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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XVI
Le Signorie cittadine e gli Stati territoriali

6. Venezia / 2: lo stato di terraferma
(A) Marin Sanudo, Vite dei Dogi, RIS 22, coll. 945-958.
(B) Verci, Storia della Marca Trivigiana, 18, pp. 88-89.
(C) Romanin, Storia documentata di Venezia, 5, pp. 484-487.

Oltre a mantenere fa sua rete di traffici e commerci sul Mediterraneo, in Oriente dove cominciavano ad affacciarsi i turchi ottomani, sull'alto dell'Adriatico dove aspiravano ad affacciarsi i sovrani d'Ungheria, Venezia si trovò sempre più coinvolta anche nel gioco delle alleanze e degli scontri tra le maggiori realtà politiche dell'Italia centro-settentrionale. La minacciosa presenza alle sue spalle degli Scaligeri e dei Visconti e fa vulnerabilità che poteva imporle, in mancanza di un qualche retroterra, un blocco navale come quello esercitato da Genova durante fa guerra di Chioggia, confermarono la necessità di provvedere alla costituzione di uno stato di terraferma. Ciò rispondeva anche a nuove esigenze dettate dallo sviluppo demografico e da necessità di approvvigionamento. in particolare dei materiali di costruzione per le flotte della repubblica. Un indirizzo incline all'espansione in Terraferma si affermò in particolare durante il dogato di Francesco Foscari (1423-1457) (A), ma già prima aveva condotto all'acquisizione di Vicenza c Verona (1404-1405) e alla dedizione di Padova (1405) (B), e in futuro avrebbe portato a limitare a proprio vantaggio il dominio visconteo in Veneto fino a comprendere anche Brescia (1426) e Bergamo (1428), includendo al sud Ravenna (1441). A questa politica espansionistica della repubblica era venuta una formale sanzione, nel 1437, con l'investitura dell'imperatore Sigismondo al doge Francesco Foscari per le province di terraferma (C).


(A) Nel 1432 giunsero in questa terra due solenni ambasciatori dei fiorentini, l'uno cavalle l'altro dottore, i quali sposero alla Signoria come il duca di Milano [1], a quello che si vedeva, solevasi far signore e re d'Italia. Però volevano far lega contro di lui, e che hanno in commessione d'andare all'imperadore Sigismondo re d'Ungheria, richiedendolo etiam di questo. Onde nel Consiglio de' Pregadi [2] furon fatte varie dispute. Chi voleva far lega, come fu Francesco Foscari Procuratore [3]; ma il doge [4] non consentiva e parlò: onde si truova fa sua aringa scritta su di questa materia.

[Vengono poi riportati alcuni discorsi fatti dal doge Tommaso Mocenigo per replicare alla proposta degli ambasciatori fiorentini di allearsi contro Milano. Il doge espone le sue idee riguardo al contrasto fra Firenze e Milano e contesta quelle del procuratore Francesco Foscari.]

