Logo di Reti Medievali 

Didattica

spaceleft Mappa Biblioteca Calendario Didattica E-Book Memoria Repertorio Rivista spaceright

E-learning

Enrica Salvatori,
Didattica della storia e nuove tecnologie.
Opportunità, problemi e scenari plausibili nelle Università italiane

© 2008 - Enrica Salvatori per “Reti Medievali”


  1. Liberiamo la piattaforma
  2. Storia e tradizione
  3. I piccoli passi del blended e-learning
  4. L’interazione cambia: forum, blog e wiki
  5. Passi ulteriori: indagini e costruzioni tra reale e virtuale
  6. Forza o debolezza?

Da diversi anni ormai le “nuove tecnologie” – ossia l’uso della Rete e del personal computer con le relative applicazioni – hanno modificato notevolmente il modo di lavorare degli storici italiani, anche se lo hanno fatto in misura diversa a seconda dell’attitudine personale verso il mezzo e la disponibilità – individuale o istituzionale – a sperimentare nuovi modi di ricerca e di condivisione delle risorse. Sul tema sono stati pubblicati libri, organizzati workshop e seminari e sono stati messe in atto progetti più o meno articolati [1]. La maggior parte di questi sforzi hanno tuttavia riguardato solo una parte del mestiere dello storico accademico – la ricerca – e hanno lasciato decisamente in secondo piano le questioni relative alla didattica della storia. In sostanza il dibattito ha riguardato più che altro la tipologia del saggio scientifico digitale, l’edizione e la ricerca delle fonti, l’editoria scientifica e i problemi connessi all’autoralità e alla stabilità del testo, mentre in genere si è posta scarsa attenzione alle potenzialità e ai problemi offerti dal mezzo informatico dal punto di vista dell’insegnamento universitario della disciplina [2].

Tale disattenzione, che sta via via diminuendo nella misura in cui gli atenei italiani si stanno dotando di piattaforme e strumenti per l’insegnamento a distanza, è dovuta a diversi fattori: l’attaccamento diffuso della docenza alle forme tradizionali di trasmissione del sapere, la scarsa attitudine degli umanisti a utilizzare il mezzo informatico, la necessità di apprendere un minimo di competenze tecniche per poter immettere materiale didattico on line [3] e infine il lavoro aggiuntivo richiesto dalla costruzione di un corso virtuale, sia a livello di docenza sia a livello di pesonale tecnico di supporto (informatici e tutor). A questi freni si oppongono però anche forze contrarie, che spingono a un ampliamento e a un arricchimento dei corsi su base telematica e che riguardano tutte le discipline universitarie nel loro complesso.

In primo luogo vi è l’esigenza, avvertita in maniera crescente, di consentire l’accesso ai corsi anche a studenti-lavoratori o comunque a studenti non-frequentanti, in risposta anche a una domanda generale di istruzione continua (lifelong learning) proveniente dalla società civile [4]. Una spinta non secondaria viene poi dall’abitudine sempre più diffusa tra la popolazione studentesca tradizionale di cercare on line materiali didattici e informazioni sui corsi: abitudine che spesso trova nel web un riscontro insoddisfacente o qualitativamente non idoneo. Allo stesso tempo anche i docenti di discipline umanistiche hanno cominciato a comprendere in misura sempre maggiore l’utilità di gestire virtualmente i “propri” studenti, organizzando prove in itinere on line o semplicemente mantenendo con loro un dialogo aperto anche al di fuori delle ore di lezione, per inviare avvisi, consigli, indicazioni bibliografiche e materiali didattici.

In seguito a queste pressioni, diseguali per forza e per motivazione, anche nei dipartimenti di storia sono fiorite varie iniziative di insegnamento a distanza, che, com’era prevedibile, si sono normalmente attestate su un livello di sperimentazione spontanea disorganizzata, tesa più a esperire le potenzialità del mezzo e a pesarne i difetti, che a costruire progetti organici di didattica on line o a enucleare le peculiarità del rapporto tra le nuove tecnologie e l’insegnamento della materia. Ne consegue che, esaminando la ancora scarna documentazione sull’argomento, la tipologia di saggio che si incontra più facilmente è quella della schedatura/recensione di case studies, ossia la riproposizione in maniera sintetica e ragionata di un’esperienza, con l’elencazione dei obiettivi raggiunti e delle difficoltà incontrate [5].

La lettura delle esperienze altrui – indubbiamente utile a chi voglia farsi una prima idea delle possibilità concrete offerte dalla tecnologia – produce tuttavia una certa insoddisfazione nel lettore interessato, per la differenza che inevitabilmente riscontra tra il proprio e l’altrui metodo di insegnamento e per le domande di metodologia generale che lascia normalmente inevase.

Per questo motivo, anche se i tempi non sono assolutamente maturi per azzardare grandi discorsi di sintesi che affrontino trasversalmente il problema del rapporto tra didattica della storia e nuove tecnologie sulla base delle esperienze realizzatesi in ambito universitario, propongo in questa sede un primo timido tentativo di enucleare alcuni dati comuni alle varie sperimentazioni che ho avuto personalmente occasione e possibilità di valutare. Data la difficoltà oggettiva di valutare dall’interno i corsi on line di storia attuamente aperti negli atenei italiani [6], tengo a precisare che le considerazioni che seguono derivano per buona parte da meditazioni sull’esperienza personale e sui non pochi corsi che tale esperienza mi ha portato a conoscere [7]. La speranza è quella di riuscire a estrapolare, pur partendo da un numero circoscritto di esempi, una serie di considerazioni a carattere trasversale e generale, che chiariscano alcuni dubbi a coloro che non hanno ancora osato proporre parte dei loro corsi sul web e che suscitino interventi più organici ed esaustivi tra coloro che invece possono vantare una familiarità più stabile e meditata con i sistemi di erogazione di corsi on line.

1. Liberiamo la piattaforma

Sgombriamo subito il campo dalle problematiche squisitamente tecniche e amministrative, ossia dalle questioni relative al tipo di software/piattaforma da utilizzare e alla qualità/utilità dei supporti alla diattica (tutor) che possono o devono accompagnare il docente nella erogazione del corso. Sorvolo rapidamente su entrambe le tematiche, non perché non siano importanti o interessanti, ma perché attengono al tema dell’e-learning nel suo complesso e non riguardano in particolare l’insegnamento della storia.

Riguardo al fattore tecnico, infatti, abbondano ormai in rete diverse analisi comparate tra le piattaforme LMS [8], in grado di gestire corsi singoli, iscrizioni, classi, interi corsi di laurea, master. Molte di queste piattaforme sono oggi open source, ossia sviluppate da comunità di informatici ed esperti di e-learning, che ne concedono l’uso gratuito e che erogano sempre in forma gratuita gli aggiornamenti [9]. Al di là del vantaggio economico evidente per una scelta di questo tipo (al di là anche della comparazione tra i prodotti disponibili, sempre auspicabile quando si procede all’acquisizione di una piattaforma LMS a livello di Facoltà o di Ateneo), le piattaforme open source sono favorite proprio dal fatto di avere alle spalle comunità composite di scienziati, normalmente molto attente ai riscontri provenienti dall’utenza. Questo circolo virtuoso tende col tempo a rendere sostanzialmente meno rilevanti i problemi squisitamente tecnici, perché se manca un applicativo in grado di agevolare una determinata operazione, basta far presente il problema alla community e aspettare che sia trovata, o consigliata, la soluzione adatta [10].

Riguardo al problema dei tutor, ossia delle persone che supportano la didattica on line intervenendo nelle fasi di costruzione del corso, sistemazione del materiale didattico, elaborazione e redazione di test, cura dei forum e analisi delle attività degli studenti, mi limiterò banalmente a dire che, a mio avviso, la loro presenza è indispensabile. Non si può infatti fare a meno della mediazione di personale specializzato, specialmente nelle fasi di avvio di un percorso didattico totalmente o parzialmente on line, sia per indirizzare i docenti verso un corretto uso della piattaforma, sia per seguire le attività degli studenti nelle classi numerose. Tuttavia questo bisogno ineludibile non è paragonabile a quello degli antichi “assistenti” o degli attuali “cultori della materia”, nel senso che non vi è assolutamente la necessità di avere un tutor per ciascun corso o per ciasuna disciplina insegnata. La necessità di appoggiarsi a un tutor deriva “naturalmente” dalla quantità di competenze tecniche ancora richieste per poter lavorare in maniera efficace su una piattaforma LMS e dal notevole lavoro aggiuntivo che implica la costruzione di un corso virtuale [11]. Tuttavia non è assolutamente indispensabile che la persona prescelta sia un esperto – nel nostro caso – di storia: la figura del tutor di un corso telematico appartiene infatti più al genere ibrido del tecnico laureato, in cui convivono competenze informatiche e umanistiche (in particolar modo pedagogiche) quasi a pari livello, nessuna delle quali particolarmente approfondita. Il tutor di una piattaforma LMS, che serve un corso di laurea di ambito umanistico, deve cioè conoscere le tecniche e le problematiche dell’e-learning, saper usare gli strumenti forniti dalla piattaforma col grado di amministratore ed essere in grado di dialogare con i docenti per gestire al meglio la distribuzione e l’organizzazione del materiale didattico. Autentico «informatico umanista» [12], tale figura professionale è perfettamente in grado non solo di essere di supporto a più corsi contemporaneamente senza dover essere esperto dell’una o dell’altra materia impartita, ma anche di rendere i docenti progressivamente sempre più autonomi nell’esercizio del loro ruolo in ambiente virtuale [13]. Se da un lato quindi è fortemente auspicabile che gli atenei, di concerto con le facoltà o i centri informatici, inseriscano nelle loro strategie di bilancio specifiche voci per l’assunzione di queste figure professionali, dall’altro tale impegno deve ritenersi come un investimento non eccessivo in termini numerici e destinato a stabilizzarsi nel tempo.

2. Storia e tradizione

Accantonato il tema tecnico-amministrativo, prima di affrontare di petto la questione della didattica della storia per via telematica, è necessario rispondere ad alcune domande: quali peculiarità ha la didattica della storia a livello universitario? Quali competenze e conoscenze intende fornire e quali strumenti normalmente usa?

Chiedo preventivamente perdono ai lettori per le banalità che espongo in questo paragrafo, specialmente a coloro che hanno ben chiaro cosa si può e deve proporre agli studenti e come. Tuttavia non si può parlare di eventuali implementazioni della didattica della storia via web se prima non si stabiliscono i punti cardine dell’insegnamento tradizionale.

A ben guardare non è che si sia scritto molto sull’argomento. La tradizionale libertà della docenza, che impronta da secoli l’insegnamento universitario, consente una ridotta capacità di analisi da parte di un lettore esterno sui modi in cui la disciplina è effettivamente insegnata nelle aule degli atenei [14]. Quello che si ha normalmente a disposizione è il programma del corso con l’elenco dei testi da portare all’esame e indicazioni molto sintetiche sugli obiettivi che il corso intende raggiungere [15]. La riforma universitaria introdotta nel 1999 basata sul sistema dei crediti, pur avendo pesantemente modificato la struttura di molti corsi di storia, non ha portato a una vera e propria discussione in ambito accademico sulle eventuali modificazioni che potevano essere esperite nelle forme della didattica [16]. L’unica forte elaborazione sul tema che sono riuscita a trovare è quella portata avanti dal progetto europeo Tuning, i cui gruppi di lavoro hanno provato a definire per le varie discipline una griglia di conoscenze e competenze minime che i diversi corsi dovrebbero fornire agli studenti [17]. All’interno dei materiali di Tuning è possibile quindi consultare quanto proposto anche per la Storia e quindi valutare quanto un corso singolo, uno avanzato o un intero corso di laurea triennale o specialistico in Storia “debbano” fornire agli studenti delle università europee [18].

