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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XVII
Gli uomini, la terra e il denaro

4. La figura del mercante
(A) Giovanni Villani, Nuova Cronica, XIII, 55.
(B) Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi, 81, 99-100, 108-110, 139, 153, 244, 251, 305-306.
(C) Giovanni Rucellai, Zibaldone Quaresimale, 1, 7.
(D) Francesco Calducci Pegolotti, Pratica della mercatura, pp. 360, 366-367.
(E) Paolo dell'Abbaco, Regoluzze, 1-7, 11, 17, 29-30, 34-35, 37-39, 42, 44, 49.
(F) Goro Dati, Libro segreto, pp. 549-551.

La riorganizzazione delle forme del commercio trasformò sempre più spesso il mercante itinerante del XII-XIII secolo in un uomo d'affari in grado di seguire i propri interessi, spesso diversificati, mediante un'organizzazione di agenti e corrispondenti. La sua stessa mentalità si era venuta orientando verso una sorta di calcolata prudenza che si traduceva in strategia miranti a ridurre ogni forma di approssimazione e di rischio. Certamente, la congiuntura aveva ridotto le occasioni di traffici e guadagni. E un loro peso ebbero certo anche i fallimenti delle maggiori compagnie bancarie e mercantili toscane dei Bardi e dei Peruzzi e poi, di conseguenza, di molti altri ancora, come emerge dalla narrazione di Giovanni Villani, che a lungo era stato cointeressato nelle attività della compagnia dei Peruzzi (A).
I fallimenti della prima metà del Trecento trascinarono con sé risparmi e depositi, rinforzando una diffidenza già diffusa verso operazioni più propriamente speculative, che si ritrova in testi come Il libro dei buoni costumi di Paolo da Certaldo (B), tipico esponente della borghesia mercantile del Trecento tutta tesa al profitto «misurato» sulla base della prudenza. Uno degli esiti di queste cautele del mercanti, in taluni casi connesse a un loro ruolo e a responsabilità politiche, in un periodo di stridenti conflitti sociali, sarà la diversificazione degli investimenti e delle attività, abbandonando il commercio per la mercatura (C), e spesso l'immobilizzo della ricchezza in terreni [cfr. paragrafo 1), fabbricati o addirittura nella committenza di opere d'arte. Dei tratti propri della cultura del mercante fanno testo la diffusione di opere come le pratiche della mercatura, fra le quali notissima è quella del toscano Francesco Balducci Pegolotti (D), e la presenza di un manuale pratico di calcolo come le Regoluzze del matematico e astronomo Paolo dell'Abbaco (E). Ancora, tipica espressione della sensibilità e della cultura propria dei mercanti è la produzione di Ricordi o Ricordanze, opere di riflessione personale o destinate alla propria famiglia, tese a trasmettere la memoria delle proprie attività e fortune, e a fornire consigli e insegnamenti (F).


