Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
9. I grandi Concili tra riforma e repressione (A) Concilio di Costanza
(30.3.1415). (B)
Concilio di Costanza ( 6.7.14 15). (C) Molnar, Jan Hus,
pp. 210-213. (D) Concilio di Costanza
(4.10.1417). (E) Concilio di
Basilea (7.9.1434).
A fronte della gravissima crisi, disciplinare e morale, in atto nella
chiesa nel periodo del Grande Scisma d'occidente, iniziato nel 1378
con la doppia elezione di Urbano VI e Clemente VII (in conseguenza del
ritorno a Roma del pontefice e dei contrastanti interessi delle potenze
europee), il concilio convocato a Costanza nel 1414 rappresentò
un tentativo straordinario di mettere mano ad una riforma radicale della
chiesa. Accanto alla deposizione dei papi rivali – che in quel momento
erano ben tre, Giovanni XXIII, Gregorio XII e Benedetto XIII –, e all'elezione
di un nuovo papa (Martino V. 1417), il concilio proclamò a chiare
lettere, come antidoto ad un centralismo papale che aveva creato guasti
profondi, la supremazia dei concilio stesso, in quanto concilio generale
della chiesa, sul papa (A, D).
La lotta al centralismo non significava affatto riconoscimento delle
realtà locali scottanti, come quella rappresentata dal movimento
boemo di Jan Hus, nel quale la critica alla gerarchia ecclesiastica
andava di pari passo con l'affiorare di una coscienza nazionale boema.
Sconfessando, e bruciando come eretico, Hus – e sconfessando pure gli
scritti di John Wyclif, base della rivolta inglese dei lollardi [cfr.
par. 41, che avevano ispirato lo stesso Hus –, i padri conciliari dimostrarono
di intuire bene la portata eversiva di questi movimenti riformatori
a carattere “nazionale” (B); l'autodifesa
di Hus – di cui riportiamo una lettera scritta pochi giorni prima di
affrontare il rogo (C) – fu inutile.
Una volta privatisi di potenziali appoggi popolari, i padri conciliari
finirono però stritolati dall'abbraccio normalizzatore fra l'impero
(Sigismondo) e il papato (Eugenio IV, successore di Martino). Non valse
ribadire in maniera anche più forte, nel concilio apertosi a Basilea
nel luglio 1431, i principi riformatori: il conciliarismo fu sconfittio,
e in questo contesto la stessa unione con la chiesa greca – del resto
effimera –, impostata a Basilea (E)
e proclamata a Firenze (1439), risultò più che altro un
espediente politico. (A) In nome della santa e individua
[incomprensibile la correzione] Trinità, Padre, Figlio e Spirito
Santo, amen. Questo santo sinodo di Costanza che è un concilio
generale, riunito legittimamente nello Spirito Santo a lode di Dio onnipotente,
per l'estirpazione del presente scisma, per la realizzazione dell'unione
e della riforma nel capo e nelle membra della chiesa di Dio, ordina,
definisce, stabilisce, decreta e dichiara ciò che segue allo
scopo di ottenere più facilmente, più sicuramente, più
soddisfacentemente e più liberamente l'unione e la riforma della
chiesa di Dio. In primo luogo dichiara che esso, legittimamente riunito
nello Spirito santo, essendo concilio generale ed espressione della
chiesa cattolica militante, riceve il proprio potere direttamente dal
Cristo e che chiunque di qualunque condizione e dignità, compresa
quella papale, è tenuto ad obbedirgli in ciò che riguarda
la fede e l'estirpazione dello scisma ricordato.
Inoltre, che il santissimo signor nostro il papa Giovanni XXIII non
trasferisca la curia Romana, gli uffici pubblici e i loro funzionari,
da questa città in altro luogo, o non costringa, direttamente
o indirettamente, gli addetti a tali uffici a seguirlo, senza la volontà
e il consenso di questo santo sinodo. Ciò riguarda i funzionari
e gli uffici, la cui assenza importerebbe verisimilmente scioglimento
o danno per il concilio. E se avesse fatto il contrario, o lo facesse
in futuro; o avesse fulminato o fulminasse procedimenti e desse ordini
o imponesse censure ecclesiastiche o altre pene di qualsiasi natura
contro i suddetti funzionari o qualunque altro membro del concilio,
perché lo seguano, tutto ciò sia nullo e vano; a tali
procedure, censure e pene – in quanto nulle e vane – non si obbedisca
in nessun modo e il concilio le annulla. E i funzionari continuino ad
esplicare i loro uffici nella città di Costanza, e li esercitino
liberamente come prima, fino a che nella stessa città si celebrerà
il santo sinodo.
