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La mercatura medievale

di Armando Sapori

© 1972-2006 – Armando Sapori


LETTURE

13. Un mercante genovese del Dugento [1]

Un uomo come Benedetto Zaccaria, in relazioni d'affari con tre continenti, consigliere oggi di un Imperatore di Costantinopoli, domani di un Re di Francia, ora chiamato alle più alte cariche della sua patria, ora malvisto dagli stessi suoi concittadini, mal si poteva adattare a un domicilio stabile e determinato. La sua dimora è il mare, il suo letto migliore è sul ponte d'una galea, il suo recapito può sbalzare nel giro di pochi mesi dai confini dell'Occidente a quelli dell'Oriente. Ma il Genovese non dimentica la città nativa: due secoli dopo Benedetto Zaccaria, Cristoforo Colombo scriverà da Siviglia ai Signori dell'Ufficio di San Giorgio: «Se il corpo cammina qui, il cuore è sempre costì».

Perciò lo Zaccaria, tutte le volte che il commercio, la politica, la guerra glielo permettono, ritorna a Genova. La sua casa è dove un uomo di mare deve desiderarla: nei sobborghi, fuori dal groviglio delle abitazioni, presso il Bisagno e davanti alla riva del mare. Egli vi sta come su una banchina d'attracco, sempre pronto a partire, a sprofondarsi nelle lontananze del Mar Nero o del Mare nel Nord; l'ultimo documento che porta il suo nome, redatto a Genova, parla ancora di un viaggio da compiersi verso Focea. Dopo ch'egli morì il suo palazzo fu giudicato degno d'ospitare l'imperatrice Margherita, moglie di Enrico VII. Oltre a questa abitazione, che certamente era costruita con una magnificenza pari alle ricchezze del proprietario, Benedetto Zaccaria possedeva altre case in Genova, una delle quali in Borgo Santo Stefano, un'altra in Piazzalunga.

E non soltanto ragioni sentimentali trattenevano lo Zaccaria a Genova. Dimora e ritrovo di mercanti e di marinai, sbocco di strade che s'addentravano nel cuore dell'Europa continentale, centro geografico ed economico del Mediterraneo, Genova era la sede ideale per una ditta come quella degli Zaccaria: partendo da quel porto e tornandovi dopo ogni viaggio, i fratelli Zaccaria fucinarono la loro fortuna, trafficando con pressoché tutti i paesi allora conosciuti, e non conoscendo altri confini che quelli imposti al mondo del Duecento dai pericoli del mare e dalle incognite della terra.

Di questi confini, pur vasti, non tutti furono paghi. Ugolino e Vadino Vivaldi, figli di Amighetto e di Giovannina Zaccaria, parenti dunque di Benedetto, vollero allargare l'orizzonte, violare «quella foce stretta – dov'Ercule segnò li suoi riguardi», giungere alle Indie compiendo tutto il giro dell'Africa misteriosa. Non un folle volo, ma una spedizione commerciale in piena regola, dove all'ardimento s'accoppiava il calcolo preciso delle percentuali che sarebbero toccate agli organizzatori. L'Oceano, tutti lo sanno, inghiotti gli audaci con le loro galee, una delle quali portava il nome invano augurate di Allegranza, il medesimo nome che era stato imposto a una delle galee di Benedetto Zaccaria. Non è qui luogo da rievocare l'itinerario dei fratelli Vivaldi, che forse si spezzò più vicino alla meta di quanto comunemente non si creda, né la spedizione di Sorleone, figlio di Ugolino, che tentò di rintracciare il padre, alla cui morte non aveva voluto credere, né gli affari della ditta Vivaldi, impiantata più tardi nell'India da un altro membro di quella famiglia non guarita dalla passione dei viaggi.

Per contro Benedetto Zaccaria, sebbene si spingesse fino alle porte delle terre ancora sconosciute, non fu trascinato dal richiamo dell'ignoto; certo non perché gliene mancasse l'anima, ma perché la vita tumultuosa e irrequieta, le cure della politica e ipericoli della guerra non gli consentirono neppur di pensare a tentativi come quello dei Vivaldi. Ma nella cerchia non piccola del mondo conosciuto non vi fu porto né spiaggia a cui non legasse almeno una volta le sue galee: basterà a convincerci una breve rassegna delle terre a cui sappiamo essersi rivolta l'attività commerciale di lui.

