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L’Europa orientale nei secoli XIV e XV

di Josef Macek

© 1974-2006 – Josef Macek


2. La Russia (3/4)

Sotto il regno del figlio di Vasilij, Vasilij Vasiljevič (1425-1462), lo Stato moscovita fu travagliato per vent’anni da accanite lotte interne. Contro Vasilij insorsero infatti i suoi parenti più anziani, principi indipendenti (udělnij), che avanzavano pretese nei confronti del trono granducale; alla loro testa stava Giorgio Dmitrievič, principe di Galič (a nord di Nižnij Novgorod). All’inizio fra i contendenti fece da arbitro il khan tartaro, ma quando lo jarlyk fu consegnato al principe di Mosca, il principe di Galič non esitò a cercare un alleato nella Lituania e in poco tempo occupò tre volte Mosca. Nei dissidi interni russi intervennero però di nuovo i Tartari: il khan Ulugh Mohamed devastò Nižnij Novgorod e i suoi figli sgominarono gli eserciti di Mosca presso Suzdal’ (1445). Sembrava che la potenza di Mosca dovesse definitivamente tramontare; oltre alla sconfitta militare, infatti, era diventato granduca – con l’aiuto dei boiari moscoviti – il figlio di Giorgio, Demetrio Šemjak, principe di Galič. In questa situazione intervenne allora nella Russia centrale anche il re di Polonia Casimiro il quale sottomise una parte della repubblica di Velikij Novgorod. Per ben vent’anni si protrassero queste lotte nel corso delle quali il principato di Mosca scomparve quasi completamente. Ciò nonostante il granduca Vasilij II il Tenebroso ritornò alla fine a Mosca e rinnovò il suo dominio. Aveva di nuovo l’appoggio dei Tartari, ma poteva contare anche sull’aiuto della nobiltà e soprattutto aveva dalla sua parte la Chiesa.

La penetrazione dello Stato di Lituania e Polonia verso l’est era accompagnata, infatti, dalla tenace tendenza a diffondere in Russia l’influenza della Chiesa cattolica. Nel 1431, dopo la morte del metropolita Fozio, a Costantinopoli era stato nominato suo successore il greco Isidoro che aveva partecipato al Concilio di Basilea e in più occasioni aveva asserito la necessità dell’unione fra la Chiesa greco-ortodossa e quella cattolico-romana. Il metropolita Isidoro partecipò anche ai Concili di Ferrara e di Firenze dove fu proclamata appunto l’Unione delle due Chiese. In seguito a tale decisione la Chiesa ortodossa fu costretta a riconoscere il papa come proprio capo e a rinunciare ad alcuni suoi dogmi. Ma dopo il suo ritorno a Mosca, Isidoro fu destituito da Vasilij II il quale lo rinchiuse in carcere; il metropolita riuscì però a evadere e a fuggire in Lituania. In seguito il sinodo dei vescovi russi elesse metropolita, senza il consenso del patriarca di Costantinopoli, il vescovo di Rjazan’, Giona (1448). Quest’atto ebbe conseguenze importantissime, in quanto spazzò i legami dell’ubbidienza ecclesiastica a Costantinopoli e determinò la nascita della Chiesa russa indipendente. L’autorità del metropolita russo era limitata però solo alla Russia centrale e meridionale. Le regioni sud-occidentali della Bielorussia e dell’Ucraina avevano conservato i rapporti di obbedienza a Costantinopoli. In Russia l’indipendenza conquistata dalla Chiesa locale approfondì i contrasti con l’Europa occidentale, ma allo stesso tempo fu proprio questa separazione a creare in parte le premesse per la formazione e il successivo sviluppo dei caratteri peculiari della cultura russa.

