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L’Europa orientale nei secoli XIV e XV

di Josef Macek

© 1974-2006 – Josef Macek


1. La Polonia, i Cavalieri dell’Ordine Teutonico, la Lituania (4/4)

Il punto di partenza per la formazione dei latifondi furono i poderi – cosiddetti folvark – dei sindaci dei villaggi (szołtys), che producevano in sempre maggior quantità grano per i mercati cittadini. Nel 1423 i magnati polacchi ottennero il diritto di occupare il folvark di un sindaco ribelle o le cui mansioni non fossero ritenute più necessarie; e poiché a decidere in merito a tali qualità del sindaco erano i nobili del luogo, ai magnati si aprì la possibilità di impadronirsi dei poderi e di riunirli in latifondo. Accanto al latifondo ecclesiastico (soprattutto dei monasteri) incominciarono quindi a moltiplicarsi in Polonia i latifondi dei nobili, dei magnati. Sempre più numerosi furono i contadini privati dei diritti di proprietà sul podere, i quali dovettero abbandonare i loro campi e le loro case e trasferirsi nel latifondo per prestarvi la loro opera. A differenza del folvark degli szołtys, il folvark dei magnati si fondava soprattutto sul lavoro dei servi della gleba e solo in parte si valeva di contadini salariati. Accadeva normalmente, già nel XV secolo, che i contadini, i quali per volontà del padrone erano rimasti proprietari del podere, oltre a pagare un tributo in denaro, fossero costretti a lavorare 1-2 giorni alla settimana nei campi del latifondo. Anche la servitù della gleba andò assumendo maggiori proporzioni e al tempo stesso si rafforzarono i legami che tenevano vincolato il contadino alla terra e al villaggio. Nel 1423 fu emanato dal re l’ordine di procedere contro chiunque, all’insaputa del feudatario, abbandonasse il podere e il villaggio. In tal modo i magnati e i nobili, ricorrendo alla forza, si assicurarono la manodopera occorrente.

Il costituirsi del latifondo feudale, che produceva grano per il mercato locale, offrì naturalmente ai magnati nuove possibilità finanziarie e rafforzò la loro posizione politico-economica. Fu però soprattutto il periodo di anarchia che seguì all’improvvisa morte del re – nel 1444 – che diede loro la possibilità di consolidare il proprio potere. A Ladislao successe infatti il fratello minore Casimiro che dalla morte di Sigismondo (assassinato nel 1440) era granduca di Lituania. A quell’epoca la Lituania era di nuovo separata dalla Polonia e il dodicenne Jagellone era stato riconosciuto dai nobili sovrano dello Stato indipendente. Dopo il 1444, però, venne richiesto a Vilna, da parte polacca, che Casimiro fosse innalzato al trono di Polonia. Le trattative con i nobili lituani si protrassero a lungo e soltanto nel 1446 fu decisa la nuova unione dei due paesi che tuttavia rimanevano fra loro indipendenti: la loro unità doveva basarsi solo su un legame fraterno e su un unico e comune sovrano.

