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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XVII
Gli uomini, la terra e il denaro

6. Forme dell'intervento statale: fisco e annona
(A) Giovanni Villani, Nuova Cronica, X11, 92.
(B) Giovanni Villani, Nuova Cronica, XI, 17.
(C) Matteo Palmieri, Ricordi fiscali, pp. 4-7.
(D) Anonimo, Cronaca senese, RIS 15/6, p. 125.
(E) Statuto del capitano del popolo di Firenze, 22, 117 (1322).
(F) Domenico Lenzi, Libro del Biadaiolo, pp. 292-296.

Si è già accennato a come le politiche di svalutazione monetaria, messe in atto dai poteri pubblici, risultassero da un tentativo di far fronte alle crescenti esigenze finanziarie di formazioni statuali via via più complesse, e i cui bilanci risultavano pesantemente condizionati dalle spese militari. Ma, a fianco di espedienti come questo, si impose con il XIV secolo una politica di inasprimento del prelievo fiscale, con una razionalizzazione del meccanismi tributari esistenti, che erano, spesso, il risultato di disorganici aggiustamenti successivi. Venne accresciuto il peso di dazi, gabelle e in genere delle imposte indirette che alimentavano in buona parte il bilancio ordinario (A). Il maggior ruolo del settore daziario, che, percentualmente, andava a pesare soprattutto sui ceti più poveri, restava preponderante rispetto agli oneri dell'imposizione diretta, malgrado che con la fine del Duecento e l'inizio del Trecento il ricorso ad essa si facesse sempre più pressante.
Agli estimi, diffusi specialmente nel XIII secolo (B), si affiancarono forme di prestito istituzionalizzato di privati, le prestanze. Il successivo consolidamento del debito pubblico avvenne attraverso il sistema dei Monti, in cui un capitale irredimibile fruttava una rendita perpetua. Infine, la maggiore articolazione degli organismi politici, spesso in conseguenza dell'ampliarsi dei territori soggetti, portò alla redazione di nuovi strumenti di rilevamento della ricchezza come i catasti, ad esempio quello fiorentino del 1427 (C).
Tra le esigenze più pressanti di regolamentazione della vita cittadina gli organismi politici del XIV secolo dovettero dedicare una rinnovata attenzione al problema annonario. In anni segnati da frequenti carestie e dallo scompiglio demografico, per evitare il rischio del verificarsi di speculazioni sul caro viveri (D) e dell'esplodere della conflittualità sociale, si tentò di fissare le norme dello svolgimento delle attività di mercato (E) e di assicurare la certezza e la regolarità dell'approvvigionamento alimentare. preponendovi appositi funzionari, come emerge dalla descrizione del mercato del grano di Orsanmichele a Firenze nello Specchio umano o libro del Biadaiolo di Domenico Lenzi (F).


