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Didattica > Strumenti > Bisanzio. Società e stato - 6

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Bisanzio. Società e stato

di Jadran Ferluga

© 1974 – Jadran Ferluga


6. L'aristocrazia militare al potere

Con l'avvento al potere dell'aristocrazia militare nella persona dell'imperatore Alessio I Comneno (1081-1118) s'iniziò un periodo nuovo: i fenomeni economici e sociali dell'XI secolo furono portati ai loro estremi incidendo profondamente nello sviluppo della struttura statale, sino alla catastrofe del 1204, cioè allo smembramento dell'impero bizantino. Tutte le manifestazioni sociali ed economiche dell'epoca precedente spinsero radici più profonde nell'organismo della società bizaintina e finirono per frantumarla assieme allo stato.

La grande proprietà laica ed ecclesiastica si rafforzò e, accanto ad essa, fiorì la piccola e media proprietà feudale; gli abusi degli appaltatori di imposte si generalizzarono; la svalutazione della moneta bizantina si accelerò e la posizione predominante di Bisanzio nel commercio internazionale andò perduta. La vittoria dell'aristocrazia militare ebbe però dapprima effetti positivi sullo sviluppo dell'impero e fu, forse, la maggiore protagonista della fortunata politica bizantina sul piano internazionale sotto la dinastia dei Comneni, cioè fino quasi agli anni ottanta del XII secolo.

Col trionfo della nobiltà militare provinciale, il cui sviluppo era stato frenato dalla nobiltà civile della capitale, il processo di feudalizzazione ottenne nuovo impulso. La grande proprietà continuò a rafforzarsi, ma gli imperatori favorirono soprattutto quella laica, mentre tentarono di tanto in tanto di porre delle limitazioni a quella ecclesiastica nell'acquisto di beni terrieri. Coi Comneni non vennero però al potere né ottennero grandi privilegi le vecchie famiglie aristocratiche dei Foca, Maleini, Scleri o Duca, bensì i membri della stessa famiglia imperiale o i parenti, vicini e lontani, per legami di sangue o di matrimonio. Essi ottennero terre e privilegi, possedimenti e introiti, e occuparono le più alte posizioni nell'amministrazione e nell'esercito. Questo fu il nuovo aspetto dei cambiamenti delle strutture sociali che cominciarono col regno di Alessio I.

Certamente più importante del rafforzamento della grande proprietà e chiave per la comprensione dell'evoluzione di Bisanzio nel XII secolo, ma in un certo senso fino al 1453, fu lo sviluppo della cosiddetta pronia (= pronoia). Oggi non ci sono più dubbi che gli inizi della pronia classica siano da collegarsi al governo dei Comneni. Con diploma imperiale il proniario riceveva a proprio uso e beneficio terre lavorate da contadini, da «parici», e in cambio si obbligava a prestare servizio militare. Il termine di proniario è nelle fonti abbastanza raro; il concessionario era di solito definito «stratiota», appunto in seguito al servizio militare che prestava. La differenza sociale però fra gli stratioti del periodo antecedente e i proniari del XII secolo era immensa. I primi erano piccoli contadini liberi che dovevano presentarsi armati e a cavallo in determinate occasioni. I secondi erano cavalieri «feudali» e signori di lavoratori agricoli, dei «parici» cioè, che lavoravano i campi, versavano loro tributi, prestavano le corvées ed eventualmente accompagnavano il padrone in guerra come fanti, formandone il seguito.

La pronia poteva essere più o meno estesa, ma non fu mai una grande proprietà fondiaria. Tipico invece fu tanto per i proniari quanto per i grandi signori feudali il seguito armato, formato da persone da essi dipendenti e che era apparso sovente già nell'XI secolo. Il numero delle pronie aumentò sensibilmente sotto i Comneni ed esse furono la spina dorsale delle forze armate bizantine in questo periodo, raggiungendo il loro apogeo sotto Manuele I (1143-1180), promotore di grandi campagne militari, fra l'altro in Italia.

Si venne così a formare un fortissimo ceto sociale, una media e bassa nobiltà cioè, accanto a quella alta che si componeva dei parenti vicini e lontani della famiglia regnante dei Comneni.