Inoltre, ogni trasferimento di prelati, le privazioni di benefici nei
confronti loro o di altri, la revoca di commende e di donazioni, le
ammonizioni, le censure ecclesiastiche, i procedimenti, le sentenze,
gli atti, e quanto è stato o sarà fatto dal suddetto signore
nostro e dai suoi funzionari a danno del concilio o dei suoi membri,
dal momento in cui se ne è andato, siano ipso iure nulle, vane,
irrite, senza effetto, in forza della sua autorità. È stato anche
deciso di eleggere tre membri da ogni nazione perché esaminino
i motivi di chi vuole allontanarsi e determinino le pene per chi parte
senza permesso. Infine per il bene dell'unione non vengano creati nuovi
cardinali. E perché con frode e inganno non si dica che frattanto
sono stati fatti dei cardinali, il santo concilio dichiara che non si
debbano ritenere per cardinali quelli che non erano pubblicamente riconosciuti
e ritenuti cardinali al tempo della partenza del signore nostro il papa
dalla città di Costanza. Concilio di Costanza (30.3.1415). (B) Il sacrosanto concilio generale
di Costanza, riunito per divina volontà e espressione della chiesa
cattolica, a perpetuo ricordo. Poiché secondo la verità
l'albero malato produce frutti malati [1].
Giovanni Wiclif, uomo di dannata memoria, con la sua dottrina di morte,
come radice velenosa ha generato non in Gesù Cristo col Vangelo,
– come i santi padri, che un tempo generarono figli fedeli –, ma contro
il Vangelo del Cristo, dei figli esiziali, che ha lasciato eredi della
sua perversa dottrina.
Contro questi, come contro figli spuri e illegittimi, è costretto
ad insorgere questo santo concilio di Costanza, e a strappare con vigilantissima
cura e con la lama dell'autorità ecclesiastica, come rovi nocivi,
questi errori dal campo del Signore, perché non si propaghino
come cancro a rovina degli altri.
Un certo Giovanni Hus, qui presente, non discepolo di Cristo, ma dell'eresiarca
Giovanni Wiclif, contravvenendo dopo la condanna al decreto stesso con
audacia temeraria, ha insegnato, sostenuto e predicato non pochi dei
suoi errori ed eresie, condannati sia dalla chiesa di Dio, che da altri
reverendi padri di Cristo, signori arcivescovi e vescovi di diversi
regni, e maestri in teologia di molti studi. Egli, in particolare, si
è opposto pubblicamente con i suoi complici alla solenne condanna
degli stessi articoli di Giovanni Wiclif, fatta più volte nelle
scuole e nella predicazione nell'università di Praga; ha dichiarato
pubblicamente, a favore della sua dottrina, che Giovanni Wiclif è
cattolico e dottore evangelico; ciò dinanzi alla moltitudine
del clero e del popolo; ha, inoltre, difeso e pubblicato come cattolici
certi articoli, che riferiamo, e molti altri, degni senz'altro di condanna,
che si possono liberamente riscontrare nei libri e negli opuscoli di
Giovanni Hus.
Questo sacrosanto sinodo di Costanza, invocato il nome di Cristo e tenendo
unicamente Dio dinanzi agli occhi, con questa definitiva sentenza, emanata
per iscritto, dichiara, dispone e stabilisce che Giovanni Hus è
stato ed è eretico vero e manifesto, che ha insegnato e predicato
pubblicamente errori ed eresie già da molto dannati dalla chiesa
di Dio, e moltissime altre cose scandalose, offensive per le orecchie
dei semplici, temerarie e sediziose, non senza grave offesa della divina
maestà, scandalo di tutta la chiesa e danno della fede cattolica.
