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Didattica > Strumenti > Bisanzio. Società e stato - 3

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Bisanzio. Società e stato

di Jadran Ferluga

© 1974 – Jadran Ferluga


3. Il rinnovamento economico e sociale in oriente

La crisi interna che culminò nel VII secolo e la catastrofe alle frontiere dell'impero segnano la fine di un periodo e l'inizio di uno nuovo. Le guerre civili, le rivolte delle truppe, le insurrezioni nelle città, il malcontento nelle campagne caratterizzarono la fine del VI e l'inizio del VII secolo. Gli sforzi fatti dagli imperatori Maurizio (582-602) e Foca (602-610) per arginare la crisi rimasero senza effetto.

Con Eraclio (610-641) s'inizia un'epoca nuova, si pongono le basi di un nuovo ordinamento sociale e di una nuova organizzazione amministrativa. Alla crisi interna, che scuoteva lo stato tardo-romano nelle sue strutture più profonde, s'aggiunsero gravi minacce alle frontiere: nei Balcani gli Slavi, che attaccavano l'impero da quasi un secolo, e gli Avari avevano inondato quasi tutta la penisola. I primi colonizzarono vaste regioni della penisola e vi si insediarono, i secondi saccheggiavano e si ritiravano poi al di là del Danubio. A oriente i Persiani erano di nuovo all'offensiva e avevano fatto delle puntate fino al Bosforo.

L'impero perdette nella prima metà del VII secolo gran parte dei Balcani, salvo le coste, poi l'Egitto, la Palestina e la Siria e quasi tutta l'Armenia. L'imperatore Eraclio era riuscito fra il 627 e il 630 a sconfiggere i Persiani, grazie a nuove misure amministrative e militari (vedi DOC. N. 3) che preannunciavano profondi mutamenti nello sviluppo interno dello stato. L'invasione araba che seguì immediatamente la vittoria bizantina sui Persiani decise della sorte delle province orientali e fissò sulla catena montuosa del Tauro la frontiera bizantina in Asia Minore. La base territoriale dell'impero era stata talmente ridotta che lo sviluppo economico doveva risentirne il contraccolpo. Ma anche la base sociale del vecchio impero era infranta: non solo erano andate perdute le grandi province orientali, tipiche per l'organizzazione latifondistica, ma anche la grande proprietà fondiaria era indebolita dappertutto, sia per mancanza di mano d'opera che in seguito alle confische del governo e alle invasioni nemiche.

Grandi città, cioè grandi centri commerciali e industriali come Alessandria e Antiochia, erano in mano araba, ma anche centri come Tessalonica e Costantinopoli si trovarono tagliati fuori da gran parte dei loro mercati. Il cuore dell'impero era ora in Asia Minore e qui da Eraclio e dai suoi successori furono prese misure che impressero la nuova fisionomia medievale all'impero bizantino. Il territorio dell'Asia Minore, che non era stato ancora occupato dagli Arabi, venne diviso in circoscrizioni militari, i cosiddetti «temi», che costituirono la caratteristica organizzazione provinciale per più di un mezzo millennio. Il vecchio ordinamento di Diocleziano e Costantino era andato in frantumi, e così anche certi suoi principi. A differenza del vecchio regime, ora il potere civile e militare nelle province era concentrato nelle mani del governatore militare, dello stratego. Il sistema non era in ogni sua parte nuovo, come del resto non si può attribuire tutto alle misure organizzatrici di Eraclio. Già Giustiniano I verso la metà del VI secolo, in certe regioni di frontiera, aveva dato la preminenza alle autorità militari su quelle civili; verso la fine dello stesso secolo, in Italia e in Africa erano state create delle unità amministrative e militari, gli esarcati di Ravenna e di Cartagine, in cui l'esarca, cioè il governatore militare, aveva concentrato nelle proprie mani anche gran parte dei poteri civili. Nel primo periodo bizantino erano stati istituiti a difesa dei confini i «limitanei», soldati che avevano un appezzamento di terreno e che in un certo senso precorrono gli stratioti dei «temi». Ci vollero però quasi tre secoli prima che tutto l'impero fosse diviso in «temi» e una nuova organizzazione interna prendesse a funzionare. Nel VII secolo furono fatti i primi passi con la creazione di quattro «temi» in Asia Minore: quelli dell'Opsikion, degli Armeniaci, degli Anatolici e il «tema» marittimo dei Caravisiani.

