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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XVI
Le Signorie cittadine e gli Stati territoriali

8. Firenze / 2: verso la Signoria
(A) Cronaca (detta dello Squittinatore) RIS 18 / 3, p. 77.
(B) Gregorio Dati, Istoria di Firenze, IX, pp. 140-157.
(C) Giovanni Cavalcanti, Istorie fiorentine, II, 1.
(D) Vespasiano da Bisticci, Vita di Cosimo de' Medici, pp. 171-175.

Alle difficoltà economiche cui si è fatto cenno nel precedente paragrafo, aggravate dalle conseguenze della cattiva gestione della guerra degli Otto santi si lega, nel 1378, il tumulto dei Ciompi: salariati dell'industria della lana che aspiravano a veder riconosciuta una loro rappresenta. L'esperimento, che qui è proposto nella testimonianza di un anonimo, autore della Cronaca detta dello Squittinatore (A), attraversò fasi diverse. Le oligarchie mercantili riuscirono però ad approfittare delle fratture interne allo schieramento. Nel 1382 vennero soppresse le nuove arti formate dai rivoltosi, dette del popolo di Dio e il controllo della signoria ritornò nelle mani delle grandi famiglie.
L'articolazione degli uffici e delle magistrature cittadine alla fine del secolo é descritta nella Istoria di Firenze di Gregorio Dati (B). Sono magistrature che appaiono sempre più svuotate di una propria effettiva autonomia, come constata lo storico fiorentino Giovanni Cavalcanti a proposito della conciliazione della guerra contro Filippo Maria Visconti (C). Durante questa guerra si approfondisce una frattura in seno al gruppo dirigente cittadino, delineatasi già durante la reazione oligarchica al tumulto dei Ciompi. Proprio in merito alla cattiva conduzione del conflitto con il Visconti da parte del partito facente capo alla famiglia degli Albizzi, matura l'opposizione della potente famiglia dei Medici, banchieri tra cui spicca Cosimo. Esiliato a Venezia nel 1433 dai suoi avversari, Cosimo rientrerà a Firenze già l'anno successivo e pur senza rivestire il suo potere di incarichi formali, avvia una vera e propria forma di signoria della sua famiglia sulla città (D).


(A) 1378. A'di XXVIII. Feceno i signori priori andare un bando; che ciascuno isbandito della città, o contado, o distretto di Firenze, potesse venire sano e sicuro, salvo che rubegli, o assassini, o traditori. E che ciascuno potesse farsi cancellare dal suo bando, pagando fiorini II d'oro e soldi XV per isbandito. Ebbono termine a farsi cancellare per tutto agosto che verrà. E così ciascuno isbandito fu ribandito per lo stato del popolo minuto; e ciascuno isbandito giurava nelle mani del popolo minuto e di non essere mai contro al loro istato; anzi, d'essere sempre con loro alla morte ed alla vita.