(A) Il Comune di Firenze di sue rendite assise [1] ha picciola entrata, come si potrà vedere, ma reggevasi in que' tempi per entrata di gabelle; e quando bisognava, come dicemmo adietro al cominciamento della guerra del Mastino [2], si civiva [3] per prestanze e imposte a' mercatanti e ricchezze e altri singulari, assegnandole con guidardoni [4] sopra le gabelle. E in questi tempi queste infrascritte erano le gabelle levate per noi diligentemente de' ligistri del Comune che, come potrete vedere, montarono in questi tempi da CCC di fiorini doro l'anno, talora più, talora meno, secondo i tempi; che sarebbe gran cosa a uno reame, e non n'na più il re Ruberto d'entrata, noi tanti d'assai quello di Cicilia né quello di Raona. Vendesi [5] l'anno la gabella delle porti di mercatantie e vettuaglia e cose ch'entravano e uscieno della città fiorini LXXXXCC; la gabella del vino si vendea a minuto, pagando il terzo, fiorini LVIIII CCCL. Queste de'contadini, pagando l'anno, soldi X per libro di loro estimo si vende fiorini XXXC d'oro; la gabella del sale, vendendo a'cittadini, soldi XL, di piccioli lo staio, e a'contadini soldi XX, vendesi fiorini XIIII CCCCL d'oro. Queste IIII gabelle erano diputate [6] alla spesa della guerra di Lombardia. I beni de'ribelli sbanditi e condannati valeano [7] l'anno VII d'oro. La gabella sopra i prestatori a usura fiorini III d'oro. I nobili del'contado pagavano l'anno fiorini XI d'oro. La gabella de' contratti l'anno, fiorini XV d'oro. La gabella del macello delle bestie della città fiorini XV d'oro; quella del macello del contado fiorini IIICCCC d'oro. La gabella delle pigioni l'anno fiorini IIIICL d'oro. La gabella della farina e macinatura fiorini IIIICCL d'oro. La gabella di cittadini che vanno di fuori in signoria valea l'anno fiorini IIID d'oro. La gabella dell'acuse e scuse fiorini MCCCC d'oro. Il guadagno della moneta [8] dell'oro valea l'anno, pagate le fatture, fiorini IICCC d'oro. L'entrata del guadagno della moneta di quattrini e di piccioli, pagato l'ovraggio [9], fiorini MD d'oro. I beni propi del Comune e passaggi fiorini MDC d'oro. I mercati di città delle bestie vive fiorini IICL d'oro. La gabella di sagnare pesi e misure e paci e beni in pagamento l'anno fiorini DC d'oro. La spuzzattura d'Orto Sa' Michele e prestare bigonee fiorini DCCL d'oro. La gabella delle pigioni di contado fiorini DL d'oro. La gabella de' mercati di contado fioriniII d'oro. Le condannagioni che'ssi riscuotono si ragiona l'anno, e'lli più anni monta troppo più [10] fiorini XX d'oro. L'entrata de'difetti de'soldati a cavallo, e a ppiè, non contando quelli ch'erano in Lombardia, fiorini VII d'oro. La gabella delli sporti delle case l'anno fiorini V DL d'oro.La gabella delle trecche e trecconi 1[1] fiorini CCCCL d'oro. La gabella del sodamento [12] fiorini MCCC d'oro, cioè di portare arme di difensione, a soldi XX di piccioli per uno. L'entrata delle prigionifiorini M d'oro.. La gabella de' messi fiorini C d'oro. La gabella de' foderi [13] del legname vien per Arno fiorini L d'oro. La gabela degli aprovatori de'sodamenti si fanno al Comune fiorini. d'oro. La gabella de'richiami a'consoli dell'arti, la parte del Comune, fiorini. d'oro. La gabella sopra le posessioni del contado fiorini.d'oro. La gabella delle zuffe a man vote fiorini.d'oro. La gabella da Firenzuola fiorini. d'oro. La gabella di coloro che non hanno casa in Firenze, e vale il loro da fiorini M in su, fiorini.d'oro. La gabella delle mulina, entrata e pescaie, fiorini.d'oro. Somma da fiorini CCC, e più. O signori Fiorentini, come è mala provedenza acrescere l'entrata del Comune della sustanza e povertà [14] de'cittadini colle sforzate gabelle per fornire le folli imprese! Or non sapete voi che come è grande il mare è grande la tempesta, e come cresce l'entrata è aparecchiata la mala spesa? Temperate, carissimi, i disordinati disideri, e piacerete a Dio, e non graverete il popolo Innocente.

Giovanni Villani, Nuova Cronica, X11, 92.

[1] Rendite fisse provenienti dai beni comunali.
[2] La guerra che vide Firenze alleata con Venezia contro Mastino II della Scala.
[3] Provvedeva.
[4] Provvigioni.
[5] Si cede in appalto.
[6] Destinate.
[7] Rendevano.
[8] Coniazione.
[9] Detratte le spese di lavorazione.
[10] Molto di più.
[11] Fruttivendoli.
[12] Malleveria.
[ 13] Specie di zattere.
[14] Dei miseri beni.


(B) Nell'anno MCCXXVII, del mese d'aprile, si trasse in Firenze uno nuovo estimo ordinato per lo duca [1], e fatto con ordine per uno giudice forestiere per sesto, a la isaminazione di VII testimoni segreti e vicini, stimando ciò che ciascuno avea di stabile e di mobile e di guadagno, pagando cena cosa per centinaio [2] del mobile, e certa cosa per centinaio lo stabile, e così del procaccio [3] e guadagno. L'ordine si cominciò ben; ma gli detti giudici corrotti, cui puosuono [4] a ragione, e a cui fuori di ragione, onde grande ramaricho ebbe in Firenze; e così mal fatto, se ne ricolse LXXX fiorini d'oro.

Giovanni Villani, Nuova Cronica, XI, 17.

[1] Carlo, duca di Calabria cui era stata affidata la signoria di Firenze dopo la sconfitta di Allopascio (sett. 1325).
[2] Un tanto per cento.
[3] Utile.
[4] Misero l'imposta.


