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L’Europa orientale nei secoli XIV e XV

di Josef Macek

© 1974-2006 – Josef Macek


2. La Russia (4/4)

Anche le vicende interne della Chiesa russa contribuirono all’affermazione delle tendenze accentratrici del granduca di Mosca. Proprio alla fine del XV secolo il clero russo si scisse in due campi. Un gruppo di sacerdoti e monaci aderì alla dottrina del monaco Nil del monastero di Beloe Ozero. Questi seguaci di Nil, che si facevano chiamare «disinteressati» (nest’ jažateli) erano contrari alla grande proprietà ecclesiastica e prendevano a modello Gesù Cristo e i suoi apostoli che erano vissuti in povertà; al pari di alcuni ordini religiosi nella Chiesa di Roma (per esempio i francescani), i «disinteressati» invitavano i cristiani all’umiltà e alla povertà e avrebbero voluto che monaci e sacerdoti consegnassero i loro beni ai feudatari laici e conducessero una vita casta e ascetica in assoluta povertà. I loro avversari prendevano il nome di osifl’ jane dal monaco Josif Volockij del monastero di Volokolamsk. Gli osifl’ jane consideravano obiettivo principale della riforma ecclesiastica una presa di posizione della Chiesa a favore del granduca, signore di tutta la Russia. Secondo loro i beni ecclesiastici non costituivano un ostacolo alla perfezione morale; era da considerare piuttosto un pericolo il fatto che la Chiesa russa, l’unica giusta ed eletta, potesse essere sopraffatta dal nemico, da Roma e dai pagani, qualora non si fosse schierata con l’unificatore dei paesi russi. Secondo la dottrina degli osifl’ jane il granduca di Mosca, e dal secolo XVI in poi lo zar di Russia, è illuminato dalla grazia divina, è il rappresentante di Dio in Terra e non soggetto ad alcun giudizio. In questo assolutismo teocratico la Chiesa viene ad assumere un ruolo completamente subordinato al sovrano, e tutti i principi indipendenti e anche i boiari sono tenuti a rendere omaggio al granduca come a Dio. Josif Volockij scrisse addirittura che il granduca di Mosca era «dei sovrani di tutto l’impero russo il sovrano».

Già da questa breve sintesi delle principali idee professate dalle due parti contendenti non è difficile comprendere quale di esse abbia prevalso. All’inizio il granduca si sentì attratto dall’idea che sarebbe potuto divenire padrone dei beni ecclesiastici, come proclamavano i «disinteressati», ma in seguito subentrò il calcolo politico. Al sinodo del 1503 ebbero il sopravvento gli osifl’ jane. Ivan prese apertamente le parti del monaco Josif e dei suoi seguaci e li aiutò a sbaragliare gli avversari. La Chiesa russa si fuse completamente con il grande potere del granduca di Mosca e divenne un importante strumento nell’edificazione dell’assolutismo teocratico.

Contemporaneamente al movimento della riforma all’interno della Chiesa russa ci furono anche dei tentativi radicali di riforma sociale. Gli strati più bassi della popolazione, in particolare i piccoli borghesi e i contadini, mal sopportavano l’oppressione alla quale erano soggetti. Alcuni impugnarono le armi e cercarono di strappare qualche concessione così da migliorare la loro condizione. Ma a Galič le rivolte dei contadini furono represse nel sangue per ben tre volte consecutive: nel 1340, nel 1370 e nel 1469. I più grandi moti contadini si ebbero in Ucraina negli anni 1490-1492: gli insorti erano guidati dal contadino Mulja e al loro fianco, nella lotta contro i nobili, si schierarono anche i contadini della Moldavia. I nobili polacchi, lituani e russi riuscirono a reprimere anche questa rivolta e Mulja e i suoi compagni furono condannati a morte. Altri contadini, specialmente nelle regioni russe, per sottrarsi allo sfruttamento preferirono fuggire nelle zone disabitate del nord e dell’est.