Il sistema dei «temi» fu dunque creato ai confini e per difesa. Nei Balcani, in gran parte fuori del controllo del governo bizantino, esso fu introdotto soltanto a partire dalla fine del VII secolo e con molta più circospezione e lentezza. La spiegazione è duplice: il pericolo più grave e immediato era a oriente, in Asia Minore; e proprio qui lo stato disponeva più largamente di terre da poter distribuire ai soldati dei «temi». Il termine thema veniva dal gergo militare e indicava un'unità; solo con l'andar del tempo cambiò di contenuto e servì per designare anche la circoscrizione territoriale in cui esso era insediato, dove erano cioè colonizzati i soldati che lo formavano. Questo è l'aspetto innovatore tanto sul piano sociale quanto su quello militare e amministrativo.

Il sistema dei «temi» poggiava sui soldati, gli stratioti, che ricevevano degli appezzamenti di terreno in proprietà privata, i cosiddetti «fondi stratiotici», con cui mantenere sé e la propria famiglia. Un soldo minimale ne facilitava l'armamento ed erano quasi completamente esenti dalle tasse. Dovevano presentarsi a riviste militari in determinati periodi per partecipare a manovre o a spedizioni di guerra e dovevano, fatto caratteristico, presentarsi alla chiamata con un cavallo. La proprietà della terra era ereditaria, ma comportava l'obbligo al successore di prestare servizio militare: al padre cioè subentrava il figlio sia sul podere che sul campo di battaglia. Le conseguenze di queste misure, la cui applicazione cominciò con Eraclio e che sino alla fine del VII secolo diedero un'impronta definitiva allo sviluppo amministrativo e militare dell'impero bizantino, furono di lunga e durevole portata. Lo stato si liberò dal reclutamento di truppe mercenarie, costose, infide e spesso insufficienti, e poté appoggiarsi su di un esercito di soldati-contadini di gran lunga più economico, pronto a difendere le proprie frontiere e i propri campi. Terre libere o a disposizione dello stato in Asia Minore furono distribuite sia a contadini o soldati bizantini (per es. il «tema» degli Opsiciani si formò dalla vecchia unità dell'Obsequium), sia a ex-coloni o ex-schiavi provenienti da latifondi decaduti, sia a popolazioni ritiratesi davanti al nemico (Arabi cristiani, Siriaci, Armeni ecc.) o affluite da altre regioni nei nuovi «temi».

Così per esempio l'imperatore Leone III (717-741) era figlio di contadini fuggiti dalla Siria davanti agli Arabi e colonizzati in Tracia, e aveva fatto carriera nell'esercito diventando stratego del «tema» degli Anatolici. Masse di Slavi provenienti dai Balcani si insediarono in Asia Minore durante la seconda metà del VII secolo e tutto l'VIII (vedi DOC. N. 4). Accanto alla piccola proprietà fondiaria militare e parallelamente a essa si sviluppò una piccola proprietà di contadini liberi, cui si aggiunsero i figli cadetti degli stratioti. Masse di contadini liberi e terreni disponibili furono dunque le prime condizioni che resero possibile questo radicale cambiamento sociale e la formazione di una nuova classe che costituì la base del nuovo esercito e della forza economica e finanziaria dello stato. Da qui la rigenerazione interna che rese possibile il superamento della crisi dell'epoca tardo-romana, la resistenza agli attacchi arabi nell'Asia Minore e fin sotto le mura della capitale, e la graduale riconquista dei territori perduti nei Balcani.