(C) 1427. Adf 10 di luglio [1].
Richordo in prima chome, da sopradetto dì adrieto, a Firenze mai più fu chatasto, né mai si posono le graveze secondo stima vera di sustanze. Ma ponevansi in varii modi: alchuna volta ponendo venti huomini a tutta la terra, e chiamoronsi ventine; altra volta per ghonfalone, e erano vario numero d'huomini: alchuna volta furono sette, altra volta nove, e da lloro si chiamorono quando settine e quando novine. E i detti huomini aveano a porre secondo loro discretione, a chi pareva loro, quella prestanza voleano. E in questo tempo avea Marcho di prestanzone [2] f. dieci, s. tre, d. otto a oro.
Di poi, in questo tenpo, s'ordinò porre le graveze a chatasto, in questo modo: che ognuno dovesse portare per scritta ogni suo bene e sustanza, e simile ogni suo incharicho, e debitori e creditori, e simile ogni rendita di possessioni o d'altro. E stimato ogni suo mobile, di quello si trovava di valsento [3], non chontando né chasa né masserizia avessi per uso suo, si dovessi trarre f. dugento per ciascuna bocha la quale avesse quel tale cittadino, che fussino di sua famiglia propria. E, chosì ordinato, Marcho mio padre fe' la prima portata in questo modo, che seguira in nell'altra faccia, cioè in prima.

Primo catasto:
1427. Adì 10 di luglio.
Dinanzi a voi, signori uficiali del chatasto del popolo e Chomune di Firenze: sustanze, beni e incharichi di Marcho d'Antonio Paimicri. A di prestanzone f. dieci, s. tre, d. otto a oro
f.X, s.III, d. VIII
Una chasa posta nella via degli Scarpientieri, e in detta chasa habito. Sua chonfini: 1* via, 2* Francescho d'Antonio miofratello, 3 ser Piero di Betto da Filichaia, 4 Bernardo di Giovanni di ser Matteo
.Masserizie in detta chasa a mio uso

Un chasolare in detta via degli Scarpentieri, confinato: da 1 via, 2 e 3 ser Piero di Bello da Filichnia, 4 ser Antonio di ser Vincenzo Fortini. Non se ne chava nulla: stimossi f. XX

Un podere posto nel popolo di San Nicholò della Torricella, piviere [4] di Santo Stefano in Botena, confinato: da 1 Francescho di ser Benozo [Pieri], 2* la chiesa di San Nicholò detto, 3 ser Lorenzo di ser Giannino [Giannini], 4 Francescho d'Antonio mio fratello.
Lavoratl Antonio e Ugho di Vanni Tattera: ànno di prestanza f. settanta.
Un paio di buoi: vagliono f. dic[i]otto.
Porci dua: vagliono f. dua
Rendita in mia parte: mi può dare, di mezo, grano mogia quatro, arechato tutto a grano; vino niente, posso dire una firascha; e chosì altre biade, poche, e ivi si rimanghono. lino pocho e tristo. Arechando tutto a grano, moggia quatro, e vonne io male.
Chosì portò detto Marcho. Ma poi la s'achonciò che rendessi chome gl'uficiali vollo[no], quello che segue:
Grano moggia tre: per s. 15 lo staio … 1.54.-
Biade staia trenta: per s. 7 lo staio …. 1.10.10
Vino barili otto: per s. 28 il barile …. 1.11.4
Lino libre otto: per s. 2 [la] libra …. 1.-.16
Carne libre 250: per 1. 5 il cento.1. 12.10
Somma 1. 89, s. 0: a f. 7 per cento vale
f. 317.17. 2.

Matteo Palmieri, Ricordi fiscali, pp. 4-7.

[1] È la data della prima denuncia dei redditi dei Palmieri (per il testo, trascritto nei suoi Ricordi Fiscali da Matteo, vedi oltre).
[2] O grosse prestanze, le due precedenti forme di imposizione fiscale anteriori al catasto del 1427.
[3] Valore commerciale.
[4] Territorio di giurisdizione di un pievano.


