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Bisanzio. Società e stato

di Jadran Ferluga

© 1974 – Jadran Ferluga


2. L'impero romano cristiano

La crisi economica del III secolo con i suoi effetti sociali, politici e culturali annuncia la fine dell'epoca romana e apre quella bizantina. La crisi colpì con particolare veemenza la parte occidentale dell'impero, mentre quella orientale mostrò più resistenza e più vitalità divenendo il baricentro dello stato. Qui infatti si fecero sentire meno gli effetti della mancanza di mano d'opera, del resto caratteristica di tutto l'impero; la decadenza delle città, dell'industria, del commercio e dell'agricoltura fu meno acuta e profonda e il livello culturale più elevato. Per eliminare gli effetti della grande crisi del III secolo e soprattutto per far fronte alle conseguenze sociali del problema demografico, lo stato romano ricorse sempre più a misure coercitive nel campo economico e sociale, legando i vari gruppi della popolazione al proprio mestiere. Fenomeno generale fu lo sviluppo del latifondo e la decadenza della piccola proprietà fondiaria. La servitù, o schiavitù vera e propria, era in via di sparizione e nella grande proprietà la produzione era effettuata da un numero crescente di coloni, cioè piccoli proprietari che avevano perduto la loro libertà di movimento ed erano ora legati alla terra. Anche gli artigiani furono vincolati alle loro corporazioni di mestiere, i curiali alle curie ecc. (vedi DOC. N. 1) e tale irregimentazione della vita economica si rifletté nella vita politica.

Il vecchio ordinamento municipale delle città romane era in decadenza e al suo posto si sviluppò un nuovo sistema amministrativo in cui tutto era concentrato nelle mani dell'imperatore e del suo apparato burocratico. La magistratura romana cedeva il posto alla burocrazia bizantina.

I problemi posti dalla crisi del III secolo trovarono una prima soluzione nell'opera di riforma di Diocleziano (284-305), completata e perfezionata da Costantino (324-337), cioè in un nuovo sistema amministrativo che fu il punto di partenza e la base del sistema bizantino.

Esso si formò e sviluppò in questo periodo e per più di un millennio l'impero si appoggiò e si basò sui principi fondamentali affermatisi nel IV secolo, cioè sull'autocrazia imperiale e sulla centralizzazione dello stato nonché su un grande e forte apparato burocratico. Scopo delle riforme era evidentemente quello di rafforzare l'autorità statale fortemente scossa creando nuove strutture e fissando nuovi rapporti. Furono così limitati e aboliti i poteri delle vecchie magistrature e istituzioni dell'epoca repubblicana (senato, demi, municipi ecc.) e stabilite precise competenze delle varie autorità civili e militari, del governo centrale e di quello provinciale. Ormai tutto culminava nel vertice, nella persona dell'imperatore; e così al vecchio ordinamento statale se ne sostituì uno nuovo altamente centralizzato e gerarchizzato. Con la grande crisi del III secolo e l'opera riformatrice di Diocleziano giunse a compimento lo sviluppo dell'istituzione imperiale che era iniziato con Augusto. Dal principato di questi, dichiarato divus subito dopo la morte, al «dominato» di Diocleziano, erano state poste le basi dell'istituto imperiale quale si formò e si sviluppò nel primo periodo bizantino sotto l'influsso della religione cristiana.

L'imperatore era ormai il depositario del potere dispotico basato più sulla volontà di Dio che sull'investitura mondana e la sua elezione poggiava su tre elementi: senato, popolo ed esercito. Questi tre fattori perdettero, da Diocleziano in poi, di importanza e il loro potere fu anzi in parte assorbito dall'imperatore. Apparve però in questo periodo un nuovo elemento, la Chiesa, che se da una parte rafforzò il potere imperiale, dall'altra lo venne limitando.

Il ruolo della Chiesa crebbe continuamente e ciò si riflette in modo plastico nella partecipazione del patriarca all'incoronazione del nuovo imperatore. Secondo la tradizione romana, essa avveniva con la consegna del diadema, l'elevazione sullo scudo e l'acclamazione dell'esercito, del senato e del popolo. Leone I (457-474) fu il primo a ricevere la corona dalle mani del patriarca di Costantinopoli, ma dalla prima metà del XIII secolo l'incoronazione dell'imperatore era stata trasformata dalla Chiesa in un vero e proprio sacramento con unzione e conferimento di un ordine ecclesiastico minore.

