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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XVI
Le Signorie cittadine e gli Stati territoriali

3. Milano / 1: I Visconti
(A) Dino Compagni, Cronica, II, 25-27.
(B) Enrico VII, Costituzioni, CA 4, 660 (1311).
(C) Galvano Fiamma, Opuscolo sulle gesta di Azione, Luchino e Giovanni Visconti, RIS 12/4, p. 6.
(D) Galvano Fiamma, Opuscolo sulle gesta di Azzone, Luchino e Giovanni Visconti, RIS 12/4, p. 23.
(E) Galvano Fiamma, Opuscolo sulle gesta di Azzone, Luchino e Giovanni Visconti, RIS 12/4, p. 34.

È nel quadro della discesa imperiale di Enrico VII [cfr. cap. 18, 8] che si risolse definitivamente il contrasto che aveva visto a lungo opporsi a Milano le fazioni dei Toniani e dei Visconti (A). In quell'occasione Matteo Visconti (1250-1322) fu nominato vicario imperiale (B). Da allora la potenza dei Visconti si andò sempre più consolidando, tanto che contro i signori di Milano, considerati l'elemento di forza dello schieramento ghibellino, il pontefice Giovanni XXII tentò di sostenere, senza successo, i rivali Torriani; e anche gli scarsi esiti del processo per eresia che intentò contro Matteo, scomunicandolo, confermano il consenso che lo sosteneva tra i suoi (C).
Sempre nell'orbita dello schieramento imperiale continuò a muoversi anche il nipote di Matteo, Azzo, appoggiando Ludovico il Bavaro [cfr. cap. 18, 8], da cui pure ottenne il titolo di vicario imperiale, sapendosene però anche distaccare quando si trattava di salvaguardare la propria autonomia. Con il suo appoggio alla lega antiboema, e con l'occupazione di Bergamo (1332), Azzo fu tra i responsabili del fallimento delle mire italiane di Giovanni di Boemia.
Contro l'espansionismo montante di Mastino della Scala (D), riuscì a impadronirsi di Brescia (1337).
Il fallimento di una pericolosa iniziativa sostenuta dallo Scaligero contro Milano (1339) segnò un'accelerazione del predominio visconteo nell'Italia del nord. che si accompagnò al cambio di guardia al vertice della signoria. con Luchino e Giovanni al posto di Azzo (E). Giovanni, vescovo di Novara, poi arcivescovo di Milano, ottenuta la composizione del dissidio con il papato, orientò la sua politica verso Bologna (acquistata nel 1350) e Genova (1355). Si avvia così il vero sviluppo espansionistico della signoria viscontea, dopo un periodo di consolidamento interno che aveva visto altresì il progredire dell'intensa attività commerciale e imprenditoriale promossa dai ceti mercantili cittadini.