Certo la vasta applicazione della pronia è il lato più caratteristico della crescente feudalizzazione dell'impero bizantino, ma non l'unico. Già durante l'XI secolo era stato largamente praticato il cosiddetto sistema del charistikion, col quale un sempre maggior numero di monasteri era stato concesso in usufrutto a laici. Malgrado gli abusi a cui portò e le proteste da parte del clero, questo uso continuò a diffondersi, con la differenza che mentre prima erano le autorità ecclesiastiche a concedere il charistikion, nel XII secolo gli imperatori avocarono sempre più a sé questo diritto, appropriandosi così di nuove terre con cui premiare i propri fedeli. Il quadro delle campagne era caratterizzato fondamentalmente dai rapporti feudali ma alcune tendenze della vecchia politica agraria tornarono in vigore sotto il forte potere degli imperatori della dinastia dei Comneni.

Essi ricorsero a misure che erano state sorpassate dallo sviluppo più recente. Specialmente sotto Giovanni II (1118-1143) furono nuovamente introdotti i beni dei contadini-soldati, cioè i beni stratiotici. Prigionieri di guerra liberati, Pecenegi, Serbi, Ungheresi, furono insediati come stratioti o contribuenti in varie parti dell'impero. Misure queste di relativa portata dal punto di vista economico, sociale e militare, ma rivelatrici dell'influenza esercitata dalla politica del governo o degli imperatori sullo sviluppo economico e sociale.

Alcuni storici moderni negano radicalmente l'esistenza di un feudalesimo bizantino basandosi su differenze strutturali e giuridiche dal modello europeo; altri la negano solo per il periodo anteriore ma ritengono che dal XII secolo in poi, sotto l'influenza occidentale (crociate, intensi contatti fra i due mondi, aumento del numero dei signori feudali latini nell'impero bizantino ecc.), si sia sviluppata una nuova specie di feudalesimo. Ma queste interpretazioni rischiano di capovolgere la realtà storica: le relazioni feudali emersero dallo sviluppo interno della società bizantina e nel XII secolo questo processo raggiunse un tale sviluppo che le sue istituzioni, o almeno alcune di esse, si avvicinavano a quelle del feudalesimo occidentale. Certo la struttura gerarchica creatasi in occidente non fu mai raggiunta, ma elementi di dipendenza feudale sussistevano già nell'XI secolo. Uno studio recente sul seguito armato bizantino ha mostrato quanto si avvicini a quello occidentale ed esprima il medesimo carattere di dipendenza. Istituzioni feudali occidentali passarono indubbiamente a Bisanzio e vi furono accolte senza problemi: da ricordare è per esempio il cosiddetto rapporto ligio per cui un vassallo che avesse più signori era legato da un vincolo di particolare fedeltà a uno soltanto di essi. Era certo una forma di vassallaggio tipica per l'occidente feudale, che anche se fu in pratica applicata nell'impero bizantino a stranieri, prova che solo due società similmente strutturate potevano mutuare certi istituti sociali e giuridici.

L'economia finanziaria bizantina aveva subito nell'XI secolo i primi gravi contraccolpi che si approfondirono in questo periodo. La moneta bizantina, il nomisma, perdette sempre più valore, poiché il governo cercava di coprire le crescenti spese svalutandolo, e cioè peggiorandone la lega: se verso il 1042 aveva ancora 23 carati, già nel 1081 era passato a soli 8 e sotto i Comneni aveva conservato appena dal 90 al 75% del suo vecchio valore. Malgrado ciò, il governo bizantino pretendeva che le tasse e i tributi venissero versati in moneta buona, in nomismi del vecchio valore. Non solo lo stato ma anche gli esattori fiscali e gli appaltatori delle tasse approfittarono di questa situazione per arricchirsi smisuratamente e aumentare la pressione fiscale sui ceti poveri. Come nel periodo precedente, anche sotto i Comneni la politica tributaria fu oppressiva soprattutto per gli abusi e i soprusi a cui stato e appaltatori ricorrevano regolarmente. Furono inoltre inventati nuovi tributi e tasse per coprire le spese crescenti, e soprattutto quelle per l'esercito.

La politica espansionistica, imperialistica si potrebbe dire, dei Comneni assunse proporzioni che andavano oltre le reali capacità economiche e finanziarie dello stato. I soldati godettero di un altissimo prestigio, il servizio militare divenne uno dei più redditizi e ricercati (vedi DOC. N. 21). Aumentò anche il numero delle truppe mercenarie, composte non solo di Bizantini ma anche degli appartenenti alle più svariate genti quali Russi, Tedeschi, Italiani, Peceneghi, Uzi, Cumani, Alani, Abasghi, Inglesi, Bulgari, Serbi ecc. Poiché spesso le entrate delle tasse non bastavano per le loro paghe, si ricorse in misura sempre più larga al pagamento in natura. Aumentò di conseguenza la pressione fiscale sulla popolazione dell'impero; particolarmente gravose e sempre crescenti furono pure le corvées per la costruzione di strade, fortezze, navi ecc., accompagnate spesso anche dall'obbligo di fornire il materiale necessario.