L'imperatore era il comandante supremo dell'esercito, il sommo giudice e l'unico legislatore nello stato e ben presto divenne anche il protettore della Chiesa e fu dichiarato difensore della vera fede. Egli era l'eletto di Dio che aveva espresso la propria volontà nella sua elezione; era il vicario di Cristo sulla terra, il suo rappresentante alla sommità dell'impero affidatogli da Dio. Inoltre era oggetto di un culto speciale che trovò la sua espressione esaltando tutto ciò che aveva attinenza con la sua persona, dalle sue parole ai suoi ritratti, dai suoi movimenti ai suoi abiti, ma soprattutto nel cerimoniale di corte (vedi DOC. N. 12). Tutti dovevano prosternarsi a terra davanti a lui, dovevano cioè fargli l'omaggio della proskynesis. In sé il culto imperiale non era nuovo: sotto l'influenza orientale gli imperatori romani erano già stati divinizzati ben prima di Diocleziano.

Il cristianesimo diede all'istituzione un nuovo contenuto, che rimase poi definitivo fino alla caduta dell'impero bizantino; anzi, in parte esso sopravvisse fino alla nostra epoca (per es., nell'espressione «regnanti per grazia di Dio»).

Diocleziano aveva diviso il potere imperiale fra due Augusti, uno per l'oriente, l'altro per l'occidente, onde facilitare il controllo dell'immenso territorio. Per evitare guerre e rivolte per la successione, accanto a ogni Augusto c'era un Cesare che doveva succedergli e che l'Augusto aveva adottato. Anche se l'istituzione non fu a suo tempo troppo efficace, essa sopravvisse formalmente per tutta la durata dell'impero, sia nelle persone dei co-reggenti, sia nel principio secondo cui l'imperatore poteva scegliere il suo successore.

Un potere centralizzato non poteva tollerare differenze di regime. Scomparvero così le differenze fra province senatoriali e imperiali e l'Italia perdette la sua posizione privilegiata. L'amministrazione di tutte le province era ormai sotto il controllo dell'imperatore e, fatto significativo, esse furono frazionate. Onde facilitarne il controllo, più province furono unite in una diocesi e più diocesi in una prefettura. Centralizzazione e gerarchizzazione erano dunque conseguentemente state introdotte e applicate.

Il controllo del potere centrale sull’amministrazione provinciale fu reso più effettivo attraverso la netta separazione del potere civile da quello militare. Il governatore della provincia era responsabile dell'amministrazione civile mentre il dux aveva il comando militare su una o più province. Ciascuno era in via gerarchica responsabile verso l'imperatore. Questa separazione dei poteri nelle province fu tipica del periodo tardo-romano e scomparve quasi completamente con le riforme del VII secolo allorché si affermò la tendenza contraria, cioè la concentrazione delle due autorità. Il potere imperiale cercava di diminuire le competenze delle quattro grandi prefetture e in parte ci riuscì. Perdite territoriali e conseguenti contingenze politiche contribuirono più tardi a far sì che nell'impero bizantino questo problema fosse risolto a vantaggio degli organi di governo centrali.

Si cominciò a limitare l'autorità dei prefetti del pretorio sottraendo loro Roma e Costantinopoli che furono sottoposte a speciali prefetti urbani. Questo funzionario era il massimo rappresentante del senato, non era militare e in lui sopravviveva il ricordo dell'antica magistratura romana. Nell'impero bizantino il prefetto, o in greco medievale l'«eparco della città», era un personaggio importante e influente che a Costantinopoli svolgeva funzioni di sorveglianza economica e politica. Quello però che fu tipico di tutta la riforma di Diocleziano e Costantino, che fu sviluppato e rafforzato nel primo periodo bizantino e restò la base dell'amministrazione statale per quasi tutta l'esistenza dell'impero, fu l'estensione delle competenze dell'amministrazione centrale. Il magister officiorum era ormai il magistrato supremo del governo centrale, che controllava tutto e tutti, compresi i prefetti del pretorio. Egli teneva in mano le poste e comunicazioni, la polizia dello stato e la sicurezza dell'imperatore, era il maestro delle cerimonie, riceveva gli ambasciatori e conduceva i negoziati. Accanto a lui sorsero nel governo centrale il questor sacri palatii, una specie di ministro della giustizia, istituzioni speciali per il prelevamento delle tasse e una serie di funzionari legati però tutti strettamente alla persona dell'imperatore e perciò molto influenti.