(A) Giunto lo Imperatore su uno crocicchio di due vie, che l'una menava a Milano, l'altra a Pavia, uno nobile cavaliere, chiamato messer Maffeo Visconti da Milano, alzò la mano e disse: «Signore, questa mano, ti può dare e tor Milano: vieni a Milano, dove sono gli amici miei, però che niuno ce la può togliere: se vai verso Pavia, tu perdi Milano». Era messer Maffeo stato più anni rubello di Milano, e era capitano quasi di tutta Lombardia; uomo savio e astuto più che leale. Di Melano era allora capitano e signore messer Guidotto dalla Torre erano gentili uomini e d'antica stirpe; e per loro arme portavan una torre nella metà dello scudo dal lato ritto, e dall'altro lato due gigli incrocicchiati; e eran nimici de' Visconti [1].
Il signore [2] mandò un suo maliscalco a Milano, che era nato di quelli dalla Torre, e molte parole amichevoli usò con messer Guidotto, mostrandoli la buona volontà del signore: ma messer Guidotto pur dubitando della sua venuta, e temea di perdere la signoria, e non li parea per sua difesa pigliare la guerra. Fece tutti i suoi soldati vestire di partita di campo bianco e una lista vermiglia; fece disfare molti ponti di lunge dalla terra. Lo Imperadore, con piano animo, tenne il consiglio di messer Maffeo Visconti, e dirizzosi verso Milano, e lasciò Pavia da man ritta.
Il conte Filippone [3], signore di Pavia con grande benivolenzia mostrava aspettarlo e onorarlo in Pavia. Lo Imperatore, tenendo la via verso Milano, passò il Tesino a guado, e per lo distretto cavalcò senza contasto.
I Milanesi gli vennero incontro, si mosse anche lui: e quando fu appresso a lui, gittò in terra la bacchetta, e smontò ad terra, e baciagli il piè; e come uomo incantato seguitò il contrario del suo volere.
Con gran festa fu ricevuto dal popolo di Milano; e pacificò messer Guidotto e messer Maffeo, insieme co' loro seguaci, e molte altre belle cose fece e più parlamenti: e più lettere mandò nella Magna, avendo novelle che'l suo figliuolo era coronato re di Buemia, e aveva preso donna di nuovo [4]; di che ebbe molta allegreza.
Avea lo Imperatore per antica usanza di prendere la prima corona a Moncia: per amore de'Malanesi, e per tornare indietro, prese la corona del ferro, lui e la donna sua [5], in Milano nella chiesa di santo Anbruogio, la mattina della Pasqua di Natale a dì XXV di dicembre 1310. La quale corona era di ferro sottile, a guisa di foglie d'alloro, forbita e lucida come spada, e con molte perle grosse e altre pietre.
Grande e orrevole corte tenne in Milano; e molti doni fece la imperatrice la mattina di calen di gennaio 1310 ai suoi cavalieri. [.]
I Milanesi avevano stanziati danari per donare allo Imperatore; e a radunarli, nel consiglio ebbe rampoglie tra quelli dentro e gli usciti ritornati [6]. Messer Guido avea due figliuoli, i quali si cominciavano a pentere di quanto il padre aveva fatto, e udivano le parole de'lamentatori di lor parte. Lo imperatore fece uno pensiero: di trarre alcuni dell'una parte e dell'altra de' più potenti, e menarseli seco; e tali confinare.
I figliuoli di messer Mosca, che l'uno era arcivescovo, cugini di messer Guidotto, divenuti nimici per gara, il perché lui li tenea in prigione, lo Imperatore gliene fece trarre, e rappacificagli insieme.
Ma i figliuoli di messer Mosca, che l'un era arcivescovo, cugini di messer Guidotto non tessono, e un dì appesantemente richiedono loro amici, e ricominciato l'odio, di uno consiglio si svillaneggiarono di parole; le quali ingrossorono per modo, che presono l'arme e abbarroronsi nel Guasto di quelli dalla Torre. Il romore fu grande: il maniscalco andò al serraglio con LX cavalli, e ruppero e la gente mise in fuga.
Messer Guidotto era malato di Gotte; fu trasportato in alta parte: dissesi che scampato era nelle forze del Dalfino. I figlioli rifuggirono a un loro castello presso a Como, e di lunge a Milano XX miglia. Tutti i loro arnesi furono rubati. E così si cambiò la festa; ma non l'amore dello Imperatore: però che volle loro perdonare; ma non se ne fidarono. E allor cominciò a sormontare messer Maffeo Visconti, e quelli della Torre e i loro amici abbassare. Il sospetto crebbe più che l'odio. Lo Imperatore raccomandò la terra a messer Maffeo, e per vicario vi lasciò messer Niccolò Salinbeni da Siena, savio e virile cavaliere, e adorno di belli costumi, magnanimo e largo donatore.

Dino Compagni, Cronica, II, 25-27.

[1] Matteo Visconti era stato alla guida di Milano fino al 1302; dal 1307 era capitano del Popolo di Milano Guido della Torre.
[2] Arrigo VII.
[3] Filippone di Langusco.
[4] Giovanni di Boemia aveva sposato Elisabetta, vedova di Venceslao IV, re di Boemia.
[5] Margherita di Brabante.
[6] Cioè, rispettivamente, i Torriani e i Visconti.


(B) Enrico per grazia di Dio re dei Romani sempre augusto a tutti i fedeli del sacro romano impero cui sono rivolte le presenti lettere, la sua grazia e ogni bene.
Certi della fedeltà, legalità e abilità del nobile uomo Matteo Visconti, fedele nostro diletto, con fiducia abbiamo deciso di concedere l'ufficio del vicariato della città di Milano e del suo distretto, eccetto soltanto la città di Monza e il castello di Trivilio spettanti direttamente alla camera regia, e di farlo esercitare da lui o da un altro o altri, che tuttavia siano fedeli all'impero, che a ciò destinerà, dando e concedendo a quello stesso in quella città e distretto il mero e misto imperio e tutto ciò che pertiene alla giurisdizione semplice.
A condizione e nelle modalità trascritte, e cioè che il detto Matteo, intervenendo alla suddetta stipulazione, promise e convenne con noi di dare in tal modo per questo ufficio e pagare cinquantamila fiorini d'oro, di cui quarantamila a noi e diecimila a Margherita, illustre regina dei romani nostra consorte carissima nei termini detti più oltre: [.].
Se restituiremo a quello stesso Matteo quarantamila fiorini d'oro sarà lecito revocare in tal modo questo incarico di vicariato e stabilirvi un altro che preferiremo, e lo stesso Matteo è tenuto ugualmente a dimettersi senza fare difficoltà. Se, in vero, nel frattempo allo stesso Matteo capitasse di morire, noi non saremo tenuti alla restituzione del denaro ai suoi successori o eredi. Mentre per quanto a lungo vivrà non dovremo né sarà lecito rimuoverlo dall'incarico, se non previo la restituzione dei quarantamila fiorini d'oro stabiliti. […] Lo stesso Matteo prometterà a noi che fedelmente e legalmente guiderà e governerà quella stessa città [di Milano] e il suo distretto, esclusa la città [di Monza] e il castello predetti, a innalzamento e favore nostro e dell'impero, non seguendo parzialità né provocando offesa ad alcuno, ma esaudendo a ciascuno il proprio diritto, del tutto indifferente a preghiere, compensi, odio o amore. Adempierà efficacemente le nostre indicazioni e ordini, recupererà e conserverà i diritti dell'impero, non imporrà taglia, colletta o fodro o qualunque altra esazione ai cittadini o agli abitanti delta città e del distretto, né permetterà che siano imposte senza il nostro speciale ed espresso mandato, e per una tale esazione o fodro possa essere opportunamente denunciato. Se infatti il detto Matteo commettesse qualcosa di rilevante a danno o svantaggio nostro o dell'impero o facesse cose al di fuori del suo incarico o commettesse reati, ci sta consentito allontanare quello stesso Matteo dall'ufficio senza restituirgli nessun denaro e quello stesso Matteo è tenuto a liberare la carica non facendo difficoltà alcuna, sotto pena di duemila libbre di oro buono e puro da pagare al nostro tesoro.
A testimonianza di questo atto ordinai fossero scritte le presenti lettere e fosse apposto il sigillo della nostra autorità.