Egli ha, inoltre, disprezzato le chiavi della chiesa e le censure ecclesiastiche,
persistendo in esse, con animo indurito, e scandalizzando molto i fedeli
con la sua pertinacia, avendo interposto appello a nostro signore Gesù
Cristo, come al sapremo giudice, ignorando la mediazione della chiesa,
nel quale ha introdotto molte falsità, ingiurie ed espressioni
scandalose, con disprezzo della sede apostolica, delle censure ecclesiastiche
e delle chiavi.
Per questi e per molti altri motivi, questo santo sinodo dichiara apertamente
che Giovanni Hus è stato eretico; e giudica che debba essere
considerato e condannato come eretico, e come tale lo condanna. Esso
riprova il suo appello come ingiurioso, scandaloso e offensivo per la
giurisdizione ecclesiastica; afferma che egli con le sue prediche pubbliche
e con gli scritti ha ingannato il popolo cristiano, specie nel regno
di Boemia, e che è stato non il predicatore verace del vangelo
di Cristo per lo stesso popolo secondo l'esposizione dei santi dottori,
ma, più propriamente, un seduttore.
E poiché da quanto questo sacrosanto sinodo ha potuto vedere
e sentire, ha compreso che lo stesso Giovanni Hus è pertinace
e incorreggibile, e talmente preso da questi errori da non desiderare
di tornare in grembo alla santa madre chiesa, né da voler abiurare
le eresie e gli errori da lui pubblicamente difesi e predicati, per
questo il santo sinodo di Costanza dichiara e stabilisce che Giovanni
Hus sia deposto e degradato dall'ordine sacerdotale e dagli altri ordini
di cui era insignito, e affida ai reverendi padri in Cristo, l'arcivescovo
di Milano, i vescovi di Feltre, di Asti, di Alessandria, di Bangor e
di Lavaur il compito di eseguire tale degradazione alla presenza di
questo sacrosanto sinodo, conforme a quanto richiede la procedura giuridica.
Questo santo sinodo di Costanza, visto che la chiesa di Dio non ha altro
da fare, abbandona Giovanni Hus alla giurisdizione secolare e stabilisce
che debba essere consegnato al braccio secolare. Concilio di Costanza (6.7.14 15). [1] Mt. 7, 17. (C) 4 giugno 1415 Mastro Jan Hus, servitore
di Dio in speranza, a tutti i fedeli che amano e continueranno ad amare
Dio e la sua legge, augura che essi dimorino nella verità, crescano
nella grazia di Dio e perseverino coraggiosamente fino alla morte!
Diletti ed amati, vi esorto a non temere e a non permettere che essi
vi spaventino, perché [il concilio] ha condannato i miei libri
alle fiamme. Ricordatevi che bruciarono le profezie di san Geremia,
le quali Iddio aveva ordinato di scrivere; tuttavia non sfuggirono a
ciò che egli aveva profetizzato. Difatti, dopo che furono arse,
il Signore Iddio gli ordinò di riscrivere le stesse parole, avendone
aggiunte delle altre, e così fu fatto. Geremia le dettò,
mentre era in prigione, e san Baruch, che era il suo scriba, le mise
per iscritto. Tutto questo si legge in Geremia 36, 4 e seguenti.
Similmente sta scritto nei libri dei Maccabei che bruciarono la legge
di Dio e torturarono chi ne era in possesso. Poi, nel Nuovo Patto, che
mandarono al rogo i santi coi libri della legge di Dio. Furono inoltre
i cardinali che condannarono e consegnarono alle fiamme i libri di san
Gregorio e li avrebbero distrutti tutti, se il Signore non li avesse
preservati per opera di Pietro, uno dei discepoli di costui. Ed infine,
san Giovanni Crisostomo fu condannato come eretico per ben due volte
da un concilio di preti [1],
ma il Signore Iddio smascherò la loro menzogna dopo la morte
di san Giovanni.