La situazione economica dell'impero subì durante il XII secolo una svolta che deve essere considerata radicale e decisiva e i cui effetti durarono fino alla caduta dell'impero. Bisanzio perdette il ruolo predominante nel commercio mediterraneo e col tempo divenne un'appendice delle repubbliche italiane, in primo luogo di Venezia. Alessio I aveva concesso i primi amplissimi privilegi commerciali a Venezia nel 1082 (vedi DOC. N. 20) e da allora questo processo non si arrestò più. Nel commercio bizantino avevano frattanto avuto luogo dei cambiamenti notevoli. A partire dal X secolo, ma soprattutto nell'XI e XII, le relazioni commerciali di Bisanzio con i mercati russi, caucasici, europei in genere e specialmente italiani da un lato e con quelli arabi dall'altro si erano intensificate. Costantinopoli, che era ancora nel X secolo, e molto probabilmente nell'XI, il più grande e importante centro commerciale e produttivo, perdette sotto i Comneni questa posizione a vantaggio di altri centri dell'impero come Trebisonda, Amastri, Efeso, Tessalonica, Corinto, Tebe, per non citarne che alcuni (vedi DOC. N. 16). Basta del resto consultare le liste delle città e dei porti indicati nelle numerose crisobolle rilasciate dagli imperatori a Venezia dalla fine dell'XI alla fine del XII secolo per rendersene subito conto (vedi DOC. N. 20). Cambiò però anche, e ciò ha un significato tutto particolare, la struttura delle importazioni e delle esportazioni: Bisanzio, nota in tutto il mondo per le sue stoffe e sete, per i prodotti dei suoi orefici e artigiani, esportava verso la fine del XII secolo grano e prodotti agricoli, importando invece stoffe e prodotti artigianali dall'Italia. Cambiarono anche i mediatori del commercio: i mercanti bizantini sparirono e dovettero ritirarsi sempre più davanti agli stranieri e in primo luogo davanti agli Italiani. Venezia, Genova e Pisa finirono col dominare i mercati bizantini, col sostituirsi al ceto mercantile di Costantinopoli e dell'impero e col risucchiarne le risorse finanziarie a proprio vantaggio. L'impero dipendeva sempre più dalle flotte italiane e finì col non averne quasi più di proprie. Qui stava certamente una delle ragioni dell'impotenza interna di Bisanzio che cominciò a spiegare i suoi effetti sotto i Comneni e condusse alla caduta dell'impero nelle mani dei crociati.

Lo sviluppo sociale influì in forma più che evidente sulla struttura dello stato. Il trionfo del partito militare eliminò in buona parte l'influsso della nobiltà civile della capitale che aveva rappresentato una forte limitazione, almeno durante l'XI secolo, al potere imperiale. Con Alessio I abbiamo visto che l'ascesa delle grandi vecchie famiglie dell'aristocrazia militare aveva subito una battuta d'arresto; i Comneni infatti si appoggiavano su un largo gruppo di parenti tutti proprietari di grandi beni fondiari e di altre ricchezze, che occupavano alte cariche nell' esercito e nell' amministrazione; e facevano solo eccezionale ricorso a singoli di bassa estrazione.

A partire da Alessio I gli imperatori della famiglia dei Comneni, così come tutti i loro successori, consideravano lo stato un proprio possesso feudale e lo amministravano di conseguenza, sforzandosi con ogni mezzo di ingrandirlo. Concezioni feudali venivano così trasportate a livello di governo determinando una forte tendenza alla centralizzazione e al rafforzamento dell'autocrazia imperiale, naturalmente su basi ben differenti da quelle del periodo classico bizantino. I Comneni crearono tutta una serie di nuovi titoli altisonanti anche se spesso vuoti di contenuto – quali sebasto e panipersebasto, nobilissimo e protonobilissimo ipertato ecc. – con cui essi vollero cancellare le vecchie cariche e dignità assieme a coloro che le portavano, legando la nuova nobiltà alla famiglia regnante. Scompariva così il vecchio sistema burocratico e si creava al suo posto una nuova gerarchia, con nuovi rapporti di fedeltà. Qui stava la forza del governo dei Comneni, ma qui stava anche la sua debolezza. Col tempo infatti i signori feudali si resero sempre più indipendenti, le forze centrifughe più forti, e questo portò ai primi fenomeni di disfacimento all'interno e all'indebolimento dell'impero davanti a forze esterne.

