Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
1. Gli scenari (A) Ferreto Ferreti, Historia,
FSI 42, pp. 274-6. (B) Giovanni Villani, Nuova Cronica,
XI, 18. (C) Soranzo,
La lega italica, 7.
In questo paragrafo si è voluto
proporre, con un puro valore di suggestione, una testimonianza su alcuni
degli eventi che grossomodo aprono e chiudono il periodo preso in esame
nel capitolo. Nell'Italia del primo Trecento la discesa dell'imperatore
Enrico VII, intrapresa con l'intento di pacificare le parti in conflitto
tra loro e di riaffermare il primato imperiale [cfr. cap. 18,8], dà
occasione al notaio vicentino Ferreto Ferreti di descrivere nella sua
Historia la distribuzione del potere tra popolo e “tiranni”
nelle città dell'Italia centro-settentrionale proprio alla vigilia di
questo evento (A). E ancora, narrato nella sua
Cronica dal fiorentino
Giovanni Villani (B), viene proposto l'intervento
imperiale di Ludovico di
Baviera, sollecitato dalle forze ghibelline come contraltare della
politica angioina, da collocarsi nel quadro dello scontro con il pontefice
Giovanni XXII. Sono due episodi d'avvio di un periodo scandito dagli
interventi di forze estranee alla penisola (oltre a quelli ricordati,
l'intervento di Giovanni di Boemia), segnato da vicende troppo complesse
per essere in sè, qui neppure accennate. Un periodo che si distende a
comprendere la prima metà del XV secolo nel quale, tra scontri frontali e
tregue rinnovate, continui cambi di alleanze intesi volta a volta a
assecondare o frustrare i disegni espansionistici delle maggiori forze in
campo nell'Italia centro-settentrionale, e nel confronto di esse con la
politica di intervento dei pontefici e con le ripercussioni della crisi
angioina e dello scontro angioino-aragonese nel Meridione, si vedrà, al
suo termine, definito il ristretto numero delle maggiori formazioni
territoriali della penisola. Quelle stesse che si ritroveranno a maturare
un'esigenza di pacificazione e stabilità, concretatasi nella pace di Lodi
del 1454 e nella costituzione di una lega (a proposito della quale
proponiamo una relazione degli ambasciatori milanesi a Francesco Sforza
riguardo l'adesione alla lega di Alfonso d'Aragona (C).
(A) Poi i consiglieri dell'imperatore
scelgono accuratamente gli ambasciatori che si recheranno presso gli
Stati italiani per annunciare ai popoli l'arrivo di Cesare e per comandare
loro di accoglierlo in pompa solenne mentre egli si dirige verso Roma,
sede dell'impero, dopo aver innanzitutto composto le discordie tra i
Lombardi; si scelgono poi otto persone, tra cui due vescovi venerandi,
quello di Coira e quello di Basilea e altri, giurisperiti e uomini d'armi
e dignitari di nobile schiatta; essi, ricevute le lettere che indicano
i limiti della loro ambasceria, si affrettano a partire alla volta della
Lombardia e visitano ad una ad una le città liguri ed emiliane,
dalle Alpi fino alla pianura, che si estende tra gli Appennini e il
Mare Illirico per portare la notizia dell'arrivo di Cesare e diffondono
le lettere circolari perché il loro signore sia accolto con tutti
gli onori. Le folle della Lombardia, che non avevano conservato sempre
il terrore per i tiranni, sotto la cui oppressione l'Italia tuttavia
soffriva. Cera, infatti allora a Milano il duca Guido, della Torre,
che per quasi otto anni oppresse con la sua crudele tirannide la città,
dopo la caduta di Maffeo e allo stesso modo da poco tempo un tiranno
dominava a Bergamo. Analogamente Vercelli e Novara erano sottomesse
a Simone di Collubrano, Piacenza ad Alberto Scotto, Pavia al conte Filippo
[1], Como a Martino
dei Lavezzari, Parma a Giberto da Correggio, Mantova a Rinaldo Passarono,
Verona ad Alboino e Cane [2],
Vicenza ai Padovani, Treviso a Rizzardo da Camino, non particolarmente
feroce, Brescia a Mafeo di Mai, subentrato a suo fratello, il glorioso
presule Beraldo. A Cremona, talvolta il popolo, talvolta i grandi, riuscivano
a rintuzzare le violenze private e soprattutto, esercitavano il loro
potere Giacomo e Guglielmo dei Cavalcabò. Dominava su Lodi e
Crema Antonio di Fissiraga.
Modena e Reggio sia per timore di Giberto sia per timore dei bolognesi
rimanevano affidate al loro popolo. Solo Bologna in Emilia era libera da ogni
giogo. Venezia e Padova presso il Mare Illirico, dove si racconta che Antenore
[3], dopo la distruzione di Troia, fece costruire
per primo delle città, prosperavano in pace. Ferrara e la Romgana erano
assoggettate al popolo grazie alla potenza.del Duca di Puglia
[4].
Firenze, tutta presa dalla sua produzione di panni, ripudiando il fasto dei
Signori, dopo averne cacciati molti, decise di farsi reggere dal suo popolo.
Lucca e Pisa erano rette da un regime popolare con alterne vicende. In esse
soprattutto il popolo era potente, mentre i grandi venivano condannati
all'esilio e al confino. Ferreto Ferreti, Historia, FSI 42, pp. 274-6. [1] Filippo di Langusco.
[2] Cangrande della Scala.
[3] Scampato alla distruzione di
Troia, Antenore sarebbe giunto in Veneto, fondando la futura Padova.
