Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
3. La Francia fino a Troyes (A) Giovanni I, Ordinanz…
[incomprensibile la correzione], 1 (1351). (B) Cronache dei regni
di Giovanni Il e di Carlo V, pp. 137-139. (C) Christine De Pisan,
Libro dei fatti e buoni costumi del saggio re Carlo V, I, 16. (D) Cronache dei regni
di Giovanni II e di Carlo V, pp. 147-149. (E) Jean Froissart, Cronache,
IV, 29. (F) Nicola di Baye, Diario,
I, p. 206. (G)
Trattato di Troyes, cc. 1-3, 6 (1420).
Da tempo protagonista, come principe ereditario, della vita nazionale
durante la prigionia paterna, dal 1364 Carlo V poté proseguire
a pieno titolo come sovrano una vera politica di riorganizzazione del
paese. Già all'indomani della grande peste nera, suo padre Giovanni
il Buono si era trovato a promulgare un'ordinanza che tentava di ovviare
ad alcuni problemi economici, dalla carenza di mano d'opera alla confusione
nel mercato annonario (A). Carlo dovette
riportare l'ordine dopo la crisi politica determinata dalla sconfitta
di Poitiers e dagli avvenimenti del 1358, liberando il paese dalle bande
di mercenari, che, inattivi con il cessare delle operazioni belliche,
saccheggiavano il paese; creando una struttura amministrativa con compiti
di prelievo fiscale per risollevare le finanze, per poter fortificare
le città e ricostituire su basi nuove l'esercito (B).
Carlo V, – di cui racconta una giornata tipo tratta da Christine de Pisan,
Libro dei fatti e dei buoni costumi del saggio re Carlo VI –, riuscì
a raggiungere molti di questi obiettivi. E nel 1370, riprese le operazioni
militari, poste sotto la guida del connestabile Bertrand du Guesclin (D)
e condotte ricorrendo a tecniche di logoramento del nemico e alla tattica
della terra bruciata, i Francesi furono in grado di recuperare quasi tutti
i territori sottoposti agli Inglesi. Alla morte di Carlo V (1380), la
minore età del figlio Carlo VI, e più tardi, nel 1392, il
manifestarsi del suo squilibrio mentale (E),
portarono però il paese ad una sorta di guerra civile, in cui due
fazioni si contendevano il controllo del regno: da un lato quella guidata
dal cugino del re Giovanni di Borgogna, dall'altro quella che faceva capo
al fratello del re Luigi d'Orléans e, dopo l'assassinio di questi
(F), a Bernard d'Armagnac. In collegamento
con il duca di Borgogna, Enrico V d'Inghilterra (13871422) riprese la
guerra e sconfisse i francesi a Azincourt (1415), recuperò la Normandia
e impose a Carlo VI il trattato di Troyes (1420). In esso, il re di Francia
riconosceva a Enrico V, al quale dava in sposa la figlia Caterina, la
reggenza del regno fino alla propria morte e quindi il diritto alla corona
(G). (A) Giovanni per grazia di Dio
re di Francia. 1. Dal momento che molte persone, sia uomini che donne
restano oziosi nella città di Parigi e nelle altre città
della sua prevosteria e vicecomitato, e non vogliono sottoporre i loro
corpi ad alcuno sforzo, anzi certuni mendicano e gli altri frequentano
taverne e bordelli; viene ordinato che qualsiasi sorta di questa gente
oziosa, o giocatori di dadi, o incantatori nelle strade, vagabondi e
mendicanti di qualsiasi stato o condizione, che abbiano o meno un mestiere,
siano uomini o donne, che siano sani di corpo e nelle membra, si dedichino
a lavori con cui possano guadagnarsi la vita, oppure abbandonino la
città di Parigi e le altre città della suddetta prevosteria
e vicecomitato entro tre giorni da questo bando. E se dopo i predetti
tre giorni verranno trovati oziosi, o intenti a giocare a dadi, o nell'atto
di mendicare, saranno presi e condotti in prigione, e tenuti così
per quattro giorni; e dopo essere stati liberati dalla detta prigione,
se saranno trovati oziosi o senza mezzi o se non avranno nessuno, senza
frode, che li impieghi o a cui rendere servizio, saranno messi alla
gogna; la terza volta saranno marcati sulla fronte con un ferro caldo,
e banditi dai detti luoghi. Giovanni I, Ordinanz… [incomprensibile la correzione], 1 (1351). (B) In quei tempi
il re convocò i rappresentanti del clero, dei nobili e delle
città del suo regno perché si recassero a Parigi il 7
dicembre 1369 e li fece partecipi dei problemi della guerra che egli
non poteva condurre senza avere il finanziamento del suo popolo e chiese
loro aiuto per portare avanti la suddetta guerra. E dopo molti incontri
fu stabilito che il re avrebbe avuto per il sostentamento suo, della
regina, e di messere il delfino suo figlio il ricavato dell'imposta
di dodici denari per libbra e la gabella del sale, e che si sarebbe
applicato per la guerra un focatico [1]
di quattro franchi per ogni fuoco nelle città fortificate e nel
paese un franco e mezzo in totale, il forte venendo in aiuto del debole.
