Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
12. Gli inizi della Spagna (A) Lettere della Cancelleria,
90 (1492). (B) Ferdinando e Isabella,
Editto generale per l'espulsione degli Ebrei dall'Aragona e dalla Castiglia (1492). (C) Jean Frisisart, Cronache,,
I, 413-414. (D)
Trattato di Bretigny, cc. 1-3, 11, 13-14, 32 (1360).
Il 2 gennaio del 1492 la presa di Granada, l'ultimo baluardo musulmano
nella penisola iberica, trionfalmente annunciata dal re Ferdinando con
una lettera inviata al pontefice Innocenzo VIII, completava la plurisecolare
opera della Reconquista (A). Da pochi
anni, da quando Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia (sposi dal
1469) avevano ereditato – ed unito per il momento solo personalmente –
i rispettivi regni, sulla scena europea era apparsa una nuova protagonista,
la Spagna, che nel secolo successivo avrebbe rappresentato uno dei punti
forti della politica europea. Nemmeno tre mesi dopo la presa di Granada,
quasi a sconfessare una plurisecolare tradizione di convivenza, giungeva
l'editto di espulsione degli Ebrei (31 marzo); del resto già dal
1480 in terra spagnola operava il tribunale dell'Inquisizione (B).
Fu un atto dalle conseguenze tragiche per la fiorente comunità
ebraica spagnola, che darà origine alla diaspora di quegli Ebrei
che furono detti sefarditi (dall'ebraico Sefarad, Spagna) e che si diressero
in prevalenza verso l'Italia e l'oriente mediterraneo. (A) Santissimo Padre. Il vostro
umilissimo e devoto figlio re di Castiglia, Lecco, Aragona, Sicilia
e Granada bacia i vostri santi piedi e mani e umilissimamente si raccomanda
a Vostra Santità, alla quale farà piacere sapere che piacque
a Nostro Signore donarci una completa vittoria sul re e sui Mori di
Granada, nemici della nostra Santa Fede cattolica. Perché oggi,
secondo giorno di gennaio del presente anno novantadue, la città
di Granada si è arresa a noi con l'Alhambra e tutte le fortificazioni
che ne fanno parte e tutte le fortezze e i castelli di cui noi ci dobbiamo
ancora impadronire in questo reame; e in un solo colpo noi l'abbiamo
tutto intero nelle nostre mani e sotto il nostro dominio. Comunico [dunque]
a Vostra Santità una felicità così grande, e cioè
che dopo tante pene, spese, sacrifici di vite e di sangue dei nostri
sudditi e regnicoli, questo regno di Granada, che settecentottan …[correzione
incomprensibile] [1]
è stato occupato dagli Infedeli, è stato conquistato,
durante il vostro regno e con il vostro aiuto: è il frutto che
i pontefici passati, vostri predecessori, hanno tanto desiderato, e
per [ottenere] il quale essi hanno collaborato, per la gloria e l'onore
di Dio, nostro Signore, e della Santa Sede apostolica. Dio guardi sempre
la vostra santissima persona e la conservi per il buono e prospero governo
della sua Chiesa Universale. Scritto nella città di Granada il
due gennaio 1492. Di vostra Santità l'umilissimo e devoto figlio
che vi bacia i santi piedi e le mani, il re di Castiglia, d'Aragona
e di Granada. Lettere della Cancelleria, 90 (1492). [1] Dall'arrivo, nel 711, dei Mori in
Spagna [cfr. vol. I, capitolo 8, 11]. (B) Nel nostro regno
esiste un numero notevole di cristiani giudaizzanti che si allontanano
dalla nostra Santa Fede cattolica, fatto essenzialmente dovuto ai rapporti
tra Ebrei e cristiani. Desiderando porre un freno a questo male, abbiamo
deciso, insieme con le Cortes riunite a Toledo nel 1480, di segregare
gli ebrei, destinando loro particolari aree circoscritte. Ci siamo anche
preoccupati di introdurre nel nostro regno l'Inquisizione che opera
già da dodici anni e ha giustamente punito numerosi colpevoli.