Se limitiamo le nostre considerazioni a un singolo corso annuale di storia, dei livelli base e avanzato, possiamo dire che le peculiarità dell’insegnamento della storia riguardano [19]:

  1. La forma narrativa. Fare storia, e quindi anche insegnare storia, è essenzialmente narrare, raccontare. Tale peculiarità, indubbiamente comune anche ad altre discipline umanistiche, è particolarmente importante per la storia e, se da un lato privilegia le forme tradizionali dell’insegnamento ex cathedra, dall’altro implica anche problematiche complesse, legate agli stili e alle forme della narrazione che, come vedremo, possono avere sul web esiti innovativi. Di norma la spiegazione/narrazione di un particolare fenomeno storico si concretizza nella lezione classica, che corrisponde poi, da parte dello studente, a uno studio/lettura degli appunti e dei testi richiesti dal programma. L’obiettivo è quello di dare allo studente un’idea più o meno generale della struttura diacronica del passato, delle metodologie, degli strumenti e delle questioni del periodo cronologico a cui il corso è dedicato. Nei corsi avanzati si aggiungono ovviamente obiettivi più specifici riguardanti la trasmissione di una conoscenza approfondita di particolari tematiche, periodi, fenomeni o avvenimenti o, in qualche caso, l’acquisizione di competenze relative alla lettura, schedatura e comprensione delle fonti.
  2. Il taglio storiografico. Imperativo di ogni corso di storia è, o dovrebbe essere, far percepire allo studente la variabilità della visione della storia in relazione al periodo, al luogo e alla corrente di pensiero, per favorire inanzitutto la comprensione e il rispetto per i punti di vista elaborati in differenti contesti e, in seconda istanza, la percezione dell’evoluzione continua della ricerca storica. Anche questo obiettivo si raggiunge tradizionalmente tramite spiegazioni orali e con la lettura dei testi di studiosi esponenti di linee storiografiche differenti.
  3. Il rapporto con le fonti. Il recupero, la lettura e l’interpretazione delle fonti sono attività che fanno parte integrante del lavoro dello storico e di conseguenza rientrano di norma in qualsiasi corso di storia, pur in modi diversi. Nella lezione tradizionale le fonti sono normalmente lette/commentate a lezione, distribuite in fotocopia in aula o proiettate su uno schermo. In qualche raro caso rientra nelle attività richieste agli studenti anche la ricerca di determinati documenti fuori dell’orario di lezione, nei luoghi tradizionali della conservazione, come archivi, biblioteche o musei.
  4. Per quanto riguarda la valutazione delle conoscenze e delle competenze acquisite, i corsi universitari si storia prevedono di norma un esame orale, in cui lo studente riassume quanto appreso a lezione o sui testi, dimostrando così di aver compreso quanto letto/ascoltato, di saper usare una terminologia adeguata e di saper recuperare determinate risorse bibliografiche o documentarie. In qualche caso l’esposizione orale è preceduta o sostituita da una scritta.

3. I piccoli passi del blended e-learning

In questa prima fase e a livello accademico [20] le nuove tecnologie di comunicazione non solo non sembrano aver stravolto le tecniche di insegnamento e di verifica appena descritte, ma in realtà sembrano aver per ora modificato assai poco i modi tradizionali dell’insegnamento. La prudenza si impone perché ogni affermazione in proposito – è bene specificarlo – è destinata a non essere sostenuta da statistiche, per la difficoltà già denunciata di procedere con un’analisi a tappeto dell’offerta formativa on line.

Premesso questo si deve dire, innanzitutto, che la forma più diffusa di presenza in rete di corsi di storia appartiene al genere dell’e-learning misto – o blended – che utilizza gli strumenti del web solo a complemento di quanto fatto nelle lezioni tradizionali [21]. Si tratta, probabilmente, in parte di una scelta deliberata e in parte del prodotto di un processo di avvicinamento progressivo e graduale dei docenti ai nuovi mezzi. La lezione tradizionale tenuta di fronte a un gruppo di studenti, che il docente stimola e sollecita, è generalmente avvertita come estremamente efficace sul piano didattico, difficilmente sostituibile anche con gli strumenti tecnici più sofisticati. La distanza, l’impossibilità di percepire immediatamente dalle reazioni degli studenti l’avvenuta comprensione di una spiegazione, sono infatti ritenute di solito fattori fortemente negativi del full distance learning: da qui la predilezione verso delle forme più soft della didattica in linea, che ripropongono in veste elettronica strumenti didattici tradizionali [22]. Vediamo quali:

  1. Dossier testuali. Il docente rilascia via web testi di vario genere, dal saggio scientifico (recuperato da biblioteche digitali, banche dati, internet o digitalizzato autonomamente) al testo di raccordo fornito a supporto di quanto spiegato a lezione. Queste “dispense digitali” possono chiaramente avere formato diverso a seconda delle esigenze del docente: si trovano testi semplici (in formati .doc, .rft, .txt), ipertesti in html, slide. Su questo tipo di materiali non vi sono, come appare ovvio, particolari considerazioni da fare, se non che le recenti piattaforme LMS facilitano notevolmente la loro messa in rete. L’operazione, prima riservata ai pochi capaci di maneggiare il linguaggio html [23], di aprirsi un proprio sito internet e di procedere con un trasferimento ftp [24], è oggi resa estremamente semplice dalle funzionalità proprie di una qualsiasi piattaforma per l’insegnamento a distanza [25]. Tale servizio porta inoltre, quasi automaticamente, all’organizzazione interna di questi testi in maniera razionale o funzionale alle esigenze del corso.

Fig. 1: Schermata del corso di Introduzione agli studi storici (Università di Pisa, a.a. 2006-2007) su piattaforma Moodle. È visibile la distribuzione dei materiali nelle diverse sezioni del corso.

  1. Audio - podcast. La lezione è registrata – su un registratore mp3 [26] o su un computer dotato di microfono – e poi messa on line come un qualsiasi altro file, senza che siano necessari altri accorgimenti tecnici, né intervento di personale qualificato. Il file audio può però essere rilasciato anche tramite il sistema podcasting [27], che permette agli studenti di scaricare le registrazioni periodicamente e in maniera automatica attraverso programmi gratuiti chiamati «aggregatori». Ogni volta che il docente mette in rete la registrazione, l’aggregatore avvisa lo studente registrato/iscritto, il quale – se lo vuole – scaricherà il file sul suo computer e riascolterà la lezione sul computer stesso, oppure su un lettore portatile mp3 o su un telefono cellulare predisposto.

Fig. 2: Parte della pagina html di un programma di Storia Medievale (Università di Pisa, a.a. 2005-2006) con i link ai file audio e alle fonti.


Fig. 3: La medesima lezione rilasciata via podcast attraverso il client iTunes.


Dal punto di vista tecnico i problemi per la registrazione e l’immissione on line sono minimi, specialmente se la piattaforma è predisposta a catturare e organizzare in podcast i file audio, come per esempio Moodle [28].


Fig. 4: Schermata del servizio podcast per le lezioni di Introduzione agli studi storici su piattaforma LMS Moodle. Il tasto “Admin” consente di caricare da web il file audio e predisporlo automaticamente per il podcast.


La soluzione audio, specialmente con le nuove funzionalità offerte dal podcasting e dall’uso di formati audio compressi, appare come una specie di “uovo di Colombo” per la didattica universitaria a distanza. In sostanza replica per un utente esterno quanto il docente spiega a lezione e quindi costituisce in sostanza una formattazione digitale della tradizione, che può essere comunque arricchita dalla presenza on line di altri materiali – testi o immagini – utilizzati in aula [29]. Al di là della banalità del sistema, che ben poco innova a livello didattico [30], si deve sottolineare la grande apertura verso l’esterno che la soluzione comporta. Chiaramente le lezioni via podcast possono essere lasciate di pubblico dominio o riservate ai soli studenti iscritti, i quali però avranno la possibilità di ascoltare lezioni che non possono frequentare quando e dove vogliono, di riascoltare lezioni che hanno trovato particolarmente interessanti o difficili e di essere avvisati per ogni nuova lezione immessa in rete [31].

Questo mezzo di comunicazione si sta imponendo in misura crescente nella rete, anche per la diffusione di materiale non strettamente didattico, ma comunque prodotto a livello universitario. Mi riferisco ai seminari e alle conferenze che giornalmente sono organizzati negli atenei italiani a supporto delle loro attività di ricerca e di dottorato [32]. Con un investimento minimo da parte dei Dipartimenti o dalle Facoltà umanistiche o ancora dagli stessi Atenei, sarebbe relativamente semplice consentire a un’utenza più ampia l’ascolto dei seminari organizzati internamente, a tutto vantaggio dell’aggiornamento degli studiosi e della distribuzione di cultura tra gli appassionati. Si sta tentando attualmente (a.a. 2007-2008) tale esperimento all’Università degli Studi della Tuscia su iniziativa di Gino Roncaglia, che così dichiara:

Una università non è solo la sede di lezioni formali e organizzate ma anche l’occasione per incontri, dibattiti, iniziative culturali diverse, magari con la partecipazione di ospiti di rilievo esterni allo staff docente dell’ateneo. Attraverso questo ciclo di podcast almeno alcune di queste occasioni potranno essere seguite, anche a distanza di tempo, da chiunque. Si tratta di contenuti che non nascono come lezioni formali, quindi la loro durata potrà variare e la registrazione potrà essere un po’ meno ‘pulita’, ma il loro valore è proprio quello di testimoniare una parte importante della vita culturale di una università, quella che ne fa un centro di incontro e di dibattito aperto, anche al di là dell’attività di formazione strettamente istituzionale. Lo scopo dei nostri podcast è quello di aprire le aule dell’Università anche all’esterno, e di offrire a tutti, indipendentemente dalla loro età, dalla loro localizzazione geografica e dalla loro situazione personale e professionale, delle occasioni di formazione, di approfondimento culturale, di riflessione [33].

Si deve però rilevare che l’uso della trasmissione audio in podcasting – limitatamente alla didattica – ha alcune importanti controindicazioni. In primo luogo non è adatta a docenti che già nella lezione tradizionale avviano serrati confronti dialettici con gli studenti o, viceversa, a coloro che si imbarazzano davanti a un microfono o che comunque interrompono la continuità del discorso con esempi, incisi, pause o lunghe digressioni. Sono tutte caratteristiche non nocive alla didattica tradizionale, ma potenzialmente dannose se si pensa allo studente non frequentante, che si limita ad ascoltare senza avere di fronte alcuno e quindi senza poter legare il discorso alle espressioni del viso, ai movimenti e alle azioni compiute dal docente in aula [34].

La trasposizione digitale dei modi tradizionali della didattica universitaria della storia replica, in sostanza, le formule didattiche classiche del tipo “ascolta e ripeti” o “leggi e scrivi”, assai diffuse negli atenei di tutta Europa e consistenti nella lettura/ascolto di testi e nella conseguente redazione scritta od orale, da parte dello studente, di elaborati di contenuto e formato variabili. È senza dubbio il metodo più semplice di e-learning di ambito umanistico, in quanto presuppone per il docente/tutor solo lo sforzo organizzativo del materiale da far leggere, con l’eventuale redazione di testi di raccordo tra le letture assegnate e la possibile eleaborazione di questionari (domande aperte o test) da fornire in corso d’opera o alla fine del corso, allo scopo di valutare il livello di apprendimento raggiunto [35]. Si deve notare tuttavia che, rispetto al corso tradizionale (in cui vi è comunque un’opera di preparazione del materiale didattico), l’immissione on line di testi, immagini e slide – specialmente se facilitato da una piattaforma LMS – implica quasi inevitabilmente una maggiore attenzione data all’organizzazione del materiale stesso, che “deve” essere distribuito secondo logica all’interno della pagina. In sostanza è il mezzo stesso che favorisce, da parte del docente, una più agevole autovalutazione del programma proposto, della distribuzione equilibrata dei carichi di lavoro, del buon raccordo tra i temi e delle prove in itinere. Tutto questo porta di per sé un valore aggiunto, che è quello della consapevolezza, da parte dei docenti, degli obiettivi che si vogliono ottenere in relazione al tempo a disposizione e alla qualità dell’utenza. Tale consapevolezza – indubbiamente alla base anche di numerosi corsi “tradizionali” – diventa un processo quasi obbligatorio nel corso on line e rappresenta un traguardo di non poco conto nella direzione della trasparenza delle metodologie didattiche e nella possibilità di valutare (o meglio di autovalutare) la qualità dell’insegnamento [36]. Mi riferisco al processo di costruzione delle Unità Didattiche, realtà ben note e studiate sia nel campo dell’insegnamento tradizionale scolastico sia in quello dell’e-learning, dove prendono il nome di Learning Object [37].