«Procurator giovane: andiamo andiamo commemorando il Testamento Vecchio, e il Nuovo. Quante città grandi sono diventate vili per le guerre? c per la pace si sono fatte grandi, con moltiplicare la generazione, palagi, oro, argento, gioie, mestieri, signori, baroni, e cavalieri? Come entrarono a guerreggiare (ch'è il mestiere del diavolo), Iddio le abbandonò, e diventarono divisi. Distruggevansi nelle battaglie gli uomini. L'oro e l'argento mancava. In fine poca possanza. E si distrussero così, come eglino distrussero le altre terre, e andarono schiavi d'altri. Dove questa terra [5] ha regnato 1008 anni, in breve Iddio la distruggerà. Non vogliate fare al modo del nostro procurator giovane: Troja si fece grande per istare in pace[.]. Come essa entrò a far guerra, nelle battaglie vennero distrurri gli uomini. Le donne rimasero vedove. Non assunavano [6] l'oro e l'argento, ma in sommaa la povertà moltiplicava. Si distruggevano, per modo che poca possanza distrusseli. Fu distrutta la sua città, e i Troiani diventarono schiavi d'altri. Questo occorrerà a Firenze, la quale ha piacere di togliere le terre altrui e la roba per loro. E già ha principiato per le molte rotte, che hanno avuto. Il paese è stato saccomandato. A'cittadini è convenuto di sgomberare per riscattarsi. Così intravverrà a noi, se faremo a modo del nostro procurator giovane. Però stiamo in pace, che la nostra città di Venezia è fatta ricca d'oro e d'argento, di mestieri, di navigare, di mercatanzie, di gentiluomini, di case, di cittadini ricchi, di moltiplicazione di popolo per la pace, essendo gli altri paesi in guerra. Adunque la guerra distruggerebbe questa terra. Però se vuole, può stare in pace, e confidarsi in Dio. [.] Adunque voi, Ser Francesco Foscari, nostro procurator giovane, non parlate mai sopra gli arringhi [7] nel modo ch'avete fatto, se prima non avete buona intelligenza e buona pratica. Notificandovi, procurator giovane, che Firenze non è il porto di Venezia né da mare né da terra, perché il suo mare è lontano da'nostri confini cinque giornate. I nostri passi sono il Veronese. Il duca di Milano è quello, che confina con noi, ed egli debbe essere tenuto[8], perché in manco d'un giorno si va a una sua città grossa ch'è Brescia, la quale confina con Verona e Cremona, e coll'altra sua città la quale confina una giornata per terra. Genova potrebbe nuocere, la quale è potente per mare sotto il Duca. E con questi si vuole star bene. E quando i Genovesi facessero novità, abbiamo la giustizia con noi. Ci difenderemo valentemente e contro i Genovesi e contro il Duca, e colla ragione. La montagna del Veronese è di difesa da noi al Duca. Questa per lei medesima s'è difesa: del paludo vi difende dal Duca. L'Adige difende noi, e il Duca con 3000 cavalli e con 3000 fanti e con 1000 balestrieri difende tutto il nostro paese. La qual gente abbiamo, e quando bisognasse più farne, faremo resistenza a tutta la potenza del Duca e con persone 3000 se ci fosse nimico. Però godete la pace. Se il Duca avrà Firenze, i Fiorentini, che sono usi a vivere a Comune, si partiranno da Firenze, e verranno ad abitare a Venezia, e condurranno il mestiere de'panni di seta e di lana, per modo che quella terra, rimarrà senza industria, e Venezia moltiplicherà [.]. Se noi togliessimo guerra, pel modo che dice, ovvero che propone il nostro procurator giovane contro il Duca di Milano, daremmo cagione d'assoldare uomini con ronconi, per tagliare gli alberi, che fanno tanto buono ed utile frutto a Venezia, e d'assoldare villani con versori per guastare le piante di tanti utili frutti, che da questa Lombardia vengono ogni anno a Venezia. Ci converrebbe di togliere uomini d'arme [9], cha andassero sopra il detto paese potenti guastando alberi, ville abbrugiando case e villaggi, depredando animali, e buttando giù mura di città e castelli, occidendo uomini con desolazione, mettendo angarie [10] alle nostre terre sì a'cittadini come a'villani, e in questa terra mettendo angarie alle case, prestiti alle mercatanzie, alle navi e alle galere.