(A) Nel detto anno [1], del mese di gennaio, fallirono quelli della compagnia de' Bardi, i quali erano stati i maggiori mercatanti d'Italia. E'lla cagione fu ch'ellino avieno messo, come feciono i Peruzzi, il loro e l'altrui nel re Aduardo d'Inghilterra [2]e in quello di Cicilia; che'ssi trovarono i Bardi dal re d'Inghilterra dovere avere, tra di capitale e di riguardi e doni impromessi per lui DCCCC di fiorini d'oro, e per la sua guerra col re di Francia no li potea pagare: e da quello di Cicilia da C di fiorini d'oro; onde convenne che fallissono a'cittadini e forestieri, a cui dovieno dare più di DL di fiorini d'oro, solo i Bardi. Onde altre compagnie minori, e singulari, ch'avieno il loro ne' Bardi enne' Peruzzi e negli altri falliti, ne rimasono diserti [3], e tali per questa cagione ne fallirono. Per lo quale fallimento di Bardi, e Peruzzi, Acciaiuoli, Bonaccorsi, di Cocchi, 'd'Antellesi, Corsini, que'da Uzzano, Perondoli, e più altre piccole compagnie e singulari artefici che falliro in questi tempi e prima, per gl'incarichi del Comune e per le disordinate prestanze [4] fatte a' signori, onde adietro è fatta menzione, ma però non di tutti, che troppo sono a contare, fu alla nostra città di Firenze maggiore rovina e sconfitta, che nulla che mai avesse il nostro Comune, se considerrai, lettore, il dannaggio di tanta perdita di tesoro e pecunia perduta per i nostri cittadini, e messa per avatizia ne' signori. 0 maladetta e bramosa lupa, piena del vizio dell'avarizia regnante ne' nostri ciechi e matti cittadint fiorentini, che per cuvidigia di guadagnare da' signori mettere il loro e l'altrui pecunia i loro potenza e signoria, a perdere, e disolare di potenza la nostra repubblica! che non rimase quasi sustanzia di pecunia ne'nostri cittadini, se non inn'alquanti artefici o prestatori, i quali colla loro usura consumano e raunano a loro la sparta povertà di nostri cittadini e distrettuali. Ma non sanza cagioni vengono a' Comuni e a'cittadini gli occulti giudici di Dio per pulire i peccati commessi, siccome Cristo di sua bocca vangelizzando disse: «In peccata vestra moriemini etc.» [5]. I Bardi renderono per patto i loro posessioni [6] a' loro creditori soldi VIII danari III per libra, che non tornarono a giusto mercato soldi XVI per libra nelle dette [7] di sopradetti signori; e se riavessono quello deono avere dal re d'Inghilterra e da quello di Cicilia, o parte, rimarrebbono signori di gran potenzia di ricchezza; e' miseri creditori diserti e poveri, perché fallì credenze e le malvagie aguaglianze delli ordini e riformagioni del nostro corrotto reggimento del Comune, che chi
ha podere più ha suo senno i dicreti del Comune. E questo basti, e forse che è troppo avere detto sopra questa vergognosa matera; ma non si deve tacere il vero per chi ha a fare memoria delle cose notabili ch'ocorono a quelli che sono a venire di migliore guardia.
Con tutto noi ci scusiamo, che in parte per lo detto caso tocchi a noi autore, onde ci grava e pesa [8]; ma tutto aviene per la fallabile fortuna delle cose temporali di questo misero mondo.

Giovannai Villani, Nuova Cronica, XIII, 55.

[1] 1345.
[2] Edoardo III (1327-1377).
[3] Rovinati.
[4] Prestiti pubblici forzosi.
[5] «Morirete nei vostri peccati», Giovanni, 8,21 e 24.
[6] Con garanzia sui loro beni.
[7] Debiti.
[8] Giovanni Villani fu coinvolto nei fallimenti delle compagnie toscane.


(B) 81. Molto è bella cosa e grande sapere guadagnare il danaio, ma più bella cosa e maggiore è saperlo spendere con misura e dove si conviene. E sapere ritenere e guardare [1] quello che t'è lasciato dal tuo patrimonio o da altri parenti è sopra [2] le dette virtudi, però che quello che l'uomo non guadagna è più agevole a spendere che quello che guadagna con sua fatica e con suo sudore e sollecitudine.

99. In ogni terra che vai o che stai, dì sempre bene di que'che reggono il Comune; e degli altri non dire però male, però che potrebbono montare in istato, e non t'avrebbono per amico di loro né di loro stato [3].
100. Le grandi prestanze e le grandi malleverie e le grandi credenze sono quelle che disertano le compagnie e gli uomini speziali [4], e però mai non le fare. E se pur ne fossi richiesto, dì: «Io ho compagno, e non posso sanza sua parola fare quello che vorresti». E se non hai compagno, dì: «Io sono in compromesso, col cotale mio parente, e egli a me, e cadre'gli in pena [5] di cotanti danari: sì che perdonami ch'io non posso servirti sanza grande mio danno; e tu non del volere ch'io facessi cosa ch'io ne ricevesse danno».

