Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
5. Venezia / 1: l'evoluzione interna (A) Pietro Gradenigo, Lettera
al capitano e podestà di Capo d'Istria, RIS 12/1, p. 3/5. (B) Rafaino de Caresini, Cronaca,
RIS 12/2, pp. 9-10. (C) Rafaino de Caresini, Cronaca,
RIS 12/2, pp. 55-56. (D) Rafaino de Caresini,
Cronaca, RIS 12/2, p. 56.
La cosiddetta serrata del Gran Consiglio [cfr. cap.15. 6] aveva significato
a Venezia la consacrazione degli esiti di un generate processo di omogeneizzazione
delle oligarchie cittadine, che riuscirono ad assicurare alla città
una relativa stabilità politica basata su una rappresentanza unitaria
dei suoi interessi. Ed é significativo come rimasero senza seguito
quei tentativi di sovversione che pure turbarono la vita interna della
repubblica. La congiura di Baiamonte Tiepolo (A)
sarà l'occasione per la costituzione del Consiglio dei Dieci, un
organo destinato a vigilare con efficacia sulla vita politica della città
a cui a rotazione sono chiamati a partecipare i cittadini maggiori, mantenendo
l'anonimato. Nel 1355 sarà stroncato il tentativo di volgere in
senso autoritario il governo della repubblica messo in atto dallo stesso
doge Marin Faliero (B), ponendo con
ciò fine a ogni eventualità di rinnovamento costituzionale
e anzi contribuendo a rendere permanente l'istituzione del Consiglio dei
Dieci, sino ad allora organismo provvisorio, anche sé più
volte rinnovato. Uno dei momenti in cui meglio si poté constatare
la solidità interna di Venezia fu la fase terminale della guerra
contro Genova, la città che le contendeva il primato dei commerci
sul mare. Noto come guerra di Chioggia, il conflitto tra Genova e Venezia,
che si concluse nel 1381 con la pace di Torino (C),
mise in luce la diversa consistenza delle realtà politiche a confronto:
fragile e frammentata quella di Genova, come compatta e solidale quella
di Venezia. che, pur essendo uscita spossata dal conflitto, seppe presto
riprendersi. Il Maggior Consiglio resta il centro del potere cittadino
e l'allargamento dell'accesso, che viene riconosciuto ad alcune famiglie,
non significa paradossalmente che l'adeguarsi, con piccoli aggiustamenti,
a una realtà in movimento di un meccanismo che continua a assolvere
la sua funzione (D). (A) Pietro Gradenico, per grazia
di Dio doge di Venezia, di Dalmazia e Croazia, signore della quarta
parte e mezzo di tutto l'impero romano, ai nobili e sapienti uomini
per suo mandato al capitano e podestà di Capo d'Istria ai suoi
fedeli e diletti, salute e sentimenti di affetto.
Dato che riteniamo siano giunti alle vostre orecchie voci sulla grande
novità accaduta all'improvviso nella città di Venezia,
affinché abbiate notizia dell'emergere e del concludersi di quella
cosa con le presenti lettere vi dichiariamo: che quel pessimo traditore
e iniquo ingannatore, figlio dell'iniquità e alunno della maldicenza
Baiamonte Tiepolo, indegno del benefici. degli onori e delle dignità
concesse ai suoi progenitori per i loro meriti dal comune di Venezia,
in virtù dei quali doveva custodire il nostro stato e il comune
di Venezia come pupilla degli occhi, Marco Querini del ramo principale
delta famiglia e altri di questa stessa casa che si trovavano a Venezia,
Pietro Querini di Santa Giustina e suo figlio, Andrea Dauro e alcuni
altri nobili, traviando alcuni tra i nostri cittadini popolari, cospirarono
con diversi banditi, estrinseci e malandrini; e il giorno 15 del presente
mese di giugno, al mattino, raccoltisi tutti insieme, con audacia senza
limiti, sfoderate le armi e dispiegati i vessilli presunsero di venire
contro di noi e il nostro governo fin sulla piazza di San Marco. Ma
noi, saputo ciò in anticipo, discendemmo coraggiosamente nella
piazza con i nobili veneziani e altri cittadini a noi fedeli e quando
arrivarono ci volgemmo contro di loro; e con un'azione possente, pur
sempre dopo un duro scontro, con l'aiuto di Dio e del suo beato evangelista
Marco, li respingemmo, uccidendone diversi tra cui lo steso Marco Querini
e il figlio Benedetto che rimasero uccisi sulla piazza come meritava
il toro comportamento, e molti tra costoro furono gravemente feriti.
