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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XVIII
L'Europa alla fine del Medio Evo

8. Il Papato Avignonese
(A) Vite dei Papi di Avignone, Vita ottava di Benedetto XII.
(B) Samaran-Mollat, La fiscalità pontificia, doc. 19, pp. 231-236.
(C) Samaran-Mollat, La fiscalità pontificia, doc. 16, pp. 227-228.
(D) Cola di RienzoO, Lettera al Senato e al Popolo romano (1343).
(E) Caterina da Siena, Lettere, pp. 159-162.

Pessima è stata, a lungo, la fama storiografica del papato avignonese, a causa soprattutto dell'esistenza di fonti polemiche, ideologicamente orientate in senso antipapale: di quest ultime è un esempio efficace la Vita di Benedetto XII (Giacomo Fournier, 1334-1342), di cui riportiamo qui alcuni passi (A). Severo riformatore degli ordini religiosi, fondatore dí nuove università (Grenoble) e riformatore di altre già esistenti (Montpellier), nemico della corruzione, in questo testo Benedetto è presentato invece come un degenerato ubriacone: è la voce dei suoi avversari, danneggiati dall'azione papale.
La straordinaria ricchezza e il complesso funzionamento della macchina burocratica del papato di Avignone sono testimoniati da migliaia di documenti sopravvissuti negli archivi pontifici; di essi forniamo due esempi, il primo, che riguarda i caratteri della fiscalità pontificia (al cui interno assume grande rilievo l'utilizzo delle rendite dei benefici ecclesiastici vacanti); il secondo, che mostra i meccanismi di incasso delle notevoli somme di denaro che dalle varie regioni d'Europa affluivano alla Camera apostolica: incassate da collectores, le somme venivano da questi versate a banchieri italiani, i quali, a loro volta, li giravano all'amministrazione pontificia (B, C).
Questo quadro di grande splendore e ricchezza era incrinato tuttavia da numerosi problemi, politici (il legame troppo stretto con la Francia) e religiosi (la questione della riforma della chiesa); a questi si aggiungevano le lamentele degli Italiani per la lontananza del papato dalla penisola. Si riportano qui una lettera di Cola di Rienzo [sul quale cfr. cap. 16, 9 (B)] al Senato e al popolo romano, nella quale, sotto la retorica classicheggiante e vagamente allucinatoria del tribuno, si intravede in modo efficace l'attesa della città (D); e il celebre appello di Caterina da Siena (E) al papa Gregorio XI (1370-1378), dove l'esortazione ardente al ritorno a Roma si unisce all'invito alla crociata e alla lotta per riformare la chiesa. Rispondendo anche alle sollecitazioni di Caterina, oltre che valutando la difficile situazione dei domini pontifici, Gregorio il 13 gennaio del 1377 rientrò definitivamente a Roma.


(A) Il signore Benedetto ebbe profondamente a cuore la riforma, per non dire il rovesciamento completo degli statuti e delle professioni degli ordini religiosi. Egli non vi vedeva che poco di buono, e talvolta affatto, e diceva che tutti si erano allontanati dalla via di Dio prendendo il sentiero [tracciato] dai consiglieri.
Il signore papa Benedetto era avaro, duro, tenace, poco prodigo di grazie, lento e negligente oltre ogni misura nella gestione delle cose dalla Chiesa; e forniva come scusa della sua durezza il fatto che poche persone erano degne ed idonee [ai loro incarichi]. Diceva anche che tutti i signori cardinali non erano in grado di ingannarlo. Egli aveva, per pubblica fama, compiacenza per le proposte disoneste, più che per quelle virtuose, e se ne faceva beffe grandemente. Egli era stimato come il più grande bevitore di vino di tutta la curia, al punto che è a causa sua che l'espressione “bevitore come il papa” è diventato un proverbio.

Vite dei Papi di Avignone, Vita ottava di Benedetto XII.


(B) Il nostro signore il papa Urbano V [1] si è riservato, vita natural durante, di usare quando e quante volte vorrà tutti i beni mobili e gli introiti di tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi, abbati, decani, prevosti, priori, rettori e di qualunque altra persona ecclesiastica, secolare e regolare, di qualunque ordine, sia di quello cistercense sia di un altro che non abbia nulla di proprio ma solamente [beni in comune], che muoia ovunque, sia nella curia romana sia altrove […].
Il nostro signore non ha voluto tuttavia che noi usassimo di questa riserva riguardo alle chiese di Francia e d'Inghilterra. Redatto in mia presenza, Arnaldo, camerario, e del signore arcivescovo di Vienne, l'undici del mese di dicembre, il primo anno del suo pontificato […].

