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Didattica > Strumenti > Scrittori religiosi del Trecento > Testi, 4 | |||||||||
StrumentiScrittori religiosi del Trecentodi Giorgio Petrocchi © 1974 – Giorgio Petrocchi Testi4. Caterina da Siena (2/4)ALLA CONTESSA BENEDETTA FIGLIUOLA DI GIOVANNI D'AGNOLINO SALIMBENI [CXIII]Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta carità, la quale carità è uno vestimento nuziale, che ricuopre ogni nostra nudità, e nasconde le vergogne nostre, cioè il peccato, il quale germina vergogna; lo spegne e consuma nel suo calore. E senza questo vestimento non possiamo entrare alla vita durabile, alla quale siamo invitati. Che è carità? è uno amore ineffabile, che l'anima ha tratto dal suo Creatore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue. Dico che l'aveva tratto del suo Creatore: e così è la verità. Ma come si trae? coll'amore: perocché l'amore non s'acquista se non coll'amore e dall'amore. Ma tu mi dirai, carissima figliuola: «Che modo mi conviene avere a trovare e acquistare questo amore?» Rispondoti, per questo modo. Ogni amore s'acquista col lume: perocché la cosa che non si vede, non si cognosce; onde non cognoscendosi, non s'ama. Conviensi dunque avere il lume, acciò che tu vegga e cognosca quello che tu debba amare. E perché il lume c'era necessario, provede Dio alla nostra necessità, dandoci il lume dell'intelletto, che è la più nobile parte dell'anima, colla pupilla, dentrovi, della santissima fede. E dicoti che, poniamoché la persona offenda il suo Creatore, non passa però né vive senza amore né senza il lume. Perocché l'anima, che è fatta d'amore e creata per amore alla immagine e similitudine di Dio, non può vivere senza amore; né amerebbe senza il lume. Onde se vuole amare, si conviene che vegga. Ma sai che vedere è, e che amare è quello degli uomini del mondo? È uno vedere tenebroso e oscuro; e per la oscura notte non si discerne la verità: ed è uno amore mortale, però che da morte nell'anima, tollendole la vita della Grazia. Ma perché è oscuro questo vedere? Perché s'è posto nella oscurità delle cose transitorie del mondo, avendosele poste dinanzi a sé, fuore di Dio; cioè che non le ragguarda nella sua bontà, ma solo le ragguarda per diletto sensitivo; il quale diletto e amore sensitivo mosse lo intelletto a vedere e cognoscere cose sensitive. Onde quest'affetto che si nutrica col lume dell'intelletto, poniamo prima che l'affetto il movesse, come detto è, le dà morte, commettendo la colpa, e tollere la vita della Grazia; perocché neuna cosa si può amare né vedere, fuore di Dio, che non ci dia morte; e però quello che s'ama, si dee amare in lui e per lui, cioè ricognoscere sé e ogni cosa dalla sua bontà. Sicché vedi, che questi ama e vede; perocché senza amare e senza vedere non si può vivere. Ma è differente l'amore degli uomini del mondo, il quale dà morte, dall'amore del servo di Dio, che dà vita: perocché l'amore che s'acquista dal sommo ed eterno Amore, dà vita di Grazia. Poi, dunque, ch'è il lume che ha l'occhio dell'intelletto, debbelo aprire col lume della santissima fede, e ponersi per obietto l'amore inestimabile che Dio ci ha mostrato. Allora l'affetto, vedendosi amare, non potrà fare che non ami quello che lo intelletto vidde e cognobbe in verità. O carissima figliuola, e non vedi tu che noi siamo un arbore d'amore, perché siamo fatti per amore? Ed è sì ben fatto questo arbore, che non è alcuno che ‘l possa impedire che non cresca, non tollergli il frutto suo, se egli non vuole. E hagli dato Dio a questo arbore uno lavoratore, che l'abbia a lavorare, però che gli piace; e questo lavoratore è il libero arbitrio. E se questo lavoratore l'anima non l'avesse, non sarebbe libera; non essendo libera, averebbe scusa del peccato: la quale non può avere, perocché neuno è, né il mondo né il dimonio né la fragile carne, che costrignerla possa a colpa alcuna, se ella non vuole. Perocché questo arbore ha in sé la ragione, se il libero arbitrio la vuole usare; e ha l'occhio dello intelletto, che cognosce e vede la verità, se la nebbia dell'amor proprio non gliel'offusca. E con questo lume vede dove debba esser piantato l'arbore; perocché, se noi vedesse e non avesse questa dolce potenzia dell'intelletto, il lavoratore averebbe scusa, e potrebbe dire: «Io ero