Dio sa quello che volessimo fare sul paese del Duca. Potrebbe occorrere che il Duca sarebbe al suo [11],e rimedierebbe ad ogni modo al male, e noi saremmo stati cagione di disfare i nostri luoghi. Che varrebbono tante spezie, panni doro e di seta? niuno li torrebbe più, perché non varebbone il potere. E a cagione che voi, signori, n'abbiate qualche notizia, sappiate che Verona toglie ogni anno, pezze 200 di campo d'oro, d'argento, e di seta; Vicenza pezze 120; Padova pezze 200; Trivigi [12] pezze 120; il Friuli pezze 50; Feltre e Cividal di Belluno pezze 12. Spezie per tutti quanti quelli luoghi. pepe carichi 400; canelle sardi 120; zinzeri di tutte le sorte migliaja 100 e altre spezie assai, zuccheri migliaja 100, e cere pani 200. Come noi mettessimo loro le colte [13], eglino non avrebbono da spendere in danno di tutte le mercatanzie e di tutta Venezia. Però non si vuol credere al nostro procurator giovane. Al Duca di Milano, all'incontro, converrebbe per difendersi d'assoldar gente d'armi, e mettere angarie a' villani, contadini, e gentiluomini, per modo ch'é non avrebbe danari da comperare le sopradette cose in danno e rovina della nostra cittade e de'cittadini. Però, signori, siate contenti che rispondiamo agli ambasciadori de'Florentini, ch'elli scrivono alla comunità loro di Firenze, che dia licenza ad essi ambasciadori, che possono praticare la pace, e mettasi di rompere questa sua legge per cagione che possano, eglino aver pace. […]
Il vostro Collegio [14] ha voluto intendere tutte l'entrate, che abbiamo da Verona per fino a Mestre, le quali sono di ducati 464000. E all'incontro ha voluto intendere la spesa. L'entrata combatte colla spesa colla maggiore pace del mondo. Se fosse guerra, converrebbeci far le fazioni co'nostri danari. Se noi passassimo di là da Verona, ci converebbe tenere spesa grande, e verremmo a distruggere gentiluomini, cittadini, e artigiani e la Camera degl'imprestiti [15]. Però è meglio di guardare quello che abbiamo, e di stare in pace. Signori, noi non ve lo diciamo per gloriarci, ma solo per dire nell'arringo la verità e il bene della pace. Voi vedete pe' nostri capitani d'Acquamorta, di Fiandra, per le nostre ambasciate, che vanno attorno, pe'nostri consoli e pe'nostri mercatanti, che dicono ad una voce: Signori Veneziani, voi avete un principe di virtù e di bontà, che vi ha tenuto in pace, e vi tiene per molto vivendo in pace, che siete i soli signori, che navigate il mare, e per, terra, per modo che siete la fonte di tutte le mercatanzie, e fornite tutto il mondo, e tutto il mondo vi ama, e si vi vede volentieri. Tutto l'oro del mondo viene nella nostra terra. Beati voi, finché vivrà questo principe, e ch'egli sarà con simile proposito. Tutta l'Italia è in guerra, in fuoco, e in tribolazione, e per simile tutta la Francia, tutta la Spagna, tutta la Catalogna, l'Inghilterra, Borgogna, la Persia, la Russia, e l'Ungheria. Voi avete solo guerra cogl'infedeli, che sono i Turchi, con vostra grande laude e onore. Però, signori, finché vivremo, seguiremo simil modo.[.]
Se per avere Padova, Verona, Vicenza e'l Friuli, abbiamo speso ducati 900000 a parte a parte, con distruzione de' nostri cittadini e de'suoi eredi per le case loro, se abbiamo imprestiti, mercatanzie, gioje, ed é convenuto fare le angarie, e sono andati raminghi co'loro figliuoli, dopo che abbiamo avuto i detti luoghi, questo Stato non ha mandato pe'detti, che sono deserti e distrutti, né pe' suoi eredi poveri, né averli rifatti di quello che hanno speso per le terre acquistate. E la cagione che la terra non abbia fatto ciò, é stata che i sopradetti luoghi rendono ducati 464000 per 1000 lance che abbiamo e per 3000 fanti, e per 100 balestrieri, che mangiano quest'entrate. Però s'eglino non corrispondonci tanto, ci convien pagare dell'entrate di Venezia. E peggio sarebbe se ci venisse alcun impaccio, che bisognasse far gente d'arme, ci converrebbe fare dalle case imprestiti e mercatanzie di que'di Venezia, e disfarli di male in peggio. Però se passassimo Verona, per essere campagna aperta, non ci basterebbono l'entrate del nostro Stato, e di tutti i cittadini da mare e da terra a pagare le genti d'arme che noi tenessimo. Perché vogliamo noi dunque entrare in danni e in rovine?».

