prontamente e generosamente prestò a noi e alla nostra curia le quantità di denaro scritte più oltre nel nostro documento come debito da restituire, e cioè in una prima occasione riconosciamo di aver ricevuto in mutuo da quello stesso Gaspare duemila ducati d'oro cioè nel terzo giorno del mese di ottobre, dell'indizione dodicesima per i quali assegnammo in pegno e come testimonianza del pegno a quello stesso Gaspare due parti di una nostra grande frontiera [1] con alcune perle e gioie collocate in essa.

Mineri Riccio, Saggio di codice diplomatico, 52 (1419).

[1] Fascia decorata con pietre preziose.


(E) Anno dommini 1442 essendo lo illustrissimo sengniore re Alfonso primo de Aragona (la secunna vota venuto inde la cità di Napole) in presencia delle porte della cità de Napole per volere entrare inde la detta cità per forza, et uno citatino de Napole vedenno questo che lo singniore Re aveva ordinato, che se chiamava Aniello dell'Acqua, lo quale mandò a Napole a dire Sua Magistà se lo voleva fare gracia de non fare sachiare [1] la ditta cità di Napole, et ipso ditto Aniello dell'Acqua le deva in mano la ditta cità per dentro ad uno puzo vicino le mura [2]. Lo quale fo per intro ad una casa che sta vizino la porta de Santa Sufia, dove se dice la porta Carbonara. Et fecero cava per sotto le mura et traséro per lo puzo de ditta casa.
Et como quiste fante foro per la terra gridòno: «Viva re Alfonso primo d'Aragona»; et accossì ròppino la porta de Carbonara et da loco intraro sua Maestà con tutta la sua gente, et a quello intrare la fantaria méssiro la cità a sacco dalli Pinnine in bassio. E como sua Maistà àppe la cità fece ittare [3] uno banno, che ala pena della vita nissuna persona dovesse mattere mano a sacchiare.
Et re Raniere [4] che era intro la ditta cità, andava probidenno la cità come stevano le guardie delle mura et della cità. Lo quale fece ittare uno banno che nissuna persona se devesse movere per remore che sentessino. Et in questo isso re Raniere, essenno innante Santa Aata [5], vicino lo Siegio de Purto, incontrò certe Busscaine [6], lo quale uno dei quille lo pigliao per la briglia et dissele: «Sta forte ca si'persone». Et isso Re se mese mano alla sua fachina [7] et taglile la mano netta, et mésese a foire alo Castillo Nuvo.
Et como lo singniore re Alfonso fo intrato intro la cità et arreposato, intese questo che fece lo spangnolo overo boscaino, et sua Maista le dette vinte onze l'anno de provisione alla doana de Napole.
Et lo singniore re Alfonso stette a Canpo viechio sì a tanto che fosse facto lo carro trionfale per intrare in della cità de Napole [8], che la cità avea ordinato, zoé quiste gentiliomini innominate [9] messere Mazeo de Innaro, messere Colamaria Vizuto et messere Traunetta Bonifacio et messere Tomase Carrafa, messere Boffardo Ciciniello.
Tutte queste cincho Siege foro ordinare quisto triunfo, lo quale ditto carro trionfale andò tutto parato de villuto carmosino fino in terra, et tutte le Singniure de quisto Riamo andavano a piede innante a ditto carro per tutta la cità de Napole. Et intrao per la porta dello Mercato, lo quale fo de martidì; et trasìo con gran triunfe de sune [10] et ballare alli Siegie; et tutta la citate fo parata et scopata.
Lo quale fece quisto dì barune assaie. In primis fece lo Conte de Olivito Duca de Sora, lo figlio dello Conte dell'Orio Marchese de Pescara; et quiste como se intitolaro, donno Alfonso de Cardona Conte de Turzo, quillo de Capacze Conte de Camarota., quillo de Lauria conte de Maratea, lo conte de Conza Precepe de Salierno, messere Indico Conte de Ariano et de Potenza, messere Carzìa de Cabenelles Conte de Troia; et fece cavaliere assaie.
Et tutte quille cinco gentiliommini che ordinaro ditto triunfo andaro vistute tutte de villuto carmosino con mante ad una divisa.
Lo quale ditto triunfo me l'ave dato mio patre Francisco Ferraiolo, che se trovao a vedere ditta intrata secundo appare.

Anonimo, Cronaca, pp. 27-29.

[1] Saccheggiare.
[2] Ci si riferisce all'imboccatura dell'acquedotto, che avrebbe permesso agli Aragonesi di entrare nella città.
[3] Proclamare.
[4] Renato D'Angiò, allora re di Napoli.
[5] Santa Agata.
[6] Buscaini, cioè i Catalani.
[7] Arma.
[8] In realtà la presa di Napoli avvenne all'inizio del giugno 1442 e il vero e proprio trionfo il 16 febbraio 1443.
[9] Denominati.
[10] Musiche.

 

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