Inoltre, si sarebbe pagato su ogni botte di vino venduto all'ingrosso
un denaro ogni tredici, come era stato fatto dalla delibera del re Giovanni,
e uno su quattro per il vino venduto in brocca. Cronache dei regni di Giovanni II e Carlo V , pp. 137-139. [1] Imposta diretta riscossa per fuoco o famiglia. (C) L'ora in cui si alzava
era al mattino regolarmente le sei o le sette e, in vero, se si volesse
parlare qui alla maniera dei poeti, si potrebbe dire che, come la dea
Aurora al suo levarsi con la sua allegria fa gioire i cuori di chi la
vede, lo stesso si potrebbe dire senza mentire, anche a proposito del
nostro re, che rallegra al suo alzarsi i ciambellani e gli altri servitori
addetti alla sua persona a questa ora. Il re, di regola, malgrado qualsiasi
contrarietà, si mostrava allora con viso lieto, infatti, dopo
essersi fatto il segno della croce e aver reso a Dio molto devotamente
le sue prime parole con alcune preghiere, scherzava con i suoi suddetti
servitori con buona familiarità, con parole giocose e oneste
al punto che la sua dolcezza e la sua clemenza davano coraggio e sicurezza
anche ai più umili di scherzare arditamente con lui per quanto
fossero uomini semplici e il re si compiaceva dei loro detti e battute.
Dopo [che il re] era stato pettinato, vestito e abbigliato secondo le
circostanze, il cappellano, persona di fama e prete onesto, che, ogni
giorno, lo aiutava a dire le sue ore canoniche, secondo l'ordine previsto,
gli portava il suo breviario. Circa alle 8 di mattina andava alla sua
messa, che era celebrata gloriosamente ogni giorno con canti melodiosi
e solenni; ritiratosi nel suo oratorio, in quel luogo era cantata dinanzi
a lui la bassa messa [1].
All'uscita dalla cappella, gente di ogni sorta, ricchi o poveri, signore
o signorine, vedove o altre, che avessero dei problemi potevano presentargli
le loro richieste e lui, con grande disponibilità, restava là
a ascoltare le loro suppliche, e consentiva caritatevolmente a quelle
ragionevoli e degne di pietà; i casi più incerti li affidava
a un addetto alle suppliche. Dopo di che, nei giorni a ciò deputati,
si recava a consiglio, e poi, circa alle dieci, si sedeva a tavola con
qualche barone del suo sangue o prelato prescelti, sempre che qualche
caso particolare non l'avesse trattenuto più a lungo.
Il suo pasto non era né lungo né abbondante e non si componeva
di molte diverse vivande, perché sosteneva che le proprietà
dei diversi tipi di vivande disturbano lo stomaco e velano la memoria;
beveva un vino chiaro e sano non troppo forte, mescolandolo molto [con
acqua] e in poca quantità, e di un tipo soltanto; e, secondo
l'esempio di David, ascoltava volentieri, alla fine dei suoi pasti,
uno strumento basso, per rinfrancare lo spirito, suonato con la dolcezza
che richiede l'arte della musica.