Marin Sanudo, Vite dei Dogi, RIS 22, coll. 945-958.

[1] Filippo Maria Visconti.
[2] O Pregadi, emanazione del Maggior Consiglio, consultato dal doge su questioni di rilievo particolare.
[3] Procuratore di San Marco,magistratura che comprese l'amministrazione di tutte le entrate della Repubblica e l'esecuzione delle volontà testamentarie.
[4] Tommaso Mocenigo (1414-1423).
[5] Mentre Venezia.
[6] Ammassavano.
[7] Nelle assemblee.
[8] L'invito é a preoccuparsi dell'espansionismo della vicina Milano allora sotto la guida di Filippo Maria Visconti.
[9] Arruolare armati.
[10] Forme di imposizione.
[11] Potrebbe resistere con successo.
[12] Treviso.
[13] Non appena imponessimo tributi a queste città.
[14] L'organo cui si rivolge Tommaso Moncenigo, formato dalla Signoria e dai Savi.
[15] L'ufficio che amministrava il debito pubblico.


(B) Nel nome di Cristo, amen, nell'anno della sua natività 1405, indizione tredicesima, il giorno di domenica 22 del mese di novembre nella benigna città di Venezia, nel palazzo ducale, nella sala delle due nappe, presenti i nobili e magnifici uomini signori Ludovico Loredan, Carlo Zeno, procuratori di San Marco, Giovanni Moncenigo, Nicolò Vittori e Roberto Querini, onorabili cittadini veneziani, il nobile uomo Nicolò delle Stalle e il prudente Nicolò Penazio, entrambi onorevoli cittadini padovani convocati, fatti intervenire appositamente e richiesti come testimoni di tutte e ciascuna delle cose sottoscritte. Liberarsi del giogo tirannico e indossare la candida e pura veste della libertà è come uscire dalla asprezza delle tenebre e giungere alla gioa e alla gloria della luce eterna. Pertanto quindi, illuminati dalla bontà divina, il Comune e il popolo della magnifica città di Padova, e considerando che la soggezione e la servitù che essi avevano sotto i da Carrara corrispondeva allo spopolamento e alla distruzione della predetta città di Padova e del popolo e dello stesso Comune e del suo distretto e delle loro persone e risorse. E consapevoli che il reggimento e il dominio della serenissima dominazione ducale di Venezia sarebbe stata fondata e piena di giustizia, clemenza e libertà che non solo preservano le città, le persone e le facoltà dei cittadini che hanno perduto la libertà, ma le innalzano, concedendolo la grazia divina, e tratti per merito della scienza e della potenza della predetta eccellentissima donazione di Venezia dall'ingiusto e crudele giogo della tirannide e ricondotti alla libertà, trovandosi radunati al suono della campana e alla voce del banditore nel palazzo del comune di Padova, dove si amministra la giustizia ad officium pavonis nel pieno e generale consiglio del comune e degli uomini della città di Padova di comune accordo e spontaneamente e a ragion veduta fecero e costituirono, e cioè il Giudice degli Anziani e gli stessi Anziani, i Gastaldi delle consorterie e gli altri cittadini della città di Padova fecero e costituirono loro rappresentanti e sindaci e procuratori di tutto il comune d! Padova, i nobili, egregi, e onorevoli, e sapienti uomini Giovanni Solimano e Francesco Canale, onorabili cittadini padovani, e ciascuno di loro personalmente per dichiarare e annunciare il proposito, 1'intenzione e il consenso espresso dai cittadini di Padova e dall'intero popolo padovano, e a dare, consegnare e benevolmente attribuire e sottomettere all'illustrissima, serenissima, e eccellentissima dominazione ducale e del comune di Venezia, il dominio, il governo, il reggimento e la città stessa di Padova e del suo stesso distretto e popolo e tutti i cittadini della stessa città di Padova e del suo stesso distretto con tutte le sue giurisdizioni e a giurare e promettere fedeltà e obbedienza alla stessa dominazione ducale di Venezia per il detto comune di Padova e per il suo distretto con tutte le modalità e, nelle predette forme solenni, e riguardo alle cose predette [nei modi] necessari e opportuni che sono richieste secondo la legge e la consuetudine etc secondo come e proprio come nel sindacato e nella procura soprastabilita e scritto a Padova per mia mano Manfredo notaio sottoscritto nel presente anno e indizione in vero il giorno di sabato 21 del presente mese di novembre e altre più vaste e numerose sono contenute.

