Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
1. La Guerra dei Cento Anni: le premesse (A) Jean de Venette, Cronaca,
II, p. 83. (B) Galfrido di Swynebroke,
Cronaca, p. 43. (C)
Jean Frisisart, Cronache, I, 277-278, 284.
L'evoluzione in senso nazionale di Francia e Inghilterra, tra il XIV
secolo e la prima metà del XV, fu scandita e pesantemente condizionala
da una lunga serie di scontri militari che si è soliti indicare
con la definizione riassuntiva di guerra dei Cento anni (1337-1453). Riguardo
alle motivazioni che concorsero ad innescare il contrasto resta aperto
il dibattito sulla preminenza da dare all'aspetto dinastico dello scontro
o piuttosto a quello feudale. In realtà, precisi interessi particolari
prevalevano ormai su ogni principio di reciproca fedeltà determinata
dal legame feudale. Concepito ancora nel 1259 da Luigi IX come un vero
atto di pacificazione feudale, il trattato di Parigi, che confermava al
sovrano inglese il ducato di Guienna, restava ormai un precedente (come
poi la designazione nel 1279 a conte del Poitou) impugnato volta a volta
dai due contendenti soltanto a livello formale. La politica di affermazione
dei poteri del re di Francia su un territorio dove continuavano a sussistere
ampie zone di autonomia feudale si concentrò anzi in più
occasioni proprio contro il vassallo d'Oltremanica, sostenuta dal ricorso
ad argomentazioni proprie del diritto feudale. Da parte inglese, la rivendicazione
dei feudi in territorio francese restava l'occasione per dar corpo ad
aspirazioni ben più ampie di espansione sul continente. In questa
direzione va inteso il tentativo di Edoardo III d'Inghilterra di servirsi
della crisi dinastica che si apriva con la morte del re di Francia Carlo
1V (1328) e la conseguente estinzione della linea capetingia. Da parte
francese ci si era espressi per la successione a favore di un esponente
di un ramo collaterale dei Capetingi, Filippo di Valois, mentre Edoardo
aveva avanzato per sé pretese sulla corona di Francia in quanto
discendente più prossimo del defunto per parte di madre. Alla fine,
più che la motivazione di ordine giuridico, che per i Francesi
voleva escluse le donne dalla successione – e quindi nullo ogni diritto
di Edoardo – si impose di fatto il carattere nazionale della scelta del
nuovo sovrano (A). In un primo tempo,
stretto dai problemi interni, Edoardo accettò, seppur avanzando
riserve, di prestare l'omaggio al nuovo re (B),
ma poi, dopo la confisca della Guienna da parte di Filippo VI nel 1337,
tornò a rivendicare per sé la corona di Francia, forte anche
dell'offerta che in tal senso gli era venuta dagli abitanti di Gand, Bruges,
Ypres, che si erano ribellati al conte di Fiandra (1377). È l'avvio delle
operazioni militari, culminate nello scontro navale a l'Ecluse (1340),
che consentirà in futuro il dominio inglese sul mare, e nella battaglia
di Crecy (1346), dove si manifesta la superiorità militare della
fanteria inglese sulla cavalleria pesante dell'esercito feudale francese
(C). (A) Alla morte del re Carlo i baroni
furono convocati per discutere riguardo la reggenza del regno. In effetti,
dato che la regina era in cinta e non si poteva prevedere il sesso del
nascituro, nessuno osava, a titolo provvisorio, assumere le prerogative
reali. Tutta la questione era sapere a chi, per diritto di prossimità,
doveva essere affidata la custodia del regno, soprattutto in ragione
del principio che nel regno di Francia la donna non ha accesso direttamente
al potere reale. Da parte loro gli Inglesi dichiaravano che il loro
giovane re Edoardo era il parente più prossimo, in quanto figlio
di una figlia di Filippo il Bello e quindi nipote del defunto re Carlo.
Se dunque la regina non avesse messo al mondo un figlio maschio, questo
principe avrebbe dovuto assumere a reggenza e il governo stesso del
regno, piuttosto che non Filippo, conte di Valois, che non era che il
cugino germano del defunto.