Un esempio concreto, tra i tanti possibili, viene dal modulo prodotto dal gruppo bolognese del progetto europeo eHLEE [38] nell’a.a. 2005-2006 all’interno del corso pilota in Identities in European history [39]. La sezione curata dall’università di Bologna riguardava «l’antichità romana e la costruzione dell’identità culturale nell’Italia antica e contemporanea». Per far percepire agli studenti i legami tra la rielaborazione augustea della storia antica di Roma e la riproposizione fascista del modello romano augusteo, il team bolognese ha immesso materiali didattici diversi: testi, fonti, immagini (tra cui le serie dei francobolli fascisti dedicati alla celebrazione della romanità) e un video dell’Istituto Luce. I materiali però non sono stati immessi in maniera disorganizzata, ma esposti in fasi concatenate, ognuna delle quali ritmata da letture, visioni, analisi e momenti di interazione tra studenti e tutor/docente.


Fig. 5: Parte delle risorse del modulo costruito dal gruppo dell’Università di Bologna (diretto da Carla Salvaterra) all’interno del corso pilota organizzato da eHLEE.


Fig. 6: All’interno del medesimo modulo la lista dei compiti assegnati agli studenti.


Questo insieme ha formato di fatto una realtà unica, organica e in un certo senso autosufficiente che, nell’opinione degli autori, poteva servire per ottenere un determinato livello di apprendimento sul tema in esame: ossia costituiva un Learning Object.

La pratica continua di uso di una piattaforma per l’e-learning, con la conseguente costruzione e con il raffinamento dei materiali immessi, potrebbe portare a una circolazione di questi “oggetti didattici digitali” tra i docenti degli atenei italiani, che potrebbero recuperare il pacchetto sul tema dell’«Identità culturale dell’Italia antica» appena descritto e inserirlo, con o senza modifiche, all’interno di un corso – per esempio – sulla «Storia del Fascismo» [40].

Una simile pratica si sta affermando in altri campi, come per esempio nei corsi di aggiornamento delle figure professionali (medici, farmacisti, bancari, ecc.), e sta portanto alla definizione anche di formati standard per la costruzione dei Learning Object, elaborati spesso con l’aiuto di personale specializzato [41]. Non sembra questa per ora la strada battuta dal mondo dell’università, che tende a prediligere prodotti meno definiti e chiusi, ossia pacchetti “aperti” contenenti materiali diversi anche per formato, sebbene interscambiabili (come per esempio ipertesti in html, slide, testi semplici e immagini) [42]. Un ulteriore intoppo è dato inoltre dal fatto che l’insegnamento della storia – specialmente per i corsi specialistici – è di norma fortemente collegato all’attività di ricerca del singolo docente, che solitamente trova di non facile riuso i materiali didattici confezionati da altri.

Le forme di blended e soft e-learning appena descritte godono comunque di un secondo valore aggiunto, tutt’altro che trascurabile, che attiene proprio al mezzo e alle forme dell’immisione dei materiali e che va a modificare pesantemente sia le forme della didattica sia – in misura maggiore – quelle dell’apprendimento. Mi riferisco alle possibilità aperte dall’interazione tra docente e studenti, che esamino di seguito.

4. L’interazione cambia: forum, blog e wiki

Le nuove tecnologie consentono, com’è noto, di comunicare e relazionarsi con altri in maniera varia a seconda delle necessità, tramite blog, forum, chat, posta elettronica o mailing list [43]. Questi strumenti possono ovviamente essere attivati in completa autonomia dal singolo docente per comunicare con i propri studenti e fornire loro materiali di vario genere. L’uso di una piattaforma LMS, tuttavia, rende facilmente accessibili i medesimi servizi in maniera integrata – anche per l’utente meno esperto – e consente di ottenere la creazione semiautomatica di spazi e gruppi di lavoro, aree di discussione o liste di corrispondenti, riguardanti i soli iscritti al corso. Se un loro uso a livello base può aiutare semplicemente a semplificare la gestione di tutte le comunicazioni di servizio (dal mutamento dell’aula alla cancellazione delle date degli esami), un livello lievemente più avanzato può modificare anche in maniera sostanziale le forme della didattica o – per essere più precisi – può arricchire i possibili percorsi di apprendimento.

Facciamo un esempio: l’intero corso o una sua parte, offerti nelle forme tradizionali sopra descritte, possono chiudersi con la richiesta agli studenti di partecipare al forum (o a una chat) con un minimo di invii, mirati e meditati, in rispota a precise problematiche enucleate dal materiale didattico messo a disposizione o sollecitate dal docente/tutor. Il corso già citato sulle «Identità nella storia europea» prevedeva, per alcune delle fasi in cui era strutturato, la lettura di testi disponibili on line e l’immissione nel forum di uno o più interventi, con la possibilità – auspicata – di commentare le opinioni altrui e sviluppare la discussione sulla base di una griglia di domande predisposte. L’obbligo iniziale all’intervento, servito in gran parte a dare una prima forte spinta alla lettura e alla partecipazione, è diventato in corso d’opera del tutto inutile in quanto la discussione – impegnata, utile e didatticamente assai efficace – è andata crescendo spontaneamente. Dalle dichiarazioni in seguito raccolte tra partecipanti, l’uso dei forum è stato l’aspetto avvertito come più innovativo rispetto alla lezione accademica tradizionale, dove la discussione in aula sovente latita per per mancanza di tempo, indisponibilità dei docenti o disabitudine dei discenti.

L’esperimento è stato ripetuto da chi scrive all’interno del corso di Introduzione agli studi storici dell’a.a. 2007-2008. Gli studenti dovevano leggere un certo numero di saggi citati e commentati a lezione. Dovevano poi fare – tra le altre cose – almeno un intervento nel forum su alcuni saggi e possibilmente commentare gli interventi dei colleghi: la lettura di questi post [44], numerosi e per lo più circostanziati, ha evidenziato uno sforzo generale alla comprensione e alla contestualizzazione dei testi dati in lettura, proprio in virtù dell’obbligo di discutere pubblicamente quanto letto.


Fig. 7: Intervento al forum di Introduzione agli studi storici (Universtà di Pisa, a.a. 2007-2008).


In un corso totalmente o parzialmente on line l’intervento nella discussione può diventare una tappa fondamentale del processo di apprendimento: lo studente è costretto a ragionare su quando dato, a metterlo in relazione con il resto del programma e a interagire con i colleghi [45]. Normalmente il confronto con gli altri fa nascere nuove curiosità, suscita nuove domande e sviluppa un maggiore spirito critico: obiettivo primario di un corso di storia che voglia rendere gli studenti consapevoli della soggettività della narrazione storica, del legame tra passato e presente e del carattere evolutivo della ricerca storica in atto.

La partecipazione alla discussione in forma scritta tende a rendere inoltre gli studenti più consapevoli – altro obiettivo formativo di un corso di storia – del linguaggio tecnico da utilizzare e dei riferimenti bibliografici o documentari da usare per corroborare la propria posizione, previo ovviamente controllo costante del tutor/docente di quanto immesso nell’area di discussione.

Il forum chiaramente è solo uno dei modi in cui l’interazione può essere indotta e sviluppata in maniera didatticamente efficace. Altri sistemi, sempre relativamente semplici da realizzare su una piattaforma LMS, possono riguardare per esempio il lavoro collaborativo, tramite l’apertura di wiki o di blog. Per chiarezza, provo a descrivere due casi specifici.

Un wiki è un un sito web – o un insieme di documenti ipertestuali – che permette a ciascuno dei suoi utilizzatori di aggiungere contenuti o di modificare i contenuti già esistenti [46]. Nella didattica della storia può essere utilizzato per aprire attività complementari del corso tradizionale, finalizzate a far acquisire agli studenti particolari competenze o conoscenze. Solo per dare qualche esempio, può essere usato per creare – e soprattutto far elaborare – un “glossario” o un “dizionario” della terminologia usata a lezione, o degli eventi di cui si è parlato, o dei testi che si è analizzato, o ancora degli autori che si è commentato, chiedendo ai partecipanti la creazione o l’integrazione progressiva e collaborativa delle voci. Altro esempio possibile – adatto forse a un corso specialistico – è quello di costruire un wiki di tipo squisitamente documentario: ossia utilizzare questo strumento per mettere on line una serie di fonti primarie o secondarie, consentendo agli studenti – sempre sotto attenta supervisione – la trascrizione dagli originali (o da fotocopie o da microfilm), la digitalizzazione di fonti già pubblicate in edizioni antiche, la modifica dei testi già immessi, la creazione del regesto e delle note critiche, la schedatura a fine di ricerca, e così via.


Fig. 8: Esempio di spazio collaborativo avente per oggetto una fonte medievale. I partecipanti possono, agendo sul link [modifica], integrare o modificare quanto scritto.


Un blog è una sorta di diario condiviso digitale, nato dalla contrazione dei termini web log ossia «traccia sulla rete»: consente la creazione automatica di una pagina web anche senza che si conosca il linguaggio html (compresa la personalizzazione grafica) e permette agli utenti esterni di inserire in maniera organizzata i commenti a quanto già immesso dal proprietario/gestore del blog. Questa forma di comunicazione ha avuto – com’è noto – un grande successo negli ultimi anni tra il pubblico della rete, ma ha provocato qualche sperimentazione interessante anche sul piano della didattica. L’Università degli Studi di Siena, per esempio, ha usato un blog proprio per strutturare la propria piattaforma per l’e-learning [47]. Nella prima pagina gli studenti trovano gli avvisi, le news e l’elenco dei docenti che hanno immesso materiale didattico. Cliccando sul nome del docente si possono poi visualizzare e scaricare i materiali dei singoli corsi.


Fig. 9: Blog del corso di Storia dell’arte medievale a.a. 2004-2005 (Michele Bacci, Università degli Studi di Siena).


Personalmente ho sperimentato questo sistema per il corso di Metodologia della ricerca storica nel corso di studi di Informatica Umanistica nell’a.a. 2005-2006 presso l’Università di Pisa. Ho aperto un blog su un server esterno all’università – all’epoca non avevo la disponibilità di una piattaforma istituzionale – e l’ho usato a complemento delle lezioni tradizionali tenute in aula [48]. Il blog della «Compagnia del sigillo» è stato organizzato come se fosse l’area di lavoro collaborativo per un’équipe di ricercatori, assunti da uno scrittore per la contestualizzazione del suo romanzo storico. Nella “finzione” la sottoscritta era la scrittrice di un romanzo giallo ambientato nel medioevo, mentre gli studenti si dovevano immedesimare nel gruppo dei ricercatori “assunti” dalla giallista. L’idea era quella far diventare gli studenti consapevoli del fatto che per costruire un romanzo storico bisogna conoscere con esattezza la mentalità, gli usi, i costumi, il linguaggio, le credenze e i comportamenti sociali delle persone che vivevano nel periodo di ambientazione del romanzo. Per farlo lo scrittore ha, nella vita reale, due strade obbligate: leggere a fondo le pubblicazioni a carattere storico e analizzare direttamente le fonti primarie. Entrambe le strade sono state fatte seguire agli studenti, sia tramite lezioni e letture tradizionali e sia tramite la richiesta di contenuti specifici da immettere nel blog. Nelle lezioni la docente/scrittice ha illustrato la trama, contestualizzato in maniera generale il romanzo nell’epoca storica in cui si sarebbe dovuto ambientare e distribuito ai singoli studenti letture appropriate per approfondire una determinata tematica (per esempio: sui modi di viaggiare oppure sul ruolo della donna), pescando il più possibile in ambiti storiografici differenti (soprattutto francese e italiano). Gli studenti dovevano poi relazionare in aula sulle letture fatte, proponendo sintesi critiche dell’argomento loro assegnato e individuando possibili canali di approfondimento. Dopo la dicussione collettiva lo studente poteva procedere all’immissione on line di contributi più o meno articolati, ricavati dal lavoro fatto.