Con l’elezione di Giona il granduca di Mosca ottenne naturalmente il potente appoggio della Chiesa che da allora dipese completamente da lui. Mosca ebbe così di nuovo un vantaggio sugli altri principati, centri di potere, e alla fine del suo drammatico regno il granduca, divenuto cieco, fu in grado non solo di ristabilire il suo dominio su Mosca, bensì anche di allargare la sua sfera di influenza. Divenne feudatario del principato di Rjazan’ e cercò di attaccare di nuovo Velikij Novgorod. In questa campagna, pur riportando successi militari, non riuscì a ottenere dalle due repubbliche (Novgorod e Pskov) che l’impegno da parte dei rispettivi governi a non prendere in futuro alcuna iniziativa contro Mosca. La direzione in cui Vasilij aveva orientato le sue conquiste lasciava intendere che la lotta decisiva per l’egemonia in Russia si sarebbe svolta tra Velikij Novgorod e Mosca. Proprio il figlio e successore di Vasilij, Ivan III (1462-1505) riuscì a espugnare la repubblica di Novgorod: la repubblica dapprima resistette e si difese con l’aiuto degli eserciti lituani, ma nel 1471 i reparti militari di Novgorod subirono una sconfitta decisiva sul fiume Šelon e spettò a Mosca dettare le condizioni della pace. Novgorod dovette rompere le sue relazioni con gli alleati lituani e promettere amicizia a Ivan. Il granduca non si accontentò però di questi successi. Per indebolire i boiari di Novgorod fomentò contro di loro una rivolta contadina e poi, con la motivazione ufficiale di volerli proteggere, accorse in loro aiuto. In realtà, però, spezzò completamente il potere dei boiari e dei mercanti, cosa che gli permise di mandare in esilio le famiglie più in vista. Gli esponenti dell’aristocrazia di Novgorod dovettero stabilirsi a Mosca e nei dintorni sotto il controllo di guardie armate, con il divieto di tornare nella città natale. Nel 1478, sottoposta a una diretta pressione militare, Velikij Novgorod abbandonò il suo ordinamento statale, sciolse l’assemblea popolare e dovette accettare la supremazia di Mosca. Le campane, simbolo dell’indipendenza dell’ordinamento repubblicano, che convocavano l’aristocrazia alle assemblee, furono tolte dai campanili e trasportate a Mosca nel Cremlino. Sotto il dominio del granduca di Mosca si chiusero così i ricchi mercati e le vie commerciali che conducevano alle regioni del Baltico, e la repubblica di Novgorod perse anche vasti territori che a nord arrivavano fino alla Carelia finlandese e al Mare di Murmansk. Quasi contemporaneamente Ivan conquistò anche il principato di Tver’ il cui sovrano aveva cercato, invano, aiuto presso il re di Polonia Casimiro. Il granduca di Mosca estese inoltre il suo dominio anche su Pskov e sul Principato di Rjazan’ e creò un vasto e potente organismo statale in cui, anche se i principi indipendenti conservarono ancora una certa autonomia, si verificava sempre più chiaramente la tendenza a rafforzare le istituzioni del potere centrale a Mosca. Il Granducato di Mosca divenne così il più potente Stato russo.

Lo sviluppo economico che vide in questi anni protagonista Mosca rafforzò ulteriormente la posizione del Granducato; Mosca stessa divenne un centro nel quale si andavano stabilendo in sempre maggior numero gli artigiani e un punto di incontro di mercanti russi e stranieri. Soltanto alla fine del XV secolo però in questa parte dell’Europa la produzione artigianale si rese indipendente dall’agricoltura e cominciò a rifornire di prodotti il mercato interno. Lo sviluppo dell’economia di mercato è anche attestata dall’incipiente trasformazione dei tributi in natura, corrisposti dai contadini, in tributi in denaro (fine del XV secolo). Oltre a Mosca si affermò come importante mercato anche la città di Tver’ dove i cacciatori portavano dal nord le pellicce che poi venivano trasportate sul Volga verso i mercati dell’Asia centrale e in Crimea. Un mercante di Tver’, Afanasio Nikitin, è anche l’autore del primo libro di viaggi russo (1466) in cui viene descritto il viaggio in India, attraverso la Persia, di una carovana di mercanti russi. Dall’India giungevano ai principi russi gioielli, pietre preziose e spezie. Il Viaggio al di là dei tre mari di Nikitin testimonia l’alto grado di sviluppo del commercio estero russo da cui i principi traevano notevole profitto.

Oltre a questo incremento delle attività artigianali e commerciali, dalle quali il Granduca di Mosca seppe trarre enormi vantaggi, è da tener presente la vittoria da lui conseguita nei confronti dei boiari che riuscì a domare e a ridurre in soggezione. Per il potere centralizzato del granduca il maggior pericolo era costituito dai discendenti dei rami laterali della dinastia dei Rjurikidi, che stavano creando dei governi locali autonomi e cercavano non solo di rendersi indipendenti ma anche di estendere il proprio dominio sui vicini. Questi membri della dinastia granducale costituivano il più alto strato dei boiari, uomini liberi, indipendenti dal granduca. La libertà dei boiari si manifestava soprattutto nel cosiddetto diritto di partenza: in qualsiasi momento i boiari potevano lasciare il territorio sottoposto alla sovranità del granduca, recarsi nel territorio vicino e contrarre rapporti di vassallaggio con un altro principe. Nel 1474 Ivan III riuscì ad annullare questo diritto e costrinse i boiari a giurare che «non avrebbero abbandonato il loro signore, il granduca». Entro la fine del XV secolo i boiari divennero in tal modo sudditi del granduca rafforzando il potere sovrano di Ivan III.