Ancora, per più loro aforzamento del popolo minuto, si feceno fare nella città di Firenze millecinquecento balestrieri, e ciascun caporale aveva sotto se XXV balestrieri. E fecesi, in ogni quartiere, XII bandiere de l'arme di quartieri: a Santa Croce la croce; a santo Giovanni la chiesa; santa Maria Novella il sole; Santo spirito la colomba; e fecionsi, in tre dì tutti questi balestrieri, ed ebbono di paga L VI per uno, e, quando avessoro a guardare, dovessoro essere pagati a s. XIII il dì, per uno, e così s'attenne loro. E così ciascuno quartiere guardava dì due, alla Piazza di signori, di dì ma non di notte; facevasi per la terra grandissima guardia, la notte e'l dì. Chiamaronsi XII uomini della città i quali si chiamarono i XII della libertà; i quali avevano a dare ordine a tutte le cose che fossono in quistione, e rivedere tutte le ragioni del comune, cioè da MCCCXLVIIII in qua; e che ciascuno dovesse rimettere in comune ciò ch'avessono auto contra ragione.
Poi, si chiamarono i sindachi, uno per arte, delle minore e delle maggiori. E sì deliberarono d'accrescere l'arti minute; là dov'erano XIIII che lo fossono XVII, A ciò che fossino più forti; e così si fece.
La prima arte nuova si furono ciascuno che stava ad arte di lana: cioè fattori, lanini, istamaiuoli, garzone ch'andasse a la tinta, o a tiratoio, o la telaia, riveditori, isciglitori, divettini, iscamatini, vet-gheggiatori, iscardassieri, pettinatori, e apenichini, e tessitori. Tutti costoro erano insieme a un'arte collegati; erano per numero d'uomini novemila.
D'arme questi portavano, per loro insegna, l'agnolo colla spada [in] mano e colla croce.
La seconda arte nuova si furono: tintori, e purgatori, e carditori, e cardaiuoli, e tessitori di sciamiti, e di drappi. Questi furono tutti a un'arte. E sì portarono, per loro segnia, un braccio con una spada in mano, e scritto nella detta spada: Giustizia; e questo braccio è bianco nel campo vermiglio.
La terza arte si furono: cimatori, e rimendatori, e tiratoiai, e lavoratori, e farsetti, e sarti e calzaiuoli, e banderai. Tutti costoro, collegati a un'arte, portarono per loro insegna un braccio del nostro Signore, vestito, ch'uscia di cielo e teneva in mano un ramo d'ulivo.
E così s'accresceranno l'arti minute 13 migliaia di uomini.
I signori priori e tutto il collegio deliberarono d'ardere tutti gli scuittini del comune; e così si fé.
E sì si fece il nuovo. E si divisono gli ufici per questo modo: che learti maggiori avessero tre priori, e le XIIII arte avessono altri tre, e che le tre arti nuove avessono altri tre priori; e gonfalone della giustizia andasse in catena parte una volta; e così tutti gli altri uffici andassero per forza; e così rimarono d'accordo.