Alla fine, coloro che rimasero vivi lasciarono la città e i nobili
devono secondo i nostri ordini andare al confino in cui si voglia inviarli,
e gli altri debbano restare a discrezione della nostra misericordia. Pietro Gradenigo, Lettera al capitano e podestà di Capo
d'Istria, RIS 12/1, p. 3/5. (B) Marin Faliero fu chiamato
con onore alla dignità dogale mentre era impegnato nella legazione
alla curia romana [1],
nell'anno del Signore 1354, l'11 settembre. Questi aveva già
lasciato la curia prima ancora di sapere della notizia della sua elezione.
A lui vennero inviati incontro fino a Verona dodici ambasciatori solenni,
ognuno di loro accompagnato da un nobile e tre donzelli, non equipaggiati,
data la loro breve assenza. Il podestà di Chioggia d'altro canto
inviò suo figlio Taddeo Giustinian con quindici ganzaroli
[2]
sui quali salì lo stesso doge e il suo seguito e insieme a un'infinita
moltitudine di gente che gli andò incontro con molta letizia
col bucintoro e altri navigli. Arrivò a Venezia il giorno di
domenica 5 del mese di ottobre. Inoltre sul bucintoro furono con lui
solo due consiglieri e una grande moltitudine di nobili e gli altri
quattro rimasero nel palazzo [3].
Dispiace ricordare come uomo in una tale eccellentissima città,
investito di un incarico tanto importante e magnifico, nato dalla schiatta
così generosa e realissima dei Faliero, insignito del cingolo
della milizia imperiale [4],
ricchissimo e indubbiamente di per sé virtuoso, non abbia voluto
comportarsi con virtù ma, spinto da uno spirito maligno, sia
degenerato (oh dolore) dai virtuosissimi progenitori e dai congiunti,
i quali per le opere lodevolissime e realissime, sommamente meritarono
nella repubblica.
Questi infatti, deposto ogni timore di Dio, su suggerimento di alcune
vili persone, e cioè di Filippo Calendario lapicida e del genero
Bertuccio Isarello marinaio, e di alcuni suoi complici congiurò
in maniera inaudita a danno della repubblica. Ma, scoperta la verità
per volere di Dio, che per le intercessioni del beatissimo Marco e di
altri santi i cui corpi riposano qui, più volte liberò
da grandissimi pericoli questo libero e mobilissimo stato, i predetti
Filippo e Bertuccio, e alcuni altri della plebe, furono condannati ad
essere impiccati alle colonne del palazzo vecchio, in direzione della
piazza per decisione del Consiglio dei Dieci [5],
secondo le regole della Giustizia. Successivamente quello stesso che
si era reso indegno del dogato fu decapitato nel 1355, il giorno 19
di aprile [6]
sulle scale principali di pietra del palazzo, e cioè in quello
stesso luogo dove in occasione del suo insediamento nel dogato aveva
prestato il consueto giuramento di osservare i patti promessi
[7].
Né per ciò la virtù, l'onore e la fama dei Faliero
fu in nulla sminuita presso la repubblica; dato che è scritto:
l'anima che avrà peccato essa stessa muoia, ma il figlio non
sopporterà l'iniquità del padre
[8]. Rafaino de Varesini, Cronaca, RIS 12/2, pp. 9-10. [1] Ad Avignone, presso Innocenzo
VI, per trattare la pace con Genova e i Visconti.
[2] Sorta di barche armate.
[3] I sei consiglieri citati sono
i membri del Minor Consiglio.
[4] Marin Faliero era stato fatto
cavaliere dall'imperatore nel 1353.
[5] Magistratura creata nel 1310,
in occasione della congiura di Baiamonte Tiepolo. Tra gli altri suoi
compiti doveva vigilare sulla sicurezza del regime repubblicano contro
eventuali minacce da parte delle autorità politiche e dello stesso
doge.
[6] In realtà il 17 aprile.
[7] A partire dal XII secolo il
doge in occasione del suo insediamento prestava una pubblica promissivo
nella quale si impegnava a rispettare il regime esistente.
[8] Ezechiele, XVIII, 20.
(C) Alcuni principi del mondo
vollero interporsi benevolmente per sedare discordie cosi dannose alla
fede cattolica e al mondo intero; ma, per volere divino, la riuscita
in tale grande impresa fu riservata all'illustre, pio e cristianissimo
principe, signore Amedeo conte di Savoia
[1],
principe e signore di Cablasio e Aosta e marchese d'Italia.