II terzo giorno delle calende di marzo, nel primo anno, nostro signore il papa ha ordinato in Concistoro che la decima che è levata nelle diocesi e province di Lione, Reims, Sens, Rouen, Tours e nelle diocesi di Bourges e di Clemont non sia d'ora in avanti che mezza decima, e che questa mezza decima sia valutata per una decima intera; e, ogni volta che nelle dette città e province una decima sarà concessa o imposta a favore della Camera apostolica, che non sia levata che una mezza decima, che, come è già stato detto, si chiamerà sempre decima […].

Ugualmente, l'ottavo giorno delle idi di aprile, nel primo anno del medesimo pontificato, è stato accordato al vescovo di Hildesheim che egli possa concedere agli arcivescovi e ai vescovi delle province di Magonza, Treviri, Brema e Magdeburgo che possano richiedere alle persone esenti e non esenti delle loro città e diocesi un sussidio secondo la tassazione Vas electionis [2] per il sollievo di quelli ai quali, come è già stato detto, era stato imposto un certo sussidio per le necessità della Chiesa romana.

Samaran-Mollat, La fiscalità pontificia, doc. 19, pp. 231-236.

[1] Papa dal settembre 1362 al dicembre 1370. La documentazione qui riportata si riferisce dunque al dicembre 1362 e al febbraio e aprile 1363.
[2] Costituzione di Benedetto XII, che stabiliva un tetto massimo alla tassa che poteva essere levata dai vari dignitari ecclesiastici in occasione delle visite pastorali.


(C) Al venerabile signore Jean Garrigne, canonico di Narbona, nunzio e collettore della Sede apostolica nella provincia di Narbona, nostro caro amico, A., arcivescovo di Auch, camerario del papa [1]. Amico carissimo. Noi vogliamo e vi ordiniamo di scrivere, al momento della ricezione della presente lettera o quanto prima potrete, distintamente, chiaramente e in modo particolareggiato, con la conferma del vostro sigillo, tutte e ciascuna le assegnazioni di denaro da voi fatte, durante tutto il periodo nel quale siete stato collettore – e anche [quelle] del tempo del vostro predecessore, per quanto potrete ritrovarle –, ai membri della società degli Alberti antichi e a chiunque altro a nome della Camera apostolica; indicando giorno, anno e tipo di moneta, in modo tale che possiamo sapere più chiaramente e in modo più sicuro se essi le hanno pagate e restituite alla Camera predetta; inoltre, vi chiediamo di verificare i conti di tutti i vostri sotto-collettori sulle entrate e assegnazioni fatte da loro durante il loro ufficio, e di inviarci in seguito il quadro finale tanto dei loro conti quanto dei vostri - con una chiara distinzione di capitoli tra ciascuna entrata e assegnazione -, anche questo quanto più velocemente possibile, e di avere cura di dare piena certificazione a noi e alla Camera apostolica dello stato degli affari del vostro ufficio. Inoltre vi scriviamo di trasmettere e assegnare tutte e ciascuna le somme ricevute da voi - o che riceverete entro il prossimo biennio nel vostro detto ufficio - agli agenti della società degli Alberti antichi in questa regione, con i quali, come abbiamo già scritto altre volte, noi abbiamo fatto una convenzione, secondo la quale essi devono ricevere da voi e da alcuni altri collettori le somme suddette e assegnarle poi alla Camera apostolica; e se per caso i detti agenti non volessero ricevere le dette somme, richiedeteli [di fare ciò] mediante un documento pubblico, protestando per i danni e i pericoli della predetta Camera; e poi, se essi non vorranno riceverle, [vi ordiniamo] di inviarcele tramite altri nel modo migliore, più sicuro e più utile che potrete. State bene nel Signore. Scritto a Montefiascone, il giorno ventinove del mese di maggio.

Samaran-Mollat, La fiscalità pontificia , doc. 16, pp. 227-228.

[1] Montefiascone, 29 viaggio del 1369.


