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Didattica > Strumenti > Scrittori religiosi del Trecento > Testi, 1 (4/4) | |||||||||
StrumentiScrittori religiosi del Trecentodi Giorgio Petrocchi © 1974 – Giorgio Petrocchi Testi1. Fioretti di san Francesco (4/4)COME SANTO FRANCESCO MIRACOLOSAMENTE SANÒ IL LEBBROSO DELL'ANIMA E DEL CORPO, E QUELLO CHE L'ANIMA GLI DISSE ANDANDO IN CIELO [XXV]II vero discepolo di Cristo messer santo Francesco, vivendo in questa miserabile vita, con tutto il suo sforzo s'ingegnava di seguitare Cristo perfetto maestro; onde addiveniva spesse volte per divina operazione, che a cui egli sanava il corpo, Iddio sanava l'anima a una medesima ora, siccome si legge di Cristo. E però ch'egli non solamente serviva volentieri a' lebbrosi, ma oltre a questo avea ordinato che i frati del suo Ordine, andando o stando per lo mondo, servissono a' lebbrosi per lo amore di Cristo, il quale volle per noi essere reputato lebbroso; addivenne una volta, in uno luogo presso a quello dove dimorava allora santo Francesco, i frati servivano in uno spedale a' lebbrosi e infermi; nel quale era uno lebbroso sì impaziente e sì importabile e protervo, che ognuno credea di certo, e così era, ch'egli fosse invasato dal dimonio, imperò ch'egli svillaneggiava di parole e di battiture sì sconciamente chiunque lo serviva, e, che peggio era, egli vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto e la sua santissima madre Vergine Maria, che per niuno modo si trovava chi lo potesse o volesse servire. E avvegna che le ingiurie e villanie proprie i frati si studiassono di portare pazientemente per accrescere il merito della pazienza; nientedimeno, le ingiurie di Cristo e della sua Madre non potendo sostenere le coscienze loro, determinaronsi al tutto d'abbandonare il detto lebbroso: ma non lo vollono fare insino a tanto ch'eglino il significassono ordinatamente a santo Francesco, il quale dimorava allora in uno luogo presso. E significato che gliel'ebbono, santo Francesco se ne va a questo lebbroso perverso; e giugnendo a lui, sì lo saluta dicendo: «Iddio ti dia pace, fratello mio carissimo». Risponde il lebbroso rimbrottando: «E che pace posso io avere da Dio, che m'ha tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e putente?». E santo Francesco disse: «Figliuolo, abbi pazienza, imperò che le infermità de' corpi ci sono date da Dio in questo mondo per salute dell'anima, però ch'elle sono di grande merito, quand'elle sono portate pazientemente». Risponde lo infermo: «E come poss'io portare pazientemente la pena continua che m'affligge il dì e la notte? E non solamente io sono afflitto dalla infermità mia, ma peggio mi fanno i frati che tu mi desti perché mi servissono, e non mi servono come debbono». Allora santo Francesco, conoscendo per rivelazione che questo lebbroso era posseduto dal maligno spirito, andò e posesi in orazione e pregò divotamente Iddio per lui. E fatta l'orazione, ritorna a lui e dice così: «Figliuolo, io ti voglio servire io, da poi che tu non ti contenti degli altri». «Piacemi; – dice lo infermo – ma che mi potrai tu fare più che gli altri?». Risponde santo Francesco: «Ciò che tu vorrai, io farò». Dice il lebbroso: «Io voglio che tu mi lavi tutto quanto, imperò ch'io puto sì fortemente, ch'io medesimo non mi posso patire». Allora santo Francesco di subito fece scaldare dell'acqua con molte erbe odorifere, poi spoglia costui e comincia a lavarlo colle sue mani, e un altro frate metteva su l'acqua. E per divino miracolo, dove santo Francesco toccava colle sue sante mani, si partiva la lebbra e rimaneva la carne perfettamente sanata. E come si cominciò a sanare la carne, così si cominciò a sanare l'anima; onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciò ad avere grande compunzione e pentimento de' suoi peccati, e a piagnere amarissimamente; sicché mentre che il corpo si mondava di fuori dalla lebbra per lavamento d'acqua, l'anima si mondava dentro dal peccato per la contrizione e per le lagrime. Ed essendo compiutamente