(D) E nel tempo della signoria predetta, esendo in Siena alchuni citadini, e'quali volevano amunire e mettare alchuna chosa a uno loro modo; e non potendo farlo s'ingiegnioro di mettare grande charestia, ma non lo' venne fatto. E imediate e' signori Nove chomandoro che tutte le persone, le quali avevano grano da vendare di subito el doveseno metere in Chanpo sotto la pena de' loro albitro. E fatto el chomandamento, di subito l'altro giorno el chapitano del popolo chomandò che'l potestà e sua fameglia doveseno andare a chasa d'alquanti citadini e' quali avevno voluto afamare la città: e quanto grano si trovasse in chasa loro, si dovesse metare in Chanpo e vendarne a ognuno chol suggello de'signori, e fusse venduto lo staio XVI soldi. E fu tanta la moltitudine del grano el quale era venuto in Chanpo, che l'altro giorno molti cittadini ne miseno in chanpo volontariamente a soldi XII lo staio, e mostroro esere ben chontenti d'ogni divizia e masime el chasato Salinbeni, chè miser Benucc[i]o ne mandò in sul Chanpo C mogia sotto due ghonfaloni, e mbieno a soldi XI lo staio, e stava[no] sotto questo padiglionc III, e'quai misuravano quanto l'uomo ne voleva, e l'altro giorno ve ne fecero venire anchora da gli altri, per modo elle ogni uomo fu belle fornito a chonpimento, e andorono di giorno in giorno le chonpagnie chon divizia, per modo che ve n'avanzò e non si trovava più chi ne volesse. E in questo modo e' signori Nove miseno l'abondanza in la città, e ancho nel chontado. E inchominciò el detto charo a dì XV di maggio [1]. È Talomei anchora ne portoro in Chanpo C moggia, e miseno el detto grano su certe stoia, acciochè ogni uomo ne potesse avere e vedere chome di loro piacere. E inchontanente ogni casa passò con divizia, e fu poi l'anno una grande richolta, chome a cischeduno generalmente parbe, e fu abondanza d'ogni bene. E in questo modo e ghativi uomini rimaseno chonfusi de la loro iniqua volontà di volere afamare la città e suo chontado.

Anonimo, Cronaca senese, RIS 15/6, p. 125.

[1] Del 1322.


(E) 22. È stabilito e ordinato che nei giorni di sabato nessuno osi condurre carri con legname o traini di legname in detto mercato o per mercato, né per Calimala, ma negli altri giorni sia lecito condurre detti carri per la piazza del mercato. E chi contravverrà pagherà per ogni volta 100 soldi di fiorini piccoli. E ciò venga proclamato pubblicamente per la città una volta al mese.
117. Siccome nelle piazze di Firenze e specialmente nella piazza del ponte Rubaconte di tanto in tanto si esige il pagamento della gabella sui frutti, sulle erbe e sulla paglia da ogni carro che entra in essa e negli ordinamenti della gabella non si trova registrata questa imposta, si provveda che in nessuna piazza della città di Firenze si esiga il pagamento di nessuna gabella da nessun forestiero, del comitato e del distretto di Firenze sui frutti, sulle erbe o sulla paglia, ma che ciascun forestiero possa, volendo, vendere generi di tal natura in dette piazze o in alcuna di esse, possa venire, stare e vendere in quelle che senza pagamento di gabella che sulle vendite appena fatte e salva la gabella della paglia.

Statuto del capitano del popolo di Firenze, 22, 117 (1322)


(F) Aprile grano e biada mcccxxviiij
Sabato, a dì viii del detto mese d'aprile,inperciò che i detti signori huficiali [1] vidono pocho grano sulla piazza d'Orto Samichele, e meno pane ed altra biada, e che grande moltitudine di gente di diverse parti, e contadini e cittadini, veniano per comperare tanto che il terzo della gente a pena sarebbe fornita, per temenza di romore mandorono per lo chavaliere della podestà e per la famillia. Giunti che furono armati, come si va a battallia o a terra rotta, andò un bando da parte de' Sei e della podestà, ch'egli non fosse veruno merchatante o altra persona il quale avesse grano, per vendere, di che ragione [2] si fosse, che debbia vendere più che s. xxx a quello, bando che piacesse loro di torre [3]. Et incontanente che il bando fu ito, ed egli andarono per la piazza ponendo mente chi avesse grano calvello o ciciliano buono, sì llo ristoravano alle spese del comune e davano danari dodici e più e meno come pareva a lloro d'ogni staio più. Et la gente de' comperatori era grande e tanta che non sarebbe tocchato per uno u' mezzo staio: e cominciorono a borbottare e a dire l'uno contro a l'altro: «Questi merchatanti sono coloro che amettono, il charo [4] e si vorrebbono tutti uccidere e rubagli». I detti Sei erano a la pancha allato al pilastro della loggia [5]. Quando sentirono questo mormorio ebono paura di peggio. Incontanente mandorono e puosono a ogni venditore alquanti della famillia che guardassero e aiutassero a'detti venditori ke non fosse fatto niuna noia a lloro. Chiunque fosse che facesse noia e rubasse niuno venditore, fosse preso incontanente e menato a lloro. A questo si diedoro le staia [6] e lle grida erano grandi de'conperatori di pianto doloroso e di diversi sospiri e strida e simili cose. Incontanente fue venduto e andaronne questo dì le due parti di conperatori, che non ne poterono avere né conperarne, bestemmiando e piangendo, di mal modo.
Questo die sarebbe venduto più che non si vendé, se non avesse fatto così i detti uficiali, più ogni staio, -s. ij.

