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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XVIII
L'Europa alla fine del Medio Evo

6. Gli echi del conflitto: Inghilterra e Borgogna
(A) Rotoli del Parlamento, cc. 3, 8, 10, 15 (1367).
(B) Philippe de Commynes, Memorie, I, 7.
(C) Enrico VII, Atto (1487).
(D) Philippe de Commynes, Memorie, V, 8.
(E) Olivier de la Marche, Memorie, II, 9.

Con la metà del XIV secolo si era andato configurando in Inghilterra un più stretto collegamento tra i comuni, i lords e la monarchia e, in connessione con la politica fiscale dettata dalle esigenze della guerra, il parlamento era andato ampliando il rilievo delle sue funzioni politiche (A). Ma a più riprese le difficili vicende dinastiche della successione al trono si intrecciarono con il montare delle aspirazioni di una feudalità irrequieta e spesso in lotta al suo interno. Ciò era avvenuto già per la successione a Edoardo III, deposto nel 1399, cui subentrò il ramo cadetto dei Lancaster. Poi, furono i segni di squilibrio mentale dell'ultimo esponente del nuovo casato, Enrico VI, nel 1453, a provocare pochi anni dopo l'intervento dei discendenti di un altro ramo cadetto, quello degli York. La lunga guerra, detta “delle Due Rose”, che dal 1455 vide opposte le fazioni nobiliari che facevano capo ai Lancaster e agli York, ebbe termine con l'affermazione di Enrico VII Tudor (1485-1509) (B). Egli riuscì ad assicurare alla nazione un periodo di pace, promosse lo sviluppo economico del paese e mise in atto una politica di rafforzamento dei poteri della monarchia nei confronti della grande nobiltà fiaccata dal conflitto intestino, anche attraverso l'istituzione del tribunale della Camera stellata (C).
Sul continente, invece, restava aperto il problema costituito dai possessi del ducato di Borgogna. Attraverso una politica di matrimoni, annessioni e acquisti iniziata già da Filippo l'Ardito, investito del ducato da suo padre il re di Francia Giovanni il Buono (1363), i duchi di Borgogna si erano trovati a capo di un ricco dominio che era arrivato a includere anche la Fiandra e l'Olanda, la contea di Namur, il Lussemburgo e il Brabante. Seppure nominalmente feudatari, parte del re di Francia, parte dell'Imperatore, i duchi erano di fatto indipendenti, tanto che si è visto il ruolo da essi giocato nella lotta politica in Europa. La fioritura dell'entità borgognona, rilevante anche sul piano economico e culturale, si spense solo con il fallimento del sogno di Carlo il Temerario (14331477). Duca dal 1467, egli aveva voluto riunire le diverse, disperse entità territoriali di cui era costituito il ducato, annettendosi quella sorta di ponte tra di esse che era costituito dalla Lorena. Una coalizione tra Francia, imperatore, duca di Lorena, Svizzeri e città alsaziane lo sconfisse però nel 1477 a Nancy (D), dando avvio al processo di disgregazione del ducato, di cui si può considerare un episodio il matrimonio di Maria di Borgogna, figlia ed erede di Carlo il Temerario, con il figlio dell'imperatore FedericoIII, Massimiliano d'Asburgo (E).


(A) In quel giorno i prelati, duchi, conti, baroni e altri, lords e comuni, giudici, avvocati e altri si riunirono nella Camera dipinta. Qui, di fronte allo stesso re e a tutti gli altri, John Knyvet, cavaliere e cancelliere di Inghilterra, pronunciò a nome del re le ragioni della convocazione di questo presente parlamento.

3. A nome del re il cancelliere chiese loro di discutere con attenzione il soggetto. Cioè a dire, i prelati e i lords avrebbero discusso tra di loro, e i comuni tra di loro; ed essi avrebbero riportato le loro accorte considerazioni quanto prima sarebbe stato loro possibile, in modo che il parlamento potesse compiersi più rapidamente […].

8. Quando prelati, lords e comuni si furono riuniti in parlamento, i comuni furono invitati, a nome del re, a tornare alla loro abituale sede di riunione nel capitolo dell'abbazia di Westminster, ed essi andarono là per conferire e prendere una decisione tra loro […]. I prelati e i lords ebbero da parte loro un simile confronto […].