Cronaca (detta dello Squittinatore) RIS 18 / 3, p. 77.


(B) L'ordine della città è diviso principalmente in quattro parti, e chiamansi quartieri, e 'l primo è il quartiere di Santo Spirito, e'l secondo, quello di Santa Croce, e'l terzo quello di Santa Maria Novella, e 'l quarto quello di San Giovanni. Ciascuno quartiere è diviso per quattro Gonfaloni, che sono in tutto sedici, e ogni Gonfalone ha suo segno, non bisogna nominargli. Appresso v'è l'ordine delle Arti, che son partite in ventuna [.].
E' Signori si chiamano Priori dell'Arti, e Gonfalonieri di Giustizia del Popolo e Comune di Firenze, e sotto otto Priori, cioè due di ciascuno quartiere, e un Gonfaloniere di Giustizia, che ogni volta muta quartiere per ordine, sicché ogni quartiere ha la sua volta il Gonfaloniere di Giustizia e tutti sono scelti uomini, e più vantaggiati, e provati, e quegli quasi ha essere il capo di tutti i Priori, e ha andare innanzi, e non può essere alcun Gonfaloniere di questi, che non abbia compiuto il tempo di quarantacinque anni, e la mattina, che entra in uficio, gli è dato in mano il Gonfalone della Giustizia, che è la croce vermiglia nel campo bianco in un gran Gonfalone di drappo, il quale tiene in camera sua, e quando bisognasse adoperarlo, e salisse con esso a cavallo, tutto il popolo lo debba seguire, e andargli dietro e ubbidirlo.
E' Priori sono otto, de'quali sei hanno a essere dell'Arti maggiori e due delle quattordici Arti minori, e di questo uficio non possono essere insieme due consorti, né parenti per linea Masculina, né da indi a un anno; e chi é di detto ufficio, non può essere altra volta, se non passati tre anni dal diposto ufficio. [.]
L'uficio, e balìa, e autorità, e potenza di detti Signori è grande senza misura; ciò che vogliono, possono mentre che dura il loro ufficio, ma non aoperano questa potenzia, se non in certi casi necessari, estremi, e di rado; anzi seguitano secondo gli ordini scritti per lo Comune, e non possono essere dopo l'uficio compiuto sindacati, né corretti d'alcuna cosa, che fatta avessono, se non per baratteria, o simonia, e questo ha a conoscere uno ufficiale, e rettore forestiere, che si chiama Esecutore. [.]
L'uficio degli Otto della guardia hanno a stare desti, e attenti contro di chi cercasse di fare, o facesse alcune cose contro il al reggimento, e contro alla città, o castelli, o terre del Comune, e non hanno balìa di punire, ma di mettere il colpevole nelle mani del rettore, che ne faccia giustizia.
L'ufficio de'Regolatori sono sei, e hanno a provvedere sempre tutte le rendite, entrate del Comune, che le si mantengano buone, e non sieno maculate, e'n tutte le spese, che si fanno, provvedere che'l Comune non sia ingannato, e far rivedere le ragioni de'Camarlinghi, e fare riscuotere da che deve dare. [.]
Resta a dire de'tre rettori principali, Podestà, Capitano, Esecutore, che bisogna, che sieno forestieri, di luogo di lungi a Firenze per lo meno miglia sessanta, e dura l'uficio loro mesi sei, e non può tornare altra volta infra dieci anni, né egli, né i suoi giudici, se non fusse per deliberazione del Comune vinta per gli consigli, che interviene rade volte. Questo si fa perché quello Rettore non abbia parenti, né amici, né conoscenti, né grandi, né minori, se non gli ordini, e le leggi della città, i quali dee osservare, e hanno grandissima balìa, e stanno con grandissima onoranza. In prima.
Il detto Podestà tiene con seco quattro giudici dottori in legge civile, e sedici notai, perché alla sua corte si patisce di tutti i casi civili, di reditadi, di testamenti, e lasci di dote, di compre e vendite, di tutti e'casi, de'quali apparisce strumento pubblico, e hanno a conoscere, e terminare di ragione; poi dee tenere molta famiglia, e cavalli, e ha di salario in sei mesi fiorini dumilatrecento, e sta in bellissimo palagio, e non può essere Podestà, né Capitano in Firenze alcuno, se non conte, o marchese, o cavaliere, e che sia guelfo, e l'esecutore conviene, che sia il contrario, e non de'detti gradi, ma che sia uomo popolare, e guelfo, e l'esecutore conviene, che sia il contrario, e non de'detti gradi, ma che sia uomo popolare, e guelfo, e 'l Capitano, e'l Podestà, e lo Esecutore hanno tutti balìa sopra i condannati, e sbanditi, e contro a tutti i micidj, e furti, e falsarj, e ogni cosa criminale. Il Capitano si dice del Popolo, e il segno suo è per guardia della città, e dello Stato, e reggimento; lo Esecutore ha balìa di fatto contro a chi tentasse alcuna cosa contro a reggimento; lo Esecutore ha balìa di fatto soltamente contro a'grandi uomini in dimensione de'popolani, e minori, e questo fu trovato per antico tempo a reprimere la superbia de'maggiori.[.]