Avendo ben presente tutti questi fatti, non lasciatevi atterrire al
punto da abbandonare la lettura di quanto ho scritto o da consegnare
i vostri libri per essere da loro bruciati. Ricordatevi quanto il nostro
misericordioso Signore, mettendoci sull'avviso, ci disse in Matteo 24,
e cioè che, prima dei giorno del giudizio, “vi sarà una
grande afflizione, tale che non v'è stata l'uguale dal principio
del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà”. Essa
sarà così tremenda da poter indurre in errore finanche
gli eletti, ma quei giorni saranno abbreviati per amor loro. Ricordandovi
di tutto questo, miei diletti ed amati, state saldi! Poiché io
spero in Dio che la scuola dell'Anticristo avrà paura di voi
e vi lascerà in pace. Il concilio non verrà fino in Boemia
da Costanza. Molti di quel concilio, sono persuaso, moriranno prima
di strapparvi via i libri. Si disperderanno dal concilio per tutto il
mondo come cicogne e, quando verrà l'inverno, si renderanno conto
del male perpetrato durante l'estate.
Notate bene che essi condannarono il loro capo come eretico
[2].
Replicate ora, voi predicatori, che andate proclamando che il papa è
Dio in terra, che non può peccare e che non può macchiarsi
di simonia! I giuristi affermano che il papa è il capo di tutta
la santa Chiesa, sulla quale governa assai egregiamente; che egli è
il cuore della santa Chiesa, la quale egli nutre spiritualmente; che
è la fonte da cui fluisce ogni potestà e bontà;
che è il sole della santa Chiesa; che è il rifugio indefettibile,
al quale ogni cristiano deve ricorrere. Bene! Ma ora quel capo è
stato rescisso, il dio di questo mondo è in catene e i suoi peccati
sono già palesati; la fonte s'è inaridita, il sole oscurato,
il cuore è stato strappato e il rifugio se l'è data a
gambe da Costanza ed è stato imprigionato, affinché nessuno
ricorresse a lui. Il concilio lo condannò come eretico, perché
aveva venduto indulgenze, diocesi e altri benefici. Ma mentre molti
di coloro che lo condannarono avevano comprato da lui quei favori, gli
altri vi avevano intrallazzato. Tra di essi vi era Giovanni, vescovo
di Litomysl, che per ben due volte tentò di acquistare l'arcidiocesi
di Praga, ma altri fecero un'offerta maggiore. Oh, perché non
si tolsero prima la trave che avevano negli occhi? Si sa, infatti, che
la loro legge dice: “Se qualcuno ottenesse una qualsiasi dignità
a prezzo, ne sia privato; e il venditore, come il compratore, il mediatore,
come il mezzano, siano condannati apertamente”. San Pietro condannò
e lanciò l'anatema contro Simone, perché aveva voluto
comperare il dono dello Spirito Santo. Così questi uomini hanno
ben condannato e anatemizzato il venditore, però essi stessi
sono rimasti compratori, mediatori e, a casa propria, continueranno
a vendere. A Costanza v'è un vescovo che ha venduto un beneficio,
un altro che lo ha acquistato e il papa ha dato ad ambedue il beneplacito
che ciò avvenisse. Come sapete, la stessa cosa è accaduta
in Boemia. Oh, se il Signor Gesù avesse detto al concilio: Colui
fra voi che è senza peccato di simonia, condanni per primo papa
Giovanni!”. Credo che uno dopo l'altro se la sarebbero data a gambe!
Ma poi perché si inginocchiavano davanti a lui, gli baciavano
i piedi e lo chiamavano “santissimo Padre”, quando ben sapevano che
egli era un eretico, un omicida, un sodomita: tutti peccati, questi,
che di poi essi stessi sciorinarono in pubblico? Perché mai i
cardinali lo elessero al pontificato, se sapevano che era un assassino
così crudele da aver avvelenato il santissimo padre [suo predecessore]?
[3] E perché
gli permisero di perpetrare la simonia, mentre era papa, se erano stati
designati [incomprensibile la correzione] loro consiglieri allo scopo
di ben guidarlo? Non sono essi altrettanto colpevoli nell'aver praticato
la simonia? Perché, prima della sua fuga da Costanza, non vi
fu uno che avesse il coraggio di indirizzarsi a lui in altro modo se
non come “santissimo padre”? Il fatto è che avevano ancora paura
di lui. Ma, quando il braccio secolare lo afferrò per il volere
o con il permesso di Dio, essi si concertarono segretamente e si accordarono,
perché non fosse liberato.