I nuovi rapporti nelle campagne bizantine si riflettono soprattutto nella cosiddetta «Legge agraria» – Nomos georkikos – compilata probabilmente a cavallo fra il VII e l'VIII secolo. Anche se non si comprende bene di quali contadini si tratti, né vengono nominati i luoghi dove essi vivevano, è chiaro però che erano piccoli proprietari indipendenti e coltivatori diretti, che non erano legati ad alcun signore e potevano muoversi liberamente, e che dovevano pagare tasse e tributi allo stato. Alcuni possedevano oltre a terreni e bestiame anche schiavi, i quali non scomparvero mai completamente nel Medioevo bizantino. Altri dovevano essere benestanti poiché concedevano in mezzadria parte dei loro terreni. D'altra parte il villaggio bizantino formava una comunità, nel senso che i pascoli costituivano una proprietà indivisa e venivano sfruttati collettivamente per il bestiame dei contadini, sorvegliato da un pastore della comunità, mentre i boschi erano in parte divisi e in parte in comune. La «Legge agraria» (e si tratta probabilmente soltanto di una collezione di prescrizioni di diritto consuetudinario e non di una legge ufficiale), aveva per scopo di regolare le relazioni quotidiane del villaggio bizantino (vedi DOC. N. 11). Per lo stato, l'aspetto più importante consisteva nel fatto che la comunità era un'unità amministrativa e fiscale, che garantiva il regolare versamento delle tasse e dei tributi e i cui membri erano solidamente responsabili per i vicini insolventi. Si attuava così uno dei principi basilari della fiscalità bizantina, già emerso nel tardo periodo romano, secondo cui proprietario della terra era colui che ne pagava le tasse. Fu abolito perciò anche il legame fra uomo e terra, la capitatio-jugatio cioè, del periodo precedente, perché l'accento veniva ora a battere su uno solo dei due elementi. Fu abolita anche l'epibole, e in genere tutto il sistema tributario fu semplificato e le tasse diminuite. L'imperatore Niceforo I (802-811) introdusse però l'allilengion, cioè un sistema che rendeva responsabili i vicini per le tasse dei terreni rimasti senza eredi. Il ruolo e l'importanza del nuovo ceto sociale dei contadini liberi portò dunque a cambiamenti radicali nella politica tributaria e finanziaria. Cambiamenti ebbero luogo anche nell'amministrazione centrale e in quella provinciale. Era abbastanza ovvio che, essendo sopravvenuti mutamenti radicali nella struttura economica e sociale dell'impero, essi si riflettessero nell'organizzazione amministrativa. In seguito a perdite territoriali, alla fusione dei poteri civile e militare nelle mani del governatore del «tema» e alle necessità imminenti, soprattutto finanziarie, furono presi due complessi di misure che a prima vista sembrano contraddittorie ma che di fatto non lo furono. Si tratta di un processo parallelo consistente in un rafforzamento del governo sia centrale che provinciale.

Le vecchie prefetture del pretorio avevano perduto la loro importanza e furono abolite. Al loro posto furono creati quattro ministeri – chiamati «logotesie» – e cioè dell'esercito, delle finanze statali, degli affari imperiali e infine dell'interno e degli esteri. I primi tre ministeri avevano soprattutto competenze sul piano delle finanze che venivano così definitivamente centralizzate; e poiché ebbe luogo un forte avvicinamento fra la cassa dello stato e quella dell'imperatore, l'autocrazia imperiale fu di fatto rafforzata. Il quarto ministero era in realtà tenuto dal «logoteta del dromo» – cioè delle comunicazioni – che aveva larghissime competenze. Responsabile della posta, doveva controllare tutto il movimento interno dal punto di vista tanto della sicurezza civile quanto di quella politica; doveva inoltre occuparsi degli ambasciatori stranieri da quando giungevano alla frontiera sino al loro arrivo nella capitale e a corte: fu così che egli divenne una specie di ministro degli interni e degli esteri. L'amministrazione provinciale era anch'essa centralizzata nei «temi» stessi e col tempo, cioè nella seconda metà del IX secolo, scomparvero le ultime istituzioni del periodo tardo-romano e i «temi» rimasero l'unica organizzazione provinciale dell'impero. In essi quasi tutto il potere era concentrato nelle mani dello stratego, direttamente dipendente dall'imperatore, che lo nominava, pagava e poteva in ogni momento revocarlo. Col suo apparato burocratico, egli reggeva la sua provincia autocraticamente.

Verso la fine del VII secolo sorgono in Europa i primi due «temi»: quelli di Tracia e dell'Ellade; il primo a difesa di Costantinopoli davanti ai Bulgari e al loro stato formatosi in questo periodo fra il Danubio e la catena dei Balcani; e l'altro comprendente la Grecia centrale. In effetti, solo dove i «temi» erano stati introdotti, lì si poteva parlare di potere reale dello stato bizantino. È stato perciò giustamente messo in rilievo che, «se si vuole capire quali regioni fossero effettivamente in possesso dell'impero bizantino, e non si limitassero cioè a riconoscerne nominalmente la sovranità ma sottostessero di fatto alla sua amministrazione, bisogna vedere fin dove si estendeva l'organizzazione dei 'temi'» (Ostrogorsky). Verso la metà del IX secolo i «temi» erano già tanto numerosi da abbracciare quasi tutto il territorio dello stato. Da «temi» era ricoperta l'Asia Minore, mentre lungo i confini con gli Arabi, sul Tauro, si estendeva ancora una catena di «clisure», piccole province di frontiera simili ai «temi»; anche la Crimea meridionale era saldamente in mano bizantina sotto il nome di «tema» di Cherson e così lo erano una larga fascia costiera, tutta la parte meridionale e le numerose isole dei Balcani, il Mezzogiorno d'Italia e la Sicilia.