Fig. 10: Pagina del blog «La compagnia del sigillo», aperto per il corso di Metodologia della ricerca storica (Università di Pisa, a.a. 2005-2006).


L’immissione dei materiali da parte degli studenti era quindi successiva a una loro relazione in aula sulle letture fatte e di conseguenza non era né disordinata o casuale, né priva del controllo attento da parte della docente. Anche nel blog ognuno doveva intervenire all’interno di categorie predefinite dal docente o proposte in autonomia dagli studenti. Questo portava in maniera automatica a un’organizzazione interna del blog stesso e consentiva a tutti di aggiungere o correggere dati inviati da altri in maniera funzionale.


Fig. 11: Esempio di un post nel blog «La compagnia del sigillo». A sinistra parte della lista delle categorie utilizzate.


L’utilità del sistema – che aveva come unica controindicazione il numero limitato degli studenti che potevano collaborare efficacemente a un’esperienza di questo tipo – è risultata chiara in corso d’opera e alla fine delle lezioni. Gli studenti, che hanno partecipato con entusiasmo all’impresa, pur non facendo parte di un corso di laurea in storia, sono riusciti ugualmente a recepire le differenze della storiografia italiana e francese riguardante la vita quotidiana, gli usi e i costumi del medioevo, a comprendere le difficoltà di contestualizzazione di un evento in un periodo e luogo specifici, a leggere e contestualizzare alcune fonti [49]. Tale risultato – ovviamente – si potrebbe ottenere anche da un corso tradizionale, organizzato in maniera seminariale e di fatto il corso appena descritto si è sviluppato in buona parte con incontri “in presenza”: il blog è stato infatti solo uno strumento aggiuntivo, un complemento utile a disporre su una piattaforma di lavoro collaborativo quello che docente e studenti stavano mano a mano elaborando in aula. Tutti i partecipanti potevano in qualsiasi momento consultare (controllare, correggere, migliorare) l’insieme delle informazioni raccolte, suggerire nuove ricerche e sviluppi, aggiungere dati: attività difficilmente gestibili all’interno delle 30 ore di un corso tradizionale.

5. Passi ulteriori: indagini e costruzioni tra reale e virtuale

Appare palese, credo, che con il corso/blog appena descritto ci muoviamo su un livello decisamente diverso rispetto alla riproposizione in forma digitale di forme classiche della didattica. L’interazione tra docente e studenti è diventata in quest’ultimo caso il perno su cui ha ruotato l’attività didattica, che è stata quindi modificata in maniera decisiva rispetto alla tradizione. Il dialogo on line e lo strumento che lo gestisce (il blog) ha creato unoscambio continuo tra i partecipanti al corso, che proseguiva oltre l’orario della lezione/incontro frontale e che creava le condizioni per un lavoro di gruppo, autenticamente collaborativo su un progetto condiviso [50]. Questa però non è stata l’unica innovazione riscontrabile nella «Compagnia del sigillo», che ha dovuto gran parte del suo “successo” al gioco/finzione impostato tra la docente e gli studenti, ossia all’incarico dato agli studenti di contestualizzare e discutere un romanzo storico.

La scelta fatta ci riporta a una delle caratteristiche perculiari del “fare storia” già ricordate: la forma narrativa. Lo storico è, infatti, soprattutto un narratore, che recupera e rielabora storie narrate prima di lui, le confronta con le fonti (rilette, recuperate o trovate ex novo) per arrivare alla redazione di una nuova storia, che aggiunge contenuti o modifica l’interpretazione storiografica precedente. A livello didattico, presentare la storia prestando maggiore attenzione alla dimensione narrativa (e agli stili che la connotano tradizionalmente), può portare alla costruzione di corsi estremamente coinvolgenti, che hanno per esempio come base, o come corredo, film/romanzi storici da discutere, analizzare e criticare oppure eventi del passato da indagare “come in un romanzo”.

Così, per esempio, nel corso di Storia Moderna tenuto a Pisa da Stefano Villani per il Corso di studi in Comunicazione pubblica, sociale e d’impresa una parte delle lezioni, tenute come “seminario” in aula e on line, hanno riguardato proprio il modo in cui la storia dell’età moderna è “comunicata” nella fiction.


Fig. 12: Parte della pagina principale su Moodle del corso di Storia Moderna  (Università di Pisa, a.a. 2006-2007).


Un esempio più avanzato di questo tipo di opzione è dato da un sito non italiano, «Who killed William Robinson?» dell’Università canadese di Victoria [51]. Alla base dell’idea vi è la constatazione che i delitti misteriosi e irrisolti hanno sempre avuto una grande capacità di attrarre l’attenzione e che quindi possono essere intelligentemente utilizzati per coinvolgere gli studenti in un’inchiesta. In questo caso gli autori del sito hanno messo a disposizione di insegnanti e studenti tutta una serie di strumenti (guide, saggi, riferimenti bibliografici e un archivio virtuale) per permettere loro di condurre delle vere e proprie indagini sull’assassinio dell’afro-americano William Robinson, avvenuto effettivamente a Salt Spring Island (British Columbia) nel 1868.


Fig. 13: Pagina principale del sito «Who killed William Robinson?».


Come gli autori dichiarano fin dalla pagina principale del sito, il complesso dei materiali messi in linea non è tanto finalizzato a “raccontare” la storia di William Robinson o della British Columbia, quanto a far capire il modo in cui deve o può lavorare lo studioso di storia, a far toccare con mano il mestiere dello storico e, in particolare, il processo di lettura e interpretazione delle fonti [52].

L’obiettivo degli autori di «Who killed William Robinson?» ci porta quindi a un’altra delle peculiarità della didattica della storia: la ricerca e l’esegesi delle fonti. Da questo punto di vista si deve dire che l’uso delle nuove tecnologie apre scenari veramente nuovi, che possono risultare da un lato estremamente utili, dall’altro potenzialmente dannosi.

L’ambiente virtuale consente per esempio l’accesso, ravvicinato ed efficace, a fonti che sarebbero normalmente di difficile o impossibile visione per gli studenti. Mi limito per esemplificare a due brevi esempi tra i numerosi che sarebbe possibile analizzare.

Alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, per esempio, hanno messo on line tutto il volume di Paleografia latina di Fernando de Lasala, con le trascrizioni, i commenti e le tavole [53]. Si potrà anche obiettare che i medesimi materiali possono essere distribuiti a lezione in fotocopia, ma non certo con la qualità raggiunta dalla digitalizzazione, e con la contestuale possibilità di ingrandire, proiettare l’immagine e costruire percorsi o esercizi di lettura.

A un livello superiore, per l’integrazione dei materiali e la qualità degli strumenti messi a disposizione, troviamo il sito svizzero di «Antiquit@s», portale di un corso di Storia antica, che consente l’accesso a un insieme di moduli didattici on line, frutto della collaborazione delle Università di Friburgo, Losanna, Berna e Zurigo [54]. All’interno di questo sito, nel modulo dedicato alla Numismatica, si possono visualizzare immagini di monete romane ad alta definizione. Lo studente, dopo aver letto e studiato alcuni testi secondo un percorso predefinito, deve tentare una loro schedatura secondo le modalità che sono proprie dei numismatici e che, di norma, non sono praticabili dagli studenti per l’indisponibilità della materia prima [55].


Fig. 14: Esercizio di schedatura delle monete romane offerto da «Antiquit@s». La barra di strumenti laterali contsente di ingrandire l’immagine, ruotarla e misurarla.


Ma la possibilità di avvicinare lo studente alla fonte, soprattutto quando questa per le sue caratteristiche intrinseche non può facilmente essere maneggiata, ingrandita o esplorata da vicino, non è l’unico vantaggio che offre la rete. La presenza sul web di risorse documentarie cresce infatti in maniera geometrica giorno dopo giorno. Per l’antichità, il medioevo e l’età moderna sono già adesso presenti ricche collezioni di fonti (testi e immagini) messe a disposizione da enti autorevoli [56]. Se si guarda poi all’età contemporanea, l’abitudine ormai diffusa delle istituzioni governative delle diverse nazioni di pubblicare on line gli atti ufficiali e la presenza in rete di banche dati e archivi digitalizzati di molti giornali e agenzie di stampa allarga in maniera difficilmente quantificabile il patrimonio documentario esplorabile. Intesa come “mega archivio” la rete può quindi effettivamente diventare non solo un grande spazio di ricerca per gli storici di professione, ma anche un’immensa palestra per gli studiosi in erba, gli studenti di corsi di storia più o meno avanzati, in cui proprio la ricerca delle fonti e in seconda istanza la loro lettura e il loro confronto incrociato diventano lo strumento per apprendere la disciplina.

All’interno del già citato corso pilota organizzato da eHLEE, una delle fasi finali dedicata all’unificazione Europea “apriva” allo studente luoghi virtualmente assai vasti [57]. Inizialmente è stato chiesto loro di riflettere sull’idea di Europa nella storia, cercando tra la biblioteca digitale di CLIOHnet [58] gli articoli più centrati sul tema, leggendone almeno uno e riversando poi le proprie considerazioni nel forum. Gli studenti dovevano poi cercare nel sito della Commissione Europea alcune fonti primarie (i trattati di Roma, Maastricht e Nizza) e successivamente dovevano valutare l’impatto o la ricezione della Costituzione Europea nel proprio Paese di provenienza [59]. Tale analisi doveva essere fatta tramite la lettura del preambolo costituzionale e la ricerca, entro il sito della Commissione, dei materiali preparatori della carta costituzionale, degli emendamenti proposti dalle nazioni e delle discussioni parlamentari, al fine di capire come la Costituzione stessa sia stata, e sia tutt’ora, una area di scontro e di incontro di identità. Altre tappe hanno poi riguardato la questione della cittadinanza e dell’equilibrio di bilancio degli stati membri, come anche gli effetti del recente voto negativo di Francia e Olanda alla Costituzione Europea: anche questi passaggi hanno implicato una buona dose di autonomia nel processo di ricerca e correlazione delle fonti e delle letture, da condurre sempre all’interno di siti o banche dati “consigliati”. Il controllo su quanto fatto avveniva poi a livello del forum e con la lettura delle relazioni individuali o di gruppo messe on line dagli stessi studenti [60].

Risulta evidente come come il percoso didattico appena descritto, basato su un modello di apprendimento “aperto” e incentrato sul lavoro di ricerca – si configura in maniera indubbiamente innovativa rispetto alle lezioni tradizionali, grazie soprattutto all’uso intelligente e consapevole delle nuove tecnologie. Risulta altrettanto evidente però che un’operazione di questo genere – mutatis mutandis – potrebbe essere esperita con maggiore difficoltà in un corso di storia medievale di base o di storia antica di base, ove gli studenti non sarebbero in grado di condurre liberamente le proprie ricerche sui siti che contengono, per esempio, le pubblicazioni digitali dei Monumenta Germaniae Historica o del Corpus Christianorum [61]. In questo caso l’opzione sarebbe più utilmente percorribile per i corsi avanzati, dove gli studenti possiedono – o dovrebbero possedere – una certa preparazione di base, una consapevolezza maggiore della qualità delle fonti utili allo studio di un determinato fenomeno o periodo storico. La scelta delle banche dati e il controllo sull’attività di ricerca eventualmente esperita dagli studenti deve infatti essere sempre fatta dal docente, che deve mediare l’accesso alle fonti, spiegando da quale contesto provengano, come e perché si sono conservate, come leggerne i contenuti e così via. Queste problematiche devono quindi essere ben presenti al docente stesso nel momento in cui pensa al corso e lo “costruisce”, scegliendo le fonti da commentare, i siti da far visitare e le eventuali “ricerche” da far condurre agli studenti a fini didattici o di valutazione.