Nel 1447 re Casimiro fu accolto solennemente a Cracovia e ivi incoronato. Larghi strati della popolazione polacca riponevano in Casimiro (1447-1492) le loro speranze, fiduciosi che egli avrebbe instaurato nel paese un clima di pace e avrebbe anche alleviato le condizioni delle città e dei contadini. Anche all’Università di Cracovia Giovanni di Ludzisk, lodando il nuovo sovrano, espresse questa speranza, pregandolo nello stesso tempo di salvare i contadini maltrattati: «I contadini sono qui spaventosamente oppressi come schiavi, più di quanto non lo fossero un tempo i figli di Israele in Egitto dal faraone». Forse all’Università di Cracovia si levarono queste voci critiche contro la nobiltà in quanto era risaputo come in Lituania Casimiro avesse preso le difese dei contadini contro i nobili. Re Casimiro non fu però in grado di realizzare queste speranze essendo alla mercé dei magnati del cui aiuto aveva bisogno. Egli cercò, è vero, di sottrarsi gradualmente alla loro influenza e trovò alleati e appoggio nelle città reali polacche, ma questi non furono che timidi tentativi. Sotto Casimiro le città polacche cercarono di partecipare attivamente alla vita politica del paese, i rappresentanti delle città divennero membri dell’assemblea della Dieta, parteciparono quindi alle Diete e ai tribunali del Regno, ebbero la possibilità di esprimere il loro giudizio quando si trattava di eleggere il re o di inviare i propri rappresentanti nelle missioni diplomatiche. In sostanza tutto ciò non riguardava che alcuni patrizi, anche se, accanto ai Tedeschi, figuravano sempre più numerosi i Polacchi. Per quanto concerne però le amministrazioni autonome delle città, il re non favorì affatto gli interessi della borghesia, ma al contrario cercò di subordinare le città al rigido controllo dei suoi funzionari per fare di esse dei contribuenti sottomessi. A poco poco si diffuse la prassi, introdotta nel 1456 nella Piccola Polonia, secondo la quale i funzionari del re imponevano alle città tasse e tributi senza aver prima consultato le autorità cittadine. Di conseguenza la base economica delle città, già di per sé poco solida, venne ulteriormente indebolita e le città polacche non furono in grado di tenere il passo con lo sviluppo delle città dell’Europa occidentale. Casimiro ottenne più successi nella lotta condotta contro la feudalità ecclesiastica. Le vaste proprietà terriere dei conventi e dei vescovi e gli interventi della politica papale indussero i prelati polacchi a opporsi alle tendenze centralizzatrici del re. Casimiro si sforzò costantemente di limitare i privilegi dei prelati subordinandoli alle autorità istituite dal re, e quando, alla fine, nella cosiddetta «guerra dei pope», i vescovi e gli abati tentarono di opporglisi, egli non esitò a servirsi dell’esercito per domare i prelati ribelli, finché nel 1479 l’ultimo capo della resistenza ecclesiastica, il vescovo di Warmia Nicola Tungen, gli rese omaggio. Casimiro tentò anche di liberarsi almeno in parte della supremazia di Roma. Nell’Europa occidentale e centrale il XV secolo vide la lotta vittoriosa delle monarchie nazionali contro l’universalismo di Roma. In Polonia, tuttavia, soltanto sotto il regno di Casimiro incominciò a profilarsi la prima fase di questa lotta, la lotta cioè per il diritto del re di Polonia di partecipare alla nomina dei prelati che godevano di benefici ecclesiastici; si manifestò inoltre la tendenza a ridurre i tributi pagati dalla Polonia al papa. Ma re Casimiro riuscì solo parzialmente a sottrarsi alla supremazia di Roma, da cui dipendeva anche finanziariamente; e i sovrani polacchi che gli succedettero non riscossero, in questo senso, maggiori successi. Al contrario, la stretta dipendenza dello Stato polacco dalla politica papale divenne tradizionale e le lotte condotte dalla Polonia contro i principi ortodossi russi non fecero che rafforzare quest’alleanza che ebbe a incidere così profondamente sulla storia polacca moderna.

Con la politica di Casimiro si accordavano anche le idee di Giovanni Ostrorog, eminente pensatore politico polacco. Nella sua opera Monumentum pro Reipublicae ordinatione del 1470, Ostrorog proclamava la necessità di liberare la Polonia dall’influenza papale. In passato più di una volta si sarebbe potuto dire che «il re di Polonia era in catene nel carcere del papa» – così potente era l’influenza di Roma sulla politica polacca. Casimiro doveva quindi superare questa cieca soggezione, doveva decidere da solo, secondo i bisogni del paese. Innanzitutto bisognava però eliminare i contributi annuali (le annate) che il clero polacco versava nelle casse del papa. L’ideale di Ostrorog era un forte potere reale, una solida monarchia centralizzata che garantisse lo sviluppo della società polacca.

Casimiro non intendeva però spingere all’estremo la lotta che conduceva per allentare i rapporti che lo legavano a Roma; viceversa egli sottolineò sempre il fatto che si considerava un difensore e un sostenitore degli interessi della Chiesa. Inoltre si rivolse ripetutamente al papa perché lo aiutasse nei perenni conflitti con l’Ordine Teutonico. Già in passato, nella lotta contro i Gran Maestri dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, i re di Polonia avevano avuto nella maggior parte dei casi la comprensione e l’aiuto dei legati papali. Al concilio di Costanza il prelato polacco Paolo Włodkowic aveva nuovamente difeso la corona polacca sostenendo che l’avanzata dell’Ordine era diretta contro pacifici popoli cristiani e che ai Cavalieri non premeva più affatto la diffusione del cristianesimo, ma si trattava di un atto di violenza in contrasto con il diritto naturale, divino e canonico.