A questi organi centrali e rigidamente gerarchizzati si opponevano in parte le vecchie istituzioni repubblicane ormai limitate nelle loro competenze. Il senato era diventato un organo consultivo: questo processo, iniziato già ai tempi del vecchio impero romano, fu accentuato col tempo, e il synkletos (come era chiamato in greco) esistette anche se spesso con poteri limitati. Preparava proposte di legge, aveva il diritto di votare il successore dopo la morte dell'imperatore e di ratificarne l'elezione, e giocava un ruolo molto importante soprattutto nei momenti di vacanza del trono imperiale. Membri del senato erano in linea ereditaria i discendenti delle famiglie senatoriali romane, e con la fondazione di Costantinopoli aveva avuto luogo l'equiparazione giuridica del nuovo senato con quello di Roma.

Praticamente i membri appartenevano all'alta burocrazia o erano ricchi proprietari fondiari: si chiudeva così un circolo in cui l'influenza del senato dipendeva dalla posizione sociale dei suoi membri mentre il loro prestigio personale era aumentato dal fatto che appartenevano a questa altissima istituzione statale. Essi, come del resto quasi tutti i funzionari imperiali, si fregiavano di titoli che erano in diretta relazione con la loro posizione nell'apparato statale e la loro funzione nell'amministrazione. Questo rimase poi tipico durante tutta l'epoca bizantina e vive fino a oggi in titoli quali «spettabile», «chiarissimo», «illustre» ecc.

Oltre al senato anche la popolazione di Costantinopoli, divisa nei demi dei verdi e degli azzurri, aveva il diritto di conferma dell'elezione dell'imperatore. I demi, organizzazioni politiche del popolo, continuarono a esistere nel periodo bizantino ma perdettero d'importanza e alla fine ebbero un ruolo meramente cerimoniale.

L'imperatore nelle sue decisioni si appoggiava ormai sul giudizio e sulle proposte dell'apparato burocratico. Si era formato un consiglio, composto di appartenenti all'alta burocrazia centrale, che portava il nome tipico di «consistorio» o silentium. Davanti all'imperatore, rappresentante di Dio e vicario di Cristo su questa terra, si stava in piedi (sacrum consistorium dal verbo consistere) e si ricevevano in silenzio (per cui il termine silentium) i suoi ordini. Queste istituzioni si conservarono anche nell'impero bizantino, perdendo però di contenuto.

La grande crisi del III secolo, soprattutto per i suoi caratteri sociali, si rifletté nelle misure riformatrici di Diocleziano e di Costantino. Le guerre di conquista erano ormai terminate. La minaccia esterna invece era presente più che mai, anche se si era avuto appena un primo saggio del pericolo barbaro quale doveva concretarsi più tardi col IV secolo. Nuova era l'insicurezza interna, il malcontento della maggior parte della popolazione, che trovava espressione in un'opposizione più o meno aperta, più o meno violenta; le guerre civili erano un male che ebbe il suo peso nelle opere di riforma. Fu rafforzato l'esercito di frontiera, soprattutto con l'istituzione dei «limitanei». Si trattava di piccoli proprietari fondiari che vivevano con le loro famiglie dell'appezzamento di terreno ricevuto dallo stato ed esente da imposte, e in cambio prestavano servizio militare. Questa organizzazione militare ebbe grande importanza nello sviluppo posteriore, potendosi considerare perfino in un certo senso come la motivazione della grande riforma del VII secolo e del regime dei «temi» (vedi cap. seguente). Nuova fu la costituzione sotto Diocleziano di un esercito mobile, dell'exercitus comitatensis, sviluppato ulteriormente da Costantino. Esso doveva essere la riserva militare da opporre ad attacchi nemici alla frontiera, ma soprattutto un'armata mobile per reprimere rivolte contro il potere imperiale e l'ordine sociale e politico vigenti. Caratteristici furono però l'imbarbarimento dell'esercito, l'afflusso dei mercenari e il crescente ruolo della cavalleria. Con le riforme s'era dunque formato un apparato amministrativo e militare che richiedeva immensi mezzi finanziari. Furono prese pertanto delle misure sul piano economico, specialmente tributario e monetario, che avrebbero dovuto garantire il buon funzionamento del nuovo sistema.