In ogni caso, l’uso delle nuove tecnologie per la didattica della storia appare utile non tanto per arricchire il bagaglio delle “conoscenze” dello studente, quanto a migliorarne e affinarne le “competenze”. Esprimo qui un parere del tutto personale, che può venire negato da altri corsi e-learning di cui non ho avuto conoscenza; tuttavia quanto finora esperito mi ha convinto che i maggiori vantaggi che offre la rete e i suoi servizi in campo didattico, nell’ambito delle scienze umane, attiene più all’universo del “saper fare” che a quello del “sapere”. Le conoscenze relative alla struttura diacronica del passato e alle questioni portanti di un particolare periodo cronologico sono infatti più facilmente e utilmente acquisibili nelle forme tradizionali, ossia tramite l’ascolto e la lettura. Le competenze, invece, relative per esempio alla lettura e alla schedatura delle fonti, alla capacità di riassumere e discutere i testi letti, a percepire le problematiche della ricerca possono veramente ricevere dall’uso delle nuove tecnologie un valore aggiunto.

Mi pare che, a questo proposito, gli esempi sopra riportati siano abbastanza esplicativi. Anche al fine di illustrare uno spazio didattico veramente nuovo, che è ancora soggetto a sperimentazioni disparate e di valore assolutamente diseguale, mi sembra tuttavia utile descrivere una recente esperienza didattica dell’Università di Pisa attuata parzialmente in Second Life.

Per coloro che ancora non hanno avuto occasione di conoscerlo Second Life è un “mondo” nato nel 2003, totalmente virtuale, collaborativo, relizzato tramite la creazione oggetti in grafica 3D, dove i “residenti” socializzano, incontrano altre persone, esplorano, partecipano a eventi e ad attività, creano oggetti e servizi [62]. Diversi docenti e istituzioni in tutto il mondo stanno provando in questi ultimi anni a sperimentare il potenziale didattico di Second Life: secondo un’indagine del quotidiano «la Repubblica» (aprile 2007) oltre 60 università hanno una loro presenza virtuale sui server della ditta proprietaria di Second Life, la Linden Lab. Inizialmente questi “spazi” sono stati usati per l’autopresentazione dei servizi offerti dagli atenei “reali” e per l’organizzazione di esibizioni, ma ultimamente si moltiplicano esperienze di formazione vera e propria, sia con l’offerta di strumenti a supplemento alla lezione tradizionale, sia con l’organizzazione di veri e propri corsi virtuali [63].

Nel corso dell’a.a. 2007-2008 alcuni corsi di Infomatica Umanistica di Pisa e il Centre for Computing in the Humanities del King’s College di Londra hanno collaborato a un progetto comune di costruzione di edifici storici in Second Life. Lo spazio virtuale, nel caso specifico l’isola Digital Humanities [64], è stato utilizzato dagli studenti di entrambi i partner istituzionali per costruire (oltre a un centro accoglenza dotato di aule per lezioni e conferenze) la Torre di Londra, la Torre di Pisa e il Laboratorio di Galileo Galilei. Questo è avvenuto sotto la supervisione di alcuni docenti, seguendo linee metodologiche e contenutistiche espresse concordemente dagli stessi.


Figg. 15 e 16: Immagini del Laboratorio di Galileo Galilei in Digital Humanities island, in Second Life e, al suo interno, dell’esperimento dei pendoli.


In particolare la ricostruzione del Laboratorio di Galileo, fatta su modello del laboratorio attualmente allestito a Pisa dalla Fondazione Galileo Galilei [65] e contenente alcuni oggetti relativi a esperimenti galileiani, è frutto del lavoro congiunto di più insegnamenti. Gli oggetti in 3D sono stati costruiti dal corso di Grafica 3D; le animazioni da quello di Ideazione grafica e Computer Game; le informazioni storiche sul Galileo e i suoi esperimenti sono stati studiati dal corso di Introduzione agli studi storici B [66]. Il risultato è stato duplice: da un lato vi è stata l’effettiva realizzazione di un Laboratorio, visitabile, arredato con oggetti interattivi (stampe, libri, attrezzi), che informano il visitatore tramite immagini, audio e testi sull’opera di Galileo Galilei [67]; dall’altra parte è stato riscontrato da parte di tutti i docenti coinvolti nel progetto l’elevata efficacia didattica dello stesso. Gli studenti, a cui si è stato chiesto di creare prodotti specifici destinati a essere usufruibili da tutti e ad avere quindi una ricaduta esterna ai corsi stessi, hanno moltiplicato gli sforzi per il buon esito dei propri compiti [68] e, così facendo, hanno più prontamente acquisito competenze nuove e indirettamente, ma efficacemente, hanno anche accresciuto le proprie conoscenze sulla storia della scienza tra Cinque e Seicento.

Rimane per ora ancora tutta da discutere la questione del possibile riuso a fini didattici degli edifici “storici” modellati in Second Life. Le realizzazioni visibili nell’isola Digital Humanities, come anche nel parallelo progetto Theatron – che ha ricostruito il teatro di Pompeo a Roma [69] – sono indubbiamente suggestive e accattivanti. Non si riesce però ancora a capire in che misura possano efficacemente essere di miglior supporto a un corso di storia, archeologia o storia dell’arte, rispetto ad altri strumenti tradizionali come foto, planimetrie o disegni. Si tratta per ora di primi esperimenti, indubbiamente all’avanguardia, ma che hanno bisogno ancora di tempo e di studio per essere affinati e valutati.

6. Forza o debolezza?

Non ci sono infatti solo rose nel giardino del web didattico. Al contrario, la disparità degli strumenti e contemporaneamente la vastità delle risorse disponibili possono portare a un notevole disorientamento, percepibile sia dal docente nel momento in cui tenta di costruire il suo corso utilizzando le nuove tecnologie, sia dallo studente che di fronte alla vastità della rete tende a perdere concentrazione e capacità di analisi [70]. In sostanza l’abbondanza estrema delle risorse disponibili comporta problemi nuovi e di non poco conto sia per la ricerca storica, sia per l’insegnamento, e questo vale tanto per l’accesso alle fonti quanto per il reperimento della produzione storiografica. Sono temi e problemi già ampiamente presenti alla comunità degli storici e quindi ne presento qui solo una rapida analisi [71].

Relativamente alle fonti, l’accesso on line ad archivi e banche dati crea sovente un paradosso: da un lato lo studente riesce più facilmente di un tempo a trovare e visualizzare il contenuto di un documento, dall’altro però il recupero tramite i motori di ricerca e la restituzione digitale del singolo “pezzo”, estratto dal contesto, impedisce a chi ricerca la comprensione del contesto stesso. Osserverà la miniatura ma non apprezzerà l’intero codice, leggerà la pergamena ma perderà le dimensioni e le caratteristiche del fondo d’archivio, troverà il trattato di Nizza, ma non percepirà il legame con i documenti preparatori, e così via. Chiaramente esistono possibili correttivi al problema, come la presenza di descrizioni del fondo documentario da cui proviene il singolo testo o di “guide alla lettura” offerte dall’ente che ospita la banca dati, ma sono supporti di non facile messa in opera e che comunque, quando presenti, sono spesso trascurati dal lettore.

Sempre parlando delle fonti, le edizioni presenti in rete sono, com’è noto, di qualità estremamente variabile. Si trova l’edizione bruta del solo testo, recuperata spesso da antiche edizioni critiche a stampa e messa in rete priva del doveroso apparato di note e di indicazioni storico-bibliografiche, come, all’estremo opposto, l’edizione estremamente raffinata, prodotta dalla trascrizione diretta dall’originale, corredata da una puntigliosa marcatura nascosta in XML [72] e magari anche dotata di immagine digitale ad alta definizione dell’originale. In mezzo a questi due estremi si trova una vasta gamma di varianti (antologie di brani tradotti con o senza testo originale a fronte, raccolte di immagini di vecchie edizioni a stampa, collezioni digitalizzate ad alta definizione), che non turbano più di tanto lo storico professionista ma che rischiano di portare fuori strada lo studioso in erba e ancor più lo studente inesperto.

La ricchezza del patrimonio documentario on line nasconde quindi, dal punto di vista didattico, rischi elevati di disorientamento, di non comprensione dell’autoralità, della provenienza e dell’utilità della fonte. Anche in questo caso esistono ovviamente correttivi, come creare repertori critici [73] o riservare una parte del percorso didattico alle problematiche relative alla presenza delle fonti e degli studi in rete [74]. Ovviamente tutto questo non tocca i docenti che riservano alla sola lezione in aula la lettura e l’interpretazione delle fonti e che quindi esercitano – come è tradizione – un controllo assoluto su questo aspetto della didattica. C’è da rilevare tuttavia che gli studenti sono sempre più spinti, dalla rapida evoluzione del web e delle nuove tecnologie, a recuperare velocemente in rete quanto necessario: meglio allora prevedere comunque una “guida” all’uso e presenza delle fonti storiche nel web, raccomandando la frequentazione di alcuni siti, sconsigliandone altri, costruendo percorsi di lettura, organizzando brevi corsi o percorsi sul tema.

Relativamente agli studi, la ben nota avanguardia giocata dai paesi anglofoni nell’uso del web ha marcato in maniera eccessiva la tipologia della produzione storiografica scientifica scaricabile o consultabile. La stragrande maggioranza dei testi di storia reperibili in rete è scritta in inglese e – fattore molto più rilevante – è frutto di linee storiografiche sviluppatesi in America e nel Regno Unito, sovente molto distanti da quelle perseguite in Italia e nelle altre nazioni europee. Questo provoca uno squilibrio evidente nella disponibilità delle risorse, che si riflette – dal punto di vista didattico – in una povertà di fatto degli studi già digitalizzati e reperibili on line che un docente italiano di storia può o vuole consigliare ai suoi studenti [75].

Rimanendo sempre sul piano della produzione storiografica di qualità, ossia dotata di tutti i canoni condivisi dalla comunità scientifica [76], si deve considerare anche il fatto che, attualmente, le più ampie e organizzate banche dati di articoli sono accessibili quasi esclusivamente a pagamento, e quindi tramite computer collocati fisicamente all’interno delle strutture universitarie che sottoscrivono l’abbonamento al servizio. Questo ostacola notevolmente il reperimento di materiali da segnalare on line che possano essere letti dagli studenti da qualsiasi postazione.

Esistono chiaramente anche altri problemi strutturali da mettere in conto che, come accennato all’inizio, riguardano i fattori economici, amministrativi e organizzativi che stanno dietro a ogni corso universitario di studi. Nel corso del progetto eHLEE, cui ho avuto la fortuna di partecipare, tutti i partner del gruppo – docenti e tutor – si sono riuniti alla fine della sperimentazione attuata col corso pilota e hanno cominciato a elencare con un’analisi SWOT [77] gli elementi di forza e debolezza, le opportunità e i rischi dell’uso dell’e-learning nella didattica universitaria della storia [78]. Se si esaminano tuttavia i punti negativi – le debolezze e i rischi – non troviamo considerazioni che possano ritenersi esclusive dei corsi di storia o delle materie umanistiche in senso lato: riguardano infatti per lo più la mancanza di finanziamenti nel settore, l’assenza di figure professionali che facciano da intermediari (tutor), l’attitudine conservatrice della didattica universitaria e il problema dato dal grande dispendio di tempo e di energie che comporta la costruzione di un corso on line.

Nel versante opposto, i fattori positivi sono invece quasi tutti propri della didattica della storia: la moltiplicazione delle possibilità nel reperimento delle fonti, la facilità nell’accesso a differenti punti di vista, l’apertura di spazi di confronto.