108. L'uomo che vole ben fare i fatti suoi, dee avere in sé cose, ciò sono queste: provedenza, fermezza, lealtà, sollecitudine, ordine e umilità; e però fa sempre di stare avveduto ne le dette cose, e non fallerai mai.
109. Quanto puoi ti procaccia d'essere amato da' tuoi cittadini e vicini. Lo meno che puoi richiedi gli amici, in però che chi richiede gli amici di servigi, conviene che ne faccia: e però serbagliti quando n'avessi grande bisogno. Ancora, ti guarda il più che tu puoi di non ricevere molti mangiari [6] e molte cortesie, che chi gli riceve conviene che ne faccia.
110. Molto ti guarda de l'usanze de le taverne: no l'osare. Usa la chiesa i dì de le feste; e gli altri di, quando puoi con giusto modo lasciare la bottega o'l fondaco, anche usa [7] la chiesa.

139. Bellissima cosa è la provedenza [8]: e però sempre sia proveduto in tutti i tuoi fatti, e in que' di casa e in que' di bottega e in ogni altro tuo fatto. E però vo'che tu sappi che sono, certi anni che sono grandissime fami e carestie di cose da vivere; e però abbi sempre a mente, se'l puoi fare, rifornire la casa di grano per due anni, e se non puoi di grano, d'altra biada da manicare; e se non puoi per due anni, il meno [9] per uno e mezzo, se puoi: e compera sempre a tempo. E simile ti dico doglio, acciò che se'l detto caro [10] venisse, che non ti truovi sanza le dette due cose in casa; poi de l'altre farai come potrai il meglio. E abbivi una botte d'aceto.

153. Se vivi di rendite di tue terre e tu non sia buono guardatore [11] di danari (che de'sei l'uno non gli sanno guardare), non vendere le tue biade tutte e un'otta, sì che i danar non pigliassoro luogo [12] in altro e poi non avessi di che vivere, e convenisseti impegnare o vendere terre o masserizie per vivere. Anzi fa ragione di quanti danari hai assai [13] il mese per spese, e tanta biada vendì ogni mese, e non più. Se se'buono guardiano di danari, non vendere però tutte le tue biade a un'otta per non fallare: vendile in quattro partite, cioè d'ottobre, di gennaio a l'entrata, e di marzo e di maggio, catuno a l'entrata, e ogni volta vendi il quarto, e avrai tua ragione de le tue biade. E il simile fa de l'oglio e del vino e dell'altre tue rendite… L'oglio ha buona vendita di quaresima e di settembre; il vino ha buona vendita da quaresima insino a tutto agosto, s'è vino che basti [14]: se non fosse da bastare, vendilo di mosto una parte, e l'altro insino a quaresima a l'entrata.

244. Molto è bella e buona cosa a 'mparare arte e senno e costumi a le spese altrui: e però quando vedi il tuo vicino in avversità, riparati dinanzi che 'l simile non possa incontrare a te.

245. Sempre quando fai fare alcuna carta [15], abbi uno tuo libro, e scrivivi suso il dì che si fa e 'l notalo che la fa e'testimoni, e 'l perché e con cui la fai, sì che, se tu o' tuoi figliuoli n'avessoro bisogno, che la ritruovino. E a fuggire molti casi e pericoli de' falsi uomini, sempre si vorrebbe fare compiere [16]; e tiellati [17] ne la cassa tua compiuta.

251. Se fai mercatantia e co le tue lettere vengano legate altre lettere, sempre abbi a mente di leggere prima le tue lettere che dare l'altrui. E se le tue lettere contassoro che tu comperassi o vendessi alcuna mercatantia per farne tuo utile, subito abbi il sensale, e fa ciò che le tue lettere contano, e poi dà le lettere che sono venute co le tue. Ma no le dare prima che tu abbi forniti [18] i fatti tuoi, in però che potrebboro contare quelle lettere cosa che ti sconcerebboro [19] i fatti tuoi, e il servigio ch'avessi fatto de la lettera a l'amico o vicino o straniero ti tornerebbe in grande danno: e tu non dei servire altrui per disservire te e' fatti tuoi.