sanato quanto al corpo e quanto all'anima, umilmente si rendette in colpa e dicea piagnendo ad alta voce: «Guai a me, ch'io sono degno dello inferno per le villanie e ingiurie ch'io ho fatte a' frati, e per la impazienza e bestemmie ch'io ho avute contro a Dio». Onde per quindici dì perseverò in amaro pianto de' suoi peccati e in chiedere misericordia a Dio, confessandosi al prete interamente. E santo Francesco veggendo così espresso miracolo, il quale Iddio avea adoperato per le mani sue, ringraziò Iddio e partissi indi, andando in paese assai di lunge; imperò che per umiltà volea fuggire ogni gloria mondana e in tutte le sue operazioni solo cercava l'onore e la gloria di Dio e non la propria. Poi, com'a Dio piacque, il detto lebbroso sanato del corpo e dell'anima, dopo i quindici dì della sua penitenza, infermò d'altra infermità; e armato dei Sacramenti ecclesiastici si morì santamente. E la sua anima, andando a Paradiso, apparve in aria a santo Francesco, che stava in una selva in orazione, e dissegli: «Riconoscimi tu?». «Qual se' tu?» dice santo Francesco. Ed egli: «Io sono il lebbroso il quale Cristo benedetto sanò per i tuoi meriti, e oggi vo a vita eterna; di che io rendo grazie a Dio e a te. Benedetta sia l'anima e il corpo tuo, e benedette le tue parole e le tue operazioni; imperò che per te molte anime si salveranno nel mondo. E sappi che non è dì nel mondo, nel quale i santi Angeli e gli altri Santi non ringrazino Iddio de' santi frutti che tu e l'Ordine tuo fate in diverse parti del mondo; e però confortati e ringrazia Iddio, e sta' colla sua benedizione». E dette queste parole, se n'andò in cielo; e santo Francesco rimase molto consolato. A laude di Cristo. Amen. COME SANTO FRANCESCO CONVERTÌ TRE LADRONI MICIDIALI, E FECIONSI FRATI; E DELLA NOBILISSIMA VISIONE CHE VIDE L'UNO DI LORO, IL QUALE FU SANTISSIMO FRATE [XXVI]Santo Francesco andò una volta per lo distretto del Borgo a Santo Sepolcro, e passando per uno castello che si chiamava Monte Casale, venne a lui un giovane nobile e molto delicato e dissegli: «Padre, io vorrei molto volentieri essere de' vostri frati». Risponde santo Francesco: «Figliuolo, tu se' giovane, delicato e nobile; forse che tu non potresti sostenere la povertà e l'asprezza nostra». Ed egli: «Padre, non siete voi uomini come io? Dunque come la sostenete voi, così potrò io colla grazia di Cristo». Piacque molto a santo Francesco quella risposta; di che benedicendolo, immantenente lo ricevette all'Ordine e posegli nome frate Angelo. E portossi questo giovane sì graziosamente, che ivi a poco tempo santo Francesco il fece guardiano nel luogo del detto Monte Casale. In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, i quali faceano molti mali nella contrada; i quali vennono un dì al detto luogo de' frati e pregavano il detto frate Angelo guardiano che desse loro mangiare. E il guardiano risponde loro in questo modo, riprendendoli aspramente. «Voi, ladroni e crudeli omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui; ma eziandio, come presuntuosi e sfacciati, volete divorare le limosine che sono mandate a' servi di Dio, che non siete pur degni che la terra vi sostenga, però che voi non avete niuna reverenza né a uomini né a Dio che vi creò: andate dunque per i fatti vostri, e qui non apparite più». Di che coloro turbati, si partirono con gran disdegno. Ed ecco santo Francesco tornare di fuori colla tasca del pane e con un vasello di vino ch'egli col compagno aveano accattato; e recitandogli il guardiano com'egli avea cacciati coloro, santo Francesco forte lo riprese, dicendogli: «Tu ti se' portato crudelmente, imperò che i peccatori meglio si riducono a Dio con dolcezza che con crudeli riprensioni; onde il nostro maestro Gesù Cristo, il cui Evangelio noi abbiamo promesso d'osservare, dice che non è bisogno a' sani il medico ma agli infermi, e che non era venuto a chiamare i giusti ma i peccatori a penitenza; e però egli spesse volte mangiava con loro. Con ciò sia cosa adunque che tu abbia fatto contro alla