La crisi del III secolo aveva avuto tali effetti inflazionistici che le imposte pagate in danaro avevano perso gran parte del loro valore. Diocleziano cercò di porvi riparo sostituendo, almeno in parte, il pagamento in natura a quello in danaro, e i suoi successori ne fecero un elemento permanente nelle entrate dello stato. Sui coloni, che rappresentavano di già la maggior parte della forza produttiva agricola dell'impero, ricadde in grande misura il peso dell'«annona» (tributo versato normalmente in natura, talvolta però anche in moneta) ed essa divenne una delle principali fonti di introiti per lo stato. Onde assicurarla definitivamente, il contribuente fu legato al mezzo di produzione, la terra, e fu introdotto il sistema della capitatio-jugatio: a ogni caput-uomo doveva corrispondere un jugum, un appezzamento di terreno di una data grandezza e qualità. Lo stato fu perciò costretto a legare al suolo masse contadine sempre più numerose.

La popolazione cittadina, d'altro canto, dedita all'industria e al commercio, non rimase esente da tale processo; e sebbene sfuggisse al rapporto tributario uomo-appezzamento di terra, dovette fin dagli inizi del IV secolo pagare un'altra esosa imposta in danaro, la auris lustralis collatio o chrysargiron. Questo sistema tributario non sopravvisse al primo periodo bizantino. Quello che però rimase fu l'idea informatrice: lo stato vedeva nel produttore in primo luogo un contribuente, e questo principio ebbe nell'impero bizantino lunga durata e fu il cardine della politica fiscale.

Lo stato, cercando di trovare una soluzione al problema delle terre incolte e quindi fiscalmente improduttive, le legò a un coltivatore e contribuente. Fu così istituito un sistema che persistette nelle più differenti forme nell'impero bizantino medievale, un sistema cioè con cui lo stato rendeva responsabili davanti al fisco i proprietari terrieri per i fondi contigui ai loro che fossero rimasti abbandonati e incolti: questa procedura era chiamata la adjectio sterilium o, in greco, epibole.

Come già abbiamo detto, l'effetto inflazionistico della crisi aveva scosso anche il sistema monetario del vecchio impero romano provocando un aumento dei prezzi, una rarefazione della moneta in circolazione e quindi un ritorno agli scambi in natura. L'imperatore Costantino creò un nuovo sistema finanziario basato sul solido aureo, moneta sana e stabile. Un solido conteneva 4,48 grammi d'oro, e 72 formavano una libbra. Questa moneta, a Bisanzio chiamata «nomisma» e più tardi « iperpero», in occidente – per la sua provenienza – «bisante» o «solido» (da cui il nostro soldo), simboleggiava la potenza dell'impero e dell'imperatore. Era una moneta d'oro, dunque di metallo imperiale; portava l'effigie dell'imperatore da un lato e spesso quella di Cristo dall'altro per cui ambedue apparivano in tutto il loro splendore ai sudditi e soprattutto ai numerosi barbari. Essa fu la base del sistema finanziario di Bisanzio per più di un millennio, il mezzo di scambio internazionale – dal Mediterraneo alla Cina, dalla Scandinavia al cuore dell'Africa – per più di sette secoli, nonché il modello di molte monete europee, e dominò nel mondo mercantile mediterraneo fino all'apparizione del florino (1252) e del ducato (1284).