10. I comuni considerando i problemi del paese mostrarono al re e ai lords del parlamento che gli ufficiali che normalmente erano destinati alle funzioni del re erano di gran lunga insufficienti, senza un aiuto addizionale, a una tale grande responsabilità di governo. Ragion per cui proposero che il consiglio del re venisse rafforzato da lords del paese, prelati e altri che sarebbero continuamente rimasti in carica, fino al numero di dieci o dodici, secondo il volere del re, in modo tale che nessun affare importante fosse portato a termine o realizzato senza il loro parere e assenso. E gli affari di minore importanza [sarebbero stati attuati] con il parere e l'assenso di almeno quattro o sei consiglieri, secondo i casi. Quattro o sei di questi consiglieri sarebbero stati presenti continuamente al consiglio del re. E il re considerando che ciò che era stato richiesto era onorevole e vantaggioso per lui e per tutto il reame, lo concesse. […]

15. In seguito i detti comuni convennero nel parlamento e qui protestarono ufficialmente di essere disposti e risoluti a sostenere il loro fedele signore con le loro persone e i loro beni e quant'altro essi avessero, come mai nessuno nel passato; e sempre lo avrebbero fatto tanto a lungo quanto sarebbe stato loro possibile. Ma essi affermarono, e sembrò loro di essere nel vero, che il re avrebbe goduto di un ricco tesoro se avesse avuto sempre consiglieri leali e buoni ufficiali attorno a sé. In tal modo egli non avrebbe avuto alcun bisogno di imporre fardelli ai suoi comuni in forma di sussidio o di taglia o in qualsiasi altro modo, considerando la gran somma di denaro pervenuto nel reame con il riscatto del re di Francia e Scozia, e dagli altri prigionieri e territori che ammonta a una ben grande somma […].

Rotoli del Parlamento, cc. 3, 8, 10, 15 (1367).


