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Didattica > Strumenti > Bisanzio. Società e stato - 5

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Bisanzio. Società e stato

di Jadran Ferluga

© 1974 – Jadran Ferluga


5. L'aristocrazia in lotta per il governo centrale

All'inizio dell'XI secolo l'impero bizantino avevà raggiunto dunque il suo apogeo. Le frontiere erano state allargate e avevano raggiunto in certi punti perfino quelle dell'impero romano. Sembrava iniziarsi un periodo di pace e prosperità che dava al governo un senso di sicurezza. All'interno l'aristocrazia militare, soprattutto quella dell'Asia Minore, aveva subito nella seconda metà del X secolo lezioni tanto dure da far pensare che non avrebbe più osato intraprendere né rivolte né sollevazioni. Le finanze erano sane e le casse statali piene (vedi DOC. N. 17). Anche il potere imperiale sembrava con Basilio II esser stato più che mai rafforzato. Sotto queste apparenze però continuava a esistere una realtà sociale che doveva trasformare l'XI secolo in un'epoca di transizione, in cui terminava il periodo propriamente bizantino e iniziava quello tardo-bizantino. Fu un'epoca caratterizzata dalla lotta per il potere centrale fra due gruppi della classe dominante, dalla rivalità fra l'aristocrazia militare e quella burocratica, fra la nobiltà militare della provincia e quella civile della capitale. Nel periodo precedente l'aristocrazia provinciale era riuscita a porre le basi economiche del suo potere sociale e aveva fatto i primi passi per prendere in mano le redini dello stato. In questo non era riuscita perché le forze sociali che sostenevano il governo centrale si erano mostrate più forti, l'apparato burocratico ancora solido e la tradizione centralistica una forza reale ed efficace.

La situazione però era col tempo mutata. La linea di divisione fra le forze sociali che sostenevano il governo centrale e l'aristocrazia militare delle province non era stata mai né netta né stabile, anzi era fluttuante e aveva portato a grandi commistioni e interdipendenze. Il risultato dello sviluppo economico e sociale del X secolo fu il trionfo di un'aristocrazia fondiaria e feudale. Fra due gruppi di essa, sempre più forti economicamente e sempre più coscienti del proprio ruolo sociale, scoppiarono rivalità che avevano per oggetto il potere centrale. Gli imperatori dell'XI secolo furono infatti in primo luogo esponenti di uno dei due gruppi rivali dell'aristocrazia. La lotta durò per più di mezzo secolo, ed essendo i due strati della nobiltà abbastanza equivalenti in forze, essi diedero a questa tipica epoca di transizione un carattere di instabilità sociale e politica che si manifestò non solo nelle guerre civili e nei sollevamenti militari e popolari, ma anche nel tentativo sia della Chiesa (che era uno dei più potenti proprietari fondiari) di liberarsi dall'unione con lo stato, sia delle classi cittadine di assumere maggiore influenza nella sfera politica.