Si potrà obiettare – e a buona ragione – che i rischi derivati dall’e-learning in campo storico non derivano tanto dal mezzo utilizzato, quanto dalla qualità intrinseca della didattica attuata, dalla comprensione ampia di tutte le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dalla successiva scelta delle metodologie più adatte a ottenere un determinato obiettivo formativo. Al di là dell’ovvia considerazione che questo vale anche per la didattica tradizionale, si deve sottolineare il fatto che per l’e-learning il rapido turn over degli strumenti disponibili e il costante aggiornamento che questo turn over richiede implicano per il docente interessato un ulteriore impegno all’autoaggiornamento, normalmente non considerato né incentivato all’interno del mondo accademico.

Mi auguro comunque che sia risultato chiaro, da questa rapida rassegna, che non esiste una sola formula possibile o consigliabile di e-learning di storia, ma un pout-pourri assai vario, composito e articolato, in cui appare ancora assai ampio il margine di sperimentazione, a patto che vi siano docenti interessati a tentare queste strade e a discutere l’esito dei loro esperimenti.

[1] I riferimenti al tema sarebbero sterminati. Limitando lo sguardo all’ambito italiano rinvio, per comodità, alle pubblicazioni di A. Zorzi, Medievisti nelle reti. Gli strumenti telematici e la pratica della ricerca storica, in «Quaderni medievali», 44 (1997), pp. 110-128, <http://www.storia.unifi.it/_PIM/AIM/qm1.htm>; Id., Il medioevo di Internet. Lo stato delle risorse telematiche per gli studi medievistici, in «Quaderni medievali», 45 (1998), pp. 146-179, <http://www.dssg.unifi.it/_PIM/AIM/qm2.htm>; Id., Millennio digitale. I medievisti e l’internet alle soglie del 2000, in «Memoria e ricerca. Rivista di storia contemporanea», 5 (gennaio-giugno 2000), pp. 199-211, <http://www.dssg.unifi.it/scriptorium/az/millennio.htm>; Comunicazione del sapere ed editoria digitale: problemi e prospettive per gli studi medievali, in Medioevo in rete tra ricerca e didattica. Atti del seminario di studi (Parma, 24 gennaio 2001), a cura di R. Greci, Bologna 2002, pp. 183-235, <http://www.dssg.unifi.it/scriptorium/az/editoria.htm>; P. Corrao, Storia nella Rete, storia con la Rete, in «Nuove Effemeridi. Rassegna trimestrale di cultura», 13 (2000), 51, pp. 53-60; Id., Ricerca medievistica e rete telematica: l’esperienza di Reti Medievali, in Pescar o navegar. La Edad Media en la Red, Zaragoza 2005, pp. 117-131; La storia al tempo di internet: indagine sui siti italiani di storia contemporanea, 2001-2003, a cura di A. Criscione, Bologna 2004; La storia nella rete, conversazione con Serge Noiret a proposito di storia e web,a cura di M. Pasetti, in «Storicamente – Laboratorio di storia», 2 (2006), <http://www.storicamente.org/02_tecnostoria/strumenti/02noiret.htm>. Riguardo ai workshop segnalo in particolare quelli organizzati dal Polo Informatico Medievistico <http://www.dssg.unifi.it/_storinforma/>. Le iniziative più rilevanti attualmente attive in rete per opera di gruppi di storici nazionali sono indubbiamente Reti Medievali <http://www.retimedievali.it> e Storia moderna <http://www.stmoderna.it/>.

[2] In Reti Medievali la sezione «Didattica» <../didattica/>, pur offrendo una ricca messe di materiali utili al docente universitario per l’organizzazione dei propri corsi, presenta nella rubrica «Discussioni» interventi decisamente più numerosi sulla didattica della storia nelle scuole, che sull’insegnamento della medesima disciplina all’università. Riguardo poi all’insegnamento universitario tramite l’uso delle nuove tecnologie vi sono da segnalare i testi di P. Corrao, E-classroom. Esperienze digitali e telematiche di didattica medievistica negli Stati Uniti, in Medioevo in rete tra ricerca e didattica, a cura di R. Greci, Bologna 2002, pp. 129-150, <../didattica/recensioni/corrao.htm>; eLearning. Didattica e innovazione in università, a cura di P. Ghislandi, Trento 2002 (scheda con accesso ad alcuni saggi in full text in <../didattica/discussioni/elearning.htm>. Relativamente a incontri sul tema si segnala quanto organizzato a Trento nel 2002 dedicato a Didattica delle discipline umanistiche e trasformazione digitale. Mutamenti e resistenze, i cui atti non sono stati pubblicati. Mi sembra molto indicativo il fatto che nell’ultimo manuale dedicato all’e-learning uscito in Italia siano commentate esperienze di aziende, scuola e pubbliche amministrazioni, ma non di atenei (si veda La classe virtuale. Teorie, strumenti e prassi per l’apprendimento online, a cura di N. A. Piave, Manduria [Taranto], 2007).

[3] Si dovrebbe in realtà distinguere tra competenze tecnologiche in senso stretto – da saper inviare un messaggio con un allegato a costruire passo dopo passo un test a risposta multipla – e competenze che attengono maggiormente alle problematiche dell’e-learning, alle strategie didattiche da applicare on line, alle modalità comunicative più efficaci esperibili in un corso a distanza. Nel primo caso si può fare affidamento a personale di supporto, per le seconde i docenti dovrebbero invece partecipare ad appositi corsi di aggiornamento o colmare autonomamente le proprie lacune.

[4] Mi riferisco alla richiesta di moduli professionalizzanti o di singoli corsi universitari da parte di persone che non hanno alcuna intenzione di ottenere una laurea triennale o specialistica, ma solo la necessità o il desiderio di aggiornarsi su determinate discipline per ragioni di lavoro o di crescita culturale. Altro possibile esempio è l’apertura ai corsi universitari ai detenuti delle carceri, impossibilitati per ovvi motivi a recarsi in qualsiasi ateneo. Tale pratica rientrerebbe, più in generale, nella così detta “terza missione” (o third mission o third stream) che – a giudizio di molti – l’università dovrebbe affiancare ai due compiti canonici della formazione e della ricerca: la diffusione fuori dalle sue mura delle conoscenze prodotte. Si veda P. Greco, L’università italiana e la “terza missione”, in «L’Unità» (12.03.07)<http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=64304>; H. Etzkowitz, A. Webster, Ch. Gebhardt, B. R. Cantisano Terra, The future of the university and the university of the future: evolution of ivory tower to entrepreneurial paradigm, in «Research Policy», 29 (2000), pp. 313–330 <http://www.norfa.no/_img/etzkowitz.pdf>. Si deve rilevare inoltre come nella maggior parte degli atenei tradizionali l’apertura teorica verso gli studenti lavoratori sia in realtà scoraggiata dal fatto che non è prevista per costoro nessuna riduzione delle tasse universitarie, anche se il loro utilizzo delle strutture universitarie è giocoforza ridotto. Tale ingiustizia potrebbe essere sanata proprio offrendo un funzionale servizio di educazione a distenza a chi, pur lavorando, voglia ottenere una laurea.

[5] Ne è un esempio il bel volume edito dal Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche di Trento: eLearning. Didattica e innovazione in università, a cura di P. Ghislandi, Trento 2002, che, proprio al fine di spingere i docenti universitari a sperimentare nuove forme di insegnamento, offre sostanzialmente una panoramica degli esperimenti attuati dal Laboratorio di innovazione didattica dell’ateneo trentino nell’anno precedente. Si veda anche E. Salvatori, E-learning History: Italy, in “Tämä Agricolan Tietosanomien”, 3 (2004) <http://agricola.utu.fi/tietosanomat/numero3-04/elitaly.html>; Ead., The use of weblogs in teaching. “La compagna del sigillo”, in E-learning History. Evaluating European Experiences, a cura di S. Anttonen, T. Onnela e H. Terho, Turku (Finland) 2006, pp. 171-187; Ead. e G. Marcazzani, Medieval History course at ICoN, in E-learning History cit., pp. 137-146; E. Salvatori, Identities in European History: un corso di storia a distanza “europea”, in “Reti Medievali – Didattica” <../didattica/corsi/salvatori.html>. La bibliografia italiana reperibile sull’argomento è comunque molto limitata se gettiamo lo sguardo al rapporto tra e-learning e università. Tutt’altro discorso emerge per l’uso delle nuove tecnologie nella didattica scolastica o per l’aggiornamento professionale in azienda, temi su cui sono disponibili monografie, volumi miscellanei e saggi su rivista (si veda solo per esempio il sito Form@re, newsletter per la formazione in rete <http://www.formare.erickson.it/pubbl.html>.

[6] La quasi totalità dei corsi on line richiede la registrazione con la login e la password fornite dalla struttura o dal docente. In qualche caso sono riuscita a entrare nei singoli corsi grazie appunto alla disponibilità del docente responsabile, ma è chiaro che tale strada, estrememente impegnativa in termini di tempo e scarsamente produttiva, non poteva essere battuta con sistematicità.

[7] Fin dai primi incarichi come docente alll’Università di Pisa (1998) ho utilizzato il web per rendere disponibili on line materiali didattici diversi, specialmente antologie di fonti. Nell’a. a. 2005-2006 ho sperimentato personalmente due forme diverse di e-learning. Per Metodologia della ricerca storica (Corso di studi in Informatica Umanistica) ho aperto un blog, mentre per Storia Medievale A (Corso di studi in Storia) ho rilasciato le lezioni via podcasting. Entrambi gli esempi vengono esaminati oltre. Tra 2004 e 2006 ho partecipato attivamente al progetto eHLEE (eHistory Learning Environment and Evaluation, <http://ehlee.utu.fi/>), tramite il quale ho avuto modo di partecipare alla costruzione di un corso pilota di storia in full distance learning e di valutare dall’interno numerosi corsi di storia europei e internazionali. Si veda. E-learning History. Evaluatin cit. Nell’a. a. 2006-2007 ho portato avanti presso il CISIAU (Centro Interdipartimentale per il Sistema Informatico dell’Area Umanistica) dell’Università di Pisa un progetto per la diffusione dell’e-learning in ambito umanistico, che ha portato all’apertura di una piattaforma per l’insegnamento a distanza <http://moodle2006.humnet.unipi.it>. L’esperimento ha avuto successo e la piattaforma messa in opera dal CISIAU si sta avviando a essere “la” piattaforma per l’e-learning dell’Ateneo pisano.

[8] Il Learning Management System (LMS) è la piattaforma applicativa che permette l’erogazione dei corsi in modalità e-learning. Sostanzialmente è un insieme di programmi integrati che consente la distribuzione dei corsi e del materiale didattico, l’iscrizione degli studenti, il tracciamento delle loro attività. Si veda S. Monti Bonafede, F. San Vicente, V. Preti, Caratteristiche e capacità delle piattaforme di e-learning per l’apprendimento delle lingue, in «Elearning papers», (2006) <http://www.elearningeuropa.info/out/?doc_id=9565&rsr_id=11005>; M. Rotta, L’accessibilità e l’usabilità delle piattaforme Open Source, in «Form@re – Erickson», (2005) <http://formare.erickson.it/archivio/febbraio_05/4_ROTTA_1.html>; M. Giacomantonio, Dove vanno le piattaforme di e-Learning, in «WBT», (2004) <http://www.wbt.it/index.php?risorsa=piattaforme_elearning>; M. Acquaviva, Learning Management Systems Open Source a confronto, in «iGel», 1/2 (2007), <http://www.wbt.it/index.php?pagina=145>.

[9] Attualmente nell’Università di Pisa si stanno sperimentando due piattaforme entrambe open source: Moodle <http://www.moodle.org> e Docebo <http://www.docebo.org>. La prima delle due pare tuttavia riscontri un miglior gradimento.