Questo rapido quadro degli effetti esercitati dalla crisi del vecchio impero romano e dalle misure prese dagli imperatori riformatori rivela chiaramente come molti dei principi, su cui per lungo tempo si basò l'impero bizantino medievale, si siano costituiti nell'epoca tardo-romana e abbiano poi assunto sviluppo e vigore specialmente nella parte orientale dell'impero. Le basi economiche erano qui più solide, i turbamenti sociali meno violenti e le riforme ebbero perciò effetto più duraturo. Lo spostamento del baricentro dell'impero a oriente ebbe luogo tanto in seguito alla vitalità economica di questa parte dello stato, quanto ai gravi pericoli esterni che minacciavano sempre più le frontiere orientali del vasto impero romano. Tale spostamento ebbe alcune conseguenze di lunga portata: non solo si formò un nuovo centro cittadino di incommensurabile importanza economica, politica e strategica, cioè Costantinopoli, ma ebbe luogo anche un radicale cambiamento della politica statale verso il cristianesimo, che appunto in oriente aveva radici e tradizioni più profonde. Il cristianesimo, che prima era stato perseguitato, fu poi tollerato e infine divenne l'unica religione di stato: il significato dello spostamento del baricentro dello stato romano a oriente perdura dunque, ben oltre il Medioevo, fino a oggi.

La fondazione di Costantinopoli fu certamente uno degli atti più geniali di Costantino. L'idea non era nuova e Diocleziano aveva già risieduto a lungo a Nicomedia (l'odierna Izmit) in Asia Minore non lungi da Costantinopoli. Ponte fra Europa e Asia, sull'unico passaggio marittimo fra Mar Nero e Mediterraneo, era un crocevia d'immensa importanza commerciale per il mondo d'allora; e tale rimase per lunghi secoli. La città, inoltre, aveva una tale posizione fra Bosforo ad est, Corno d'Oro a nord, Mar di Marmara a sud e mura talmente imponenti e massicce dalla parte di terra, costruite ancora nel primo periodo bizantino e imprendibili durante il Medioevo, che di per sé era una fortezza e un centro inespugnabile, una capitale imperiale sicura e per un certo periodo (VII e VIII secolo) fu il baluardo dell'Europa. Costantinopoli non fu una semplice copia di Roma (per es. sette colli, palazzi o istituzioni ecc.), ma divenne presto la seconda e la nuova Roma. Fulcro politico dell'impero, fu per secoli centro industriale e commerciale, politico e culturale del mondo e per molti credenti anche centro religioso, residenza tanto dell'imperatore universale quanto del patriarca ecumenico. Non fu un caso che essa avesse sempre avuto il primo posto nell'impero, come non fu un caso fortuito che alla fine l'impero fosse ridotto alla sola Costantinopoli.

Nuovo problema, specialmente nelle regioni orientali, fu quello dei rapporti fra Stato e Chiesa, che nell'impero bizantino ebbe aspetti specifici e rimase poi tipico fino ai tempi moderni per gran parte delle chiese ortodosse. Esso fu praticamente impostato già da Costantino che tenne la Chiesa sotto il suo controllo e se ne servì per eliminare le forze di opposizione. Il primo Concilio ecumenico, convocato nel 325 da Costantino a Nicea e da lui (non ancora cristiano) diretto, fu un primo passo in questo senso. A ogni modo, ebbe allora inizio una collaborazione vantaggiosa per ambedue le parti che durò per secoli. Gli imperatori protessero la Chiesa, l'arricchirono con doni e terre, la difesero contro eresie, ne allargarono le basi promuovendo missioni. Lo stato trovò in essa un'ideologia unificatrice e conservatrice dello status vigente, ma dovette vieppiù immischiarsi in complicate dispute cristologiche – concernenti cioè la natura di Cristo – che non era sempre facile distinguere da quelle politiche. A Bisanzio non ci fu però cesaropapismo e nemmeno attecchì una teoria dei due poteri. Il potere temporale e quello ecclesiastico avevano fissato la base della loro collaborazione e delimitato abbastanza chiaramente le reciproche competenze. Eccezioni nei buoni rapporti fra patriarchi e imperatori non mancarono, ma durante tutta la sua esistenza l'impero non ebbe mai a soffrire di una lotta dei due poteri quale conobbe l'Europa occidentale. Questa tradizione, basata su reciproci interessi, sopravvisse per secoli e in forme mutate si può seguire fino al giorno d'oggi nei paesi dell'Europa orientale di tradizione bizantina.