Il trionfo dell'aristocrazia ebbe per risultato che la politica degli imperatori del X secolo fu abbandonata se non ufficialmente almeno di fatto. Le leggi restrittive all'acquisto dei beni fondiari da parte dei contadini e soldati non furono più applicate; fu abolito il cosiddetto allilengion, cioè la legge sulla solidarietà tributaria dei «potenti» per i fondi dei vicini abbandonati, che aveva attirato su Basilio II l'odio dei proprietari terrieri. La grande proprietà fondiaria crebbe senza interruzione fino ad abbracciare spesso immense superfici coltivate da numerosi «parici» e schiavi (vedi DOC. N. 19). Parallelamente aumentavano i privilegi che il governo concedeva ai signori feudali. Fra i più importanti era certamente l'esenzione dalle imposte, cioè l'excussia, che assomigliava molto alle immunità occidentali. L'esenzione deve però essere intesa nel senso che lo stato o il governo centrale rinunciava alle tasse e ai tributi versati dai contadini, che andarono d'ora in poi nelle casse del signore feudale. La forma e il grado delle immunità ma anche delle donazioni, sia temporanee che vitalizie, ereditarie o altrimenti condizionate, non cambiavano molto la situazione dei contadini. Il loro appezzamento di terreno, la cosiddetta stasis, che corrispondeva al manso in occidente, era ereditario, così come lo erano le obbligazioni; e al fondo era legato anche il coltivatore. Gli obblighi erano gli stessi se i contadini appartenevano allo stato, a un proprietario fondiario laico, a un vescovo o a un monastero. I «parici» pagavano tasse, davano tributi e prestavano corvées in un caso allo stato, nell'altro al signore. In questo periodo, a Bisanzio, l'excussia andava dalla liberazione di alcune tasse o tributi straordinari alla più completa immunità fiscale, e talora si estendeva alla giurisdizione giudiziaria. Nell'ultimo caso il signore feudale si sostituiva completamente allo stato, si liberava dal suo controllo amministrativo a cui sottraeva anche i contadini ormai divenuti servi, e così la grande proprietà si chiudeva sempre più in se stessa (vedi DOC. N. 18). D'altra parte però, pur allargando la base immunitaria dei grandi proprietari fondiari, lo stato tentava di mantenere una specie di controllo della mano d'opera. L'atto di immunità limitava espressamente il numero dei servi, cioè dei «parici», e in ogni caso essi non potevano venire reclutati fra i «parici» dello stato e fra gli stratioti. La lotta per la mano d'opera continuava dunque e sembra denunziare una crisi demografica, crisi che potrebbe essere alla base dell'instabilità economica e sociale dell'XI secolo. Oltre alla proprietà laica, sempre maggiore importanza assunse quella ecclesiastica, che non solo assorbì buona parte dei beni dei contadini e dei soldati, ma aumentò anche in seguito a concessioni sia di terre sia di immunità. Nell'XI secolo si diffuse il sistema del charistikion, ossia dell'affidamento, per lo più vitalizio ma talvolta anche ereditario, di uno o più monasteri a un laico che ne garantiva la gestione e percepiva i redditi: sistema probabilmente introdotto coll'intento di colpire la grande proprietà ecclesiastica.

L'estendersi del latifondo portò naturalmente a un crescente indebolimento e infine alla decadenza del sistema su cui si era basata la forza militare dell'impero fin dal VII secolo. Non solo furono assorbiti dalla grande proprietà i piccoli poderi dei contadini e dei soldati, ma già da parecchio tempo si andava diffondendo l'uso di sostituire il servizio militare con una tassa. Lastratia, che in origine obbligava lo stratiota a partecipare di persona alle campagne militari, si trasformò – specialmente nell'XI secolo – in tributo. È chiaro quindi che le immunità concesse ai grandi proprietari avevano il risultato di ostacolare il reclutamento dell'esercito e di comprimere il gettito fiscale per cui diminuiva la capacità dello stato di arruolare mercenari, che formavano ormai il nucleo prevalente delle forze armate bizantine. La crisi finanziaria fu acuita anche dal sempre più frequente ricorso all'appalto delle imposte. Gli appaltatori si obbligavano ad anticipare una determinata somma allo stato, che otteneva così, senza indugi e speditamente, il danaro di cui aveva urgente bisogno. Gli appaltatori però ricorrevano a ogni specie di pressione, aiutati dalle autorità locali, e spessissimo ad abusi di ogni sorta sia per recuperare quanto prima le somme anticipate sia per realizzare larghi margini di lucro.

Gli abusi, appunto innumerevoli a giudicare dalle fonti, portarono a conseguenze disastrose e furono nella maggior parte dei casi il motivo diretto di molti sollevamenti e rivolte; in ultima linea portarono a una diminuzione delle entrate dello stato. Le entrate diminuirono però anche in seguito al deterioramento della moneta bizantina. Il nomisma infatti era rimasto per secoli stabile e solido divenendo perciò la moneta del mercato internazionale. Verso la metà del secolo s'iniziò un processo di svalutazione che, anche se non ancora catastrofico, portò a una sensibile diminuzione della sua qualità e del suo valore. Le difficoltà finanziarie furono rese ancora più acute in seguito alle dissipazioni della corte e dell'apparato burocratico della capitale: chiese e palazzi, feste e donazioni consumavano buona parte degli introiti.