(D) Essendo dunque stabilito, miei carissimi fratelli, che il Signore ha fatto questo miracolo – e certo, agli occhi di quelli che vedono, non è altrimenti, se la vostra città, sposa del pontefice romano, purificata dalle spine dei vizi, rinnovata dalle sue soavi virtù, riceve il suo sposo nella scia profumata dei suoi Romani di Roma –, noi vi preghiamo, con lacrime di gioia, noi vi esortiamo con ardenti sollecitazioni di deporre le armi di ferro, di estinguere le fiamme della guerra, di purificare i cuori per ricevere con le testimonianze di riconoscenza quei doni che essi meritano […]
Innalzate una statua insigne, in porpora e oro, nell'anfiteatro o nel Campidoglio, al già nominato clementissimo padre della patria [1], benefattore e liberatore della città, affinché la sua memoria viva in eterno, gioiosa e gloriosa per la nostra posterità, imperitura attraverso i tempi. Quale Scipione, in effetti, quale Cesare, Metello, Marcello o Fabio, che noi dagli antichi annali sappiamo essere stati liberatori della patria e che giudichiamo degni di una memoria ineffabile, di cui noi ammiriamo le solenni effigi, scolpite in pietre preziose, per il ricordo e lo splendore della sua virtù potrebbe onorare la patria con una tale e così grande gloria? Questi uomini, certo, armati per [affrontare] le prove della guerra, nelle calamità del mondo, nella morte e nel sangue dei cittadini parteciparono a vittorie deperibili; lui, veramente degno della toga, [rispettando] la vita di tutti, con la gioia e la salvezza dei cittadini ha imposto con la sola parola, per la nostra posterità e noi stessi, lo spettacolo di trionfi immortali ed eterni. Non è lui che, sorgendo armato di frecce spirituali, conducendo guerra contro le calamità presenti e future della patria, ha soppresso con una sola parola santissima e trionfante tutta la miseria degli indigenti, i gemiti dei poveri, la debolezza della repubblica romana e la morte promessa al popolo disperato? Che la razza romana faccia passare avanti alla memoria degli altri la memoria di questo padre, per venerarla e onorarla, che i contemporanei la glorifichino, e che la nazione liberata delle generazioni future la custodisca!
Rendendo onore alla vostra santissima città, degna di tante buone azioni e fortificata, grazie al cielo, da tali onori, nella quale, fratelli carissimi, non dovrebbe mai essere permesso alla gente di marciare a meno di non deporre le calzature dei vizi e di essere a piedi nudi, perché il luogo nel quale voi siete e vivete è veramente una terra santa, noi vi invitiamo infine alla gioia, perché, se nostro signore il sovrano pontefice, per questa grazia celeste, comprende che voi coltivate le virtù ed estirpate i vizi, cantando le sue lodi così come egli desidera, con le ali aperte di tutta la sua clemenza verrà con un sol volo a visitare la sua cara città in compagnia dei suoi apostoli, più presto di quanto la gente non abbia creduto.

Cola di Rienzo, Lettera al Senato e al Popolo romano, (1343).

[1] Clemente VI (1342-1352).