Alzatosi da tavola, ogni sorta di stranieri o altri, venuti a esporgli
le loro richieste, poteva conferire con lui. Là si trovavano
ogni tipo di ambasciatori di paesi stranieri e signori diversi, principi
stranieri, cavalieri di diverse contrade, e spesso vi era un tale affollamento
di baroni e cavalieri, sia di stranieri, sia del suo regno, che a mala
pena ci si poteva muovere nelle sue camere e sale grandi e magnifiche.
Il prudente re accoglieva tutti sempre con la stessa saggezza e il volto
benigno, e rispondeva in maniera così affabile, e rendeva a ciascuno
l'onore che gli spettava, in modo così appropriato che tutti
si ritenevano molto soddisfatti e se ne andavano gioiosi. Là
gli venivano portate notizie di ogni sorta di paese, o delle vicende
e dei fatti delle sue guerre o di altre battaglie, e così di
diverse altre cose; là dava disposizioni su cosa bisognasse fare
secondo il caso che gli si proponeva, o affidava al consiglio il compito
di deliberare in proposito, si opponeva con intelligenza al partito
che gli veniva proposto, dispensava grazia, firmava di propria mano
lettere, concedeva doni ragionevoli, affidava uffici vacanti o secondava
le richieste lecite, e così trascorreva circa due ore in tali
o simili occupazioni, dopo di che si ritirava e andava a riposarsi,
per circa un'ora.
Dopo aver dormito, trascorreva un momento con i più intimi, passando
il tempo in cose gradevoli, a guardare i gioielli o altre ricchezze;
e, avendo un organismo delicato, quella distrazione aveva lo scopo di
evitare che un impegno troppo grande nuocesse alla sua salute, come
[succede] a colui che abbia trascorso la maggior parte del tempo occupato
in impegni faticosi. Poi andava ai Vespri, dopo di che, in estate, talvolta
si recava nei suoi giardini, nei quali, nel caso in cui soggiornasse
nella sua Residenza di Saint-Paul, la regina, qualche volta, gli andava
incontro e gli venivano portati i bambini. Là parlava con le
dame e si informava sulla salute dei suoi figli; qualche volta gli venivano
offerti doni dall'estero, pezzi di artiglieria o altri armamenti e diverse
altre cose, oppure alcuni mercanti gli venivano a presentare velluti,
tessuti d'oro o altre cose e ogni tipo di belle cose straniere o gioielli,
che egli mostrava ai conoscitori, tra cui erano alcuni suoi parenti.
In inverno, specialmente, rimaneva spesso ad ascoltare molte belle storie
della Sacra Scrittura o dei Fatti dei Romani o Moralità dei filosofi
e a informarsi su altri argomenti fino a ora di cena, a cui sedeva assai
di buon ora, mangiando in modo leggero; dopo di che, per un poco si
divertiva insieme con i suoi baroni e cavalieri, quindi si ritirava
e andava a riposare. E così, seguendo lo stesso ordine, il saggio
re, dalla vita ben regolata, trascorreva il corso della propria esistenza. Christine De Pisan, Libro dei fatti e buoni costumi del saggio re
Carlo V, I, 16. [1] Messa privata, letta secondo un rito più
semplice, a bassa voce, omettendo le parti di canto. (D) Così, il mercoledì,
secondo giorno del successivo mese d'ottobre [1],
il re di Francia diede la carica di connestabile di Francia, vacante
dopo che messere Moreau de Fiennes [2]
aveva rassegnato l'incarico, a un cavaliere bretone chiamato messere
Bertrand du Guesclin, per il valore del detto cavaliere, che pure era
di lignaggio inferiore ai connestabili che lo avevano preceduto, ma
che per il suo merito aveva acquisito molte vaste terre e signorie,
e cioè in Francia la contea di Longueville, che gli aveva donato
il re di Francia e in Castiglia, il re Enrico di Castiglia gli aveva
donato oltre diecimila libbre di terra [3].