Numerosi giuristi competenti in diritto canonico e in diritto civile
si accordarono ciononostante nel dichiarare che Isabella, regina d'Inghilterra,
figlia di Filippo il Bello e sorella del defunto re Carlo, era scartata
dalla reggenza e dalla conduzione del regno non in considerazione della
prossimità del suo grado di parentela ma del suo sesso: supponendo
che ella fosse stata un uomo gli sarebbero stati attribuiti la reggenza
e il governo. La polemica doveva proseguire quando si pose la questione
del trono. I Francesi non ammettevano senza turbamento di essere assoggettati
all'Inghilterra. Ora, se il figlio di Isabella poteva vantare qualche
diritto, esso gli proveniva da parte di madre. Ma sua madre non aveva
alcun diritto. E quindi lo stesso valeva per il figlio. Diversamente,
sarebbe stato come ammettere che il secondario prevaleva sul principale.
Dato che questo avviso venne ritenuto il più sensato e accettato
dai baroni, la custodia del regno fu affidata a Filippo, conte di Valois,
e egli ricevette allora il titolo di reggente del regno. Jean de Venette, Cronaca, II, p. 83. (B) In quello stesso
anno, intorno alla festa dell'Ascensione, il re attraversò il
mare, affidato il regno a suo fratello il conte di Cornovaglia, e fece
omaggio al re di Francia Filippo di Valois, figlio di Carlo il Falso
[1] per tutto
il ducato di Aquitania e la contea dei Ponthieu, avanzando alcune contestazioni.
Di contro il re di Francia Filippo accolse l'omaggio con altre contestazioni,
e cioè che non accoglieva l'omaggio per le terre nelle quali
il suo già nominato padre Carlo aveva condotto una spedizione
armata contro il signore deI Kent, ma le teneva per sé e le voleva
tenere fino al momento in cui gli fosse stata resa soddisfazione dei
danni e delle spese affrontate e sostenute da suo padre in quella campagna. Galfrido di Swynebroke, Cronaca, p. 43. [1] Letteralmente proditor, il
traditore, più noto come Carlo il Falso. (C) Nessun uomo,
anche se fosse stato presente a quella giornata e avesse pure avuto
buon agio d'avvisare e d'immaginare tutta la bisogna così com'essa
andò, ne avrebbe saputo o potuto immaginare né raccontare
la verità; e specialmente dalla parte dei Francesi, tanto vi
fu poco assetto e ordine nelle loro file. E ciò che io ne so,
l'ho saputo in gran parte dagli Inglesi, che videro bene la loro situazione,
e anche dalla gente di messer Giovanni di Hainaut che fu sempre presso
il re di Francia. Gli Inglesi, ch'erano disposti in tre schiere e ch'erano
bellamente seduti per terra, appena videro avvicinarsi i Francesi s'alzarono
assai in ordine, senza nessuno spavento, e si schierarono nelle loro
formazioni, quella del principe davanti a tutte, coi loro arcieri disposti
come un erpice e la gente d'arme in fondo. Il conte di Northampton e
il conte d'Arundel e la loro gente, che facevano il secondo corpo di
battaglia, si tenevano sull'ala assai ordinatamente e pronti a soccorrere
il principe se ce ne fosse stato bisogno. Dovete sapere che quei signori,
re, duchi, conti e baroni francesi, non giunsero sino a lì tutti
insieme, ma uno davanti, l'altro indietro, senz'assetto e senz'ordine.
Quando il re Filippo giunse sino al posto in cui gli Inglesi erano in
quei pressi fermi e ordinati, e quando li vide, il sangue gli ribollì,
giacché egli li odiava; e non si sarebbe allora per nulla trattenuto
né astenuto dal combatterli; e disse ai suoi marescialli: “Fate
passare i nostri Genovesi davanti e cominciate la battaglia, in nome
di Dio e di monsignore san Denis”. Là erano circa quindicimila
di quei detti Genovesi balestrieri, che avrebbero preferito qualsiasi
cosa che non fosse cominciare allora la battaglia; giacché erano
duramente provati e affaticati d'essere andati a piedi quel giorno per
più di sei leghe, armati di tutto punto, e d'aver portato le
loro balestre; e dissero dunque ai loro connestabili di non essere allora
in grado di fare grande impresa in battaglia. Tali parole volarono fino
al conte d'Alençon che ne fu duramente corrucciato e che disse: “Ci
si deve proprio caricare del peso di simile ribaldaglia che viene meno
quando se ne ha bisogno!”. Mentre queste parole correvano e i Genovesi
indietreggiavano ed esitavano, dal cielo scese una pioggia così
grossa e fitta, ch'era maraviglia, e un tuono e lampi grandissimi e
orribili. Prima di questa pioggia, sopra le schiere avevano voltato
e fatto il più grande rumore del mondo un numero enorme di corvi.