305. Sempre t'affatica e ti procaccia di guadagnare; e non dire: «S'io ci sono oggi non ci sarò domane; e lasciare non voglio dietro a me tanta roba, ché non ho figliuoli; e' miei parenti non m'amano, e sono tali che, s'io 1asciasse loro una città, in poco tempo l'avrebboro spesa e guasta e scialacquata». Però che tu non sai di tua vita la lunghezza, e non sai tua fortuna che mena seco: ch'io ho veduti grandi re e grandi signori e grandi cittadini e grandi mercatanti perdere il loro stato e, anzi che muoiano, vivere poveri e in necessità… rimanga molta riechezza a' tuoi parenti… onore e grandezza avergli anzi lasciati bene che male; e son tenuti di pregare Iddio per te; e benché nol facciano, del bene che fanno per loro se 'tu partefice [20], e simile de l'onore mondano ch'anno. Ma guardati di non fare mali guadagni per lasciargli a loro che gli rendano, che no gli renderanno mai: e tu ne porti il peccato, e la mala fama rimane di te nel mondo: e'tuoi parenti si godono l'avere e le ricchezze ch'hai raunate, sanza sapertene grado, però che hanno ragione che tu non lasci a loro, anzi lasci a coloro a cui gli hai rubati e tolti.
306. Molto ti guarda di non essere vile nè codardo d'animo; e mai, in niuno fatto ch'abbi a fare, non t'abbandonare nè ti lasciare vincere al peccato de l'accidia; anzi t'aiuta, e fa sempre che la sollecitudine e 'l valore avanzi la codardia, in però che'l codardo è di vile animo e vuole con grandi viste [21]… di potere e di sapere quello che non può e che non sa. Sì che guardati di non fare così tu, anzi t'ingegna e sforza che la tua bontà e 'l tuo valore e 'l senno avanzi le tue viste, sì che tu sia trovato ne' fatti tuoi e de' tuoi amici meglio che tu non di mostri ne la vista tua, e non peggio. Così ne fa, e sarai gradito, temuto e reverito.

Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi, 81, 99-100, 108-110, 139, 153, 244, 251, 305-306.

[1] Custodire.
[2] Supera in merito.
[3] Ceto.
[4] I singoli.
[5] Dovrei pagargli la penale.
[6] Inviti a pranzo.
[7] Frequenta.
[8] Previdenza.
[9] Almeno.
[10] Carestia.
[11] Amministratore.
[12] Trovassero investimento.
[13] Fai il conto di quanti denari ti bastano.
[14] Duri.
[15] Atto notarile.
[16] Fare trascrivere in copia completa.
[17] Tienitela.
[18] Portati a termine.
[19] Guasterebbero.
[20] Partecipe.
[21] Apparenze.


(C) Ricordo o vero consiglio a voi, Pandolfo et Bernardo, miei figliuoli, che dopo la morte mia nonseguitiate il trafficho, ma finitelo, se già diliberassi starvi e attendervi personalmente amendue o almeno uno di voi: e, se pure diliberasse seguitarlo con ghoveno de'compagni o fattori, ingiegnatevi d'averli buoni, e in questo mettete ogni vostro ingiegno, perch'egl'è da ffar maggior conto de l'uomo che governa che del danaro o del credito o del mulino aviato. Ancora ricordo e consiglio che imbocie [1] e in dimostrazione abbiate nome di mercatanti, ma in facto che voi siate botteghai, cioè che'l fondamento del ghoverno sia chome costumano fare e'lanaiuoli, e'setajouli et di simili, d'avere le sustantie del traffico più tosto in Firenze che di fuori in mercatantie danari et debitori. E il meno che potete o non punto, mandate mercatantie fuori di qui, e che fuori di qui v'abbiate a ffidare il manco potete, e sia cui si voglia; fondatevi più tosto in fare venire merchantie qui, e quelle vendere a danari contanti o termine e simile sul cambio, e in sul mandare o far venire danari contanti coniati o oro o ariento. E non siate vaghi mai di torre a tessere per dare a tessere, cioè di torre danari in diposito per trafficarli, se già non fussi a certe stagioni di carestie. E sopra tutto vi ghovernate in tal e sì fatto modo, che non vi possi essere detto che voi siate fuori di voi etc. e bastivi il conservatore etc.; per chiarirvi meglo quello che vuol dire «che non vi possi essere detto che voi siate fuori di voi», dico che ogni volta che voi farete prochuratori o darete libertà a' vostri compagni o fattori, che vi possiano obbrighare e ffare quello che la persona vostra, in tale chaso dico che voi siate fuori di voi, perché venite avere dato la libertà vostra ad altri e venite a essere in lui e nelle sue mani, che vi può pericolare et disfare in uno punto [2].