Sotto re Casimiro la secolare lotta fra la Polonia e l’Ordine Teutonico si concluse con la vittoria polacca. E ancora una volta al fianco del re di Polonia, che rivendicava la Pomerelia e Danzica, stava il legato papale. Nei paesi dell’Ordine il re di Polonia poté valersi anche della resistenza opposta al Gran Maestro dalla nobiltà, dalla borghesia e dalle città. Da tempo ormai per Danzica e per le altre città il dominio dei Cavalieri Teutonici era un pesante fardello, in quanto rappresentava una barriera che separava i mercanti dal ricco retroterra. Già nel 1440 i borghesi e i nobili avevano costituito la cosiddetta Lega prussiana trasferendo così sul piano militare la lotta contro il dominio dei Cavalieri; essi richiedevano inoltre che venissero attuate delle riforme e che il paese avesse un governo di nobili, ossia che accanto al Gran Maestro, il quale stava a capo di tutto il paese, fosse assicurata la partecipazione al governo anche alla nobiltà laica e ai rappresentanti delle città.

Nel 1454 Casimiro sfruttò questa debolezza interna dell’Ordine, gli dichiarò guerra (la cosiddetta Guerra dei tredici anni) e incorporò la Pomerelia fra le terre della corona di Polonia. La spedizione alla foce della Vistola vide la vittoria delle armi polacche. Come già detto, a questa vittoria contribuì anche il fatto che contemporaneamente erano insorte le città soggette all’Ordine Teutonico. Nel 1463 gli eserciti polacchi avevano già conquistato Gniew, Starogard e Chojnice ed erano completamente padroni di un’importante arteria commerciale – il fiume Vistola, fino al suo sbocco nel mare. Al Gran Maestro dell’Ordine, Ludwig von Erlichshausen, non rimase altro che concludere la pace con il re vittorioso (Toruň – 1466): con la partecipazione del legato papale Rudolf von Rüdesheim si giunse ad un accordo secondo il quale la Polonia sarebbe entrata in possesso di Danzica, della Pomerelia, di Chełmno e Warmia. L’antica Prussia fu così divisa nella cosiddetta Prussia reale (ossia polacca) e nella Prussia dell’Ordine. L’Ordine Teutonico mantenne il suo predominio soltanto sul territorio intorno alla città di Kralovec (l’odierna Kaliningrad) e a nord di essa. Ludwig von Erlichshausen fu costretto a dichiararsi vassallo del re di Polonia.

Il Regno di Polonia aveva raggiunto finalmente il mare e le navi cariche di grano polacco, destinato ai mercati dell’Europa occidentale, in particolare ai Paesi Bassi, potevano navigare più sicure sulla Vistola. La vittoria ottenuta sui crociati finì così col giovare più ai produttori di grano (i magnati) che alle città. I nobili polacchi riuscirono a ottenere da Casimiro altri privilegi in modo da rafforzare ulteriormente la loro posizione. Durante la guerra contro l’Ordine Teutonico, i magnati, approfittando del fatto che il re non poteva fare a meno degli eserciti dei nobili per attaccare il Gran Maestro, erano riusciti a strappare a Casimiro i cosiddetti statuti di Nieszawa (1454), in cui il re si impegnava a non emanare leggi e a non dichiarare la guerra senza la partecipazione della nobiltà e senza il consenso della Dieta. Inoltre i nobili rafforzarono la loro supremazia politica sui rappresentanti delle città nelle Diete. Pertanto tutti gli sforzi di Casimiro, volti a costituire una salda monarchia centralizzata, dovettero cedere di fronte ai nobili uniti. Accanto al re acquistò potere determinante la Dieta, che egli doveva consultare praticamente riguardo a tutte le fondamentali questioni di governo. Nella vita politica della Polonia si inserì così una nuova tendenza: incominciò a svilupparsi la cosiddetta democrazia nobiliare che doveva assumere aspetti singolari. Da una parte si veniva a creare la possibilità di una partecipazione attiva alla vita politica, che si apriva in questo modo ai rappresentanti della nobiltà (insieme ai magnati si stava affermando soprattutto la media nobiltà), quindi a un ambiente più largo di quello costituito fino allora soltanto dai parenti e dai funzionari del re; dall’altra però c’era il pericolo che si determinassero periodi di anarchia, specialmente durante il regno di un sovrano debole oppure nel corso delle accanite lotte per la successione al trono.