La centralizzazione dello stato fu aumentata e rafforzata anche grazie alla scomparsa del dualismo linguistico, caratteristico del periodo precedente. Il latino, la lingua ufficiale ma poco compresa in oriente, scomparve e rimase soltanto il greco. Grecizzazione e bizantinizzazione dello stato furono dunque caratteristiche novità. Per la lingua però non bisogna farsi illusioni: accanto a quella ufficiale, coltivata dall'alta burocrazia e dal clero, a corte, nelle scuole e nelle università, esisteva una lingua parlata dal popolo. Le due si allontanavano l'una dall'altra e il processo continuò per tutto il Medioevo, anzi si approfondì, e ancora oggi accanto a un greco «popolare», parlato dalle masse, esiste un greco «puro» di cui si serve solo un ristretto gruppo di persone.

Il titolo imperiale conobbe la stessa sorte: gli imperatori del primo periodo bizantino portavano ancora titoli latini quali imperator, caesar, augustus. Con Eraclio prevalse il titolo greco di basileus. Preso dal greco classico e dal mondo ellenistico, dove aveva il significato di re, esso acquistò nell'impero bizantino nuovo contenuto e significò sempre e soltanto imperatore. Questo titolo era portato anche dai co-reggenti che si distinguevano dall'imperatore soprattutto nelle competenze ed erano chiamati «secondo» o «giovane imperatore». Un allontanamento dal periodo tardo-romano e quindi un processo di bizantinizzazione, anche se non tanto marcato e pronunziato come in altri campi, si nota anche nell'attività legislativa, sia nella già citata «Legge agraria» che nell'Ecloga di Leone III (717-741). L'Ecloga era un manuale per giudici, che conteneva una selezione delle più importanti norme vigenti nel diritto privato e penale. Essa si allontanava però dalle concezioni romane e giustinianee in quanto introduceva norme del diritto consuetudinario derivanti dal mondo orientale, quali il taglio del naso, della lingua, della mano, l'accecamento ecc.

Malgrado tutta una serie di mutamenti radicali, una delle caratteristiche di quest'epoca fu appunto il sopravvivere del vecchio apparato burocratico e la sua forza di adattarsi a situazioni nuove. In ciò l'impero bizantino si distinse dai regni barbarici. Esso era l'unico stato civilizzato sul territorio dell'antico impero romano, l'unico con un'amministrazione organizzata e sviluppata, l'unico ad avere un'economia monetaria; possedeva un esercito e una marina di eccellente qualità, con un'organizzazione quasi moderna e altamente sviluppata dal punto di vista tecnico.

Basti pensare al famoso «fuoco greco», una speciale miscela infiammabile, che veniva lanciata contro le truppe nemiche ma soprattutto contro le navi, con dei lanciafiamme chiamati «sifoni». Fu appunto grazie anche a questa superiorità tecnica, come il «fuoco greco» o le imponenti mura della capitale, ma anche ad altri mezzi, che i Bizantini resistettero ai due durissimi assedi arabi di Costantinopoli del 674-678 e del 717-718. Il fatto che la crisi del vecchio regime, sempre più acuta nel VI e addirittura catastrofica nel VII secolo, fosse stata superata con un apparato burocratico efficiente, rappresentò la forza dell'impero medievale bizantino durante tutto il periodo del rinnovamento. Proprio questo apparato divenne più tardi il freno, l'elemento che impedì sviluppi ulteriori, e il maggiore responsabile di una politica conservatrice. La grande lezione storica di Bisanzio sta nel mettere in evidenza il ruolo che l'organizzazione amministrativa, con una sua struttura ligia alla tradizione, può avere nello sviluppo di uno stato e non solo nel Medioevo.