Giovanni Rucellai, Zibaldone Quaresimale, 1, 7.

[1] Nella fama pubblica.
[2] In un momento.


(D) È di nicistade a mercatanti sapere conoscere le mercatanti che comperano e vendono acciò che non ne possano ricevere inganno, e però qui appresso e inanzi sarà scritto ciascuna mercatantia per sé e come vogliono essere fatte e quello che vogliono avere in loro ad essere buone, e prima comincereno al pepe:
Pepe tondo perché non porta veduta come altre mercantie sì si chiama il bastone degli orbi; nondimeno vuol essere asciutto e secco, sanza polvere di terra, la quale polvere di terra se n'esce quando si gabella, cioè si vaglia. E aviene alcuna volta che navicando o aducendo il pepe per acqua o per terra puote cadere in acqua e bagnasi, o sanza cadere in acqua per soperchia pioggia si puote bagnare, e per maniera che se non s'apparecchiasse tosto si guasterebbe e sì infracidarsi e sì dispogliarsi della sua scorza, et quando si dispoglia della scorza non è così bello a vedere né cosie vendereccio, e però quando è cosie infuso d'acqua, quanto più tosto s'acconcia tanto è meglio; e conciasi in questo modo, che si stende al sole, e pigliasi gherbellatura [1] asciutta d'altro pepe e mescolasi col detto pepe bagnato, e poi si tende al sole ad asciugare e a seccare, e quando è secco e asciutto si lo rinsacca ed è guarito. E sappiate che pepe tondo dura 40 anni sanza guastarsi, pure ched e'sia belle guardato e belle tenuto, e none in luogo bagnato né troppo umido.

Lacca si è di due maniere, cioè matura e acerba; la matura è miglore e l'acerba la meno buona. Ed è assomiglata alla mora però che 'l suo cannone è granato come la mora, e lacca matura si è del colore della mora, bruno e sanguigno pendente a nero, e lacca acerba è del colore della mora acerba, rosso acerbo torbido; e l'una e l'altra vuol essere bene incannollata a modo di bracciuole piccioli pezzolini, e allora quando è cannollata si dice ganbainti, ispezialmente la matura. E la matura si rompe agevolmente e nella sua rottura vedrai ne'granellini rossi mischiati granellini di bianco, ed è segnale ch'è buona lacca; l'acerba non si rompe così agevolmente perché è dura come cosa acerba.
Ella nasce appiccata a fusti, cioè a rami d'albucelli, e però vuol essere netta di fusti e di polvere di terra e di sabbione e di costiere; e' fusti si sono i fusecili dello legno a che ella nasce; le costiere o vero fichi così l'appellano i catalani, e si è della polvere sua quando è fresca si s'amassa insieme e diviene dura in modo di pece, ma ove in pece e nera e quelle cotali costiere o vero fichi sono rossi e del colore della lacca acerba, e truovasi più quelle cotali costiere nelle lacche acerbe che nelle lacche mature.
E quando l'uomo la compera sì dee vedere che quantitade à di tenere di polvere. e se è polvere di lacca o di terra o di sabbione; e appresso prendi uno poco della detta polvere e mettilati in bocca e masticala co'denti bene, e se terrà sabbione o terra il dente il sentirà e il ti dirà; e se non la vuolli masticare perchè non ti faccia noia alla bocca o al gusto, abbia un piccolo mortaiuzzo di metallo col suo pestellino all'avenante del mortaiuzzo, et pesta della detta polvere bene sottile, e poi quando l'ai bene pesta e tu la ti poni in sulla palma della mano et colla tua sciliva, cioè collo sputaglio, la ti stempera bene in sulla palma della mano, e quella fia migliore colore e più rosso sanguigno ti mosterrà in sulla palma della mano, e quella fia migliore polvere, e cosie pesta anche delle costiere per vedere chente sono e come rendono il colore.