carità e contro al santo Evangelio di Cristo, io ti comando per santa obbedienza che immantanente tu prenda questa tasca del pane ch'io ho accattato e questo vasello del vino, e va' loro dietro sollicitamente per monti e per valli tanto che tu li trovi, e presenta loro tutto questo pane e questo vino da mia parte; e poi t'inginocchia loro dinanzi e di' loro umilmente tua colpa della tua crudeltà, e poi li priega da mia parte che non facciano più male, ma temano Iddio e non offendano il prossimo; e s'egli faranno questo, io prometto loro di provvederli ne' loro bisogni e di dar loro continuamente da mangiare e da bere. E quando tu arai detto loro questo umilmente, ritornati qua». Mentre che il detto guardiano andò a fare il comandamento di santo Francesco, egli si pose in orazione e pregava Iddio ch'ammorbidasse i cuori di que' ladroni e convertisseli a penitenza. Giugne a loro l'ubbidiente guardiano e presenta loro il pane e il vino, e fa e dice ciò che santo Francesco gli ha imposto. E come piacque a Dio, mangiando questi ladroni la limosina di santo Francesco, cominciarono a dire insieme: «Guai a noi miseri isventurati! Come dure pene dello inferno ci aspettano, i quali andiamo non solamente rubando i prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo; e nientedimeno di tanti mali e così scellerate cose, come noi facciamo, non abbiamo niuno rimordimento di coscienza né timore di Dio. Ed ecco questo frate santo ch'è venuto a noi, per parecchie parole che ci disse giustamente per la nostra malizia ci ha detto umilemente sua colpa e oltre a ciò ci ha recato il pane e il vino e così liberale promessa del santo padre. Veramente questi frati sono santi di Dio, i quali meritano Paradiso: e noi siamo figliuoli della eterna perdizione, i quali meritiamo le pene dello inferno, e ogni dì accresciamo la nostra perdizione, e non sappiamo se de' peccati che noi abbiamo fatti insino a qui noi potremo trovare misericordia da Dio». Queste e simiglianti parole dicendo l'uno di loro, dissono gli altri due: «Per certo tu di' il vero; ma ecco, che dobbiamo noi fare?». « Andiamo – disse costui – a santo Francesco, e s'egli ci da speranza che noi possiamo trovare misericordia da Dio de' nostri peccati, facciamo ciò che ei ci comanda, e possiamo liberare le nostre anime dalle pene dello inferno». Piace questo consiglio agli altri; e così tutti e tre accordati se ne vengono in fretta a santo Francesco e dicongli così: «Padre, noi per molti e scellerati peccati, che noi abbiamo fatti, non crediamo poter trovare misericordia da Dio; ma se tu hai niuna speranza che Iddio ci riceva a misericordia, ecco noi siamo apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai e fare penitenza con teco». Allora santo Francesco, ricevendoli caritativamente e con benignità, sì li confortò con molti esempi e rendégli certi della misericordia di Dio, e promise loro di certo d'accattarla loro da Dio, mostrando loro come la misericordia di Dio è infinita: e se noi avessimo infiniti peccati, ancora la divina misericordia è maggiore, e che, secondo il Vangelo e lo apostolo santo Paolo, Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare i peccatori. Per le quali parole e simiglianti ammaestramenti, i detti tre ladroni renunziarono al demonio e alle sue operazioni, e santo Francesco li ricevette all'Ordine, e cominciarono a fare grande penitenza. E i due di loro poco vissono dopo la loro conversione e andaronsi a Paradiso; ma il terzo sopravvivendo e ripensando i suoi peccati, si diede a fare tale penitenza, che per quindici anni continui, eccetto le quaresime comuni le quali egli facea cogli altri frati, d'altro tempo sempre tre dì della settimana digiunava in pane e in acqua, e andando sempre scalzo e con una sola tonica indosso, mai non dormiva dopo Mattutino. Infra questo tempo santo Francesco passò di questa misera vita. Avendo dunque costui per molti anni continuata cotale penitenza, eccoti che una notte dopo Mattutino gli venne tanta tentazione di sonno, che per niuno modo egli