Da quanto ci hanno comunicato gli Inquisitori è certo che il
contatto dei cristiani con gli Ebrei è estremamente dannoso.
Gli ebrei tentano in tutti i modi di traviare loro e i loro figli [1]
mettendogli in mano libri di preghiere ebraiche, istruendoli sui giorni
di digiuno, procurando loro pane azzimo [2]
per Pasqua, indicando quali sono i cibi ammessi o proibiti e inducendoli
soprattutto a seguire la legge di Mosè. Tutto ciò ha come
conseguenza di minare e avvilire la nostra Santa Fede cattolica. Siamo
quindi venuti alla conclusione che il mezzo più efficace per
ovviare a questo male era impedire ogni contatto fra Ebrei e cristiani,
cosa che si può ottenere soltanto con l'espulsione degli Ebrei
dal nostro regno. Ci siamo in un primo tempo limitati ad allontanarli
dalle città dell'Andalusia dove particolarmente gravi erano i
danni arrecati. Ma né queste misure, né le giuste condanne
pronunciate contro gli Ebrei in grave peccato nei confronti della nostra
Santa Fede, hanno potuto rimediare a questo pericoloso stato di cose
[…]. Abbiamo quindi deciso di cacciare per sempre dai confini
dei nostro regno tutti gli Ebrei d'ambo i sessi. Disponiamo quindi col
presente decreto che tutti gli Ebrei senza distinzione di sesso e di
età, viventi nei nostri territori, debbano abbandonarli al più
tardi alla fine di luglio di quest'anno insieme con i loro figli, figlie
e servitù ebraica: e li diffidiamo dallo stabilirsi di nuovo
nel paese o di entrarvi per qualsiasi ragione. I contravventori al nostro
ordine verranno puniti per direttissima con la morte e con la confisca
dei loro beni. Di conseguenza ordiniamo che, a partire dalla fine di
luglio, nessuno nel nostro regno dia asilo a un Ebreo o a un'Ebrea,
apertamente o clandestinamente, pena l'incameramento dei beni a favore
della cassa reale. Ma per rendere possibile agli Ebrei di sistemare
le loro cose e disporre dei loro averi nel termine concesso, accordiamo
loro la nostra protezione regale e la sicurezza della loro vita e dei
loro beni perché fino alla fine di luglio possano vivere tranquilli,
liquidare a loro piacere i beni mobili e immobili, venderli o regalarli.
Concediamo loro inoltre di esportare dal nostro regno, per via di mare
o di terra, tutti i beni in loro possesso, ad eccezione di oro, argento
monetato e altri oggetti generalmente colpiti dal divieto d'esportazione. Ferdinando e Isabella, Editto generale per l'espulsione degli Ebrei
dall'Aragona e dalla Castiglia (1492). [1] Il riferimento è soprattutto
alle famiglie dei marrani, gli Ebrei convertiti al cristianesimo.
[2] Il mazzoth.
…[incomprensibile la correzione] (C) Poco dopo la liberazione
del re di Navarra [1],
ci fu una incredibile e grande sciagura in diverse parti del regno di
Francia, come il Beauvaisis, la Brie, le rive della Marna, il Laonnais,
il Valois, la terra di Coucy e intorno a Soissons. Infatti alcuni contadini,
senza capi, si riunirono nella zona di Beauvais. All'inizio non erano
neanche in cento uomini, e dicevano che tutti i nobili del regno di
Francia, cavalieri e scudieri, tradivano il regno, e che sarebbe stato
un gran bene il distruggerli tutti. Ognuno di essi disse: “Questa è
la verità: vergogna a chi non è per la distruzione di
tutti i nobili”. Allora si misero insieme e se ne andarono, senza altro
consiglio e senza armi, tranne che mazze ferrate e coltelli, nella casa
di un cavaliere che abitava là vicino; entrarono a forza nella
casa e uccisero il cavaliere, la moglie e i figli, grandi e piccoli,
e bruciarono la casa. Poi andarono in un altro castello e fecero assai
peggio, poiché presero il cavaliere e lo legarono ben stretto
ad una trave, e in parecchi violentarono la moglie e la figlia sotto
i suoi occhi; poi uccisero la moglie, che era incinta, sua figlia e
tutti i bambini, e poi il cavaliere tra grandi sofferenze, e bruciarono
e demolirono il castello. Così fecero in parecchi castelli e
case patrizie, e crebbero tanto di numero che furono ben presto in seimila.