Il Mar Nero, aperto ai Genovesi dopo il trattato di Ninfeo del 1261, era divenuto in pochi anni uno dei principali centri del traffico internazionale. Ai porti della costa setentrionale non soltanto sboccavano i prodotti delle pingui regioni finitime, ma le mercanzie del Settentrione attraverso la via fluviale del Volga e di Sarai e quelle dell' Asia centrale e del Catai attraverso l'itinerario del Caucaso e del Caspio che il Pegolotti attesta «essere sicurissimo di giorno e di notte».

L'emporio principale del Mar Nero era Caffa, fondata dai Genovesi forse soltanto nel 1266, ma assurta subito a una prosperità che eclissava tutti i porti concorrenti. Gli Zaccaria avevano in quella città un fondaco proprio e si avvantaggiavano anche del fatto che Paolino d'aria, genero di Benedetto, fu eletto console di Caffa nel 1288. Negli atti dei notai Genovesi di Caffa ricorrono con estrema frequenza i nomi di Benedetto, di Manuele, di Paolino d'Oria, di Niccolò d'Oria genero di Manuele, di Andreolo Cattaneo Della Volta genero, a quanto pare, di Benedetto, di Carlo e Andalò di Negro suoi nipoti. Quando non può essere presente a Caffa, il dinasta di Focea si fa rappresentare da procuratori, fra i quali un Silvagno, un Piazzalunga, un altro d'Oria, e dove non arrivava con le proprie galee vuole che almeno arrivino i propri capitali e le proprie merci, e le dà in accomandita volta a volta a quei mercanti che partono.

Il mar d'Azof penetrava nel continente russo molto più profondamente del Mar Nero, e veniva prolungato dal basso corso del Don. Ma per solito i mercanti preferivano arrestarsi a Caffa o a Matrega, sullo stretto che metteva in comunicazione il Mar d'Azof col Mar Nero – sebbene Tana, alla foce del Don, fosse frequentata da Veneziani anche prima del 1269 –, perché passato lo Stretto le acque non avevano profondità sufficiente per consentire alle grosse navi di inoltrarsi. Solo più tardi gli Italiani cominciarono la penetrazione del Mar d'Azof; le carte nautiche dei primi anni del Trecento segnano sulla costa settentrionale un Porto pisano, e il Pegolotti ne parla con qualche attenzione: probabilmente i Pisani s'erano ridotti per primi in quell'angolo estremo, non potendo sostenere la concorrenza genovese in pieno Mar Nero.

Quasi di fronte a Portopisano, sulla sponda meridionale del golfo di Taganrog, le carte nautiche del Trecento e del Quattrocento segnano un nome Jacaria o Zacaria.Conosciamo soltanto il nome e l'ubicazione approssimativa di questo porto, poiché non ne abbiamo alcuna descrizione nelle memorie di viaggi o nei commenti ai portolani. Ma si è congetturato che fra questo nome e il nome della celebre famiglia genovese non ci fosse una coincidenza soltanto casuale, sibbene che Benedetto e Manuele Zaccaria avessero fondato un emporio sulle coste del Mar d'Azof.

La supposizione è tutt'altro che impossibile; la stessa Caffa, secondo alcuni, fu in origine una colonia privata della famiglia Genovese Dell'Orto, e d'altra parte, poiché Michele VIII esercitò un dominio o almeno un protettorato su parte della costa settentrionale del Mar Nero, gli Zaccaria potevano aver ottenuto un porto del Mar d'Azof da quel medesimo Imperatore che aveva loro concesso Focea. Ma v'è un ostacolo che sembra insormontabile: mentre abbiamo trovato molte diecine di documenti che ci illuminano sulle attive relazioni commerciali degli Zaccaria con Caffa e con altri porti del Mar Nero, non uno reca il nome di Zacaria; né del resto il nome di quel porto s'incontra in alcuno degli atti commerciali dei Genovesi; e ne abbiamo a migliaia. Naturalmente siamo ben lungi dall'aver esplorato tutto il fondo degli Archivi di Genova: può darsi che un giorno ci si imbatta in una serie di documenti che riguardino Zaccaria; finché questo non sia avvenuto, bisognerà guardare con grande scetticismo alla congettura che vuole gli Zaccaria possessori fin dal primo Trecento di un emporio sul Mar d'Azof.