potea resistere al sonno e vegghiare come soleva. Finalmente, non potendo egli resistere al sonno né orare, andossene in sul letto per dormire; e subito com'egli ebbe posto il capo giù, fu ratto e menato in ispirito in su uno monte altissimo, al quale era una ripa profondissima, e di qua e di là sassi spezzati e scheggiosi e scogli disuguali che uscivano fuori de' sassi; di che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l'Angelo che menava questo frate sì lo sospinse e gittollo giù per questa ripa; il quale trabalzando e percotendosi di scoglio in iscoglio e di sasso in sasso, alla perfine giunse al fondo di questa ripa, tutto smembrato e minuzzato, secondo che a lui parea. E giacendosi cosi malconcio in terra, dice colui che il menava: «Leva su, ché ti conviene fare ancora gran viaggio». Risponde il frate: «Tu mi pari molto indiscreto e crudele uomo, che mi vedi per morire della caduta, che m'ha così spezzato, e dimmi: – Leva su! –». E l'Angelo s'accosta a lui e toccandolo gli salda perfettamente tutti i membri e sanalo. E poi gli mostra una grande pianura piena di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene passare a piedi ignudi insino che giunga al fine; nel quale ei vedea una fornace ardente nella quale gli convenia entrare. Avendo il frate passata tutta quella pianura con grande angoscia e pena, l'Angelo gli dice: «Entra in questa fornace, però che così ti conviene fare». Risponde costui: «Oimè, quanto mi se' crudele guidatore, che mi vedi essere presso che morto per questa angosciosa pianura, e ora per riposo mi di' ch'io entri in questa fornace ardente». E ragguardando costui, ei vide intorno alla fornace molti demoni colle forche di ferro in mano, colle quali costui, perché indugiava d'entrare, sì vel sospinsono dentro subitamente. Entrato che fu nella fornace, ragguarda e videvi uno ch'era stato suo compare, il quale ardeva tutto quanto. E costui il domanda: «O compare isventurato, come venisti tu qua?». Ed egli risponde: «Va' un poco più innanzi e troverai la moglie mia, tua comare, la quale ti dirà la cagione della nostra dannazione». Andando il frate più oltre, ed eccoti apparire la detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura da grano tutta di fuoco; ed egli la domanda: «O comare isventurata e misera, perché venisti tu in così crudel tormento?». Ed ella rispose: «Imperò che al tempo della grande fame, la quale santo Francesco predisse dinanzi, il marito mio e io falsavamo il grano e la biada che noi vendevamo nella misura, e però io ardo stretta in questa misura». E dette queste parole, l'Angelo che menava questo frate sì lo sospinse fuori della fornace, e poi gli disse: «Apparecchiati a fare uno orribile viaggio, il quale tu hai a passare». E costui rammaricandosi diceva: «O durissimo conduttore, il quale non m'hai niuna compassione; tu vedi ch'io sono quasi tutto arso in questa fornace, e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso e orribile?». E allora l'Angelo il toccò, e fecelo sano e forte. E poi il menò ad uno ponte, il quale non si potea passare senza grande pericolo, imperò ch'egli era molto sottile e stretto e molto isdrucciolente e senza sponde dallato, e di sotto passava un fiume terribile, pieno di serpenti e di dragoni e di scorpioni, e gittava uno grandissimo puzzo. E dissegli l'Angelo: «Passa questo ponte, che al tutto ti conviene passare». Risponde costui: «E come lo potrò io passare, ch'io non caggia in quel pericoloso fiume?». Dice l'Angelo: «Vieni dopo me e poni il tuo piè dove tu vedrai ch'io porrò il mio, e così passerai bene». Passa questo frate dietro all'Angelo, come gli avea insegnato, tanto che giugne a mezzo il ponte; ed essendo così in sul mezzo, l'Angelo si volò via e, partendosi da lui, se ne andò in su uno monte altissimo di là assai da questo ponte. E costui considerò bene il luogo dov'era volato l'Angelo; ma rimanendo egli senza guidatore e riguardando giù, vedea quegli animali terribili stare co' capi fuori dell'acqua e colle bocche aperte, apparecchiati a