Dappertutto dove andavano il loro numero cresceva, perché tutti
quelli che erano come loro li seguivano: sicché ogni cavaliere,
dama, scudiero, le loro mogli e i loro bambini li fuggivano. Le dame
e le damigelle conducevano i loro figli dieci o venti leghe lontano,
dove potevano stare al sicuro, e lasciavano le case incustodite con
i loro averi dentro. E quei miserabili, riuniti in bande, senza capi
e senza insegne, rubavano e bruciavano tutto, uccidevano tutti i nobili
che trovavano, e violentavano tutte le dame e le pulzelle, senza pietà
e senza scampo, come cani arrabbiati. Certo, mai ci fu tra i cristiani
e tra i Saraceni una furia pari a quella di questi disgraziati, perché
chi più faceva del male o delle azioni vili, azioni che creatura
umana non dovrebbe osar di pensare, immaginare o guardare, quello era
il più apprezzato tra essi ed il più prestigioso. […]
E avevano fatto tra di loro un re, che chiamavano Jacques Bonhomme [2]
che era, come si diceva per l'appunto, di Clermont nel Beauvasis , e
ad eleggerlo furono i peggiori dei peggiori. Quei miserabili bruciarono
e demolirono intorno a Beauvais, Corbie, Amiens e Montdidier, più
di sessanta case patrizie e castelli. Se Dio non vi avesse posto rimedio
per la sua grazia, i misfatti si sarebbero tanto accresciuti che tutte
le comunità avrebbero visto lo sterminio dei nobili, e poi della
santa chiesa, e di tutti i ricchi, in ogni luogo; infatti gentaglia
simile faceva lo stesso nella Brie e nel Partois. Tutte le dame e le
damigelle del paese, i cavalieri e gli scudieri che poterono sfuggire
alla strage dovettero rifugiarsi a Meaux nella Brie, l'un dopo l'altro,
in camicia, come potevano, anche la duchessa di Normandia e la duchessa
di Orléans e tante grandi dame, come le altre, se volevano evitare
di essere violentate e quindi uccise. […] Quando i gentiluomini
delle zone di Beauvais e di Corbie, del Vermandois, del Valois, e delle
terre dove questi malfattori confluivano e facevano le loro scelleratezze,
videro le loro case così distrutte ed i loro amici uccisi, chiesero
soccorso ai loro amici di Fiandra, Hainaut, Brabante, Hesbaye; e ne
vennero subito da molte parti. Allora gli stranieri ed i gentiluomini
del luogo che li conducevano si misero insieme. Cominciarono anche loro
ad uccidere e fare a pezzi quei miserabili, senza pietà e senza
scampo, e li impiccavano in massa agli alberi, dove li trovavano. Anche
il re di Navarra ne sterminò in un giorno più di tremila,
molto vicino a Clermont nel Beauvaisis. Ma si erano già tanto
moltiplicati che se fossero stati tutti insieme sarebbero stati centomila.