Sulla costa meridionale del Mar Nero, Trebisonda, sede degli Imperatori Comneno, aveva la medesima preminenza sugli altri porti che Caffa sulla sponda opposta. Anche Trebisonda era il punto di partenza di una via che si sprofondava fino all'Estremo Oriente; vi convergevano la strada per Lajazzo, che, traversata tutta l'Asia Minore, sboccava nel Mediterraneo, e la strada per Tebriz, capitale dell'Impero dei Mongoli Persiani. Benedetto e Manuele Zaccaria, Paolino e Niccolò d'aria, Andreolo di Negro e Filippo Malfante formarono verso il 1289 una società per andar a trafficare a Trebisonda. Paolino d'aria era stato qualche tempo prima console di Genova in quella città, Niccolò d'Oria vi possedeva nel 1292 una casa dove furono ospitati gli ambasciatori mandati dal Re d'Inghilterra al Gran Khan dei Mongoli; Andalò Di Negro vi concluse nel 1314 un trattato fra Genova e i Comneno, nel quale si tutelavano particolarmente i crediti di Andreolo e di Oberto Cattaneo della Volta. E anche con i porti minori non mancano le relazioni: Benedetto e Manuele Zaccaria hanno ricevuto denaro e mercanzie a Samsun; Niccolò d'Oria è testimonio a Sivas di una denuncia di crediti pagabili a Tebriz, e comprovati da atti rogati a Erzindjan in Armenia e a Nakhicevan nell'Azerbeidjan. La chiave di volta del commercio fra l'Europa e il Mar Nero era pur sempre nel Bosforo. Benedetto Zaccaria godeva del vantaggio di essere particolarmente accetto alla Corte di Costantinopoli; nella vicina Pera possedeva casa, arruolava marinai e medici, trattava una grande quantità di affari. Da Costantinopoli i Genovesi avrebbero potuto iniziare la penetrazione economica della Balcania, ma non si applicarono con troppo entusiasmo a conquistare i mercati della Penisola, e anche lo Zaccaria non sembra aver avuto rapporti con gli Stati Serbi e Bulgari. E neppure tentò di sfruttare la felice posizione di Focea per accaparrarsi il commercio del retroterra asiatico, forse anche perché alle spalle trovava subito il confine degli ostili Turchi Selgiucidi.

Invece Benedetto Zaccaria ebbe a concludere convenzioni commerciali col regno dell'Armenia Minore (la Cilicia) e di Cipro, antemurali della Siria e sbocchi anch'essi, specialmente di Uma delle ramificazioni del grande itinerario per l'Asia Centrale. Negli atti dei notai Genovesi di Lajazzo e di Famagosta, almeno per la parte che è stata pubblicata, non ricorre il nome di Benedetto; ma si trovano a ogni passo i nomi di tutta una folla di personaggi dal cognome Zaccaria, un Francesco, un Odoardo, un Bruschetto, un Giovanni, altri di cui non è neppur possibile stabilire qual grado di parentela avessero con Benedetto. Un figlio di Zaccaria III fu nel 1292 Podestà e Visconte dei Genovesi nel regno di Cipro.

Con l'Egitto lo Zaccaria fu in pessimi rapporti da quando i soldati Mammalucchi gli ebbero preso Tripoli di Siria: tuttavia nei contratti conclusi da lui è nominata anche Alessandria, che era in quel tempo forse l'emporio migliore e il porto più splendido dell'Islam. Sappiamo anche che Niccolò e Vinciguerra Zaccaria commerciarono con Tunisi, e non abbiamo ragione per non credere che anche Benedetto sia stato in rapporto d'affari con quello Stato.

Fra Genova e l'Africa le due Isole di Sardegna e di Corsica servivano come da ponti. Tanto Niccolò come Paolino d'aria, nipoti di Percivalle, dovevano aver ereditato dall'avo feudi e diritti dinastici in Gallura; d'altra parte Benedetto e Manuele Zaccaria trafficarono anche con Bonifacio, presso l'ultima punta della Corsica.

Il traffico degli Zaccaria coi paesi d'Occidente non era meno attivo.