divorarlo s'egli cadesse; ed era in tanto tremore, che per niuno modo ei non sapea che si fare né che si dire, però che non potea tornare addietro né andate innanzi. Onde veggendosi in tanta tribolazione e che non avea altro refugio che solo Iddio, sì s'inchinò e abbracciò il ponte e con tutto il cuore e con lagrime si raccomandava a Dio, che per la sua santissima misericordia lo dovesse soccorrere. E fatta l'orazione, gli parve cominciare a mettere ale; di che egli con grande allegrezza aspettava ch'elle crescessono per poter volare di là dal ponte, là dov'era volato l'Angelo. Ma dopo alcuno tempo, per la gran voglia ch'egli avea di passare questo ponte, si mise a volare; e perché l'ale non erano tanto cresciute, egli cadde in sul ponte, e le penne gli caddono: di che costui da capo abbraccia il ponte e come prima raccomandasi a Dio. E fatta l'orazione, anche gli parve mettere ale; ma come prima non aspettò ch'elle crescessono perfettamente, onde mettendosi a volare innanzi tempo, ricadde da capo in sul ponte, e le penne gli caddono. Per la qual cosa, veggendo che per la fretta ch'egli avea di valore innanzi al tempo ei cadea così, cominciò a dire tra se medesimo: «Per certo che, se io metto ale la terza volta, io aspetterò tanto ch'elle saranno sì grandi ch'io potrò volare senza ricadere». E stando in questo pensiero, ei si vide la terza volta mettere ale; e aspetta grande tempo, tanto ch'elle erano ben grandi; e parevagli, per lo primo e secondo e terzo mettere d'ali, avere aspettato bene centocinquanta anni o più. Alla perfine si leva questa terza volta con tutto il suo sforzo a volito, e volò in alto insino al luogo dov'era volato l'Angelo. E bussando alla porta del palagio nel quale egli era, il portinaio il domandò: «Chi se' tu che se' venuto qua?». Risponde: «Io sono frate Minore». Dice il portinaio: «Aspettami, ché ci voglio menare santo Francesco a vedere se ti conosce». Andando colui per santo Francesco, questi cominciò a sguardare le mura maravigliose di questo palagio; ed eccoti queste mura pareano tralucenti di tanta chiarità, ch'ei vedea chiaramente i cori de' Santi e ciò che dentro si faceva. E stando costui stupefatto in questo ragguardare, ecco venire santo Francesco e frate Bernardo e frate Egidio, e dopo santo Francesco tanta moltitudine di Santi e di Sante ch'aveano seguitato la vita sua, che quasi pareano innumerabili. Giugnendo, santo Francesco disse al portinaio: «Lascialo entrare, però ch'egli è de' miei frati ». Sì tosto come fu entrato dentro, sentì tanta consolazione e tanta dolcezza, che dimenticò tutte le tribulazioni ch'egli aveva avute, come se mai non fossono state. E allora santo Francesco, menandolo per dentro, sì gli mostrò molte cose maravigliose, e poi sì gli disse: «Figliuolo, ei ti conviene ritornare al mondo e staraivi sette dì, ne' quali tu t'apparecchia diligentemente con ogni devozione, imperò che dopo i sette dì, io verrò per te, e allora tu ne verrai meco a questo luogo de' beati». Ed era santo Francesco ammantato d'un mantello maraviglioso, adornato di stelle bellissime, e le sue cinque Stimmate erano come cinque stelle bellissime e di tanto splendore, che tutto il palagio illuminavano co' loro raggi. E frate Bernardo aveva in capo una corona di stelle bellissima, e frate Egidio era adornato di maraviglioso lume; e molti altri santi frati tra loro conobbe, i quali nel mondo non avea mai veduti. Licenziato dunque da santo Francesco, sì ritornò, benché mal volentieri, al mondo. Destandosi e ritornando in sé e risentendosi, i frati suonavano a Prima; sì ch'ei non era stato in quella visione se non da Mattutino a Prima, benché a lui fosse paruto stare molti anni. E recitando al suo guardiano tutta questa visione per ordine, infra i sette dì sì cominciò a febbricare; e l'ottavo dì venne per lui santo Francesco, secondo la promessa, con grandissima moltitudine di gloriosi Santi, e menonne l'anima sua al regno de' beati di vita eterna. A laude di Cristo. Amen. |
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