Enrico VII, Costituzioni, CA 4, 660 (1311).


(C) Fatto signore della città di Milano, Azzone Visconti proveniente da Pisa dove aveva lasciato il predetto Ludovico e antipapa Nicolò [1] pervenne con rapida andatura alla città di Milano, ottenne il dominio della città e si liberò poco a poco dei tedeschi e prese pubblicamente partito contro la chiesa romana e a favore di Ludovico e dell'antipapa Nicolò. Allora in questa città si manifestarono espressamente molti eretici molti falsi e maledetti religiosi diedero sfogo alle lingue in pubbliche prediche contro il sommo pontefice Giovanni, sostenendo che questi non era papa ma piuttosto un eretico scomunicato, deposto e pessimo omicida. Esaltavano con grandi lodi d'altrocanto quel Nicolò antipapa. E così allora l'apostata veniva detto apostolico, e ogni cattolico eretico, e così la verità venne apertamente smentita e la città un tempo piena di buona stima ora è fatta nutrice di ogni misfatto e nido di eretici.

Galvano Fiamma, Opuscolo sulle gesta di Azione, Luchino e Giovanni Visconti, RIS 12/4, p. 6.

[1] Nicolò V, antipapa (1328). Il tono del passo è segnato dal giudizio di condanna di cui Matteo era stato fatto segno da parte di Giovanni XXII.


(D) In questi tempi [1] era nella città di Verona un certo Mastino della Scala signore delle città di Verona, Brescia, Parma, Vicenza, Treviso, Padova, di Feltre e Belluno, di Lucca. Questi in odio e a danno dei veneziani costruì delle saline. Dopo averlo saputo, i veneziani riunito un esercito con fiorentini, bolognesi e toscani invasero le saline e le distrussero e aspiravano con tutte le loro forze alla distruzione dello stesso Mastino. E affinché si potesse meglio riuscirvi inviarono a Milano Obizzo, marchese d'Este e Guido Gonzaga, signore della città di Mantova affinché in tutte le maniere sollecitassero Azzo Visconti perché recedesse dall'amicizia con Mastino; il che avvenne. Allora venne posto a capo della lega dl veneti, fiorentini e bolognesi il nobile cavaliere Luchino Visconti e fu stabilito per lui un salario da tutta la lega di cento fiorini per ogni giorno. Questi, radunato un valido esercito invase fin quasi alle porte della città il territorio di Verona [.].

Galvano Fiamma, Opuscolo sulle gesta di Azzone, Luchino e Giovanni Visconti, RIS 12/4, p. 23.

[1] Siamo intorno al 1337.


(E) Nell'anno del Signore 1339, nell'anno … del pontificato di Benedetto [1], vacante la sede imperiale, vacante l'arciverscovato di Milano, essendo morto l'illustre principe Azzone Visconti. l'intero popolo e tutti i nobili e gli ufficiali della città di Milano elessero concordemente e unanimemente signori generali di Milano e del comitato i due figli del grande Matteo Visconti [2], cioè li venerabile Giovanni, vescovo di Novara, che poi fu arcivescovo di Milano e il nobile cavaliere signore Luchino suo fratello carnale [.].

Galvano Fiamma, Opuscolo sulle gesta di Azzone, Luchino e Giovanni Visconti, RIS 12/4, p. 34.

[1] Benedetto XII, papa dal 1334 al 1342.
[2] Matteo I (1250-1322), Giovanni e Luchino sono difatti degli zii del defunto a Azione.

 

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