Cotone mapputo, cioè bambagia in lana, si è di molte contrade come diremo l'una ragione appresso l'altra, cioè:
D'Amanno di Soria [2], ch'e la miglore ragione.
D'Alappo [3] di Soria ch'è come quello d'Amanno.
D'Erminia [4] che va appresso di quello d'Amanno e d'Alappo.
Dello Sciame [5] di Soria che va appresso di quello di Soria,ed è più corto cotone..
D'Acri di Soria che va appresso allo Sciame.
Di Cipri che va appresso a quello d'Acri.
Della Leccia [6] di Soria che va secondo Cipri.
Di Bassilicata di Puglia che va appresso del buon cotone della Leccia.
Dell'isola di Malta che va appresso di quello di Bassilica.
Di Caluvria che va appresso di quello di Bassilica.
Di Cicilia che va appresso di quello di Calavria.
E tutte maniere di cotone onde che sieno vogliono essere bene bianche e paffuti di lana e netti di grana, cioè del suo seme, e nette di scorze e di foglie del suo albucello, e netti di tacce: e le taccie si prende elli quando è nella noce aperta del suo albucello che si piove piovendo in sulla terra la terra schizza in sul cotone, ch'è nella noce aperta, allora prende colore di terra e favisi suso mota la quale si chiama taccia; sicché di tutte le dette cose vuol essere netto oltre la bontade della bianchezza e paffutezza, e anche vuol essere secco e asciutto, e quanto meno àe delle dette cose in sé oltre alla bontade tanto è migliore. E ricordoti, imperò che quasi tutti i cotoni si comperano in grosso insaccati, e quanto àe miglore sacca e più saldi tanto sta meglio, imperò che quando si vede nelle sacca l'uomo comunalmente scuce pure il sacco dalla bocca e non puote vedere nè cercare tutto lo sacco dentro, sì si vuole avere a mente di volere che 'l venditore sia tenuto di fare che'lcotone sarà tale come la mostra ch'avrai veduta, e tale il mezzo e nelle capita [7] del sacco come quello ch'avrai veduto, sicchè il comperatore non ne ricevesse inganno. E sappi che il cotone essendo bene guardato in magazzini terreni con buono sturlame [8] di sotto lunghissimo tempo basta e dura che non si guasta.

Francesco Calducci Pegolotti, Pratica della mercatura, pp. 360, 366-367.

[1] Quantità.
[2] Amman in Siria.
[3] Aleppo.
[4] Armenia.
[5] Damasco.
[6] Laodicca.
[7] In fondo.
[8] Materiale di protezione, spesso di scarti della lana derivati dalla cardatura.


(E) 1. Se vuoli rilevare molte fighure [1], a ongni tre farai un punto chominciando dalla parte ritta inverso la mancha; e poi dirai tante volte migliaia quanti sono li punti dinanzi.
2. Se vuoli multiplicare numeri c'abbiano zeri, multiplica le loro figure [2] e ponvi tutti quegli zeri dinanzi.
3. Se multiplichi dicine per dicine, fanno centinaia, e dicine via centinaia fanno miglaia, e centinnia via centinaia fanno dicine di miglaia.
4. Se vuoli fare raccolte di svariati numeri, scrivi li numeri l'uno sotto l'altro sicché le fighure venghino pari dalla mano diritta.
5. Se vuoli subito multiplichare in 10, poni uno zero dinanzi; e se per 20, multiplicha per 2 e poni il zero dinanzi; e se per 30, multiplicha per 3, e poni il zero dinanzi.
6. Se vuoli partire [3] in 10 subito, leva la prima fighura, e se vuoli partire in 20, leva la prima fighura e parti in 2; e se vuoli partire in 30, leva la prima fighura e parti in 3; e di quelle fighura fa'decimi.
7. Se vuoli partire le lire in 100, sappi che dell'una lira ne viene 2 danari e 2/5, e delle due lire ne viene 4 danari 3 4/5, e delle 3 lire ne viene 7 danari e 1/5, e delle 4 lire ne viene 9 danari e 3/5, e d'ongni cinque lire ne viene uno soldo [4].

11. Sappi che ongni rotto [5] si scrive con due numeri, il minore sta sopra la verga e chiamasi dinominato, e 'l magiore sotto la verga e chiamasi dinominante.

17. Se vuoli chalculare, cioè fare ragione di vendita o diconpera, scrivi la materia di rinpetto al suo pregio [6], e lla simile sotto la simile; e poi multiplicha quegli due numeri che stanno alla schisa [7], e parti per lo numero ch'è nel canto senpre.