Il successo conseguito dal granduca di Mosca nella lotta contro i boiari fu dovuto anche all’appoggio fornitogli dalla nobiltà di grado inferiore, quella cosiddetta di servizio. Data la sua enorme disponibilità di terre, Ivan III aveva la possibilità di donare campi e boschi ai nobili che avevano particolari incarichi alla sua corte o che secondo i suoi ordini prestavano servizio militare: a questi nobili si dava appunto la denominazione di «nobili di servizio». Questo tipo di proprietà della terra si chiamava poměstije ed era valida finché il beneficiario era in vita. Dopo la sua morte il granduca poteva farne dono a un altro combattente o funzionario benemerito. Fu così che si andò rafforzando, rispetto ai proprietari ereditari delle terre (votčina), il gruppo dei cosiddetti poměščiky, rappresentanti della piccola nobiltà che offrirono un forte appoggio al potere del granduca.

Ivan III seppe sfruttare abilmente l’appoggio della nobiltà di servizio non solo per combattere i boiari e i principi vicini, ma anche nella guerra contro i Tartari. Dal tempo della battaglia di Kulikovo infatti il nome di Mosca era legato alle speranze di liberare la Russia dal «giogo tartaro»: più di una volta Ivan III e i suoi predecessori si erano rivolti ai principi russi con un appello alla lotta comune per la liberazione di tutti i paesi russi dalla dominazione pagana.

Nel XV secolo la pressione dei Tartari sulla Russia gradatamente diminuì, in quanto all’interno dell’Orda d’Oro proseguiva il processo di disgregazione da tempo iniziato. Fra le tribù nomadi che vivevano negli immensi territori tra il Volga e i confini con la Cina non esistevano infatti dei solidi legami politico-economici. Le singole tribù piuttosto si portavano avanti isolatamente le loro lotte e non volevano dividere il bottino con il Gran Khan. I Turchi inoltre cominciavano a penetrare nell’Ucraina meridionale e nel 1475 si impadronirono di Caffa e sottomisero il Khanato di Crimea. Dall’oriente poi stava estendendo il suo dominio sulle zone lungo il Volga la cosiddetta Orda di Nogaj, che aveva il suo centro nella Siberia occidentale. L’ex territorio dell’Orda d’Oro si stava quindi disgregando in diversi khanati fra cui il più importante per la storia russa fu il Khanato di Kazan’. Da qui partirono appunto i più pericolosi attacchi contro i principi russi, e per questo Ivan III cercò di ridurre in suo potere Kazan’. Con alcune spedizioni nelle regioni settentrionali lungo il fiume Vyčegda e con l’avanzata di una spedizione militare oltre gli Urali (1499) iniziò l’operazione di accerchiamento del Khanato di Kazan’. Ivan III riuscì infine a espugnare la fortezza di Kazan’ e a far prigioniero anche il khan Ali. Ciò avvenne nel periodo in cui il granduca di Mosca si era già completamente sottratto all’obbligo di pagare tributi all’Orda d’Oro. Inutilmente il khan Achmat tentò di conquistare Mosca e altrettanto vani furono i suoi tentativi di costringere Ivan III, con incursioni e saccheggi, ad assolvere agli antichi obblighi. Di contro, il granduca di Mosca approfittò abilmente dei dissidi tra i Tartari e aizzò contro l’Orda d’Oro il khan di Crimea Mengli-Girej, capo di una spedizione brigantesca contro Kiev. Nel 1480 gli eserciti dell’Orda d’Oro dovettero fuggire dalla Russia, il khan Achmat fu assassinato e fra i principi russi Ivan III si attribuì alti meriti per la liberazione comune dal predominio tartaro.

Nella lotta contro i pagani il granduca fu ampiamente sostenuto dalla Chiesa russa il cui capo, il metropolita, risiedeva a Mosca ed era divenuto, dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi (1452), il principale rappresentante della Chiesa ortodossa in generale. La caduta di Costantinopoli e l’incarcerazione del patriarca confortarono i prelati della Chiesa russa, in quanto ciò dimostrava la giustezza del loro rifiuto d’obbedienza alla Chiesa di Roma. Secondo questi massimi esponenti della Chiesa russa, i Turchi erano i vendicatori divini del tradimento commesso al Concilio di Firenze in cui era stata sancita l’unione della Chiesa greca e di quella latina. La Chiesa russa era ormai assolutamente indipendente da ogni influenza esterna. Nei documenti della Chiesa ortodossa si comincia a parlare di Mosca come della «Terza Roma», come del luogo in cui risiede il vero rappresentante di Cristo in Terra. Più tardi un frate del monastero di Pskov, Filofeo, definirà Mosca l’erede di Roma e di Costantinopoli: «Due Rome sono cadute, la terza sta in piedi e non ci sarà mai una quarta». Il mito della città eletta, che stava nascendo, doveva diventare uno strumento dello Stato moscovita in continuo sviluppo: tali idee, infatti, diffuse soprattutto nel XVI secolo, accrebbero indubbiamente il prestigio del nome di Mosca e favorirono Ivan III nella sua opera di unificazione dei paesi russi.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06