Quasi subito dopo [la nomina] si recò in Angiò, dov'erano
i suddetti Canole e Grançon [4]
che avevano fortificato Vas, Rully e altri luoghi, e li combatté
e sconfisse una banda di circa seicento, e vi catturò il detto
messere Thommas de Grançon. Quindi il detto messere Bertrando si recò
a Vas e la prese con un assalto e vi furono uccisi e catturati circa
trecento inglesi; quindi si recò a Rully; ma quelli che la tenevano
se ne erano andati non appena avevano saputo della presa di Vas, tuttavia
il detto connestabile li inseguì fino a Bressuire, e lì,
nei sobborghi, li combatté e sconfisse, e vi furono ben quattrocento
tra morti e prigionieri e prese la città e poi la lasciò. Cronache dei regni di Giovanni II e di Carlo V, pp. 147-149. [1] Del 1370.
[2] Robert di Fiennes, detto Moreau,
era stato connestabile dal 1356.
[3] Terra che frutta una lira
di rendita.
[4] Robert Knolles e Thomas de Granson,
capitani di parte inglese. (E) Il re di Francia cavalcava
nel calore del sole lungo una pianura sabbiosa e faceva così
straordinariamente caldo che più non poteva, per quella stagione
non aveva mai fatto un tale caldo; ed era vestito d'una nera giacca
di velluto che molto lo riscaldava ed aveva sul capo un cappuccio scarlatto
ed un cappelletto di bianche e grosse perle che la regina sua moglie
gli aveva dato nel prendere congedo. […] Avvenne, che, mentre
cavalcavano nell'ordine descritto, poiché spesso ragazzi e paggi
per la loro negligenza o per i movimenti dei cavalli sbandavano, il
paggio che portava la lancia del re sbandò o si addormentò
e inavvertitamente lasciò cadere la lancia sull'elmo d'acciaio
che l'altro paggio aveva sul capo. Urtandosi l'uno contro l'altro acciaio
diedero un forte suono. Il re, che era così vicino che i paggi
cavalcavano ai fianchi del suo cavallo, trasalì d'improvviso;
e fremette il suo spirito, perché aveva ancora in mente l'impressione
delle parole che l'uomo, folle o saggio che fosse, gli aveva detto nella
foresta dei Mans [1];
e venne al re in visione che una moltitudine di nemici gli corresse
contro per ucciderlo. Sotto questa impressione si sbandò per
un capogiro, e si lanciò in avanti speronando il cavallo, ed
estratta la spada si rivoltò contro i suoi paggi non riconoscendo
più alcuno; e credette d'essere in una battaglia circondato dai
suoi nemici; ed alzando la spada e levandola alta per ferire e dar colpi,
non curandosi su chi, gridò e disse: “Avanti, avanti su questi
traditori!”. I paggi videro il re infiammato [d'ira] e ebbero a ragione
paura e credettero di averlo indignato per i loro sbandamenti. Così
spinsero i cavalli qua e là. Il duca d'Orléans non era
in quel momento troppo lontano del re. Il re mosse contro di lui con
la spada sguainata; e già il re, per la frenesia e la debolezza
di capo, non lo riconosceva più, né sapeva chi fosse suo
fratello o suo zio. Quando il duca d'Orléans lo vide venire verso
di lui con la spada sguainata, si spaventò e non volle attendere,
e ben a ragione; e spronò il cavallo affrettandosi. Jean Froissart, Cronache, IV, 29. [1] Nelle pagine precedenti Froissart
narra che poco prima, avvicinatosi al re, un uomo gli avrebbe detto:
“Non cavalcate oltre, tornate indietro perché siete stato tradito”. (F) Mercoledì ventitreesimo
giorno di novembre [1].