Seguendo l'insistente invito di quello stesso signor conte, tutte le
parti, dalle regioni più remote si preoccuparono di inviare nella
città di Torino, della provincia del Piemonte, alla presenza
di quello stesso signor conte loro procuratori e sindaci, e cioè:
i reverendi padri in Cristo signori vescovi Valentino dottore nelle
Decretali, vescovo di Cinque chiese e Paolo
[2]
[vescovo] di Zagabria, procuratori del serenissimo principe signor Luigi
[3] per grazia
di Dio illustrissimo re di Ungheria, Polonia ecc; gli egregi e nobili
uomini signori Zaccaria Contarini, Giovanni Gradenigo e Michele Morosini
procuratori della chiesa di San Marco, onorabili cittadini di Venezia,
gli ambasciatori e sindaci del comune di Venezia e di messere Andrea
Contarini, illustre doge, la cui esimia virtù e la profondità
della cui sapienza è stata lodevolmente comprovata a conservazione
e incremento della Repubblica in molte notabilissime azioni in tempo
di pace e in guerra; gli egregi e nobili uomini, i signori Leonardo
di Montaldo, dottore in legge, Francesco Embriaco, Napoleone Lomellino
e Matteo Maruffo, onorevoli cittadini di Genova, ambasciatori e sindaci
dell'illustrissimo signore il signore Niccolò Guarco, illustre
signore e del comune di Genova […]. Tutti questi ambasciatori,
sindaci e procuratori di tutte le predette parti, dopo solenni e meditate
trattative, con il sostegno delle continue amichevoli, molto dotte e
efficacissime esortazioni e con i benevoli consigli del predetto eccelso
principe signor conte di Savoia con l'assenso pacifico dell'eterno re
dei re, firmarono felicemente una buona, franca pace, onorevole per
ogni parte in causa, destinata a durare in eterno sotto la tutela del
medesimo che la sollecitò, nell'anno della natività del
Signore 1381, indizione, quarta il giovedì 8 agosto prima e intorno
l'ora dei vespri, nella città di Torino della provincia del Piemonte,
a lode e gloria della maestà divina, a onore dell'esimio predetto
eccelso signor conte di Savoia, a cui benignamente Dio onnipotente concesse
di portare a compimento ciò che s eguì con tanta attenzione
e desiderio, e a vantaggio del prospero e tranquillo stato di tutte
le parti predette […]. Rafaino de Caresini, Cronaca, RIS 12/2, pp. 55-56. [1] Amedeo VI (1334-1383).
[2] Paolo IIorvathi.
[3] Luigi I il Grande, re d'Ungheria dal 1342
e di Polonia dal 1370.
(D) La somma provvidenza del
doge, considerando lo stato della patria consistere specialmente nella
potenza della ricca armata, in modo che i nemici siano sconfitti, in
un duro scontro o con un lungo assedio, per quanto tutti i cittadini,
dal maggiore fino al minore, fossero disposti a rischiare la vita e
i beni per la difesa della patria e della propria libertà, tuttavia,
seguendo l'esempio della divina maestà, che ricompensa i buoni
con abbondanza e seguendo l'esempio dei romani, quando erano dominatori,
che onoravano il loro cittadini benemeriti, nel Consiglio dei sapienti
della guerra, nel 1379, il primo giorno del mese di dicembre, affinché
i cittadini da pronti diventassero prontissimi, stabilì che,
approssimatosi il tempo della pace, i consiglieri di Venezia e i capi
della Quarantia che allora saranno in carica, sotto la pena di mille
ducati ciascuno siano tenuti entro quindici giorni a convocare solennemente
il Consiglio dei Rogati [1]
con la sua aggiunta, e dei sapienti della guerra e in quello celebrare
uno scrutinio in cui ciascuno del consiglio possa nominare uno che sembri
degno dell'onore del Maggior Consiglio esaminando singolarmente i prescelti;
e quei trenta che avranno più ballotte siano aggregati al Maggior
Consiglio con i loro eredi.
Fu poi decretato che, pacificata la città, fossero distribuiti
ogni anno 5000 ducati d'oro del pubblico erario a quegli altri cittadini
che sembreranno degni per i loro meriti e virtù.
Vinti pertanto i nemici e firmata una pace onorevole, vennero creati
nei detti consigli, con la predetta solennità i sottoscritti
trenta [membri] del Maggior Consiglio con i loro eredi, nell'anno del
Signore 1381, indizione quinta il quarto giorno del mese di settembre,
essendo doge l'illustrissimo signore, signore Andrea Contarini illustre
doge di Venezia […]. Rafaino de Caresini, Cronaca, RIS 12/2, p. 56. [1] O Pregadi, emanazione del Maggior
Consiglio, consultato dal doge su questioni di rilievo particolare.
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