Quando si domandava loro perché facessero questo, rispondevano
che non lo sapevano, ma che lo vedevano fare dagli altri, e così
lo facevano anch'essi; e pensavano di dovere in tal modo distruggere
tutti i gentiluomini ed i nobili del mondo, in modo che non ce ne potesse
essere più nessuno. Intanto il duca di Normandia [3]
partì da Parigi all'insaputa dei cittadini, con tutto il suo
seguito, diffidando del re di Navarra, del prevosto dei mercanti [4]
e dei cittadini, perché erano tutti d'accordo. Si recò
al ponte di Charenton, sulla Marna convocò molti nobili che gli
erano fedeli, e sconfessò il prevosto dei mercanti e quelli che
lo appoggiavano. Quando il prevosto dei mercanti udì che il duca
di Normandia era al ponte di Charenton e che vi ammassava soldati, cavalieri
e scudieri, e che voleva attaccare i cittadini di Parigi, pensò
subito che ne potesse venire un gran male e che di notte facessero delle
incursioni a Parigi, che a quel tempo non era difesa da mura. Allora
mise all'opera degli operai, tutti quelli che poté trovare e
ricuperare da tutte le parti; e fece fare grandi fossati intorno a Parigi,
e poi cinte, muri e porte, e vi stava dietro notte e giorno. In capo
a un anno gli operai erano ben tremila: dunque fu un grande avvenimento
quello di chiudere e circondare di mura e di ogni opera di difesa in
un anno una città come Parigi e di così grande perimetro.
E vi dico che fu il più gran bene che mai il prevosto abbia fatto
in vita sua, perché altrimenti la città sarebbe stata
più tardi saccheggiata, ed i suoi abitanti scacciati molte volte,
ed in varie circostanze, come saprete poi. Jean Frisisart, Cronache, I, 413-414. [1] Carlo II detto il Malvagio
(1349-1387).
[2] Jacque Bohomme era il soprannome
attribuito tradizionalmente ai contadini.
[3] Carlo, duca di Normandia,
poi re come Carlo V (1364-1380).
[4] Etienne Marcel. (D) Giovanni, per grazia
di Dio re di Francia, facciamo sapere a tutti i presenti e a venire
che abbiamo visto il trattato d'accordo, fatto or è poco da certi
negoziatori e procuratori, tra noi e il nostro carissimo fratello il
re d'Inghilterra, contenente la forma che segue: Carlo, figlio primogenito
del re di Francia, reggente il regno, duca di Normandia e delfino di
Vienne, a tutti coloro che queste presenti lettere vedranno, salute.
Noi vi facciamo sapere che, Da tutti i dibattiti e le discordie, mossi
e condotti tra Monsignore il re di Francia e noi per lui e per noi,
da un lato e il re d'Inghilterra d'altro lato, per il bene del paese,
è accordato l'VIII giorno di Maggio, l'anno di grazia milletrecentosessanta,
a Brétigny presso Chartres, nella maniera che segue: 1. Per prima
cosa, che il re d'Inghilterra, con quel ch'egli tiene in Guienna e in
Guascogna, avrà, per lui e per i suoi eredi perpetuamente e per
sempre, tutte le cose che seguono, nel modo in cui il re di Francia
e suo figlio, o alcuno dei suoi antenati, re di Francia, le tennero;
vale a dire quel che era tenuto in sovranità, in sovranità,
e quel che in dominio, in dominio e per il tempo e maniera sopra chiariti,
La città, il castello e la contea di Poitiers, e tutta la terra
e il paese del Poitou, insieme col feudo di Thouart e la terra di Belleville;
La città e il castello di Xaictes e tutta la terra e il paese
di Saintonge, di qua e di là dalla Charente; La città
e il castello d'Agen e la terra e il paese d'Agénois: [prosegue
l'elenco di città e castelli] E, se vi sono alcuni signori, come
il conte di Fois, il conte d'Armagnac, il conte di Lisle, il conte di
Pierregort, il visconte di Limoges, o altri, che tengono alcune terre
o luoghi, entro i termini dei detti luoghi, essi faranno omaggio al
re d'Inghilterra e ogni altro servizio e dovere dovuti a cagione delle
loro terre e luoghi, nella maniera che hanno fatto in passato [1].