29 Se soldi a oro [8] vuoli recare a [soldi a] piccioli, multiplicha per 10 e parti per 3.
30. Se soldi a piccioli vuoi recare a [soldi a] oro, multiplicha per 3 e parti per 10.

34. Se lli florini d'oro che valesse lo staioro [9] della terra partirai per 2, usciranne quanti danari toccha al braccio quadro.
35. Se ll'anpiezza [10] di d'un pozzo [in braccia] multiplichi per se medesimo e poi per la profondità [in braccia] e poi per 4, usciranne quanti barili [11] tiene.

37. Se vuoli multiplichare numero, sano e rotto [12] per u' numero sano rotto, multiplichi chiaschuno numero sano, per lo dinominante del suo rotto e giugni il dinominato, e poi multiplicha l'una somma conitr'all'altra e parti per li dinominanti.
38. Se vuoli partire alcuna quantità per numero sano e rotto, multiplicha quello numero per lo dinominante e giungni il dinorninato e sarà il partitore; e poi multiplicha quella quantità nel dinominante [e questo sarà da partire].

39. So vuoli partire rotto per intero, multiplicha lo 'ntero per lo dinominante e acchoncialo chon quello dinominato.

42. Se vuoli ritrovare in che feria [13] entra kalendi giennaio, agiunghi agli anni Domini [14] la quarta parte e la somma parti in 7, e' rimanente sarà la feria.

44. So gli anni Domini con 3 aggiunti partirai per 15, il rimanente sarà la indizione di quello anno; e origni anno si rnuta a dì 24 di settembre.

49. So vuoli sapere la chapacità della botte, piglia la sua altezza e la lungliezza con un quarto di braccio, e poi aggiungni all'altezza il decimo, e multiplicha per so medesimo e poi nella lunghezza e poi per 8 e parti in 13, usciranne quanti quarti di vino tiene la botte; e dieci quarti sono uno barile.

Paolo dell'Abbaco, Regoluzze, 1-7, 11, 17, 29-30, 34-35, 37-39, 42, 44, 49.

[1] Leggere molti numeri.
[2] Tutte le cifre ad eccezione dello zero.
[3] Dividere.
[4] Nel sistema monetario medievale: 1 lira =20 soldi, 1 soldo=12 denari.
[5] Frazione.
[6] Prezzo.
[7] All'opposto.
[8] Moneta uguale a 1/20 di fiorino a oro o anche a soldi (piccoli) 3, danari 4.
[9] Misura di superficie.
[10] Diametro.
[11] Misura di capacità.
[12] Intero o frazione.
[13] Giorno della settimana.
[14] Nei calcoli l'anno è sempre di 360 giorni.