E là alcuni saggi cavalieri dicevano ch'era un segno di grande
battaglia e di grande effusione di sangue. Dopo tutte queste cose, l'aria
cominciò a rischiararsi e il sole a splendere bello e chiaro.
E i Francesi l'avevano diritto negli occhi e gli Inglesi di dietro.
Quando furono tutti radunati e messi insieme e dovettero avvicinarsi
ai loro nemici, i Genovesi cominciarono a gridare così forte,
che fu maraviglia, e lo fecero per intimidire gli Inglesi: ma gli Inglesi
rimasero quieti. Una seconda volta gridarono ancora così e poi
fecero un piccolo passo avanti: e gli Inglesi rimanevano del tutto quieti
senza muoversi dal loro posto. Ancora una terza volta gridarono altissimo
e chiarissimo, e passarono avanti, e tesero le loro balestre e cominciarono
a. tirare. E quegli arcieri d'Inghilterra, quando videro ciò,
fecero un passo avanti e poi fecero volare le frecce in maniera che
entrarono e discesero così bene insieme su quei Genovesi da sembrare
neve. I Genovesi, che non sapevano di trovare arcieri come quelli d'Inghilterra,
quando sentirono quelle frecce che trafiggevano loro braccia, testa
e basselabbra, furono subito sconfitti; e parecchi tagliarono le corde
dei loro archi e altri li gettarono a terra; e si volsero indietro.
Tra essi e i Francesi c'era una grande siepe d'uomini d'arme, montati
e ricchissimamente adorni, che guardavano lo scontro dei Genovesi; sicché
quando questi pensarono di tornare indietro, non poterono; giacché
il re di Francia, per grande scontento, quando vide il loro meschino
contegno e ch'essi così si disperdevano, comandò e disse:
“Orsù, tosto uccidete tutta quella ribaldaglia, giacché
ci impediscono il cammino senza ragione”. Là avreste visto uomini
d'arme da ogni lato gettarsi in mezzo a loro e colpire, e parecchi di
essi tracollare e stramazzare in mezzo a loro e mai rialzarsi. E sempre
gli Inglesi tiravano nella più grande calca e nessuna freccia
andava a vuoto […]. Così cominciò la battaglia tra
la Broye e Crecy in Ponthieu, quel sabato all'ora dei vespri. […]
Dovete sapere che la sconfitta e la perdita per i Francesi fu grandissima
e orribile, e che rimasero sui campi molti nobili e valenti uomini,
duchi, conti, baroni e cavalieri, per la morte dei quali il regno di
Francia fu da allora assai indebolito d'onore, di possa e di consiglio
[…]. Debbo dirvi che quel giorno gli arcieri d'Inghilterra recarono
gran soccorso a quelli del loro partito, giacché parecchi dicono
che proprio per il loro tiro la lotta ebbe termine, ancorché
vi fossero alcuni valenti cavalieri della loro parte che combatterono
valorosamente per mano loro e che vi fecero molte belle abilità
d'arme. Ma si deve ben sentire e sapere che gli arceri vi fecero molto;
dal loro tiro, infatti, sin dall'inizio furono sconfitti i Genovesi
ch'erano ben quindicimila, il che fu per essi un gran vantaggio: giacché
grandissima copia di gente d'arme riccamente armata e ornata e ben montata,
come s'usava montare allora, fu sconfitta e perduta per colpa dei Genovesi,
che ruzzolavano tra di essa e s'intrappolavano a tal punto, che non
potevano rialzarsi e rimettersi. E là, tra gli Inglesi, erano
predatori e ribaldi, Gallesi e gente del paese di Cornovaglia, che seguivano
la gente d'arme e gli arcieri; portavano grosse squarcine [1]
e venivano in mezzo alla loro gente d'arme e ai loro arcieri che aprivano
loro la via, e trovavano quella gente in quel pericolo: conti, baroni,
cavalieri e scudieri. Allora li uccidevano senza misericordia, per quanto
gran signori fossero. In tal modo ve ne furono quella sera parecchi
perduti e uccisi. Da ciò derivò tristezza e danno; e il
re d'Inghilterra fu dipoi corrucciato del fatto che non li avessero
presi a riscatto: giacché vi fu gran quantità di signori
morti. Jean Frisisart, Cronache, I, 277-278, 284. [1] Sorta di coltellaccio a lama
larga e ricurva.
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