Fra coloro che non condividevano il sistema di ingiustizia e di malcostume sociale, alcuni si riunirono attorno ai sacerdoti, certi di potere, con un ritorno allo spirito originario del Vangelo, porre rimedio alla situazione. Nella seconda metà del XV secolo a Velikij Novgorod sorse la setta eretica dei cosiddetti «giudaizzanti» i quali intendevano vivere secondo i principi della Bibbia. Molto spesso a questa setta si unirono anche altri eretici, i cosiddetti strigolnizi. Nemmeno gli strigolnizi riconoscevano il potere temporale della Chiesa, l’autorità dei vescovi, dei sacerdoti e dei monaci, e inoltre la loro opposizione si manifestava anche nel rifiuto del sistema sociale vigente. Questi due gruppi di eretici fecero molti proseliti: a Velikij Novgorod tra i borghesi e nelle campagne russe tra i contadini. Ad essi si unirono anche alcuni sacerdoti colti che si dedicavano a traduzioni dall’ebraico e diffondevano misteriose profezie astrologiche. Contro gli eretici intervennero i vescovi i quali al sinodo del 1490 li espulsero dalla Chiesa; contemporaneamente, con l’aiuto del granduca e dei suoi soldati, gli strigolnizi e i giudaizzanti furono arrestati e messi in carcere. Nella lotta contro gli eretici la Chiesa ortodossa non si comportò diversamente da quella di Roma. Anche in Russia centinaia di oppositori della proprietà ecclesiastica e dell’oppressione feudale morirono sul rogo. Altri gruppi riuscirono a fuggire in regioni remote e quasi disabitate a nord del paese. All’interno della Chiesa ortodossa si affermarono così nel modo più completo i principi feudali economici e di potere.

Ivan III riuscì a creare gradatamente tutte le condizioni necessarie per far gravitare attorno a Mosca uno Stato centralizzato, governato da un sovrano dispotico, rappresentante di Dio. Egli eliminò spietatamente dal suo cammino chiunque si opponesse al suo governo: fratelli, parenti o discendenti delle famiglie principesche di un tempo. Non esitò a far decapitare il principe Semjon Rjapolskij-Starodubskij e a mandare altri principi in esilio o in convento. In Russia incominciò a svilupparsi il cosiddetto samoderžavie (autocrazia), ossia il governo dispotico del sovrano-Dio, quale tipica forma del successivo potere zarista che ebbe vita fino al XX secolo.

Il granduca di Mosca seppe tuttavia conferire a ogni proprio atto anche il dovuto splendore e seppe approfittare di ogni occasione per aumentare il prestigio della sua dignità di sovrano. Anche il suo matrimonio con Zoe (Sofia) Paleologo rientrava in questo suo programma volto a creare il culto della dignità e del potere del granduca che alcuni contemporanei incominciavano già a chiamare zar, vale a dire imperatore. Zoe era figlia del fratello dell’ultimo imperatore bizantino e viveva a Roma; Ivan III accolse la proposta della Chiesa di Roma e sposò «l’erede dell’impero bizantino», ma non accettò la proposta di unire la Chiesa russa a quella di Roma. Respinse anche tutti i tentativi dell’imperatore di incorporare la Russia sotto la sovranità del Sacro Romano Impero Germanico, appellandosi ai sacri diritti della sua dinastia e della Chiesa russa. Il matrimonio con l’imperatrice Sofia gli consentì viceversa di far propri alcuni simboli dell’impero bizantino: innanzitutto lo stemma con l’aquila bicipite, che divenne l’insegna dell’impero moscovita, e inoltre il titolo di erede dell’impero bizantino. Mosca doveva dunque diventare non solo la «Terza Roma», ma anche la nuova Costantinopoli. Anche nella cerimonia dell’incoronazione, nella forma introdotta da Ivan, si riflettevano simbolicamente queste tendenze politiche. Durante l’incoronazione i granduchi di Mosca, i futuri zar di tutta la Russia, ponevano sulla testa un berretto che, secondo la tradizione, sarebbe stato donato nel XII secolo al principe di Kiev, Vladimir Monomaco, dall’imperatore Costantino. Non aveva alcuna importanza il fatto che il berretto risultasse in modo evidente un prodotto degli artigiani dell’Asia centrale: nella leggenda diffusa dalla Chiesa e dal sovrano esso diveniva un ulteriore simbolo della continuità del potere imperiale, trasferito da Costantinopoli a Mosca. Proprio questo concetto di continuità doveva diventare la forza motrice dell’espansione russa; in virtù di esso, infatti, si sarebbe potuto motivare il dovere di proteggere gli ortodossi e, nello stesso tempo, l’eredità di Costantinopoli avrebbe potuto spiegare gli sforzi che venivano fatti per rinnovare il potente impero bizantino, allargando così i confini dell’impero moscovita in tutte le direzioni.