Domenicha, a dì viiij del detto, mese, non si tenne piazza [7].
Lunedì, a dì x, i detti signori Sei sì feciono fare comandamento, a certi ricchi huomini della città ch'aveano del grano o della biada, che dovessono mettere del grano o biada nella piazza d'Orto Samichele a quello bando che piacesse loro di torre. Il detto die fue ben fornita la piazza d'Orto Sanmichele di grano e di biada. Quando venne che nona era sonata di pocho, et i detti Sei vennono a la pancha e providono la piazza che era piena di comperatori, incontanente mandorono per lo chavaliere della podestà, che avea nome ser Villano da Ghobbio e per la famillia, e incontanente giunsono bene armati. Et i detti Sei mandarono il bando per la piazza che non sia niuno merchatante od altra persona il quale debbia vendere lo staio del grano più di s. xxx, di qualunque ragione fosse, a quel bando che piacesse di torre a loro. E poscia feciono stare la famillia alle bighoncie de' venditori al modo detto di sopra, per paura. Poi feciono dare le staia. La gente era grande de' comperatori e tuttavia crescievano e'l grano sciemava.
Questo die n'andarono di quelli che non n'ebbonobene l'un terzo, piangendo e ramaricandosi fortemente. Et se non fosse tenuto questo modo, sarebbe venduto lo staio più di - s. ij.

Come i Sei facevano, vendere per lo comune: aprile mcccxxviiij

Martedì, a dì xj del detto mese, si vendè al detto pregio. Mercholedì, a dì xij del detto mese d'aprile, i detti Sei sì mandorono il bando per la città da pane della podestà, chi avesse grano o biada più che per suo vivere di quie a chalendi Jullio proximo che viene, sì llo debbia avere, portato per iscritto a' detti Sei, quelli della città da ivi a cinque die e quelli del contado da ivi a dì x, a bando d'essergli tolto.
Il secondo die che fu ito il bando, sì mandarono i detti Sei per la famillia, della podestà e del capitano e dell'aseguitore e del bargello, e per messi e picchonai [8]. E feciono venire di molte schure e mandarono una di questa famillia co' messi e picconai colle schure in collo per la città, e l'altra partita della famillia mandarono per lo contado bene armati con più armi, rompendo usci e porte i quali fossono, serrati che non fossono incontanente aperto loro, ciercando giù nel terreno e nelle celle, e suso nelle camere sotto il letto e nelle lettiere, e in chasse e soppidiani ed arche e altri assai stovigli là dove credessono trovare grano o biada. Il detto grano o biada che trovarono per la città, sì llo scriveano, poscia il mandavano a'detti Sei ed ellino il facieano riporre e mettere in comune, e davanne dello staio - s. xxx. E ancho grano e biada ch'e' merchatanti rechavano, sì llo toglieano e metteano in comune. Et niuna persona non osava di vendere grano in sulla piazza se non biada.

Aprile grano per lo comune mcccxxviiij
Il detto dì, a dì xij del mese sopradetto d'aprile, infino a dì xviij, vendessi lo staio del grano buono comunale il quarto orzo - s. xxviiij; vielie di netto lo staio - s. xxx. d. viij.

I detti Sei facevano questo per lo comune. Et stette il detto die la famillia della podestà nella piazza armata a guardare che niuna persona non cominciasse zuffa, o facesse soperchianza l'uno a l'altro, inperciò che Sei ne dubbiarono [9] ch'e'comperatori non si mettessono a rubare il grano, imperciò ch'elli erano molto achaniti ed erano sì grande moltitudine che a pena chapeano nella piazza. E non ne dierono questo die più d'uno staio per persona, e con tutto questo non bastò loro il grano, che più che l'uno terzo non n'ebbe. Et andavano piangendo e lamentando e bastemmiando sé e la divina potenza chiaramente et diceano: «Questi ladri ci volliono fare morire di fame!».

Domenico Lenzi, Libro del Biadaiolo, pp. 292-296.

[1] I sei Ufficiali del Biado che dagli ultimi decenni del Duecento ebbero la responsabilità della politica annonaria fiorentina.
[2] Di qualità qualsiasi.
[3] Un calmiere di trenta soldi allo staio.
[4] Provocano la carestia.
[5] La loggia di Orsanmichele, nei cui pressi si svolgeva il mercato delle granaglié.
[6] Portarono i recipienti delle granaglie.
[7] Non si fece mercato.
[8] Guardie armate di picca.
[9] Temettero.

 

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