In un altro punto ancora ideologia imperiale e cristianesimo s'incontravano. L'impero romano abbracciava gran parte dell'universo conosciuto e certo quasi tutto quello considerato civile: aveva dunque un carattere universale, ecumenico – nel senso dell'ecumene d'allora – e questo aspetto permeò l'ideologia imperiale. Il cristianesimo muoveva dal presupposto di dover portare l'unica vera fede a tutti gli uomini e quindi era, sia per la sua concezione sia per i suoi compiti, una religione universale, «cattolica». Partendo da queste premesse, la creazione di Augusti o Cesari in occidente e oriente, la fondazione di una nuova capitale o addirittura di nuove capitali non ledevano affatto l'unità dell'impero: erano misure che dovevano soltanto facilitarne il governo. Quando l'ultimo imperatore che risiedeva a Ravenna, cioè in una capitale sita nella parte occidentale, dovette dimettersi (476), l'unità ideale dello stato non fu messa in dubbio. Certamente si trattava di teoria, e non c'è dubbio che all'inizio pochi compresero che due diversi mondi si stavano formando e che le due parti dell'impero si allontanavano l'una dall'altra con un processo lento ma ininterrotto. Il cristianesimo, identificandosi coll'impero, gli diede nuova forza universale e contribuì in grandissima misura a mantenerlo in vita per secoli, e d'altronde il processo di separazione fra oriente e occidente si affermava anche sul piano religioso. La pretesa all'universalità da parte dell'impero bizantino fu accettata e riconosciuta da tutti, almeno fino a Carlo Magno.

Lo spostamento del baricentro verso oriente ebbe anche importanti esiti linguistici. Il latino era la lingua ufficiale dell'amministrazione e dell'esercito in tutto l'impero, (e quindi anche nella parte orientale dove era poco compreso) e lo rimase per quasi tutto il periodo tardo-romano. Ma già Giustiniano I (527-565), pur avendo nella sua opera di codificazione e legislazione usato il latino, dovette ricorrere per le leggi successive al greco, essendo questa la lingua parlata prevalentemente e compresa in oriente, pubblicando le «Novelle», cioè le leggi nuove, in greco.

A parte il problema della lingua, l'impero ebbe a fronteggiare anche quello etnico. Popolazioni autoctone quali Traci, Illiri, Isaurici, Armeni, Copti, Ebrei ecc., a cui si erano aggiunti i residui di numerose genti barbare che erano solo passate attraverso la parte orientale dell'impero, accrebbero la tensione generale. A differenza dell'occidente, Bisanzio trovò tuttavia la forza di liberarsi dal dominio delle popolazioni barbare germaniche, Visigoti, Vandali, Alani, Ostrogoti ecc.

Tutto il periodo tardo-romano fu caratterizzato da profonde lotte religiose, in primo luogo fra Costantinopoli e le province orientali. Non è possibile entrare qui nell'aspetto teologico delle controversie che si aggiravano intorno alla natura di Cristo: esse ebbero un profondo significato filosofico e culturale, ma è stato giustamente sottolineato come dietro le divergenze teologiche si celassero interessi economici e politici. Si trattava certamente di tendenze separatistiche che spiegano anche la facilità con cui la Siria, la Palestina, l'Egitto, l'Africa settentrionale andarono perdute nel corso del VII secolo. A oriente, quindi, come in occidente, i limiti dell'impero bizantino furono abbozzati nell'epoca tardo-romana; delle conquiste di Giustiniano I sopravvissero sostanzialmente fino all'XI secolo l'Italia meridionale e la Dalmazia.

Le misure riformatrici del IV secolo avevano indubbiamente consentito all'impero di fronteggiare la grande crisi, di cui l'organismo statale aveva sofferto le conseguenze. Risolvendo una parte dei problemi se ne creavano infatti di nuovi: e tutta la storia dell'epoca tardo-romana è un vano tentativo di sanare le strutture sociali e l'apparato statale.

La situazione interna fu inoltre aggravata dalla pressione esterna: al nemico tradizionale in oriente, l'impero dei Sassanidi, che fu sconfitto solo alla vigilia dell'invasione araba, si aggiunse la nuova spinta delle invasioni barbariche. A partire dal IV secolo sino alla fine del VII, l'impero dovette opporsi a un'incessante pressione lungo i suoi confini settentrionali. Un'ondata barbarica seguiva l'altra e la compagine dello stato era troppo debole per resistere: la parte occidentale, compresa l'Africa, andò perduta nel IV e V secolo. Le lunghe guerre di riconquista dell'imperatore Giustiniano I nella prima metà del VI secolo ristabilirono in parte, ma per breve tempo, le vecchie frontiere a occidente, a scapito però di quelle orientali e balcaniche dove a partire dall'inizio del VI secolo gli Slavi irrompevano quasi senza interruzione. A ogni modo, fu ricostituita l'unità dell'impero accentrata sul Mediterraneo.