È pertanto evidente che all’inizio del XVI secolo in Russia si stavano creando le basi per lo sviluppo del futuro impero zarista. Infatti, anche se Ivan III non fu incoronato zar, tuttavia egli preparò ai suoi discendenti quelle basi su cui gli zar poterono poi edificare il loro potere. Risultavano a questo punto fondamentali le limitazioni poste al potere dei boiari. Inoltre, se egli aveva permesso ai nobili di dare consigli al sovrano (gosudar), ciò avveniva solo per suo ordine o per suo espresso desiderio. La duma di Mosca (cioè il consiglio dei boiari) non era quindi l’organo dell’opposizione dei nobili, non faceva da contrappeso al potere del sovrano, come avveniva nell’Europa occidentale dove l’assemblea dei nobili e dei borghesi aveva di diritto il suo posto accanto al re e spesso si opponeva al re stesso, ma poteva esistere e operare solo come suo consiglio privato e solo nella misura voluta dal granduca.

Anche il tentativo di raccogliere i documenti giuridici e le sentenze dei tribunali di tutto il paese nel cosiddetto Codice del 1497 (suděbnik) era rivolto anzitutto contro i boiari, in quanto limitava il loro privilegio di dettare legge. Infatti, non appena il codice fu compilato e il granduca l’ebbe approvato, i boiari dovettero attenersi a queste disposizioni centrali. Al tempo stesso però il Codice consolidò anche un altro aspetto specifico della vita medievale russa: codificò la servitù della gleba. Dalla fine del XV secolo in poi il contadino poté abbandonare la terra e il villaggio solo una volta all’anno, il giorno di San Giorgio (questa festa veniva celebrata dalla Chiesa russa il 26 novembre, cioè dopo la fine dei lavori nei campi) e dovette pagare al signore feudale un’alta tassa per ottenere il suo consenso. Di conseguenza nelle campagne russe divennero sempre più numerosi i servi della gleba, legati alla terra, e questa rimase una caratteristica della società russa fino alla seconda metà del XIX secolo.

Prima di morire, Ivan III poteva quindi considerare con profonda soddisfazione l’impero che lasciava ai suoi successori. Per quanto riguardava la successione, il granduca aveva rifiutato nel modo più categorico il cosiddetto principio del maggiorasco (secondo il quale doveva salire al trono il membro più vecchio della dinastia regnante). Ancora mentre era in vita infatti egli fece porre dal metropolita il berretto di Monomaco sul capo del proprio figlio e proclamò il principio assolutamente univoco, valido anche per il futuro, che la scelta del successore al trono di Mosca spettava unicamente al granduca. Agli ambasciatori di Pskov Ivan III chiarì come egli intendeva la questione della successione: «E che? Io, granduca, non sono libero di decidere dei miei figli e del mio regno? Il governo lo consegno a chi voglio».

All’inizio del XVI secolo l’Europa accolse con sorpresa nella famiglia degli Stati europei un nuovo potente membro. L’impero di Mosca non arrivava a occidente che a Smolensk e a sud toccava appena l’Ucraina, ma a nord dominava le coste del mare di Murmansk e a est andava già oltre gli Urali. Era oramai solo questione di tempo, bisognava attendere che si sfasciasse completamente la dominazione tartaro-mongola sulle regioni del Volga perché lo zar di Mosca potenziasse la sua pressione sullo Stato di Polonia e Lituania e avanzasse nella Bielorussia e nell’Ucraina.