Prima ancora di volgersi al Levante, le navi liguri frequentavano le rotte di Maiorca, di Barcellona, di Siviglia; nelle guerre contro i Saraceni di Spagna, Genova e Pisa, ancora alleate, avevano provato le giovani unghie e raccolto i primi allori. E ai tempi di Benedetto Zaccaria, sebbene i catalani fossero già divenuti emuli e concorrenti non indegni dei Genovesi, ancora il commercio marittimo della Castiglia era per molta parte in mano agli Italiani. Le navi dei fratelli Zaccaria partivano quasi tutti gli anni per Maiorca, per Almeria, per Malaga, per Siviglia, per Cadice, per Ceuta sulla costa marocchina dirimpetto a Gibilterra. Divenuto Ammiraglio Maggiore di Castiglia, Benedetto acquistò una preziosa base d'appoggio quasi al punto dove le acque dell'Atlantico si diramano in quelle del Mediterraneo: Puerto Santa Maria, alla foce del Guadalete, di fronte a Cadice. Lo conservò pochi anni, ma senza dubbio la penetrazione commerciale che dal 1291 al 1294 aveva potuto conseguire con quel punto d'appoggio e col prestigio della carica che ricopriva, non andò perduta del tutto dopoché dal comando delle squadre navali spagnole fu passato a quello della flotta francese.

Le relazioni commerciali con la Francia furono altrettanto intense. Le galee di Benedetto Zaccaria approdavano ai porti del Mediterraneo, come Aigues Mortes, la città dei Genovesi, o costeggiando tutta la penisola Iberica si spingevano fino alle spiagge normanne e piccarde. Di pari passo procedeva il traffico per via di terra: Benedetto Zaccaria riscuoteva di persona o per mezzo di procuratori crediti nei mercati di Lagny come in quelli di Toscana per San Giovanni. Si trattava in ambedue i casi di regioni produttrici in quei tessuti che poi venivano inoltrati a Pera, a Caffa, nel Kipciak: Lagny-sur-Marne si alternava con Troyes, Provins e Bar-sur-Aube come sede delle fiere permanenti della Sciampagna, a cui intervenivano mercanti da ogni parte d'Europa. Gli Zaccaria incontravano là, come a Pera, commercianti di tutte le città della Lombardia.

Anche Bruges non manca fra i porti toccati dalle galee di Benedetto Zaccaria, il quale del resto inflisse al prospero emporio fiammingo un blocco rigorosissimo, per ordine di Filippo il Bello. Nei documenti finora venuti alla luce non si ha notizia di commercio degli Zaccaria con l'Inghilterra, sebbene molti Genovesi trafficassero con quel regno fin dai primi anni del secolo XIII. Ma sappiamo che cinque mercanti di Genova noleggiarono nel 1278 due galee di Benedetto Zaccaria e di Ughetto Embriaco, e una di Niccolò Zaccaria, per andare ad pattes Angliae.
Sulla scia delle galee di Benedetto e di Manuele, abbiamo percorso quasi tutto il mondo del Duecento, entro i limiti che gli tracciava la civiltà occidentale. Il viaggio, forse, è apparso tedioso; ma la lunga rassegna ci ha persuaso della mirabile vastità e potenza commerciale conseguita da quella famiglia alla fine del secolo XIII; anche oggi non sono molte le società mercantili che possono reggere al confronto.

Ma altri aspetti, altri lati dell'attività mercantile e industriale degli Zaccaria destano il nostro interesse e hanno una sorprendente apparenza di modernità.

Una delle caratteristiche più spiccate dell'economia moderna è l'integrazione dell'industria. Per spiegarci con qualche esempio, le officine meccaniche Krupp adoprano come materie prime il carbone e il ferro delle proprie miniere, consumano il gas dei propri stabilimenti chimici, esportano i prodotti nelle navi dei propri cantieri: il trust del petrolio degli Stati Uniti fabbrica i propri barili, le pompe per l'estrazione, i vagoni e le navi cisterna per il trasporto.

Gli Zaccaria procedono con metodi eguali. L'allume estratto dalle loro miniere viene esportato nelle loro navi; e poiché questo prodotto viene impiegato particolarmente dai tintori, Benedetto impianta a Genova, presso il Bisagno, una tintoria.

[1] R. LOPEZ, Genova marinara nel Duecento: Benedetto Zaccaria, ammiraglio e mercante, Messina-Milano, Principato, 1933, pp. 43-50. Questa biografia si affianca a quella del mercante fiorentino Scaglia Tifi (vedi nel testo «4. La figura del mercante: 1. Il mercante italiano dell'età eroica»); inoltre dà un quadro dell'estensione del commercio internazionale del Dugento. Dello Zaccaria si accenna nel testo nei capitoli «1. La rivoluzione commerciale e la rinascita dell'Europa: 4. Le merci del commercio internazionale: c) IL GRANO, f) L'ALLUME» e «3. Il mercante all'opera: 2. Grande e piccolo mercante».

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Ultimo aggiornamento: 19/11/06