La Chiesa tornò a essere, dopo le brevi velleità di indipendenza mostrate verso la metà dell'XI secolo, uno dei pilastri dell'autorità imperiale: essa l'aiutò con tutti i mezzi e fu in cambio protetta dallo stato contro ogni pericolo. La grande comunione di interessi portò a una collaborazione sempre più intensa; e cominciò così un processo in cui all'indebolimento del potere imperiale si accompagnava l'aumento dell'autorità ecclesiastica postasi al servizio dello stato sia in politica interna che estera.

Il processo di concentrazione del potere si fece sentire anche nella struttura del governo. A capo delle forze armate in Asia Minore e in Europa furono posti due «domestici» e un mega dux divenne capo della flotta. Un primo ministro – il grande logoteta – concentrava nelle proprie mani tutti gli affari civili, così che le più alte cariche militari e amministrative cadevano direttamente sotto il controllo dell'imperatore. Le province, sottoposte a governatori col titolo di «duca», furono territorialmente ridotte a tal punto da non poter nemmeno rappresentare un pericolo lontano per il potere imperiale. Gli effetti della feudalizzazione si manifestarono però anche nella struttura delle province: spesso i grandi signori feudali erano più influenti dei governatori di «temi» o ricoprivano essi stessi questa carica; in certi casi, poi, l'ambito territoriale delle province rivelò la tendenza a coincidere con quello della grande proprietà fondiaria.

Il periodo del governo dei Comneni in fondo era stato ancora abbastanza brillante, ma gli immensi sforzi compiuti non potevano protrarsi a lungo. I mezzi necessari superavano le possibilità, e a un certo momento dovette crearsi una rottura nell'arco economico e sociale che per quasi cento anni era stato fin troppo teso. Gli ultimi due decenni del XII secolo segnarono un'espansione completa delle forze sociali che fino alla morte dell'ultimo dei Comneni, Manuele I, erano rimaste relativamente tranquille, ed ebbe luogo un'esplosione dei fenomeni latenti ma inerenti alla società bizantina, che fino ad allora erano stati poco visibili.

Alla morte di Manuele Comneno nel 1180 seguì un brevissimo ma interessantissimo periodo di reazione anti-aristocratica e anti-feudale sotto il governo dell'imperatore Andronico I Comneno (1183-1185). Tutte le misure prese per ristabilire il controllo del governo centrale, per abrogare ogni specie di ingiustificati privilegi e gli ormai quotidiani abusi fiscali non portarono frutti. Con la dinastia degli Angeli, che regnò a partire dal 1185, il processo iniziato sotto i Comneni non solo continuò ma fu anzi accelerato. Anch'essi amministravano lo stato come se fosse loro proprietà privata; le spese di corte non facevano che aumentare, le province erano sempre più dipendenti dai grandi proprietari terrieri e le forze centrifughe, che portarono alla separazione di intere regioni dall'impero sia in Asia Minore che nei Balcani e nel mondo insulare (Cipro) divennero del tutto evidenti. La situazione esterna accelerò questi processi rendendone più acute le manifestazioni. Nei Balcani i Bulgari e i Serbi si resero indipendenti e nella Macedonia meridionale, a cavallo del XII e XIII secolo, si formarono le signorie di alcuni magnati feudali come Dobromiro Chrysos, il bulgaro Ivanko e il bizantino Kamitzes; i signori della III crociata, che sotto Federico I Barbarossa passarono per Bisanzio, scalzarono ancora di più l'ormai traballante edificio dello stato; l'impero d'occidente sotto Enrico IV sembrava dover recare ogni momento il colpo fatale all'impero di Bisanzio. Fatale però fu la sua crescente dipendenza dalle repubbliche marinare italiane. Misure economiche e spesso anche repressive per liberarsi da questa dipendenza, sotto Manuele e sotto Andronico per esempio (vedi DOC. N. 22), non diedero risultati positivi e anzi fecero aumentare il timore dei Veneziani e degli altri commercianti latini per le proprie posizioni nell'impero bizantino. Si faceva sempre più strada, soprattutto a Venezia ma anche altrove, l'idea che bisognava distruggere e occupare Bisanzio, e la IV crociata non fu «che il risultato quasi inevitabile degli avvenimenti precedenti» (Ostrogorsky) che portò a un primo crollo dell'impero bizantino, irreparabile nelle sue conseguenze.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/05