libero; ma io non vedevo in che io potevo piantare l'arbore mio, o in alto o in basso». Ma questo non può dire; però che ha lo intelletto che vede, e la ragione, la quale è uno legame di ragionevole amore, con che può legarlo e innestarlo nell'arbore della vita Cristo dolce Gesù. Debbe dunque piantare l'arbore suo, poi che l'occhio dell'intelletto ha veduto il luogo, e in che terra egli debba stare a volere producere frutto di vita. Carissima figliuola, se ‘l lavoratore del libero arbitrio allora il pianta là dove debba essere piantato, cioè nella terra della vera umiltà (perocché nol dee ponere in sul monte della superbia, ma nella valle della umiltà); allora produce fiori odoriferi di virtù, e singolarmente produrrà quello sommo fiore della gloria e loda al nome di Dio: e tutte le sue operazioni e virtù, le quali sono dolci fiori e frutti, riceveranno odore da questo. Questo è quel fiore, carissima figliuola, che fa fiorire le virtù vostre: il quale fiore Dio vuole per sé, e il frutto vuole che sia nostro. Di questo arbore egli vuole solamente questi fiori della gloria, cioè che noi rendiamo gloria e loda al nome suo; e 'l frutto dà a noi, però ch'egli non ha bisogno di nostri frutti, perché a lui non manca alcuna cosa. Perch'egli è colui che è: ma noi che siamo coloro che non siamo, n'abbiamo bisogno. Noi non siamo per noi, ma per lui; però ch'egli ci ha dato l'essere, e ogni grazia che abbiamo sopra l'essere. Chè a lui utilità non possiamo fare. E perché la somma ed eterna Bontà vede che l'uomo non vive de' fiori, ma solo del frutto (perocché del fiore morremmo, e del frutto viviamo); però tolle il fiore per sé, e il frutto dà a noi. E se la ignorante creatura si volesse notricare di fiori, cioè, che la gloria e la loda, che dee essere di Dio, la desse a sé; sì gli tolle la vita della Grazia, e dagli la morte eternale, se egli muore che non si corregga, cioè che tolla il frutto per sé, e il fiore, cioè la gloria, dia a Dio. E poi che l'arbore nostro è piantato così dolcemente; egli cresce per sì fatto modo, che la cima dell'arbore, cioè l'affetto dell'anima, non si vede da creatura dove sia unito coll'infinito Dio per affetto d'amore. O figliuola carissima, io ti voglio dire in che campo sta questa terra, acciò che tu non errassi. La terra è la vera umiltà, come detto è; e 'l luogo, dov'ella è, è 'l Giardino chiuso del cognoscimento di sé. Dico che è chiuso, perché l'anima che sta nella cella del cognoscimento di sé medesima, ella è chiusa, e non è aperta, cioè che non si diletta nelle delizie del mondo, e non cerca le ricchezze, ma povertà volontaria; e non le cerca per sé né per altrui, e non si distende in piacere alle creature, ma solo al Creatore. E quando il demonio le desse laide e diverse cogitazioni con molte fadighe di mente e disordinati timori, allora ella non s'apre, ponendoseli a investigare, né a voler sapere perché vengano, né a stare a contendere con loro; e non spande il cuore suo per confusione né per tedio di mente; né abbandona gli esercizi suoi. Anco si serra e si chiude colla compagnia della speranza e col lume della santissima fede, e coll'odio e dispiacimento della propria sensualità, reputandosi indegna della pace e quiete della mente; e per vera umiltà si reputa degna della guerra, e indegna del frutto, cioè che si reputa degna della pena che le pare ricevere nel tempo delle grandi battaglie. E ponsi sempre per obietto Cristo crocifisso, dilettandosi di stare in croce con lui: e col pensiero caccia il pensiero. Or questo è il dolce luogo dove sta la terra della vera umiltà. Poiché la cima, cioè l'affetto dell'anima che va dietro all'intelletto, come detto è, ha cognosciuto l'obietto di Cristo crocifisso, l'abisso del fuoco della sua carità, il quale cognobbe in questo Verbo (perocché per questo mezzo ci è manifestato l'amore che Dio ci ha); e questo Verbo cognobbe nel cognoscimento di sé, quando cognobbe sé creatura ragionevole creata alla immagine e similitudine di Dio, e recreata nel sangue dell'unigenito suo Figliuolo; allora l'affetto sta unito coll'affetto di Cristo crocifisso; e coll'amore trae a sé l'amore; cioè coll'amore ordinato, che leva sopra il sentimento sensitivo, trae a sé l'amore affocato di Cristo crocifisso. Perocché il cuore nostro, quando è innamorato d'un amore divino, fa come