In questo giorno, di sera, alle otto circa, messere Luigi, figlio del
re Carlo V e fratello germano del re Carlo attualmente regnante, duca
d'Orléans, conte di Valois, di Blois, di Beaumonte, di Soissons,
d'Angoulême, di Dreu, di Porcien, di Périgord, di Lussemburgo
e di Vertus, signore di Coucy, Montargis, Château-Thierry, di Epernay
e di Sedan in Champagne e di molte altre terre, sposato con madame (Valentina)
figlia del defunto messere Galeazzo, duca di Milano, da cui ebbe tre
figli e una figlia, di ritorno dall'ostello della regina, che è
vicino alla porta Barbette, verso la chiesa dei Bianchi mantelli, con
un seguito molto piccolo secondo il suo stato e cioè tre uomini
a cavallo e due a piedi con una o due torce, dinanzi all'ostello dei
maresciallo de Reux, all'età di trentasei anni o circa, fu ucciso
e straziato da otto o dieci uomini armati che stavano nascosti in una
casa detta L'Ymage Nostre Dame, che era di fronte l'ostello del detto
maresciallo, e dove i detti uomini avevano abitato e conversato di nascosto
per otto o quindici giorni, e, dopo che fu abbattuto da cavallo, lo
colpirono alla testa con un'alabarda, e gli fecero spargere le cervella
dalla testa sul pavimento e gli tagliarono di netto una mano, e con
lui uccisero un suo valletto che si era gettato su di lui per difenderlo,
e similmente colpirono uno che teneva la torcia. Nicola di Baye, Diario, I, p. 206. [1] Dell'anno 1407. (G) Carlo per grazia di Dio
re di Francia, a perpetua memoria. Dato che molti importanti e diversi
trattati che nei tempi passati sono stati fatti per recuperare la pace
e per ovviare ai dissidi tra i reami di Francia e Inghilterra tra i
nostri nobili progenitori di buona memoria e quelli del molto illustre
principe e nostro carissimo figlio Enrico, re d'Inghilterra, erede di
Francia, e dato che anche [quelli fatti] tra noi e il nostro suddetto
figlio non hanno prodotto il desiderato frutto della pace, rendiamo
noto ora e per il futuro che tuttavia noi, considerando e valutando
nel nostro cuore quanto grandi e irreparabili mali, quanto enormi e
dolorose ferite generali e incurabili ha provocato la divisione dei
due suddetti reami fin ora e ha determinato e apportato non solo ai
detti reami ma alla chiesa militante, noi abbiamo da poco rifatto un
trattato di pace con il nostro suddetto figlio Enrico e infine, dopo
molti aggiustamenti e discussioni tra gli esponenti del nostro consiglio,
concedendo e dando corso ai nostri desideri Colui che promette pace
agli uomini di buona volontà, il trattato tra noi e il nostro
suddetto figlio operando per la suddetta ambita pace è concluso
e accordato nella maniera che segue:
1. Per prima cosa, in forza dell'alleanza del matrimonio concluso, per
il bene della detta pace, tra il nostro suddetto figlio, il re Enrico
e la nostra carissima e molto amata figlia, Caterina, è divenuto
nostro figlio e della nostra carissima e amatissima compagna, la regina,
egli nostro figlio ci avrà e onorerà come padre e madre
così come lui deve onorare tali grandi principe e principessa
più di ogni altri al mondo.
2. Parimenti, che il nostro suddetto figlio, il re Enrico, non ci turberà,
inquieterà o impedirà di tenere e possedere, finché
vivremo, ciò che oggi teniamo e possediamo, la corona e la dignità
reale di Francia […].
3. Parimenti, si accorda che la nostra suddetta figlia Caterina avrà
e prenderà nel reame d'Inghilterra una dote, così come
hanno le regine d'Inghilterra, o come erano solite avere e percepire
nel tempo passato; e cioè, per ogni anno, la somma di quarantamila
scudi, due dei quali equivalgono sempre a una moneta nobile d'Inghilterra.
6. Parimenti viene accordalo che dopo la nostra morte e da allora in
avanti, la corona e il reame di Francia con tutti i loro diritti e pertinenze,
resteranno e saranno in perpetuo di nostro figlio il re Enrico e dei
suoi eredi. Trattato di Troyes, cc. 1-3, 6 (1420).
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