Tutti questi territori si trovavano ancora fuori della sfera politica del gosudar di Mosca, tuttavia la Chiesa ortodossa autorizzava il capo della Chiesa russa a liberare i paesi in cui gli ortodossi erano oppressi dai cattolici o dai pagani. Inoltre si andava gradatamente affermando la coscienza delle affinità etniche fra questi paesi; infatti col rafforzarsi dello Stato di Mosca si consolidava anche l’unità della nazione russa, e dal paleoslavo – la lingua ecclesiastica, letteraria e anche ufficiale – cominciò poco a poco a svilupparsi la lingua letteraria propriamente russa. Accanto alla nazione russa si venivano intanto formando, a ovest e a sud, quella ucraina e quella bielorussa. Il nome di Ucraina si riferiva però allora solo al territorio che si estendeva lungo il corso centrale del Dnepr; tutti gli altri territori, in cui nei secoli XIV e XV incominciò a costituirsi la nazione ucraina, venivano chiamati allora Piccola Russia. Anche la denominazione di Bielorussia non esisteva ancora e comparve soltanto nel XVI secolo in connessione con l’esistenza di una nazione che parlava una lingua diversa dal russo.

Ciò nondimeno tra i Russi e quelli che più tardi dovevano chiamarsi Ucraini e Bielorussi, e che costituivano la maggioranza della popolazione di questa parte dell’Europa orientale, esistevano anche molti legami culturali. Tra il popolo si tramandavano leggende di cui, in epoca posteriore, troviamo documenti nelle varie zone della Russia (le cosiddette byliny) e anche alcune trascrizioni di leggende che narravano la vita dei santi della Chiesa ortodossa. La comune lingua letteraria avvicinò fra loro queste nazioni medievali che si stavano sviluppando. Nella produzione letteraria appare poco a poco l’esaltazione di Mosca e dei principi di Mosca, considerati eroi soprattutto per la loro abile e vittoriosa lotta contro i Tartari (per esempio il poema epico Zadonština sulla vittoria di Kulikovo o la narrazione storica della lotta contro il khan Tochtamyš).

Sempre nel campo della narrazione storica è significativo il tentativo del cosiddetto Cronografo russo (della metà del secolo XV) di fornire un quadro della storia mondiale, naturalmente come veniva concepita dalla Chiesa ortodossa. A partire dalla fine del XV secolo la tesi, secondo la quale la Chiesa russa era da considerare l’unica legittima erede di Bisanzio, fece nascere fra i monaci e i sacerdoti un vivo interesse per lo studio dell’antichità, in particolare per i manoscritti greci. Questi studiosi però non furono in grado di fornire un’elaborazione originale di tali temi: erano impediti in questo dal loro stesso rigido atteggiamento negativo «di veri unici cristiani» nei confronti dei pagani. Nelle arti figurative la Chiesa russa adottò lo stile bizantino e dal XIV secolo cominciò a costruire, secondo l’esempio degli architetti greci, piccole chiese di pietra. Dopo secoli queste erano le prime costruzioni in pietra, dato che per il resto la Russia era «un paese di legno», tipico esempio, questo, dell’arretratezza della Russia. A Mosca le prime chiese di pietra sorsero soltanto nel XV secolo. Anche in questo campo Ivan III si dimostrò uomo di ampie vedute: fece venire dall’Italia architetti che crearono nella capitale dell’impero stupende costruzioni in stile rinascimentale. L’esempio più eloquente di questo indirizzo, inaugurato da Aristotele Fioravanti, Pietro Solari e altri artisti italiani, è il palazzo granducale nel Cremlino a Mosca (la cosiddetta Granovitaja palata); ma anche altre chiese (Uspenskij, Blagověščenskij) sono opera di architetti italiani che in Russia lavorarono assieme agli artisti locali. Gli elementi più caratteristici dell’arte russa originale si trovano nella pittura. La Chiesa ortodossa rifiutava e persino vietava opere scultoree ed esigeva l’osservanza di rigidi canoni nell’esecuzione di dipinti di santi e di scene bibliche. Ciò nondimeno alcuni pittori di quadri sacri (icone) seppero infondere vita alle figure dei santi e dare loro sembianze umane. Ciò vale anzitutto per il maggiore pittore medievale russo, Andrej Rublëv (vissuto agli inizi del XV secolo), eccellente conoscitore dell’animo umano. Rublëv e anche Teofane il Greco, venuto dalla Grecia a Mosca dopo la caduta di Costantinopoli, furono gli autori di mirabili opere in cui le scene della vita sono raffigurate in maniera realistica e ciò sia nei dipinti su legno che in superbi affreschi (per esempio nella chiesa Uspenskij a Vladimir, a Novgorod e a Mosca). Le icone infatti e le opere dei pittori russi del secolo XV costituiscono un importante capitolo nella storia delle arti figurative europee.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06