Verci, Storia della Marca Trivigiana, 18, pp. 88-89.


(C) Sigismondo con il sostegno della divina clemenza imperatore dei romani sempre augusto, e re di Ungheria, Boemia, Dalmazia, Croazia etc. all'illustrissimo principe Francesco Foscari doge di Venezia, Treviso, Feltre, della città di Belluno, Ceneda, Padova, Brescia, Bergamo, Casale Maggiore, Soncino. […] e degli altri castelli, luoghi e passi situati nel nostro territorio di Cremona e vicario generale del sacro romano impero, fedele e sinceramente diletto, fa grazia imperiale e ogni bene.
Dato che la provvidenza del sommo principe non dispone nulla in terra senza una massima causa e una appropriata ragione, e i suoi giudizi sono a tal punto incomprensibili che l'insufficiente condizione della natura umana viene meno nell'indagare le cause delle cose, anzi è appena sufficiente per poterle anche ammirare […] noi anche che, sebbene immeriti, l'altezza del divino consiglio volle esaltare, per poter prendere secondo la qualità dei tempi le decisioni adatte con singoli provvedimenti desideriamo trovare persone tali che possano condividere la sollecitudine [per le sorti] nostre e del sacro impero. In effetti, considerando che il sacro romano impero nelle terre della nostra Italia a tal punto sopporta una non piccola eclissi e che l'antica nequizia dell'empio nemico che sempre briga per nuocere e si aggira e colpisce in molti luoghi dell'Italia seminò la zizzania delle discordie, introdusse liti, promosse scandali e suscitò grandi odi, per le quali cose se non si prende un opportuno provvedimento indubbiamente sono imminenti a brevi fatti estremamente pericolosi per il sacro impero; Noi, volendo provvedere e opporsi alle insolenze dei suscitatori di guerre dai quali ogni giorno l'Italia è affossata, e, come già il nostro predecessore, fare guerra affinché finalmente si possa godere della pace, abbiamo cercato di avere dalla nostra parte la sincerità [1] tua e il tuo illustre dominio affinché siate come difese per noi e per il sacro impero […] affinché tu, nostro diletto, e il tuo dominio possiate essere in tal modo i più pronti a servire ed assistere i sacro impero e tesi ad ampliare e restaurare il sacro impero e a impegnarsi sempre con azioni fedeli e a tendere alla repressione dei perturbatori, e affinché un tale dominio del quale per volontà di Dio sei a capo sia sempre più e in perpetuo congiunto e vincolato al sacro impero, noi auspichiamo un progresso e parimenti l'onore della sincerità tua e del tuo illustre dominio; e affinché la grazia della nostra munificenza e liberalità e la manifestazione delle opere risplenda più luminosa a te, illustrissimo Francesco e ai tuoi successori dogi di Venezia che nel corso del tempo saranno in carica, e al tuo illustre dominio e al comune di Venezia, con animo deciso e con la partecipazione del consiglio dei principi, dei magnati, dei conti, dei baroni e dei nostri nobili, nella pienezza invero della potestà imperiale e con nostra sicura convinzione, graziosamente conferiamo il vicariato delle predette città di Treviso, Feltre, della città di Belluno, Ceneda, Padova, Brescia, Bergamo, […] con gli altri castelli, luoghi e passi situati nel territorio cremonese e nelle altre zone della Lombardia possedute al di qua dell'Adda da te e dal tuo dominio e di quegli stessi territori del distretto e delle pertinenze con tutti e ognuno dei loro diritti, regalie, privilegi, preminenze in qualunque maniera per giurisdizione e onore spettanti a noi e all'impero. E abbiamo ordinato, creato e fatto te e gli stessi [tuoi successori] vicari perpetui nostri e dei nostri successori per il Sacro impero nelle città, distretti e pertinenze con qualunque nome siano chiamate […].

Romanin, Storia documentata di Venezia, 5, pp. 484-487.

[1] Sinceritas, titolo assegnato ai rettori delle province nel Codice Teodosiano.

 

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