È ora certo che la malvagità, l'abominazione e l'ignominia dell'Anticristo
si sono manifestate si nel papa, ma anche in altri che siedono in concilio!
Ora i servitori fedeli di Dio possono intendere il significato delle
parole del Salvatore, che afferma: “Quando dunque avrete veduta in luogo
desolato l'abominazione, della quale ha parlato il profeta Daniele,
chi legge pongavi mente!”. “L'abominazione” è il grande orgoglio,
l'avarizia, e la simonia; “il luogo desolato” è la dignità
svuotata di umiltà e delle altre virtù, come possiamo
chiaramente osservare in coloro che sono titolari di un ufficio o di
una dignità.
Oh, se si potesse descrivere la nequizia in modo che i fedeli servitori
di Dio potessero guardarsene! Io ci proverei a farlo: ma ho fiducia
in Dio che dopo di me Egli susciterà uomini più prodi
di me – ma ce ne sono già ora – i quali denuncino più
chiaramente la malvagità dell'Anticristo ed espongano la loro
vita alla morte per la verità del Signore Gesù Cristo,
il quale concederà a me e a voi eterna gioia. Amen.
Questa lettera l'ho scritta nel giorno della festa di San Giovanni,
in prigione e in catene, ricordando che anche Giovanni fu decapitato
in prigione e in catene per la verità di Dio. Molnar, Jan Hus, pp. 210-213. [1] Dai sinodi del 403 e 404.
[2] Giovanni XXIII, deposto (e
per qualche tempo imprigionato, come ricorda più sotto Hus) dal
concilio.
[3] Giovanni XXIII era ritenuto
da molti l'assassino del suo predecessore Alessandro V. (D) La frequente celebrazione di concili
generali è il modo migliore di coltivare il campo del Signore:
estirpa gli sterpi, le spine e i triboli delle eresie, degli errori
e degli scismi, corregge gli eccessi, riforma quanto è stato
deformato, conduce la vigna di Dio alla messe di una feconda fertilità,
mentre la trascuratezza di essi dissemina e favorisce i mali enumerati.
Il ricordo dei tempi passati e la considerazione dei tempi presenti
pongono questi problemi dinanzi ai nostri occhi.
Sanzioniamo, quindi, con questo decreto – che dovrà valere per
sempre –, stabiliamo, determiniamo e ordiniamo che da ora in poi i concili
generali vengano celebrati in tal modo, che il primo si riunisca nel
quinquennio che segue immediatamente la fine di questo concilio; il
secondo nei sette anni che seguono la fine di esso; e poi di decennio
in decennio, per sempre, in quei luoghi che il sommo pontefice – o in
mancanza il concilio stesso – dovrà stabilire ed assegnare un
mese prima della fine di ognuno di essi, con l'approvazione e il consenso
del concilio. Così, con una specie di continuità, o il
concilio è in pieno svolgimento, o si è in attesa di esso
per il vicino scadere del tempo. Sarà lecito al sommo pontefice
abbreviare quel tempo in gravi casi di emergenza col consiglio dei suoi
venerabili fratelli cardinali della santa romana chiesa, ma in nessun
modo prorogarlo.
Quanto al luogo stabilito per il futuro concilio, non lo cambi senza
un evidente motivo di necessità. Se, però, vi fosse una
ragione per cui sembrasse necessario mutarlo, come un assedio, una guerra,
la peste, o qualche cosa di simile, allora sarà lecito al sommo
pontefice, col consenso e la firma dei suddetti suoi fratelli o di due
terzi di essi, sostituirlo, dopo aver determinato prima un altro luogo,
che sia il più vicino e il più adatto, sempre però
nella stessa nazione, a meno che per tutta quella nazione non si presenti
lo stesso impedimento. In questo caso potrà convocare il concilio
in un luogo di un'altra nazione, che sia il più vicino possibile.