[10] D’altro canto le piattaforme “proprietarie” rispondono spesso a un progetto più omogeneo, mirato e consapevole che ha riscontri da parte del mercato. L’open source si afferma quindi più spesso e più facilmente nelle Università, perché le competenze tecnologiche sono già disponibili e le esigenze complessive estremamente varie; nel privato –dove le finalità sono invece più definite e manca nell’organico il personale di supporto – la piattaforma proprietaria risulta sovente la soluzione più idonea.

[11] Le competenze tecnicologiche necessarie per lavorare a livello base su una piattaforma sono in realtà minime e implicano conoscenze di base simili a quelle richieste dalla patente ECDL. L’aggravio di lavoro può invece anche decuplicare il tempo necessario alla preparazione di un corso tradizionale; tuttavia tale impegno si riduce progressivamente anno dopo anno, tramite il riuso del materiale già immesso e organizzato. Un notevole risparmio di tempo si può percepire tuttavia anche nell’immediato, quando si realizza la possibilità di organizzare prove in itinere on line per classi numerose e avere in seguito uno strumento molto agile per assegnare le valutazioni e comparare i risultati.

[12] Corsi di laurea di Informatica Umanistica sono attualmente offerti a Napoli <http://www.iuo.it/> (triennale) e Pisa <http://infouma.di.unipi.it/studenti/index.asp> (triennale e specialistica) [fonte Miur]. Sul tema si legga G. Roncaglia, Informatica umanistica: le ragioni di una disciplina, in “Intersezioni”, 3 (2002) pp. 353-376 <http://www.merzweb.com/testi/saggi/informatica_umanistica.htm>.

[13] Si veda M. Rotta, M. Ranieri, E-tutor: identità e competenze Un profilo professionale per l’e-learning, Trento 2005. Un mini corso on line in inglese per imparare a fare il tutor si trova all’indirizzo <http://momu.utu.fi/materiaaleja_etutorpuzzle_eng.php?menu=eng> dell’Università di Turku (Finlandia). Per maggiore precisione si dovrebbe tuttavia dire che nell’e-learning si individuano attualmente tre tipologie di tutor: a) tutor di contenuto: è di fatto un docente o comunque una persona competente della disciplina insegnata; b) tutor metodologico: la figura di collegamento fra il docente dell’insegnamento (a cui fornisce supporto per la preparazione dei materiali didattici e per la gestione dei forum) e gli studenti (ai quali è in grado di fornire supporto per un’alta percentuale di attività, coinvolgendo il docente solo quando non è in grado rispondere a determinate esigenze); c) tutor informativo o helpdesk: gestisce gli aspetti organizzativi e informativi che in presenza sono gestiti da un coordinatore o un manager didattico. Ringrazio sentitamente Marcello Giacomantonio per avermi chiarito le idee in proposito. In questo articolo mi riferisco al tutor di tipo b.

[14] Le recenti riforme ministeriali e la conseguente opera di riorganizzazione interna delle attività didattiche messa in campo dagli atenei nazionali, pur non toccando la libertà del docente di trattare a lezione determinati contenuti relativi alla sua disciplina, hanno tuttavia progressivamente posto dei limiti all’individualismo didattico che caratterizzava prima l’insegnamento universitario, relativamente per esempio agli orari delle lezioni, alle divisioni tra corsi base e corsi avanzati, alle modalità d’esame e alla quantità di testi da leggere.

[15] Si deve però notare che l’abitudine ormai diffusa di usare il web da parte di atenei, facoltà e corsi di studi come principale, se non esclusivo, spazio informativo per gli studenti ha reso più semplice l’accesso a queste informazioni di base e che di conseguenza è facile farsi un’idea di cosa viene insegnato nei vari corsi di storia delle università italiane. Altro discorso è ovviamente la valutazione del “come”.

[16] Se si considera per esempio il corso di Storia medievale di base, questo si è normalmente trasformato in una lettura ragionata del manuale (si veda. per l’Università di Pisa <http://omero.humnet.unipi.it/3/>, oppure per Bologna <http://www.unibo.it/Portale/Offerta+formativa/Insegnamenti/default.htm>). Non mi risulta esistano interventi scritti su riviste specializzate che illustrino o motivino o discutano tale passaggio.

[17] Sito ufficiale del progetto <http://www.unideusto.org/tuning/>.

[18] I materiali sono disponibili nei seguenti siti <http://www.stm.unipi.it/Clioh/> e <http://tuning.unideusto.org/tuningeu/index.php?option=content&task=view&id=22&Itemid=45>.

[19] Quanto segue è una sintesi semplificata di quanto è possibile leggere sulla documentazione del progetto Tuning, integrata da considerazioni derivate dall’esperienza personale. Si veda. History Subject Area Group, Common Reference Points for History Curricula and Courses, <http://www.stm.unipi.it/Clioh/filecabinet/Common%20Reference%20Points%20for%20History%20Curricula.pdf> e Teaching, Learning and Assessment <http://tuning.unideusto.org/tuningeu/images/stories/key_documents/TLA-HISTORY.pdf>. Riflessioni sulla didattica tradizionale della storia a livello universitario ne esistono assai poche. Rimando volentieri per la storia medievale a M. Tangheroni, Un primo giorno di lezione di storia medievale, in «Quaderni Medievali», 39 (1995) pp. 75-88. Affrontano il problema dell’insegnamento della storia nelle scuole secondarie e della consegeunte formazione degli insegnanti negli atenei I. Mattozzi, Tra riordino dei licei e riforma della formazione degli insegnanti: quale ruolo per gli storici?, e G. M. Varanini, L’insegnamento della storia nella scuola secondaria: qualche appunto (con particolare riferimento al medioevo), entrambi in «Società e storia», 115 (2006), rispettivamente alle pp. 166-180 e 181-190.

[20] Come già detto a nota 5, il discorso muterebbe profondamente se si guardasse al mondo dell’industria o della pubblica amministrazione, dove tempi, modi ed esiti della sperimentazione delle metodologie per l’apprendimento a distanza sono diversi.

[21] I due unici esempi di e-learning “puro” che sono riuscita a reperire in ambito nazionale nel campo della storia sono le lezioni trasmesse per via televisiva e web a pagamento dal Consorzio Nettuno <http://www.uninettunouniversity.net> e quelle messe a disposizione da ICoN – Italian Culture on the Net <http://www.italicon.it/>. Nel primo caso si tratta di lezioni assolutamente tradizionali – a dire il vero molto più “ingessate” delle normali lezioni universitarie – riprese da una telecamera e messe in onda on line, che di recente sono state implementate con altri sussidi telematici. Nel secondo si tratta di semplici testi da leggere, organizzati in più unità didattiche fisse, che propongono un modello di insegnamento a-sincrono, in cui l’interazione tra docente e studente è notevolmente ridotta. Si veda Salvatori, E-learning History cit.; Salvatori e Marcazzani, Medieval History course at ICoN cit.

[22] Sia chiaro che gli strumenti da prediligere nel blended learning sono spesso radicalmente diversi da quelli propri del full distance learning, proprio perché le problematiche didattiche che il docente deve affrontare sono differenti. In questo testo esamino per lo più esempi di didattica a distanza mista, in cui la porzione “digitale” è minoritaria rispetto a quella tradizionale. La scelta è dovuta, come detto nel testo, dal fatto che in Italia questo tipo di opzione è senza alcun dubbio quella più battuta. Ho descritto tuttavia anche alcui esempi di corsi totalmente a distanza, utili per chiarire al lettore le potenzialità del mezzo. Devo anche aggiungere, a onor di cronaca, che dopo tre anni di esperimenti di blended learning per il corso di Introduzione agli studi storici (corso di studi di Informatica Umanistica), mi sono resa conto di aver alla fine creato un corso che può essere usato anche da uno studente non frequentante senza apprezzabili differenze rispetto a uno studente frequentante: quindi il percorso “misto” ha prodotto un percorso “puro”.

[23] Acronimo per Hyper Text Mark-Up Language, è un linguaggio usato per descrivere i documenti ipertestuali disponibili nel web.

[24] Acronimo di File Transfer Protocol (protocollo di trasferimento file), è un servizio che consente la condivisione di file tra terminali.

[25] La medesima funzionalità può essere chiaramente raggiunta anche con altri mezzi, per esempio tramite l’apertura di un blog (per il quale si veda oltre) o di un sito dinamico costruito tramite un Content Management System (CMS in acronimo, categoria di sistemi software per organizzare e facilitare la creazione collaborativa di documenti e contenuti). La piattaforma LMS consente tuttavia l’uso integrato dei diversi strumenti.

[26] Un registratore mp3 è un registratore che immagazzina gli audio in un formato compresso; mp3 è infatti il nome di un algoritmo di compressione audio in grado di ridurre la quantità di dati richiesti per riprodurre un suono.

[27] Il podcasting (neologismo nato dall’unione delle parole: iPod – il popolare riproduttore di file audio mp3 di Apple – e broadcasting) è un sistema che permette di scaricare in modo automatico risorse audio, video o testuali utilizzando un programma generalmente gratuito chiamato aggregatore o feeder. Sul suo uso per la didattica si legga A. Pian, Podcast a scuola,Torino 20053 <http://www.edidablog.it/b2evolution/libro.htm>.

[28] Per questa piattaforma si veda il sito ufficiale <http://moodle.org>. L’implementazione per il podcast denominata Podcast Generator, è stata eleborata e rilasciata gratuitamente da Alberto Betella dell’università di Bergamo <http://podcastgen.sourceforge.net/>.

[29] Solo a titolo d’esempio, per citare una lezione usufruibile a tutti, la prof. Barbara Turchetta ha reso disponibile in podcast sul sito dell’Università della Tuscia una lezione sull’origine della scrittura, accompagnandola da una dispensa con bibliografia e fotografie <http://podcast.unitus.it.html>.

[30] A meno che lo strumento della registrazione audio non sia usato come attività da svolgere in aula, o come strumento di verifica: per questo si veda oltre la descrizione di un corso parzialmente svolto su Second Life.

[31] Per avere una panoramica abbastanza completa delle lezioni di grado e argomento diversi disponibili a tutti basta scaricare il software iTunes della Apple, collegarsi con iTunes Store e cercare nella sezione “Istruzione” della categoria “Podcast”. Una volta individuato il ciclo di lezioni che interessa è sufficiente “abbonarsi” per scaricare le lezioni già archiviate e ricevere in maniera automatica quelle immesse successivamente. Un’ottima alternativa a iTunes è JuiceReceiver.

[32] Un esempio concreto è dato dai seminari di Signum, organizzati dalla Scuola Normale Superiore di Pisa <http://www.signum.sns.it/index.php?id=1169>. Altra esperienza estremamente interessante è quella promossa dalla casa editrice Laterza con il rilascio via podcast delle “Lezioni di Storia” tenute all’Auditorium della Musica di Roma nel corso del 2006-2007 da docenti universitari esperti della disciplina <http://www.auditorium.com/eventi/4788278>.

[33] Si veda <http://www.merzspace.net/unipodcast/> Vi si trovano attualmente lezioni di Momenti di storia della produzione materiale della cultura, Momenti e pagine di storia della letteratura, conferenze, incontri e presentazioni di libri.

[34] Questo inconveniente potrebbe essere risolto con la video registrazione della lezione, ma aumenterebbero i requisiti tecnici richiesti e la procedura risulterebbe più complicata.

[35] Questo il modello seguito da ICoN (Italian Culture on the Net) <http://www.italicon.it/>, almeno nei corsi di storia che offre entro il corso di studi in Lingua e cultura italiana.

[36] Sottolineo l’autovalutazione, perché per ora la maggior parte dei corsi erogati per via telematica è invisibile all’utente non registrato. Tale “chiusura” dei corsi on line, motivata ovviamente da esigenze diverse, quali i diritti d’autore o la limitazione all’accesso agli studenti iscritti e paganti, è a mio avviso uno degli ostacoli maggiori alla diffusione delle tecniche di e-learning negli atenei italiani ed europei.