Gregorio Dati, Istoria di Firenze, IX, pp. 140-157.


(C) Io mi ritrovai su nella signorile udienza [1], là ove era assai numero di cittadini richiesti, e tutti gli ufficii principali della città; là dove da Signori [2] fu letto molte lettere che di diversi parti venivano: le quali tutte s'accordavano che gente d'arme venivano verso Parma, e che a Reggio per lo duca [3] si faceva grandissima munizione di formento, di biada e di strame, e d'altre cose necessarie a gente d'arme, non meno per fanti che per cavalieri. Simili a queste, cose piene di cattive stificanze [4] le lettere contenevano. Lette queste così fatte lettere, i Signori richiedono i Quesiti [5], che ciascuno per lo salvamento della Repubblica consigliasse acciò che si rimediasse da tanti pericoli il nostro Comune. Non guardate, dissono i Signori, perché noi addimandiamo consiglio; conciassi cosa che noi non lo chieggiamo come uomini che favelliamo in nome del vostro Comune; conciossia cosa che, se oggi noi siamo in questo luogo, domani ci sarete voi (intendete per domani il dì della sorta [6]), e noi ne saremo fuori del signorile magistrato. Dette che ebbero queste ed altre convenevoli parole, molti cittadini salirono alla ringhiera a consigliare: diversi cittadini consigliarono, e diversi consigli vi si disse. E perché io non ero pratico a vedere come si amministravano i fatti della Repubblica, disposi l'animo mio al tutto a portarne alcuna regola di governo con meco; e, per meno fallibile, elessi la regola e l'arte del preclaro cittadino Niccolò da Uzzano, maestro più reputato e più dotto. Mentre le preallegate lettere si leggevano, e la turba consigliava, il nobile cittadino fortemente dormiva, e niente di quelle cose udiva, non che le intendesse.
Consigliati molti e diversi cittadini, chi una cosa e chi un'altra, diverse come e diverse materie vi si disse. Non so se fosse stato tentato o destino [7], o veramente il sonno avesse il suo corso finito, tutto sonnolente salì alla ringhiera. Disse Niccolò: Io sono di questo parere, considerando la consueta nimicizia che sempre la casa de' Visconti ha mantenuta contro a questo popolo, che non si può errare di stare contro a'suoi malvagi portamenti desto e attento. Voi vedete la Lega che egli ha fatto col legato di Bologna, il quale a voi è ai confini, e a lui è lontano un giro di sole. Questo non è senza pericoloso agguato: questo non è senza pericoloso agguato: questo non è senza grandissima malvagità e fellonia. Acciò che sprovveduti non ci giunga, e ancora perché paia che noi delle sue fellonie ce ne siamo avveduti, pigliate, Signori, co'vostri Collegi, co'Capitani de'Guelfi, con gli Otto della Guardia [8], balìa di soldare per sino in melle lance e mille fanti: ma al presente, se non dugento lance e cinquecento fanti, e questi si tengano da quella parte donde siete più deboli, ovvero donde il vostro nemico sia più acconcio a noiarvi i vostri uomini e terre. Detto che ebbe Niccolò questo così fatto parere, tutti i consigliatori si accordarono al suo detto. Allora, avendo io tenuto a mente i modi di Niccolò, per me si giudicò che lui, con altri potenti, aveva sopra quelle lettere, nel luogo privato e segreto, accordato e conchiuso che quel consiglio fosse per lui dato, e per gli altri confermato e conchiuso. Allora, per più essere certo se il mio credere era d'accordo col suo essere, dissi con alcuni de'miei compagni quello che ne credevo, e com'egli mi pareva che nella repubblica ne dovesse seguire tirannesco e non politico vivere, che fuori del Palagio si amministrasse il governo della Repubblica. La risposta che mi fu data col mio credere fu d'accordo, dicendo che, com'io credeva, così era, e che il Comune era più governato alle cene e negli scrittoi che nel palagio; e che molti erano eletti agli ufficii e pochi al governo. La qual cosa mi parve assai chiara che così fosse, e che ne seguisse grandissimi mali nella Repubblica di sì abominevole audacia.

Giovanni Cavalcanti, Istorie fiorentine, II, 1.

[1] Il Consiglio del comune del 1423 dove si discusse delle misure da prendere di fronte alla politica aggressiva di Filippo Maria Visconti.
[2] I membri della Signoria: otto priori di libertà e un gonfaloniere di giustizia.
[3] Filippo Maria Visconti duca di Milano dal 1412 al 1427.
[4] Notizie.
[5] I membri delle magistrature comunali.
[6] Elezione.
[7] Se fosse stato scosso o fosse successo per caso.
[8] Dal 1382, la magistratura preposta alla difesa del comune e alla politica estera.