Fino alla fine del XV secolo, epoca in cui si conclude il nostro panorama storico, tale situazione non mutò, al contrario si rafforzò il carattere particolare della monarchia in Polonia, basata sulla partecipazione al governo dei nobili, i quali acquistarono accanto al re un potere politico di importanza decisiva. Sotto il regno del figlio di Casimiro, Giovanni Olbracht (1492-1501), i nobili ottennero facilitazioni per quel che riguardava tributi daziari, cosa che consentì loro di consolidare i propri privilegi relativi al commercio del grano. Al tempo stesso essi costrinsero con la forza i contadini a lavorare sui loro latifondi: secondo la costituzione reale (1496), nel corso di un anno un solo contadino poteva lasciare il villaggio per andare a stare in città e solo un figlio di ogni famiglia contadina poteva – sempre con l’autorizzazione dei padroni – andare a studiare oppure dedicarsi a un mestiere o al commercio. Il contadino polacco era ormai ridotto in condizioni di completa servitù e i nobili con tali privilegi si erano ormai assicurata in permanenza una quantità sufficiente di manodopera. Va da sé che questa stabilizzazione forzata della situazione nella campagna polacca privava la cultura nazionale della possibilità di sviluppo dei talenti, condannava la produzione industriale a vegetare e contribuiva all’arretratezza della società polacca rispetto, per esempio, allo sviluppo dell’Italia o dei Paesi Bassi dove, con il fiorire delle città e dell’economia di mercato, si andavano allentando i rapporti feudali e dove, nelle condizioni che vedevano crescere il sistema capitalista, si formava uno strato sempre più largo di popolazione che godeva delle libertà personali. All’esterno la dinastia degli Jagelloni portò la Polonia a una immensa espansione territoriale. Per di più nel 1471 un figlio di Casimiro, Ladislao, divenne re di Boemia e nel 1490 anche re d’Ungheria. Se si aggiunge che un altro principe di questa dinastia, Sigismondo, era sovrano della Lituania, agli inizi del XVI secolo vediamo riunito sotto lo scettro degli Jagelloni un territorio vastissimo che andava dalla Boemia fino a Mosca, dal Mar Baltico al Mar Nero e all’Adriatico. Sembrava che l’Europa centrale e orientale fossero riunite per l’eternità in un potente impero dominato da un’unica dinastia. Dal precedente esame della situazione politica interna in Polonia risulta però l’insufficiente stabilità politico-sociale di questo Stato che riuniva tante forze contraddittorie. Era quindi prevedibile che il futuro non avrebbe confermato l’esistenza duratura dell’impero jagellonico. Effettivamente fu sufficiente che si estinguesse il ramo ceco-ungherese degli Jagelloni (1526) perché alla dinastia polacca subentrasse una dinastia nuova, quella degli Asburgo, che poi regnò sull’Europa centrale e su parte dell’Europa orientale fino al XX secolo.

Mentre la grande espansione politica e territoriale raggiunta dalla dinastia degli Jagelloni alle soglie del XVI secolo non ebbe lunga vita, nel territorio polacco-lituano si crearono invece degli organismi che diedero buona prova per ben due secoli: il XVI e il XVII. Pressappoco entro i confini raggiunti dal Regno di Polonia sotto Casimiro Jagellone, continuò per lunghi secoli lo sviluppo dei popoli polacco e lituano, fino al periodo cioè della divisione della Polonia nel XVIII secolo.