[37] Sul tema dei Learning Object e sulle analogie/differenze con l’Unità Didattica si veda M. Giacomantonio, Come progettare i propri learning object, in “Wbt” (marzo e giugno 2004) <http://www.wbt.it/index.php?risorsa=learning_object> e <http://www.wbt.it/index.php?risorsa=learning_object_2>. Molto sinteticamente si può dire che un Learning Object è un prodotto essenzialemente teorico, che in un contesto tradizionale si traduce in un insieme organico di azioni pratiche (lezioni, letture e compiti), mentre in ambito virtuale si traduce in un “pacchetto” di dati e istruzioni che, teoricamente, potrebbe essere utilizzato anche in corsi diversi e scambiato tra docenti, a patto di essere costruito in un formato interscambiabile. Attualmente ai Learning Object – pacchetti chiusi e interscambiabili – si stanno affiancando le Learning Activities, ossia pacchetti aperti di contenuto e formato variabile (si veda M. Giacomantonio, Learning Object e apprendimento, slide disponibili all’indirizzo <http://www.lisalab.net/formazione/materiali/LO-LA%20e%20apprendimento.ppt>.

[38] eHLEE sta per eHistory Learning Environment and Evaluation, un progetto finanziato dalla Commissione Europea per ampliare l’uso e sviluppare le tecniche dell’apprendimento e dell’insegnamento a distanza delle discipline storiche in Europa <http://ehlee.utu.fi/>.

[39] Per una recensione del corso si legga Salvatori, Identities in European History cit.

[40] Un altro esempio immediato, e già disponibile, di questa nuova funzionalità sono i moduli CORE del valore di due crediti messi a disposizione dalla rete Clioh all’indirizzo <http://www.stm.unipi.it/Clioh/core/corecore.htm>. Su Clioh si veda oltre, alla nota 59. L’idea di creare dei depositi di materiali didattici in rete, che possano fare da supporto all’insegnamento universitario, è stata oggetto di uno specifico progetto dell’Università di Viterbo presentato nel 2007 da Gino Roncaglia nell’ambito dei bandi FIRB. Ringrazio il proponente per avermene data visione.

[41] Mi riferisco allo standard SCORM – acronimo di Sharable Content Object Reference Model – che consente, tra le altre cose, lo scambio di contenuti relativi all’e-learning in maniera indipendente dalla piattaforma e che attualmente (febbraio 2007) è arrivato alla versione 1.3 2004.

[42] Si veda sopra, nota 36, a proposito delle Learning Activities.

[43] Per il blog si veda oltre. Il forum è una struttura informatica che contiene discussioni e messaggi scritti dagli utenti o un software che ne consente il funzionamento. La chat è sostanzialmente una “chiaccherata” per lo più testuale tra più utenti in tempo reale. La mailing-list è un sistema organizzato per la partecipazione di più persone in una discussione tramite posta elettronica.

[44] Termine ormai affermatosi tra i frequentatori di forum: indica messaggio testuale, con funzione di opinione o commento, inviato a uno spazio comune su Internet per essere pubblicato.

[45] Questo risultato non si poteva ottenere in un corso organizzato in maniera seminariale “in presenza” per una questione banalmente numerica: al corso citato partecipavano 80-90 studenti.

[46] Il termine deriva dall’hawaiiano wiki wiki che significa “rapido” o “molto veloce”. In seguito è diventato anche l’acronimo della frase inglese “What I Know Is”, che descriverebbe proprio la funzione di condivisione della conoscenza. Il più celebre wiki del mondo è la libera enciclopedia Wikipedia <http://www.wikipedia.org>.

[47] Prof. Blog! <http://docenti.lett.unisi.it/frontend/?rr=PP>.

[48] L’indirizzo è <http://splinder.sigillo.com> che non è visibile perché riservato agli iscritti.

[49] E. Salvatori, The use of weblogs in teaching. “La compagnia del sigillo”, in E-learning History. Evaluating cit., pp. 129-136, ora anche nella Biblioteca di Reti Medievali <../biblioteca/scaffale/Download/Autori_S/RM-Salvatori-Weblogs.zip>. Il gradimento degli studenti è stato registrato tramite la distribuzione in classe di questionari anonimi.

[50] Siamo quindi all’interno del così detto Web 2.0 i cui effetti dirompenti sul piano della comunicazione e della condivisione delle risorse sono ancora difficilmente valutabili (si veda T. O’Reilly, Cos’è Web 2.0. Design patterns e modelli di business per la prossima generazione di software <http://www.xyz.reply.it/web20/>, traduzione italiana dell’articolo in inglese <http://www.oreillynet.com/pub/a/oreilly/tim/news/2005/09/30/what-is-web-20.html> [30/09/2005].

[51] L’indirizzo del sito è <http://web.uvic.ca/history-robinson>. Per una recensione del corso si veda M. Baldi, “Who killed William Robinson?”, some unsolved cases revisited. Canadian History reconstructed using an unusual didactical approach, in E-learning History. Evaluating cit., pp. 205-227.

[52] «This web site then is not just about William Robinson or about British Columbia. It is also about historical understanding. It allows you to look at the same documents that professional researchers look at to build their accounts. It allows you to interpret the raw material of the past and to ask the larger questions like, how do we know what happened in the past?»: citazione da <http://web.uvic.ca/history-robinson>. Nessun esperimento simile si registra per ora nei siti italiani.

[53] Anche all’Università di Urbino, probabilmente a supporto di un corso di paleografia, è stato messo on line un dossier di immagini che illustrano le diverse forme di scrittura d’età medievale <http://www.uniurb.it/Filosofia/bibliografie/paleografia/galleria_immagini.htm>. Sulla presenza della paleografia in rete si veda Le discipline editoriali: paleografia, diplomatica, codicologia, cura di A. Ghignoli <../repertorio/paleogra.html> e il Repertorio critico di risorse digitali per gli studi di storia della scrittura latina e della produzione manoscritta nel Medioevo, a cura di G. De Angelis, in «Scrineum», (2003) <http://dobc.unipv.it/scrineum/repertorio/>.

[54] Si veda <http://elearning.unifr.ch/antiquitas/index.php?lang=fr>.

[55] Si veda <http://elearning.unifr.ch/antiquitas/activites/15/>. Il modulo è a cura di Christian R. Raschle a cui si deve anche una recensione di Antiquit@s (Ch. Raschle, Case-Studies Antiquit@s – Universities of Fribourg, Zurich, Berne and Lausanne, in E-learning History. Evaluating cit., pp. 152-170).

[56] Farne una rassegna, anche molto sintetica, occuperebbe uno spazio eccessivo. Cito solo a guisa d’esempio alcune raccolte nazionali esemplari: Epigraphic Database Bari: Documenti epigrafici romani di committenza cristiana – Secoli III – VIII <http://www.edb.uniba.it/>, Il codice diplomatico della Lombardia medievale <http://cdlm.lombardiastorica.it/>, Mediceo avanti il Principato <http://www.archiviodistato.firenze.it/rMap/index.html>.

[57] Il modulo, pensato da Ann Katherine Isaacs, è in seguito divenuto un’unità didattica accessibile a tutti all’indirizzo <http://www.clioh.net/tecmate/elearn.htm>.

[58] CLIOHnet sta per “Creating Links and Innovative Overviews to Enhance Historical Perspective in European Culture” ed è un vasto network di storici su scala planetaria. Per informazioni si veda il sito ufficiale <http://www.clioh.net>; la biblioteca di CLIOHnet, organizzata per temi e periodi storici, è all’indirizzo internet <http://www.stm.unipi.it/Clioh/tabs/core.htm>. Sull’idea di Europa si veda in particolare <http://www.stm.unipi.it/Clioh/tioe/tioe.htm>.

[59] Gli studenti provenivano infatti da diverse università europee.

[60] Ricordo che si trattava di un corso full distance learning, ossia totalmente a distanza.

[61] Rispettivamente <http://www.dmgh.de> e <http://www.brepolis.net>. Nulla però vieta di tentare un’attività complementare di questo tipo per un corso avanzato.

[62] Second Life è una realizzazione della Linden Lab; il software (gratuito) e le istruzioni per utilizzarlo si trovano sul sito <http://www.secondlife.com>. Alla data ottobre 2007 Second Life contava 4 milioni di utenti (si veda <http://www.lindenlab.com>).

[63] V. Maccari, Università, le classi diventano 3D. Gli atenei sbarcano su Second Life, <http://www.repubblica.it/2007/04/sezioni/scienza_e_tecnologia/second-life-news/universita-second-life/universita-second-life.html>.

[64] Si veda <http://slur.com/secondlife/Digital%20Humanities/186/167/28/%3E>

[65] Sito web all’indirizzo <http://www.fondazionegalileogalilei.it/home.html>.

[66] I docenti coinvolti sono stati Antonio Cisternino, Beatrice Rapisarda, Enrica Salvatori, Maria Simi.

[67] Gli audio, interamente creati dagli studenti, sono ascoltabili anche nel sito web del Laboratorio <www.illaboratoriodigalileogalilei.it/>.

[68] In alcuni casi la partecipazione e il contributo degli studenti è stato decisivo e ha portato a una crescita di conoscenze e di competenze dei docenti.

[69] Si veda <http://slurl.com/secondlife/Theatron/176/124/23>, il progetto è a cura del King’s Visualisation Lab, infirmazioni all’indirizzo <http://www.theatron.org>.

[70] Le prove in itinere a risposta aperta organizzate da chi scrive nell’a.a. 2007-2008 hanno dato nella maggior parte dei casi risultati deludenti. Pur avendo a disposizione tre o quattro ore di tempo (normalmente più che sufficienti per completare la prova in aula), gli studenti si sono spesso “persi” a ricercare informazioni nella rete, trascurando l’esercizio del ragionamento autonomo e del recupero delle informazioni ascoltate a lezione o lette nei saggi in programma. Gli elaborati sono risultati quindi spesso superficiali, non privi di scopiazzature spesso cucite insieme in maniera frettolosa, e quasi tutti gli studenti hanno “percepito” il tempo a disposizione come insufficiente.

[71] Per una bibliografia di partenza si veda la nota 1.

[72] Acronimo di eXtensible Markup Language, ovvero “Linguaggio di marcatura estensibile” l’XML è un metalinguaggio creato e gestito dal World Wide Web Consortium (W3C) utile allo scambio dei dati. Nel caso della marcatura delle fonti storiche consente, per esempio, ricerche testuali interne di alto livello.

[73] Come per esempio quelli messi a disposizione da Reti medievali <../repertorio/>.

[74] Come per esempio il Laboratorio di Studi Storici Digitali offerto da Pietro Corrao nel Corso di Laurea in Scienze Storiche dell’Università di Palermo <http://www.unipa.it/~pcorrao/PRG-LSS-SS-05-06.doc>.

[75] Nulla ovviamente impedisce al docente di consigliare un volume o un saggio cartaceo, tuttavia l’indisponibilità del materiale digitale rende effettivamente difficile la costruzione di un buon corso e-learning, anche blended. Nel panorama delle risorse digitali per la storia si distingue la Biblioteca di Reti Medievali <../biblioteca/>.

[76] Sul problema si veda P. Corrao, Saggio storico, forma digitale: trasformazione o integrazione?, abstract della relazione quadro della sessione dedicata a La saggistica e le forme del testo tenuta nel workshop Medium-evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale (Firenze, 21-22 giugno 2001), <http://www.storia.unifi.it/_PIM/medium-evo/abs-Corrao.htm>.

[77] Ennesimo acronimo, l’analisi SWOT deriva dalle parole Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats, ossia Forze, Debolezze, Opportunità e Minacce. Utilizzata nelle aziende e nella presentazione di progetti comunitari, l’analisi SWOT (attribuita ad Albert Humphrey della Stanford University) è utile alla definizione delle strategie in quanto analizza gli aspetti chiave dei sistemi complessi.

[78] H. Terho, T. Onnela, E-learning history – foreseeing the future of learning history, in E-learning History. Evaluating cit., pp. 7-24 <../biblioteca/scaffale/Download/Autori_T/RM-Terho-Elearning.zip>.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 10/03/08