(B) Quando, al tempo del re Carlo VI, cominciarono le guerre che durarono poi fino alla pace di Arras, gl'Inglesi si mischiarono nelle cose dei reame così che il trattar la pace durò lo spazio di due mesi: da parte del re c'erano quattro o cinque principi, duchi e conti, cinque o sei prelati, dieci o dodici consiglieri del Parlamento, e dalla parte del duca Filippo personaggi importanti in proporzione e in numero più grande ancora; per il Papa due cardinali come pacieri e per gl'Inglesi grandissimi personaggi [1]. Il duca di Borgogna, prima di staccarsi dagli Inglesi, con i quali aveva grandi leghe e promesse, desiderava assai di sdebitarsi verso di loro: per questa ragione furono offerti al re d'Inghilterra, per lui e per i suoi, i ducati di Normandia e di Guienna, purché ne facesse omaggio al re, come avevano fatto i suoi predecessori e rendesse quanto occupava nel reame al di fuori dei detti ducati. Essi rifiutarono, non volendo far quell'omaggio; ma non andò loro bene, perché abbandonati dalla casa di Borgogna, e venute meno le intese che avevano nel reame, cominciarono a perdere e a diventare sempre più deboli. Era allora reggente in Francia per gl'Inglesi il duca di Bedford, fratello del re Enrico V, e marito della sorella del duca Filippo di Borgogna, il quale stava a Parigi e, per poco che avesse, aveva in questo ufficio ventimila scudi il mese di emolumenti. Prima perdettero Parigi e poi a poco a poco tutto il resto. Ma, tornati che furono in Inghilterra, nessuno volle mutar tenore di vita, benché non ci fossero nel reame tanti beni da contentare tutti. Per accaparrarseli cominciò quella guerra che durò poi molti anni [2]; il re Enrico VI, che era stato coronato re di Francia e d'Inghilterra a Parigi, fu gettato in prigione nel castello di Londra sotto l'accusa di tradimento e di lesa maestà, e dopo aver passato quasi tutta la vita là dentro alla fine fu ucciso. Il duca di York, padre dell'ultimo re Edoardo, si intitolò re: ma pochi giorni dopo fu sconfitto e ucciso [3]. E già morto ebbe la testa mozza, e con lui anche il conte di Warwick, l'ultimo che morì, quello che tanto credito aveva avuto in Inghilterra [4]. Costui, fuggendo con poca gente dalla battaglia, aveva condotto per mare a Calais il conte de la Marche, che fu poi il re Edoardo, perché il conte di Warwick sosteneva la casa di York e il duca di Somerset quella di Lancaster. E queste guerre durarono tanto che tutti quelli della casa di Warwick e di Somerset ebbero mozza la testa o morirono in battaglia. Il re Edoardo fece morire suo fratello il duca di Clarence [5]in una botte di malvasìa, perché a quanto si diceva voleva farsi re. Morto Edoardo, suo fratello secondogenito, il conte di Gloucester [6], fece morire i due figli del detto Edoardo, dichiarò bastarde le figlie e si fece proclamare re. Ma tosto passò in Inghilterra il conte di Richmond [7], ora re, che era stato lunghi anni prigioniero in Bretagna, il quale sconfisse e uccise in battaglia quel crudele re Riccardo [8] che poco prima aveva fatto morire i suoi nipoti. E così, di mia memoria, morirono in queste discordie d'Inghilterra ben ottanta persone della stirpe reale. Una parte io le conobbi di persona; delle altre mi parlarono gl'Inglesi che stavano presso il duca di Borgogna quando c'ero anch'io [9]. Così non soltanto in Francia o a Parigi ci si batte per i beni e gli onori di questo mondo. E i principi o coloro che tengono grandi signorie devono ben preoccuparsi di non lasciar sorgere fazioni nelle loro corti, perché questo fuoco corre presto il paese. Io penso che tutto questo accade soltanto per volere divino, poiché, quando i principi e i reami hanno goduto a lungo prosperità e ricchezza, e più non riconoscono donde viene tanta grazia, Dio suscita loro un nemico o una inimicizia a cui mai avrebbero pensato; e lo potete vedere a proposito di quei re di cui parla la Bibbia e di quello che accadde in questi ultimi anni in Inghilterra e nella casa di Borgogna e in altri luoghi, e vedrete ancora ogni giorno e sempre vedrete nei tempi a venire.

Philippe de Commynes, Memorie, I, 7.

[1] Si veda il racconto che ne fa Thomas Basin, cap. 18, 5 (E).
[2] La cosiddetta guerra delle Due rose si considera durata dal 1455 al 1485.
[3] Riccardo duca di York riuscì a farsi riconoscere come successore del re Enrico VI, che aveva fatto prigioniero, ma pochi giorni dopo fu sconfitto a Wakefield e ucciso sul campo (24 dicembre 1450).
[4] Riccardo di Neville, conte di Warwick.
[5] Giorgio di York, duca di Clarence fu messo a morte nel 1478.
[6] Riccardo duca di Gloucester.
[7] Enrico Tudor, conte dei Richmond, poi re Enrico VII dal 1485.
[8] Riccardo III.
[9] È nel 1472 che Philippe de Commynes era passato dal servizio di Carlo il Temerario a quello del re di Francia, Luigi XI.


(C) Il re nostro sovrano e signore, sapendo come l'ordine pubblico di questo regno è completamente travolto dalle milizie private illegali, dalla distribuzione di livree, insegne ed emblemi, da doni di benefici revocabili, da promesse e da giuramenti scritti e altro, dalla subornazione dei sudditi per mezzo di atti illegali di banditismo – che consistono nel corrompere in modo sleale e nell'accettare denaro come membro di una giuria – dalle grandi risse e dalle riunioni illegali e, considerando come per reprimere pubblicamente questi reati nulla o poco può essere dimostrato da un'inchiesta, da cui poco si ottiene per l'adempimento della legge in questo paese, attraverso inchieste sugli assassini, sul brigantaggio, sullo spergiuro e sulla persecuzione di tutti gli uomini viventi e la perdita di tutte le loro proprietà e dei loro beni, con grande dolore di Dio onnipotente, così dall'autorità del Parlamento è stato disposto che il cancelliere, il tesoriere d'Inghilterra in carica e il guardasigilli privato del re o almeno due di loro, assieme a un vescovo e a un lord dell'onorevolissimo consiglio del re e a due dei giudici principali del tribunale del re e di quello dei Comuni o ad altri due giudici in loro assenza, su decreto o informazione presa dal detto cancelliere a nome del re o di altra persona […] abbiano l'autorità di chiamare in giudizio davanti a loro i detti malfattori, per iscritto o di persona, e tutti quelli la cui fedeltà debba essere controllata da una inchiesta, secondo la loro volontà e in modo che essi possano individuare le colpe, per punirli proporzionalmente alle loro responsabilità, secondo le forme e le clausole degli statuti redatti in questa materia, nel modo in cui sarebbero stati puniti se fossero stati scoperti colpevoli sulla base della prassi legale corrente.