L'epoca in cui l'impero bizantino si rinnovò e in cui furono poste le basi della rigenerazione non fu caratterizzata soltanto dalla formazione di un largo ceto di contadini liberi, siano essi stati soldati o contribuenti, ma anche da una certa liberalizzazione generale economica e sociale estesasi al di fuori delle campagne. Molte città, soprattutto nei Balcani, furono distrutte dai barbari; molte andarono perdute in oriente e furono prese dagli Arabi. Sul territorio bizantino, sensibilmente ridotto, rimasero però molti centri cittadini. A quanto si può desumere dalle poche e povere fonti del tempo, molte città continuarono a esistere sia come centri di commercio che di una seppur ridotta produzione, sia come centri amministrativi, religiosi e militari.

L'impero bizantino trovò nell'economia monetaria, basata in buona parte appunto sull'esistenza di una vasta rete di città, le forze per superare la crisi dell'epoca tardo-romana.

Anche se ormai notevolmente ruralizzate, numerose città continuarono a esistere in Asia Minore, lungo le coste dei Balcani, in Italia meridionale. Già durante il periodo tardo-romano, nelle città si era avviato un processo che raggiunse il suo culmine nell'epoca del rinnovamento. Le istituzioni municipali andarono lentamente ma inesorabilmente verso la loro fine, perché l'autocratizzazione e la centralizzazione dello stato non potevano lasciare intatti i vecchi istituti cittadini. Parallelamente, però, il governo centrale doveva appoggiarsi sulle forze locali nelle città e, pur non rinunciando del tutto a immischiarsi nel loro sviluppo interno, fu costretto ad allentare le briglie del proprio controllo. Col tempo, aumentando la crisi, il governo si trovò sempre più nella situazione di non poter far niente per la difesa e il benessere delle proprie province e città, soprattutto per quelle periferiche. Così si sviluppò tutta una serie di autonomie locali, notevolmente differenziate. Esse furono minori nelle città dell'Asia Minore, soprattutto in quelle dove risiedevano lo stratego o altre autorità militari e amministrative, ma abbastanza grandi per esempio lungo la costa dalmata o nella Crimea meridionale dove le città erano abbandonate quasi a se stesse. Questo stato di cose durò fino al momento in cui queste regioni furono organizzate come «temi» e fu ristabilito il controllo del governo centrale. Verso la fine del IX secolo le ultime forme dell'autonomia municipale furono anche ufficialmente abolite con una legge dell'imperatore Leone VI (886-912) con cui si stabiliva che tutto il potere era concentrato nelle mani dell'imperatore e dell'amministrazione statale (vedi DOC. N. 8).

Ci fu dunque un rilassamento del controllo statale, differente da regione a regione o da città a città, che consentì una certa ampiezza di respiro economico, sociale e politico per una durata più o meno breve a seconda del luogo e delle circostanze. Anche più tardi, nel X secolo, il Libro dell'eparco mostra che il vincolo corporativo non fu mai nell'impero bizantino così rigoroso come lo era stato nell'epoca tardo-romana.

Una certa liberalizzazione appare evidente anche nella cosiddetta «Legge navale». Questa raccolta di regolamenti nautici compilata nel VII od VIII secolo, dunque nel periodo che stiamo trattando, conosceva soltanto un'economia monetaria. I rapporti fra capitani marittimi e commercianti, fra i contraenti prestiti, si venivano evolvendo e sembravano avvicinarsi alle più semplici e iniziali forme capitalistiche, quali si affermeranno nell'Europa occidentale e soprattutto nelle repubbliche italiane a partire dall'XI e XII secolo. Questo periodo fu di breve durata. L'esistenza dell'amministrazione statale, con il suo apparato burocratico a servizio dell'autocrazia imperiale, come aveva contribuito a superare la crisi durante il VII e l'VIII secolo, così fece da freno a un ulteriore sviluppo e consolidò una politica conservatrice.