Anche la cultura polacca del XV secolo lasciò un retaggio duraturo ai posteri. Anzitutto fu nella Polonia jagellonica che si venne a costituire la reale nazione polacca medievale. In quel periodo il polacco divenne lingua scritta e letteraria e in parte sostituì anche il latino e il tedesco; comparvero anche altri testi religiosi polacchi, preghiere e canti, e nel 1455 ci fu persino un primo tentativo di tradurre la Bibbia in polacco. Contemporaneamente i primi poeti polacchi cercarono di esprimere nella lingua nazionale non solo i loro sentimenti, il loro amore, ma anche considerazioni e osservazioni critiche sulla loro epoca (soprattutto in versi satirici che prendevano di mira la Chiesa). Il polacco divenne anche la lingua ufficiale usata nell’ufficio del re, nei tribunali e nei documenti dei nobili.

Durante il regno della dinastia degli Jagelloni dall’Italia penetrò in Polonia una corrente di educazione umanistica che poneva l’accento sullo studio delle opere degli artisti e dei filosofi dell’antichità. Intorno all’umanista italiano Filippo Buonaccorsi detto Callimaco (1437-1496), che visse alla corte dei re di Polonia, si formò un circolo di dotti polacchi, dediti allo studio del latino classico e più tardi del greco; tra questi si distinse Gregorio di Sanok, naturalista di tendenza filosofica epicurea.

L’umanesimo polacco ebbe dunque dapprima un orientamento latino e, come avvenne per esempio anche in Italia, svalutò la lingua nazionale. Inoltre, in questa prima fase gli umanisti polacchi subordinarono il culto dell’antichità al rispetto per l’autorità del clero, evitando così ogni critica antiecclesiastica. Scritta in latino e di orientamento cattolico assolutamente ortodosso è anche la più importante opera letteraria della cultura polacca di questo periodo, la Historia Poloniae del canonico di Cracovia Giovanni Długosz. Questo prelato, conservatore, prese a modello Livio e ne seguì l’esempio di modo che tutta la sua vasta opera risulta pervasa da un forte pathos patriottico. Długosz esalta la Polonia e la cultura polacca, ma al tempo stesso dimostra di saper usare con sapienza un metodo storiografico progredito che gli consente di raccogliere diligentemente i documenti, di selezionarli e, solo in seguito, di raccontare gli avvenimenti dei tempi passati. L’opera di Długosz, perfetta dal punto di vista letterario, è la prima vera storia della Polonia e per le sue caratteristiche artistiche si colloca a cavallo del Medioevo e del Rinascimento.

In complesso tuttavia nel XV secolo la cultura polacca viveva ancora completamente nello spirito delle concezioni medievali e coltivava di conseguenza forme artistiche cavalleresche tipiche di quell’epoca. Ciò vale anche per le arti figurative: infatti l’architettura (il castello reale di Wawel a Cracovia), come la pittura (gli affreschi nella chiesa di Santa Brigida di Lublino) e la scultura (le tombe dei re di Polonia nel castello di Wawel a Cracovia) risentono fortemente dell’influenza dello stile gotico evoluto. Tuttavia, come nella letteratura si erano affermate le prime influenze umanistiche, così anche nelle arti figurative incominciarono a penetrare sul finire del XV secolo elementi dell’arte rinascimentale. Si andò affermando in particolare un più profondo interesse a conoscere l’uomo, il corpo umano, le passioni umane, le gioie e i dolori. Questo nuovo aspetto dell’arte gotica appare evidente soprattutto nelle magnifiche sculture in legno di Vito Stwosz (1445-1533), un artista di Norimberga che operò a Cracovia. Stwosz creò per le chiese di Cracovia grandi altari in tardo stile gotico, in cui scolpì nel legno figure di santi e di uomini semplici che raffigurò con sorprendente perfezione e freschezza. Nelle sculture di Stwosz l’uomo è la raffigurazione vivente dei suoi contemporanei, vive in una profonda devozione al culto di Gesù Cristo e della Vergine, ma al tempo stesso il suo volto rivela sentimenti e slanci più profondi ed è inserito in quadretti di genere della vita d’ogni giorno di Cracovia. Il realismo di simili opere figurative testimonia in modo indubbio che alle soglie del XVI secolo la Polonia stava ormai entrando in una fase assolutamente nuova del suo sviluppo culturale.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06