Enrico VII, Atto (1487).


(D) II duca di Borgogna [1], avvertito dell'avvicinarsi [dei Tedeschi del duca di Lorena], tenne un piccolo consiglio, cosa per lui inconsueta, perché di solito faceva di testa sua. L'opinione dei più fu che si ritirasse là vicino, al Pont à Mousson, e lasciasse i suoi nelle piazzeforti che teneva intorno a Nancy perché i Tedeschi, appena soccorsa Nancy di vettovaglie se ne sarebbero andati e il denaro sarebbe venuto a mancare al duca di Lorena, che per grandissimo tempo non sarebbe più riuscito a radunare tanta gente; inoltre il vettovagliamento non poteva essere così abbondante da non essere di nuovo in difetto come allora, prima che metà dell'inverno fosse passata. E, intanto, il duca avrebbe potuto radunare altra gente.
Sentii dire infatti da coloro che lo potevano sapere che non c'erano in tutto l'esercito quattromila uomini, dei quali milleduecento soltanto in condizioni di combattere. Quanto a denaro, il duca ne aveva abbastanza, perché nel castello di Lussemburgo, che era là vicino, aveva più di quattrocentomila scudi, e di gente avrebbe potuto raccoglierne di nuovo abbastanza. Ma Dio non gli fece la grazia di lasciargli accettare questo savio consiglio e di capire quanti nemici aveva contro di sé; ed egli scelse il partito peggiore e, parlando da uomo dissennato, decise di aspettare, nonostante gli venisse dimostrato che il numero dei Tedeschi che aveva il duca di Lorena era grande e che l'esercito del re era accampato non lontano da lui; e volle venire a battaglia con quel piccolo numero di uomini demoralizzati.
Quando il conte di Campobasso giunse presso il duca di Lorena, i Tedeschi gli mandarono a dire che si ritirasse, che essi non volevano con loro traditori. Egli allora si ritirò a Condé, un castello vicino in posizione di passaggio e lo riparò meglio che poté nella speranza che, quando il duca di Borgogna e i suoi fossero stati in fuga, qualcuno sarebbe andato a cadere nelle sue mani, come fecero poi molti. Le trattative con il duca di Lorena non erano le sole che il detto conte avesse concluse, giacché aveva parlato con altri prima ancora della sua partenza e stipulato con costoro di voltar bandiera quando fosse venuto il momento della battaglia, perché gli pareva di non poter più mettere le mani sul duca di Borgogna. Il detto conte non aveva voluto venir via prima per dare maggior spavento a tutto il campo e assicurava che, se il duca fosse fuggito, non sarebbe scampato vivo, poiché egli avrebbe lasciato quattordici o quindici persone, di cui era assolutamente sicuro, le une per cominciare a fuggire appena vedessero venir avanti i Tedeschi, le altre per tener d'occhio il detto duca e ucciderlo nella fuga, se fosse fuggito. E questo era vero, perché io stesso conobbi due o tre di quelli che erano rimasti indietro per uccidere il duca. Concluso che ebbe questi tradimenti, il conte di Campobasso si ritirò nel campo e poi si volse contro il suo signore, quando vide venir avanti i Tedeschi. Ma, quando poi vide che i Tedeschi non lo volevano in loro compagnia, andò come ho detto a Condé.
I Tedeschi si misero in marcia. Con loro c'era molta della nostra cavalleria a cui fu data licenza di andare. Molti altri si misero in agguato nei dintorni per vedere di acciuffare, se il duca fosse stato sconfitto, qualche prigioniero o un po' di bottino. Così potete vedere in che condizioni si era messo quel povero duca per non voler ascoltare consiglio. Venuti che furono alla zuffa quei due eserciti, quello del duca, già sconfitto due volte, con poca gente e male in arnese, fu immediatamente messo in rotta e quasi tutti furono o uccisi o messi in fuga. Se ne salvarono molti, ma il resto o morì o fu preso. Fra gli altri, morì sul campo il duca di Borgogna. Io non posso dire come, perché non c'ero, ma mi raccontarono la sua morte alcuni che lo videro gettare a terra e non poterono soccorrerlo perché erano prigionieri; secondo loro egli non fu ucciso, ma travolto da una gran folla di gente che gli capitò addosso e poi ucciso e spogliato con tanti altri, senza essere riconosciuto. Questa battaglia avvenne il cinque gennaio dell'anno millequattrocentosettantasette, vigilia della festa dei Re Magi.