[4] Roberto d'Angiò. (B)
Negli anni di Cristo MCCCXXVI, del mese
di gennaio, per cagione della venuta del duca di Calavra in Firenze i
Ghibellini e' tiranni di Toscana e di Lombardia di parte d'imperio
mandarono loro ambasciadori in Alamagna a sommuovere Lodovico duca di
Baviera eletto re de' Romani, acciò che potessono resistere e
contrastare a la forza del detto duca e de la gente della Chiesa,
ch'era in Lombardia; e con grandi impromesse il detto Lodovico con
poca gente condussono col duca di Chiarentana[1]insieme a uno parlamento a Trento a' confini de la Magna[2] di là da Verona; e al detto parlamento fu messer Cane signore di
Verona con VIIIc cavalieri, e andovvi così guernito di gente d'arme
per tema del detto duca di Chiarentana, con cui aveva avuta briga per
la signoria di Padova; e fuvi messer Passerino signore di Mantova, e
uno de' marchesi d'Esti, e messer Marco, e messer Azzo Visconti di
Milano e fuvi Guido de' Tarlati che si chiamava vescovo d'Arezzo e
ambasciadori di Castruccio e de' Pisani e degli usciti di Genova e di
don Federigo di Cicilia, e d'ogni caporale di parte d'imperio e
Ghibellini d'Italia. Nel quale parlamento prima si fece l'accordo di
triegua dal detto duca di Chiarentana a messer Cane di Verona. Apresso,
a dì XVI di febbraio, il detto eletto re de' Romani, il quale
volgarmente Bavero era chiamato da coloro che non voleano essere
scomunicati, si promise e giurò nel detto parlamento di passare in
Italia, e venire a Roma sanza tornare in suo paese; e'detti tiranni e
ambasciadori de'Comuni ghibellini gli promisono di dare CLm fiorini
d'oro come fosse a Milano, salvo ch'a la detta lega non si legarono i
Pisani, ma cercavano da parte di dargli danari assai, acciò che
promettesse di non entrare in Pisa. E nel detto parlamento piuvicò
[3] non dovutamente papa
Giovanni XXII essere eretico e non degno papa,
apponendogli sedici articoli incontro; e ciò fece con consiglio di più
vescovi e altri prelati e frati minori e predicatori e agostini, i
quali erano sismatici [4] e ribelli
di santa Chiesa per più diversi casi, e co loro era il maestro della
magione degli Alamanni, e tutta la sentina degli apostici e sismatici
di Cristianità. E intra gli altri più forte e maggiore capitolo che
opponesse contro al detto papa si rinovò la questione mossa in corte
che Cristo non ebbe proprio, dicendo come il papa e la chericia
amavano propio, ed erano nimici de la santa povertà di Cristo, e
intorno a ciò più articoli di scandalo in fede: e piuvicamente egli
scomunicato, e simile i suoi prelati, continuo facea celebrare l'uficio
sacro, e scomunicare papa Giovanni; e per diligione il chiamavano il
papa prete Giovanni, onde grande errore se ne commosse
[5]
in Cristianità. E ciò fatto, a dì XIII di marzo, si partì da
Trento con poca di sua gente, e poveramente e bisognoso di danari, che
in tutto non avea VIc cavalieri: e per le montagne ne venne a la città
di Commo, e poi di là venne e entrò in Milano, a dì. d'aprile
MCCCXXVII. Giovanni Villani, Nuova Cronica, XI, 18. [1] Carinzia.
[2] Alemagna ossia Germania.
[3] Proclamò.
[4] Scismatici.
[5] Suscitò.
(C) III.me princeps et
ex.me domine noster colendissime post debitas recomandationes
[1].
Ad honore et laude del eterno Dio et a protectione ac exaltatione de la I.S.V.
e de la Ex.ma Madona Nostra necnon de li Vostri figlioli atque etiam a
deffensione e de la catolica fede nostra, anunciamo a la prefata vostra signoda
como questa sera a le doe hore de nocte la Ser.ma Maestate del Re
[2] in primis ha
liberamente et amorevolmente aprobato et ratificato la pace fata a
Lode cum tuli li soi capitoll publici e secreti et de verbo ad verbum secundo
tuto el suo tenore ac perinde in omnibus et per omnia, como si la sua Maestà
gavesse facto quella pace cum la V. S. est cum la excelsa comunità de Firenze
et have iurato in mane del Monsignore lo legato et cussy nuy ambasatori de la
V. S. et de la prefata Comunità de non mai contravenire a la dicta pace.
Deinde facta questa approbatione fuy firmata et stabilita la liga tra el
prefato monsignore et legato in nome de la Sanctità del Nostro Signore
[3],
la prefata Maestate, la V. I. S., la I. Signoria de Venetia et la excelsa
comunità de Firenze, la quale liga etiamdio è coroborata per iuramento del
prefato Monsignore et de la prefata Maiestate et de nuy tuti ambasatori, como
apare in li publici instrumenti rogati et confecti per questi doi coptracti et
essi domane cum el nome de Dio se banirano et publicarono dicta pace et liga
per essa Maiestate cum solemnitate de falodii et altre feste consuete in simili
acti et per li ambasatori Venetiani et Fiorentini sarà scripto a loro signorie
che li pare debeno fare, intesa questa novella, subito il simile, reservando la
processione e l'altra maiore solemnitate, che se soleno fare per tuto il
dominio loro fin a la giornata si firmarà a Roma per tutte le potentie de
bannire ancora et solennizare megio per lo universo dominio loro essa liga. Soranzo, La lega italica, 7. [1] La relazione è degli ambasciatori
milanesi a Francesco Sforza.
[2] Alfonso V d'Aragona, impostosi
come re di Napoli nel 1422 [cfr. paragrafo 10 (E)].
[3] Il pontefice era Nicolò V,
il doge di Venezia Francesco Foscari.
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