(E) Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Santissimo e carissimo e dolcissimo pare in Cristo dolce Gesù, io vostra indegna figliuola Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio che ho desiderato di vedere in voi la plenitudine della divina Grazia; sì, e per siffatto modo che voi siate strumento e cagione, mediante la divina Grazia, di pacificare tutto l'universo mondo. E però vi prego, padre mio dolce, che voi, con sollicitudine ed affamato desiderio della pace e onore di Dio e salute dell'anime, usiate lo strumento della potenzia e virtù vostra. E se voi mi diceste, padre: - il mondo è tanto travagliato! in che modo verrò a pace? - dicovi da parte di Cristo crocifisso: tre cose principali vi conviene adoperare con la potenzia vostra. Cioè, che nel giardino della santa Chiesa voi ne traggiate li fiori puzzolenti, pieni d'immondizia e di cupidità, enfiati di superbia; cioè li mali pastori e rettori, che attossicano e imputridiscono questo giardino. Oimè, governatore nostro, usate la vostra potenzia a divellere questi fiori. Gittateli di fuori, che non abbino a governare. Vogliate ch'egli studino a governare loro medesimi in santa e buona vita. Piantate in questo giardino fiori odoriferi, pastori e governatori che siano veri servi di Gesù Cristo, che non attendano ad altro che all'onore di Dio e alla salute dell'anime, e sieno padri de' poveri. Oimè, che grande confusione è questa, di vedere coloro che debbono essere specchio in povertà volontaria, umili agnelli, distribuire della sustanzia della santa Chiesa a' poveri; ed egli si veggono in tante delizie e stati e pompe e vanità del mondo, più che se fussero mille volte nel secolo! Anzi molti secolari fanno vergogna a loro, vivendo in buona e santa vita. Ma pare che la somma e eterna Bontà faccia fare per forza quello che non è fatto per amore: pare che permetta che gli stati e delizie siano tolti alla sposa sua, quasi mostrasse che volesse che la Chiesa santa tornasse nel suo stato primo poverello, umile, mansueto, com'era in quello tempo santo, quando non attendevano altro che all'onore di Dio e alla salute dell'anime, avendo cura delle cose spirituali, e non temporali. Ché, poi ch'ha mirato più alle temporali che alle spirituali, le cose sono andate di male in peggio. Però vedete che Dio per questo giudizio gli ha permesso molta persecuzione e tribolazione. Ma confortatevi, padre, e non temete per veruna cosa che fusse addivenuta o addivenisse, ché Dio fa per rendere lo stato suo perfetto; perché in questo giardino si paschino agnelli, e non lupi divoratori dell'onore che debbe essere di Dio, il quale furano, e dànnolo a loro medesimi. Confortatevi in Cristo dolce Gesù; ché io spero che l'adiutorio suo, la plenitudine della divina Grazia, il sovenimento e l'adiutorio divino sarà presso da voi, tenendo il modo detto di sopra. Da guerra verrete a grandissima pace, da persecuzione a grandissima unione: non con potenzia umana, ma con la virtù santa sconfiggerete le dimonia visibili delle inique creature, e le invisibili dimonia, che mai non dormono sopra di noi. Ma pensate, padre dolce, che maleagevolmente potreste fare questo, se voi non adempiste l'altre due cose che avanzano a compire l'altre: e questo sì è dello avvenimento vostro, e drizzare il gonfalone della santissima croce. E non vi manchi il santo desiderio per veruno scandalo né ribellione di città che voi vedeste o sentiste; anzi più s'accenda il fuoco del santo desiderio a tosto volere fare. E non tardate però la venuta vostra. Non credete al dimonio, che s'avvede del suo danno, e però s'ingegna di scandalizzarvi, e di farvi tôrre le cose vostre perché perdiate l'amore e la carità e impedire il venire vostro. Io vi dico, padre in Cristo Gesù, che voi veniate tosto come agnello mansueto. Rispondete allo Spirito Santo, che vi chiama.Io vi dico: venite, venite, venite, e non aspettate il tempo, ché il tempo non aspetta voi. Allora farete come lo svenato Agnello, la cui vice voi tenete; che con la mano disarmata uccise li nemici nostri, venendo come agnello mansueto, usando solo l'arma della virtù dell'amore, mirando solo avere cura delle cose spirituali e rendere la Grazia all'uomo che l'aveva perduta per lo peccato. Oimè, dolce padre mio, con questa dolce mano vi prego e vi dico, che veniate a sconfiggere li nostri nemici. Da parte di Cristo crocifisso vel dico: non vogliate credere a' consiglieri del dimonio, che volsero impedire il santo e buono proponimento. Siatemi uomo virile, e non timoroso. Rispondete a Dio, che vi chiama che veniate a tenere e possedere il luogo del glorioso pastore santo Pietro, di cui vicario sete rimasto. E drizzate il gonfalone della croce santa: ché come per la croce fummo liberati (così disse Paolo), così levando questo gonfalone il quale mi pare refrigerio de' Cristiani, saremo liberati, noi dalla guerra e divisione e molte iniquità, il popolo infedele dalla sua infidelità. E con questi modi voi verrete, e averete la riformazione delli buoni pastori della santa Chiesa. Reponetele il cuore, che ha perduto, dell'ardentissima carità: ché tanto sangue li è stato succhiato per gl'iniqui devoratori, che tutta è impallidita. Ma confortatevi, e venite, padre, e non fate più aspettare li servi di Dio, che s'affliggono per lo desiderio. E io misera miserabile non posso più aspettare: vivendo, mi pare morire stentando, vedendo tanto vituperio di Dio. Non vi dilongate però dalla pace, per questo caso che è addivenuto di Bologna [1]; ma venite: ché io vi dico che li lupi feroci vi metteranno il capo in grembo come agnelli mansueti, e dimanderanno misericordia a voi, padre. Non dico più. Pregovi, padre, che odiate, e scoltiate quello che vi dirà frate Raimondo [2] e gli altri figliuoli che sono con lui, che vengono da parte di Cristo crocifisso, e da mia; che sono veri servi di Cristo e figliuoli della santa Chiesa. Perdonate, padre, alla mia ignoranzia; e scusimi dinanzi alla vostra benignità l'amore e dolore che mel fa dire. Datemi la vostra benedizione. Permanete netta santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Caterina da Siena, Lettere , pp. 159-162.

[1] Si allude alla perdita di Bologna, passata alla lega antipapale capeggiata da Firenze nel marzo 1376 nell'ambito della cosiddetta Guerra degli Otto Santi.
[2] [manca la nota]

 

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