2. Parimenti, avrà il re d'Inghilterra tutto ciò che il
re d'Inghilterra, o alcuni dei re d'Inghilterra anticamente, tennero
nelle città di Monstereul sul mare e nei pressi. 3. Parimenti,
avrà il re d'Inghilterra tutta la contea di Pontieu nella sua
interezza; salvo ed eccetto che, se alcune cose sono state alienate
dai re d'Inghilterra, che sono stati in tempo passato, della detta contea
e appartenenze e ad altre persone che non ai re di Francia, il re di
Francia non sarà tenuto a restituirle al re d'Inghilterra. […]
11. Parimenti, accordato è che il re di Francia e suo figlio
primogenito, il reggente, per essi e per tutti i loro eredi e per tutti
i re di Francia e loro successori, per sempre, quanto più presto
si potrà fare, senza mal congegno, e, al più tardi, entro
il san Michele prossimo a venire, in un anno, restituiranno e daranno
al detto re d'Inghilterra e a tutti i suoi eredi e successori e trasferiranno
ad essi tutti gli onori, obbedienze, omaggi, condizioni di ligi, vassalli,
feudi, servizi, riconoscimenti, giuramenti, diritti, mero e misto imperio
e ogni sorta di giurisdizioni alte e basse, salvaguardia, signorie e
sovranità che appartenevano e appartengono o potrebbero in qualche
maniera appartenere al re e alla corona di Francia, o ad alcun'altra
persona, a cagione del re e della corona di Francia, in qualsivoglia
tempo, alle città, contee, castelli, terre, paesi, isole e luoghi
innanzi nominati, o in alcuni d'essi, e nelle loro appartenenze e attenenze
qualsivoglia, o alle persone, vassalli o sudditi qualsivoglia d'essi
[…].
13. Parimenti, è stabilito che affinché questo presente
trattato possa essere più rapidamente compiuto, il re d'Inghilterra
farà condurre il re di Francia a Calais, entro tre settimane
dopo la natività di san Giovanni Battista prossimo veniente,
cessando ogni giusto impedimento, a carico del re d'Inghilterra, fuorché
le spese dell'ostello del detto re di Francia. 14. Parimenti, accordato
è che il re di Francia pagherà al re d'Inghilterra tre
milioni di scudi d'oro, di cui due valgono un nobile della moneta d'Inghilterra;
E ne saranno pagati al detto re d'Inghilterra, o ai suoi delegati, seicentomila
scudi a Calais, entro quattro mesi, da quando il re di Francia sarà
venuto a Calais; E, da allora, saranno pagati quattrocentomila scudi,
tali come sopra, nella città di Londra, in Inghilterra, ogni
anno successivo, fintanto che i detti tre milioni saranno pagati.
32. Parimenti, accordato è che il re di Francia e suo figlio
primogenito, il reggente, per essi e per i loro eredi, re di Francia,
quanto più presto potrà essere fatto, si scioglieranno
e distaccheranno del tutto dalle alleanze che hanno con gli Scozzesi;
e prometteranno, quanto più presto si potrà fare, che
mai essi, né i loro eredi, né i re di Francia che in tempo
futuro saranno, daranno, o faranno al re, o al regno di Scozia, o ai
sudditi di questo, presenti e a venire, conforto, aiuto, né favore
contro il detto re d'Inghilterra, né contro i suoi eredi e successori,
né contro il suo regno, né contro i suoi sudditi, in qualsivoglia
maniera; e che non faranno altre alleanze con i detti Scozzesi, in nessun
tempo a venire, contro i detti re e regno d'Inghilterra. E, similmente,
quanto più presto si potrà fare, il re d'Inghilterra e
il suo figlio primogenito si scioglieranno e dipartiranno del tutto
dalle alleanze che anno con i Fiamminghi, e prometteranno che sia essi,
che i loro eredi, che i re d'Inghilterra che in tempo futuro saranno,
non daranno, né faranno ai Fiamminghi, presenti o a venire, aiuto,
conforto, né favore contro il re di Francia, i suoi eredi e successori,
né contro il suo regno, né contro i suoi sudditi, in qualsivoglia
maniera; e che non faranno altre alleanze con i detti Fiamminghi, in
nessun tempo a venire, contro i re e regno di Francia. Trattato di Bretigny, cc. 1-3, 11, 13-14, 32 (1360). [1] Fu soprattutto a proposito di questa
clausola che nel 1368 sorse il dissidio che portò alla rottura del trattato.
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