D'altra parte però quest'epoca fu brillante per la sua cultura quanto quella di Basilio II era stata arida per lo sforzo militare e il clima ascetico. A questo secolo appartengono i nomi di Michele Psello, famoso filosofo neoplatonico, di Costantino Licude, celebre politico, di Giovanni Xifilino, grande giurista, che diedero tutti all'antica cultura classica nuovo lustro e contribuirono quindi alla sua conservazione e trasmissione. Essi insegnarono nell'Università di Costantinopoli che costituiva sempre uno dei centri culturali più famosi del mondo.

La crisi dell'XI secolo incise sull'agricoltura bizantina ma ebbe ripercussioni notevoli anche sull'economia urbana. Le città come centri di produzione di commercio erano state uno degli elementi basilari del rinnovamento dal VII secolo in poi. Col tempo, aumentando la centralizzazione dello stato, le forze economiche e sociali cittadine erano cadute sempre più sotto il controllo della burocrazia imperiale; e per rendersene conto basti ricordare il Libro dell'eparco della prima metà del X secolo. Lo sviluppo delle città bizantine non fu naturalmente lineare e uniforme: alcune ebbero forme di autonomia locale più sviluppate, altre meno; autonomie che in parte si rafforzarono nell'XI e XII secolo, ma che non condussero mai alla formazione di comuni quali conobbe l'occidente. Nell'XI secolo pare abbia avuto luogo, a giudicare soprattutto da Costantinopoli, una rinascita dell'industria e del commercio. Verso la metà dell'XI secolo l'aristocrazia civile della capitale fu però costretta dalla sua debolezza ad appoggiarsi, nella lotta contro l'aristocrazia militare, sulle forze cittadine e aprì loro le porte del senato. Questo antico organismo vide così aumentare il numero dei suoi membri e l'importanza delle sue funzioni; ma fu una breve parentesi.

Quello che diede l'impronta a questo secolo fu, lo ripetiamo, la lotta fra due gruppi dell'aristocrazia che si rifletté sullo sviluppo delle strutture statali. L'organizzazione provinciale, basata sui «temi» nei quali lo stratego aveva nelle sue mani tutti i poteri, cioè tanto quello militare quanto quello civile, era in completa decadenza. Mentre i «temi» si erano ridotti a piccole unità amministrative e territoriali, e quali organizzazioni militari avevano cessato praticamente di esistere, erano state create nuove ed estese province sotto duchi o catepani. Essenziale fu il rafforzamento del potere civile nelle province con la creazione di «giudici» o «pretori tematici» che presero nelle loro mani tutta l'amministrazione. Certamente il declino della potenza militare bizantina fu l'aspetto più visibile della crisi, ma a indebolire esercito e stato avevano operato i fattori sociali su cui ci siamo soffermati. Gli sfortunati avvenimenti e soprattutto le sconfitte subite sui campi di battaglia resero solamente più evidente la miseria interna e accelerarono il processo di decadenza.

Il periodo fu segnato da alcune decine di sollevamenti di generali, da usurpazioni dei militari, da gravi rivolte della popolazione contro gli abusi fiscali, da movimenti di indipendenza nelle regioni di frontiera e infine da attacchi nemici cui l'impero non ebbe forza di opporsi. In seguito all'occupazione normanna di Bari, nel 1071, andò perduta infatti l'Italia bizantina; tutta l'Armenia e il cuore dell'Asia Minore erano state abbandonate ai Turchi Selgiuchidi a causa della terribile disfatta subita nello stesso anno dall'esercito bizantino a Mantzikert, a nord del lago di Van, in Turchia (vedi CARTINA I). Anche se i contemporanei non ne furono consci, la rottura con l'occidente s'era enormemente approfondita e Bisanzio allontanata da esso in seguito allo scisma del 1054; nei Balcani le incursioni di Ungari e Peceneghi rendevano i confini malsicuri e dall'orbita bizantina erano uscite e si erano rese indipendenti la Dioclea o Zeta (odierno Montenegro) e la Croazia. Bisanzio fece anche un primo fatale passo verso la rinuncia alla sua posizione nel mondo commerciale: già nel 1082, cioè appena un anno dopo la presa del potere, Alessio I Comneno rilasciò un diploma imperiale o crisobolla con amplissimi privilegi commerciali per Venezia (vedi DOC. N. 20).

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/05