Philippe de Commynes, Memorie, V, 8.

[1] Carlo il Temerario.


(E) In quei tempi [1] il duca di Baviera e il vescovo di Metz, che era di Bade, per incarico dell'imperatore vennero da madama Maria e operarono per il matrimonio di messere Massimiliano d'Austria, figlio dell'imperatore, e di madama Maria di Borgogna; e, in verità, essi avevano ben motivo di perseguire il detto matrimonio; dato che messere il duca Carlo, da vivo, desiderava che questo matrimonio si facesse. D'altra parte madame era richiesta dal re d'Inghilterra per messere d'Escalles, fratello della regina, e il re faceva grandi offerte; il re di Francia voleva avere la detta signora per messere il delfino, messere di Cleves la voleva avere per suo figlio e messere di Ravestain per il suo; e così la mia detta signora era sollecitata da tutte le parti; e a un consiglio venne detto alla mia detta signora che ella avrebbe fatto bene a dichiarare il suo volere e quale di questi mariti ella avesse voluto avere; ed ella rispose freddamente: “Io so che messere mio padre, che Dio lo perdoni, acconsentì e si accordò per il matrimonio del figlio dell'imperatore e mio, e non sono affatto intenzionata ad avere altri che il figlio dell'imperatore”. E per questa seconda ragione, i due suddetti ambasciatori avevano un buon appiglio per sollecitare la mia detta signora; e, in verità, madame la grande [2] sostenne la candidatura del figlio dell'imperatore e il matrimonio di loro due; il quale avvertito discese il Reno; e io andai con il signore di Fay e il signore d'Irlain, e furono i miei approcci fatti in modo tale che io fui ritenuto grande e primo maggiordomo del figlio dell'imperatore, il quale venne a Colonia; e da lì si spostò a Gand, dove fu onorevolmente ricevuto con grande trionfo; e la sera, dopo cena, messer Massimiliano, arciduca d'Austria, venne a vedere la signorina Maria di Borgogna, e all'incontro vi fu una così gran folla e calca che non si sapeva dove mettersi in salvo. Vennero nella sala addobbata, e là si parlò del matrimonio, e non fu un discorso molto lungo; dato che subito si fece venire un vescovo che li fidanzò entrambi, e presero appuntamento per l'indomani per fare le nozze, e l'indomani mattina madame la nostra principessa fu condotta da due cavalieri, suoi sudditi, cioè il Conte di Chimay e il signore della Grunthuse, e davanti a lei c'erano il giovane signore di Gheldria e la giovane sorella che portavano dei ceri e che allora erano due bei giovani ragazzi; e questo fu tutta la pompa che fu fatta per il matrimonio del figlio dell'imperatore e della più grande ereditiera del mondo; e così si svolsero quelle nozze.

Olivier de la Marche, Memorie, II, 9.

[1] Siamo nel 1477.
[2] La madre di Maria.

 

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