Qui i prelati e gli altri che sogliono essere convocati al concilio
sono obbligati a recarsi, come se quel luogo fosse stato stabilito da
principio. Tuttavia il sommo pontefice dev'essere obbligato a pubblicare
e ad intimare il cambiamento del luogo o l'abbreviazione del tempo,
a norma di legge e in forma solenne, entro l'anno prima del termine
fissato, di modo che quelli che abbiamo detto possano radunarsi per
la celebrazione del concilio nel termine stabilito. Concilio di Costanza (4.10.1417). (E) Il sacrosanto sinodo generale di
Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, immagine della
chiesa universale, a perpetua memoria.
Come una buona madre è sempre in ansia per la salute dei figli,
e non si dà pace fino a che, se vi è qualche disaccordo
tra loro, la discordia non sia sopita, così e molto più
la santa madre Chiesa, che genera i figli alla vita eterna, ha sempre
usato mettere in opera ogni tentativo perché tutti i cristiani,
tolto di mezzo ogni dissenso, con fraterna carità conservino
l'unità della stessa fede, senza la quale non può esservi
salvezza.
È stata quindi precipua cura di questo santo sinodo, fin dal suo inizio,
di estinguere la recente divisione dei Boemi e quella antica dei Greci,
per unirli a noi con lo stesso perpetuo vincolo della fede e dell'amore.
Abbiamo quindi invitato a questo sacro concilio per primi con ogni carità
i Boemi, più vicini, quindi, con lettere e per mezzo di nostri
inviati, i Greci, per fare questa santa unione. E benché il caso
dei Boemi fosse ritenuto da molti, in principio, non solo difficile,
ma quasi impossibile e i nostri sforzi fossero ritenuti superflui ed
inutili, pure il signore nostro Gesù Cristo, cui nulla è
impossibile, ha diretto le cose in modo così salutare fino a
questo momento, che ha giovato di più alla chiesa questo stesso
invito dei Boemi, che i molti potentissimi eserciti che sono entrati
in Boemia a mano armata. Questo fatto ci infonde una speranza così
grande, da farci perseguire questa unione dei Greci con ogni fiducia
e perseveranza: impresa che noi affrontiamo tanto più volentieri,
quanto più li vediamo inclini a questa unione.
Non appena, infatti, il serenissimo imperatore dei Greci [1]
e il patriarca di Costantinopoli sono stati richiesti dai nostri inviati,
hanno subìto destinato a questo santo sinodo tre dei loro uomini
più insigni, tra quelli che godono fra essi di grande autorità
– e il primo è consanguineo dello stesso imperatore –, muniti
del necessario mandato da parte imperiale, con bolla d'oro sottoscritta
di propria mano, e di lettere del patriarca. Tanto nella congregazione
generale, quanto dinanzi ai nostri commissari, essi hanno manifestato
il desiderio vivissimo dell'imperatore, del patriarca e di tutta la
chiesa orientale per questa unione; e ci sollecitano in modo meraviglioso
al proseguimento di un'opera così grande, affermando, tra l'altra
due cose con fermezza e costanza: che l'unione stessa non è possibile
in nessun modo senza un concilio universale, cui partecipino sia la
chiesa occidentale che quella orientale; e che in questo concilio, se
sarà celebrato secondo gli accordi che seguono, la stessa unione
sarà senz'altro conclusa. All'udire queste cose, naturalmente,
la nostra letizia e la nostra gioia fu somma. Cosa mai, infatti, potrebbe
avvenire alla chiesa cattolica di più felice e di più
glorioso di questo, che tanti popoli orientali – che non sembra differiscano
molto, per numero di abitanti, da quelli che appartengono alla nostra
fede – si uniscano a noi nella stessa unità della fede? Cosa
di più utile e fruttuoso di questo vide mai il popolo cristiano
dall'inizio della chiesa nascente: che venga estirpato, cioè,
del tutto uno scisma così lungo e dannoso?
Da questa unione, poi, noi ci attendiamo anche un'altra utilità,
con l'aiuto di Dio, per la cristianità: che molti dalla empia
religione maomettana si convertano alla fede cattolica. Concilio di Basilea (7.9.1434). [1] Giovanni VIII Paleologo.
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