Questo periodo fu caratterizzato da cambiamenti sociali non solo alla base ma anche al vertice della classe dirigente. In seguito a guerre, invasioni e perdite territoriali il ceto dei latifondisti diminuì di forza e importanza politica. Gli effetti di questo declino raggiunsero anche il senato, che mantenne tuttavia un certo ruolo poiché era composto non solo da grandi proprietari terrieri ma anche dall'alta burocrazia. Di fatto esisteva un'osmosi dei due gruppi sociali che si fondevano appunto nel senato. L'impero bizantino poté trascorrere il periodo delle riforme in un relativo equilibrio sociale che fu benefico per la stabilizzazione interna e quindi per un rafforzamento di fronte ai grandi pericoli esterni (Persiani, Slavi, Avari, Arabi, Bulgari ecc.). I germi dei futuri problemi sociali, economici e politici stavano però maturando. Centrato a partire dal VII secolo quasi completamente in oriente, dove l'Asia Minore formava il cuore dello stato, l'impero bizantino dovette far fronte a molti nuovi problemi: l'orientalizzazione della società, la militarizzazione dell'organismo statale, l'aumentato ruolo della Chiesa e un certo misticismo e ascetismo nelle forme di vita. Questi nuovi aspetti si riflettono in quella che comunemente si chiama l'iconoclastia, movimento diretto contro il culto delle icone, tavole di modesta misura su cui erano effigiate immagini sacre (ad es. Cristo, i santi ecc.). Si trattò di un fenomeno religioso, ma anche sociale e politico, che ebbe inizio nei primi decenni dell'VIII secolo e terminò verso la metà del IX, agitando così per più di cent'anni lo stato.

La prospettiva storico-sociale in cui ci siamo posti, non ci consente di entrare qui nell'aspetto teologico, filosofico, culturale e artistico del movimento iconoclasta. I più accaniti sostenitori dell'iconoclastia si trovavano nelle regioni orientali dell'impero dove si faceva ancor sempre sentire sia l'influenza delle vecchie eresie cristologiche sia quella araba, cui ripugnava la rappresentazione figurativa delle sembianze umane. L'impero bizantino si allontanava così ancora di un passo dal mondo occidentale. Fra i più attivi nemici della rappresentazione delle sembianze di santi erano i «temi» dell'Asia Minore che, forti del loro ruolo nella difesa dell'impero, si opponevano con l'iconoclastia tanto al governo centrale e all'apparato burocratico quanto alle tendenze conservatrici dell'alto clero e degli ordini monastici. Da Giustiniano in poi era in costante aumento la proprietà terriera della Chiesa e in particolare quella monastica, come era in decadenza e in regresso la proprietà laica. I vescovi, il cui ruolo sociale e politico diveniva sempre maggiore, si erano anche in gran parte facilitato l'acquisto di ricchezze e terre. E questo spiega perché l'apparato burocratico della capitale e l'alto clero siano stati attaccati assieme dagli iconoclasti.

Certo la confisca dei beni mobili e fondiari della Chiesa, in primo luogo di quelli dei monasteri, non spiega l'iconoclastia ma ne costituisce un aspetto molto rilevante. Chiaro è però che i monaci lesi nei loro interessi divennero la forza di punta del movimento icondulo (che difendeva cioè le icone).

Non meno significativo fu il risultato dei cambiamenti delle strutture sociali e politiche. Una nuova aristocrazia, quella dei «temi», s'affacciava alla ribalta politica dell'impero. L'iconoclastia fece avanzare di molto il ruolo delle province militari e in genere dell'elemento militare. Esso si impose lentamente sia per il ruolo che ricopriva nella difesa dell'impero, sia per la base economica che si andava creando. Poco sappiamo su questi aspetti del VII e VIII secolo, ma i cambiamenti si manifestarono non solo nel movimento iconoclasta, ma scoppiarono con tutta la loro forza e violenza nell'820 durante l'insurrezione di Tommaso lo Slavo.

La crescente ineguaglianza sociale, gli abusi dell'amministrazione, gli esagerati oneri fiscali, l'antagonismo etnico, il tutto unito a differenze fra iconoclasti e iconduli, portarono alla rivolta le masse popolari di quasi tutti i «temi» dell'Asia Minore. Ad essa parteciparono numerose genti che ivi erano state colonizzate – del resto lo stesso Tommaso era discendente di Slavi trasferiti precedentemente dall'Europa in oriente – ma anche eretici, che protestavano vigorosamente contro i misfatti economici e sociali. Era però in primo luogo una rivolta delle masse oppresse, come il cronista mette in rilievo, ché lo schiavo sollevò la mano sul padrone e il soldato sullo stratego (vedi DOC. N. 7). Nell'823 l'insurrezione, a tre anni dall'inizio, fu repressa nel sangue.

Essa aveva posto in evidenza quanto critica fosse la situazione sociale e quanto forti fossero le forze in ascesa. Con la metà del IX secolo si inizia infatti un'epoca nuova caratterizzata da un nuovo imperialismo bizantino, da una Chiesa rigenerata e più che prima legata allo stato, ma soprattutto da un'aristocrazia militare le cui radici venivano dal profondo dell'organizzazione tematica.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/05