la spugna, che trae a sé l'acqua. Perché la spugna se non fusse messa nell'acqua, non la trarrebbe a sé, non ostante che la spugna sia disposta dalla parte sua. E così ti dico che se la disposizione del cuore nostro, il quale è disposto e atto ad amare, se il lume della ragione e la mano del libero arbitrio no 'l leva e congiunge nel fuoco della divina carità; non s'empie mai della grazia di Dio: ma se s'unisce, sempre s'empie. E però ti dissi che dall'amore e coll'amore si trae l'amore. Poi che 'l vasello del cuore è pieno, e egli inacqua l'arbore coll'acqua della divina carità del prossimo; la quale è una rugiada e una piova che inacqua la pianta dell'arbore e la terra della vera umiltà, e ingrassa essa terra e il giardino del cognoscimento di sé; però che allora è condito col condimento del cognoscimento della bontà di Dio in sé. Tu sai bene che l'arbore non è bene inaffiato della rugiada e della piova, e è riscaldato del caldo del sole; non producerebbe il frutto; onde non sarebbe perfetto, ma imperfetto. Così l'anima, la quale è un arbore come detto è, perché fusse piantato, e non innaffiato colla piova della carità del prossimo e colla rugiada del cognoscimento di sé, e scaldato del sole della divina Carità; non sarebbe frutto di vita, né il frutto suo sarebbe maturo. Poi che l'arbore è cresciuto, e egli distende e' rami suoi, porgendo del frutto al prossimo suo, cioè frutto di santissime e umili e continue orazioni, dandogli esempio di santa e buona vita. E anco li distende, quando può, sovvenendolo della sua sustanzia temporale con largo e liberale cuore, schietto e non finto, cioè che mostri una cosa in atto, e non sia in fatto; ma schiettamente e con affettuosa carità il serve di qualunque servizio egli può, e che vede egli abbia bisogno, giusta il suo potere. La Carità non cerca le cose sue, e non cerca sé per sé, ma sé per Dio, per rendere e' fiori della gloria, e loda al nome suo; e non cerca Dio per sé, ma Dio per Dio, in quanto è degno d'essere amato da noi per la bontà sua; e non ama né cerca né serve il prossimo suo per sé, ma solo per Dio, per rendergli quello debito il quale a Dio non può rendere, cioè di fare utilità a Dio. Perché già io ti dissi che utilità a Dio non possiamo fare: e però il fa Dio fare al prossimo suo; il quale è uno mezzo, che c'è posto da Dio per provare la virtù, e per mostrare l'amore che abbiamo al dolce ed eterno Dio. Questa Carità gusta vita eterna, consuma e ha consumato tutte le nostre iniquità; e dacci lume perfetto, con pazienzia vera, e facci forti e perseveranti in tanto che mai non volliamo il capo a dietro a mirare l'arato; ma perseveriamo infino alla morte, dilettandoci di stare in sul campo della battaglia per Cristo crocifisso; ponendoci il sangue suo dinanzi, acciò che ci faccia inanimare nella battaglia come veri cavalieri. Adunque, poi che c'è tanto utile e necessaria, e sì dilettevole questa carità, che senz'essa stiamo in continua amaritudine, e riceviamo la morte, e sono scoperte le nostre vergogne, e nell'ultimo dì del giudizio siamo svergognati da tutto l'universo mondo, e dinanzi alla natura angelica e a tutti e' cittadini della vita durabile, (dove è vita senza morte, e luce senza tenebre, dove è la perfetta e comune carità, partecipando e gustando il bene l'uno dell'altro per affetto d'amore); è da abbracciarla questa dolce reina, e vestimento nuziale della carità, e con ansietato e dolce desiderio disponersi alla morte per potere acquistare questa reina; e poiché l'aviamo, volere sostenere ogni pena da qualunque lato elle ci vengano, infino alla morte, per poterla conservare e crescere nel giardino dell'anima nostra. Altro modo né altra via non ci veggo. E però ti dissi che io desideravo di vederti fondata in vera e perfetta carità. Pregoti per l'amore di Cristo crocifisso che ti studii, quanto tu puoi, di fare questo fondamento; e non ti bisognerà di temere di questo timore servile; né avere paura de' venti contrarii delle molestie del dimonio e delle creature, le quali sono tutti venti contrarii che vogliono impedire la nostra salute. Ma perché l'arbore posto nella valle non potrà essere offeso da' venti, sia umile e mansueta di cuore. Altro non ti dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. |
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