(F) MCCCCIII a dì 1 gennaio.
Conciosiacosa che per li nostri peccati siano [1] in questa misera vita suggetti a molte tribulazioni d'animo e a molte corporali passioni; e so non fosse l'aiuto della grazia di Dio, il quale condiscende alla nostra debilità per la sua misericordia con mostrarci a il nostro intelletto quello che dobiamo fare e col sostenerci, ogni dì periremmo; vegendomi avere già passati disutilemente dal mio nascimento 40 anni con poca ubidenza de'comandamenti di Dio, e non fidandomi di me medesimo potere riducere di fatto al termine che si debe, ma per cominciare di grado in grado, questo dì propongo e dilibero una cosa da qui inanzi oservare, cioè che in perpetuo mai in alcuno dì di festa sollenne e comandata dalla santa Chiesa io non debo stare a botega, né andarvi a fare alcuno esercizio, né consentire o comandare che altri per me il faccia d'opera di guadagno o utile temporale, con questo salvo che [2] so alcuno caso molto necessario fosse, per ogni volta io sono tenuto il dì seguente dare a' poveri di Dio per limosina fiorini uno d'oro. E questa scrittura ho fatta per tenere meglio a mente e per mia confusione se contro a ciò facessi.
Ancora per memoria della passione del nostro signore Iesù Cristo, per li cui meriti siano liberati e salvati, acciò che in perpetuo ci mantenga liberi e salvi da ogni rea passione per la sua misericordia e grazia, questo di medesimo propongo nell'animo mio perpetualmente osservare castità nel dì del venerdì, che s' intende il venerdì con la sua notte sequente, e guardarmi da ogni atto di carnale diletto; e nostro Signore me no dia la grazia; e so caso intervenisse che io vi cadessi per non avedermene o per non ricordarmene, subito il dì sequente io sia tenuto e deba dare a'poveri di Dio soldi venti per ogni volta e dire 20 volte il Paternostro e Avemaria.
Ancora mi propongo questo dì fare la terza cosa mentre che io sto sano e possa, per considerazione che ciascuno dì abiano bisogno che Domenedio provegga per noi, così ciascuno, di oservare d'avere fatto a onor di Dio alcuna limosina o vero orazione o altra pietosa operaziono, e quando per inavertenzia fosse mancato, come io me no avego il dì o il dì sequente deba dare a'poveri di Dio per limosina per lo meno soldi cinque.
Questi non sono però voti; ma fo per ingegnarmi d'oservare questo bene quanto mi sia posibile.
A dì 3 di maggio anno Domini 1412, essendo suto tratto a dì 28 d'aprile Gonfaloniere di Compagnia, e per insino, al detto dì non era certo d'essere nelle borse di Collegio, e pur lo disiderava, per onore di me e di chi avesse a rimanere dopo me; ricordandomi che Stagio, nostro padre ebe molti ufici in sua vita, e de'consoli di Porta Santa Maria fu molte volte, e de'Cinque di Mercatantia, e de' maestri delle Gabelle e camarlingati, ma di Collegio non fu tratto in sua vita, e in poco tempo dopo la vita sua fu tratto de'priori e di Collegio: ricordandomi che già fa otto anni ho avuto molte aversità per cagion di Catalogna, e che l'anno prossimo passato ebi bisogno di guardarmi per non esser preso per debito e per lo Comune, e che il dì medesimo ch'io fu tratto a questo uficio, 1/4 d'ora inanzi, avea compiuto di pagare il Comune con grazia avuta per riformagione [3], che fu spirazione di Dio il quale sempre sia laudato e benedetto; e ora ch'io posso sicurare altri mi pare avere ricevuta grandissima grazia, e sarei stato contento di patto fatto esser sicuro d'essere una volta di Collegio e non disiderare più avanti; onde per non essere ingrato né volendo usare lo insaziabile appetito, che quanto più ha più disiderano, mi sono proposto e diliberato che da ora innanzi per ufici di Comune che s'abiano a fare o a squittinare mai non debo pregare alcuno, ma lasciare fare a chi fia sopra ciò quello che a Dio piace che di me sia, faccendo ragione che quando a uficio di Comune o d'Arte sarò trattò, d'ubidire e non ricusare la fatica, e fare quel buono ch'io saprò e potrò; e così schiferò il vizio della ambizione e del presumere di me, e viverò libero e non servo per prieghi. E quando avenisse che contro a ciò io facessi, per ogni volta mi deba condanare io medesimo in fiorini due d'oro a darli per la limosina infra uno mese; e questo dilibero vegendomi nel quinquagesimo anno ch'io nacqui.
Ancora detto dì dilibero per bene e sicurtà della mia coscienza, sentendomi debole a risistere a' peccati, di non volere mai, se io fossi tratto, accettare alcuno, accettare alcuno uficio di rettore che abbia balia di giudicare sangue [4]; e se contro a ciò facessi, mi condanno a dare a' poveri per Dio per ogni volta, s'io accettassi tale uficio, infra tre mesi, fiorini venticinque d'oro; e a questi sì fatti ufici non voglio parlare a chi sopra ciò per li tempi saranno, né che mi metta néche non in su le portate delli squittini [5], ma lasciare fare quel che a lor pare far bene; e ogni volta che in ciò errassi mi condanno in fiorini uno d'oro.

Goro Dati, Libro segreto, pp. 549-551.

[1] Sta per: siamo.
[2] Con questa eccezione.
[3] Per un condono.
[4] Di condannare a morte.
[5] «Non voglio raccomandarmi né per essere rimborsato né per non esserlo».

 

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