(D) Al dì otto di settembre 1433 mandarono per lui [1], che venissi alla Signoria. Venne subito, et nel venire trovò da Orsanmichele uno suo parente et amico, che gli disse ch'egli non vi andassi, ch'egli perderebbe la vita, che fu Alamanno Salviati. Cosimo rispose: sia come vuole, io voglio ubbidire a'mia Signori, non credendo essere nel luogo che egli era a colloro. Giunto in palagio, sanza parlargli altrimenti, fu menato in una prigione, la quale è nel campanile, che si chiama la Berghetina, cor animo di fargli tagliare il capo, parendo loro non potere tenere quello istato se nollo facevano, conosciuto la grande autorità aveva nella città et fuori. Istando in prigione a questo modo, et sapendo la voluntà degli avversarii, dubitava assai di non perdere la vita, et per questo non voleva passare cosa gli portassimo, a fine nollo avelenassino. Istando in questo sospetto, alcuni amici di Cosimo tentarono col gonfaloniere [2] di campargli la vita, et confinassimo, et promissogli ducati cinquecento larghi, et portorgli uno di loro in una borsa, prese i fiorini cinquecento promettendo di salvargli la vita. Quegli della parte che l'avevano fatto sostenere sollecitavano il gonfaloniere che gli facesse tagliare il capo, mostrando che per benevolentia aveva, se gli salvava la vita, presto sarebbe rivocato et sarebbe la loro disfactione. Il gonfaloniere fece tanto ch'è compagni che furono contenti di salvargli la vita et mandarlo in esilio a Vinegia, et altri cittadini, come Puccio et il fratello all'Aquila, et pochi de gli altri. Et millequatrocentotrentatré, a'dì octo di settembre mutarono lo stato, e feciono la balìa et lo squitino, et tenono pochi mesi le borse a mano, et levarono la balìa et serorono le borse.
Ora sendo andato Cosimo in esilio [3], questi dello stato cercarono con ogni istantia di farlo fallire in corte di Roma, et in Firenze. Era tanta la sua ricchezza che a Roma mandò danari assai a restituirgli a chi gli avesse voluti. Fu cagione questo in ogni luogo crescegli il credito et non diminuirlo; et molti che avevano a Roma riavuti i danari loro, veduta tanta larghezza gli riportarono di nuovo al banco. Istando a Vinegia con grandissima riputatione, non pensavano ch'egli avevano a fare con uno potente inimico, et per essere nuovo modo di governo, non dalloro mai esperimentato, nollo seppino governare. Più tosto si volgono, fatto questo issandolo di volere andare alla via della pace, di riducere la terra secondo l'uso del buono vivere et pacifico della città, et che ignuno cittadino avessi più autorità uno che uno altro, se non quello che gli dava la sorte di dignità, avendo levata la balìa et serrate le borse, subito fatto ebbono lo squitino, dove non tolsono lo stato a persona, ma dettolo a tutti quegli che lo meritavano. Istando Cosimo a Vinegia, come è detto, con grandissima riputatione et apresso de'Vinitiani mandare uno ambasciatore a Firenze a confortare la Signoria et quegli del governo della rivocatione di Cosimo. Cominciassi a prestargli favore per alcuno segretamente, et praticare della sua rivocatione, et avendo in Firenze amici assai, non agiunse all'anno, che sendo tratto uno priorato a modo degli amici sua tentarono alla sua rivocatione. Nel medesimo tempo, et in fine dell'anno, avendo preso gli avversarii sua l'arme, dubitando della sua rivocatione, entrandovi papa Eugenio di mezo, come buono pastore, per pacificare i cittadini l'uno coll'altro, quelli dello istato del trentatré che avevano preso l'arme, la posono giù e rimessosi nel pontefice, et alla sua fede furono mandati in esilio, et rivocato Cosimo [4], benché papa Eugenio in questo fussi ingannato, credendosi andassimo a buona fede et riporre la città in pace. Ritornato Cosimo in Firenze, con buona gratia del popolo et di quegli della parte sua, tornato in Firenze, atese insieme con quegli della parte a confinare più cittadini, che gli erano stati avversarii nella sua rivocatione, et in quegli che s'erano istati di mezo, et tirarono giù gente nuova; et infiniti n'ebono esilio et bando di ribello; et feciono ogni cosa per fermare lo stato loro, avendo l'exemplo inanzi di quegli del trentatré. Queste sono delle conditione che danno le novità della città. Venne Cosimo nella città, dove erano molti cittadini grandi nella repubblica istati, et essendo sua amici et catione della sua revocatione, rimasino grandi nella città, et bisognò a Cosimo durare grandissima fatica a mantenetegli, e temporeggiare colloro, sempre dimostrando volere ch'eglino vi potessimo come lui, et andò coprendo quanto egli poté questa sua potentia nella città, et fece ogni cosa per non si iscoprire, et in questo adoperò grandissima prudentia, dove s'ebbe drento dificultà assai.

Vespasiano da Bisticci, Vita di Cosimo de' Medici, pp. 171-175.

[1] Cosimo de' Medici.
[2] Bernardo Guadagni eletto gonfaloniere per i mesi di settembre e ottobre 1433. In cambio del pagamento da parte degli avversari di Cosimo di un suo debito, che altrimenti ne avrebbe pregiudicato l'eleggibilità, Bernardo si era impegnato ad agire contro Cosimo.
[3] Cosimo fu confinato il 9 settembre 1433.
[4] Cosimo tornò a Firenze il 5 ottobre 1434.

 

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