Il regno di Giustiniano, segnato da molti trionfi ma anche da molti problemi (vedi DOC. N. 2), fu però per certi aspetti un periodo brillante e di rafforzamento, sia pure di breve durata. Dopo aver trionfato sull'opposizione interna, egli poté condurre le sue guerre di riconquista appoggiandosi su latifondisti e su gruppi commerciali e industriali. Con la sottomissione dell'Africa, dell'Italia e della Spagna (vedi CARTINA I) fu reintrodotto il vecchio regime, e la vecchia classe dominante venne reintegrata nei suoi possessi e privilegi.

Ma il potere imperiale fu sostenuto anche da gruppi interessati al commercio internazionale. Sotto Giustiniano l'impero romano tentò infatti di liberarsi dal controllo della Persia, attraverso cui passavano le grandi vie commerciali e forti quantità di seta, aprendo nuovi passaggi dall'Oceano Indiano al Mediterraneo attraverso l'Arabia, il Mar Rosso e l'Abissinia. Più importante di questi dirottamenti fu forse però l'introduzione della coltura del baco da seta che, a partire da Giustiniano, rese l'impero indipendente in questo importantissimo settore commerciale e industriale (vedi DOC. N. 2).

In questo periodo la cultura e l'arte raggiunsero mete altissime. La codificazione del diritto romano fatta eseguire da Giustiniano I – il suo Codice, i Digesti, le Istituzioni – furono la base non solo della legislazione bizantina per quasi un millennio, ma di tutto il diritto occidentale dal XII al XIX secolo. Nella legislazione giustinianea si espresse l'autocratizzazione dell'impero, e la volontà del sovrano fu dichiarata legge suprema. In quest'epoca visse uno dei più grandi storici di Bisanzio, Procopio di Cesarea; e sul piano artistico si svilupparono forme architettoniche insuperate fino a oggi, quali la chiesa di Santa Sofia (cioè della Sapienza divina) e le bellissime chiese ornate di mosaici a Ravenna – Sant'Apollinare Nuovo, San Vitale, Sant'Apollinare in Classe ecc. Malgrado dunque problemi finanziari e sociali, lo stato riuscì a impegnarsi sul piano economico offrendo ad artisti possibilità d'espressione quasi illimitate. Periodi di crisi economica e sociale non sono, per principio, anche epoche di crisi culturale e artistica.

Certo le immense spese per le guerre e la diplomazia, per le costruzioni e la corte non fecero che aumentare il disagio finanziario. I trionfi di Giustiniano, malgrado gli indubbi risultati ottenuti sul piano economico e commerciale, furono perciò di carattere effimero. L'impero era invecchiato e in crisi e la pressione esterna, sia dei Persiani sia dei barbari, come anche tutta la politica estera e interna (soprattutto quella di Giustiniano, ma anche quella dei suoi successori) non avevano fatto che rendere più acuti i problemi economici, finanziari e politici. Le vecchie strutture sociali non erano più in grado di reggere; le dispute religiose, le diversità etniche, le rivalità fra i grandi centri non facevano che aumentare la tensione. L'impero si andava lentamente sgretolando e durante tutta la seconda metà del VI secolo e la prima del VII fu in preda alla guerra civile, ai sollevamenti popolari e alle ribellioni militari che vanno dalla cosiddetta rivolta di Nika (dal verbo vincere) nella capitale nel 532 alla sommossa militare del 602 sulla frontiera del Danubio che aprì le porte all'invasione slava dei Balcani. Gli attacchi degli Slavi e degli Avari nei Balcani, dei Longobardi in Italia, dei Persiani in Asia Minore accelerarono il processo di disfacimento. In esso però l'impero trovò nuove forze e nuove forme su cui seppe ricostruirsi e sopravvivere per più di mezzo millennio.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/05